Capitolo 4: QUOTIDIANITÀ BENGALESI
4.1 LA CASA
4.1.4 Questioni di lingua
La familiarizzazione con gli spazi al di fuori della casa passa anche attraverso la lingua italiana. Se per gli uomini l'italiano, come già ricordato nell'introduzione, è legato innanzitutto al mondo del lavoro (perché è quello il contesto in cui principalmente lo imparano e usano), per le donne questo ha significato scoprire ed usufruire dei corsi di italiano offerti nel territorio. Si vedrà fino a che punto.
L'italiano non è però solo qualcosa che riguarda le relazioni esterne, con la società “di accoglienza” e l'acclimatamento più o meno riuscito con questa. Rappresenta infatti un punto centrale attorno al quale si costruiscono i rapporti intergenerazionali, soprattutto tra madri e figli in età scolare62. La lingua italiana può dunque costituire un motivo di discussione e di inquietudine
all'interno di quella “casa” rappresentata dagli affetti più cari.
Le donne e i corsi di italiano
Come già detto, i corsi di italiano sono stati i contesti in cui ho conosciuto la maggior parte delle donne che sarebbero poi divenute le mie interlocutrici sul campo. Rachele, Nadia, Elena, Irene, hanno tutte frequentato i corsi di lingua organizzati dal comune e dal Centro Donna. Le prime due hanno anche approfittato dei corsi gratuiti organizzati dalla parrocchia del quartiere in cui abitano, mentre Rachele e Irene hanno parallelamente frequentato i corsi di informatica del Centro Donna e i corsi di cucito. Tutti questi spazi risultano per loro molto di più (o non solo) che semplici luoghi in cui apprendere la lingua del paese che le ospita. Significano infatti occasioni di spostamento in città, di incontro con altre connazionali e altre donne, di socializzazione con le insegnanti, di ampliamento degli spazi in cui si può star bene. Non a caso tutte hanno seguito più di un corso e ne parlano alle nuove arrivate.
I corsi, assieme al fatto che io avessi preso a frequentarle, sono stati anche stimolo per la
62 La scuola è un ambito di gestione prettamente femminile. Sono sempre state le madri a chiedermi aiuto e
spiegazioni rispetto a questo tema. Unica eccezione è Vittorio che, come si evincerà dall'etnografia, partecipa alle scelte da farsi in ambito scolastico a fianco della moglie.
comunicazione con il “mondo italiano”. Rachele un giorno mi racconta orgogliosa di aver aiutato una connazionale a capirsi con il cassiere di un supermercato; un'altra volta, dopo molti mesi di frequentazione, sempre lei si stupisce dei miglioramenti fatti nell'usare la lingua che le serve per parlare con me e mi dice: “mia bocca è fast!”. Spessissime volte, poi, un po' tutte le donne mi hanno chiesto di correggere le loro frasi o di avere delucidazioni sulla grammatica: i corsi di italiano hanno fornito loro i minimi strumenti per riflettere sulla lingua e per interrogarsi sulle sue strutture. Da parte dei mariti non ho mai riscontrato altrettanta curiosità. Soddisfatti del loro livello? Orgoglio? Questione di genere? Senz'altro ho potuto facilmente notare, nei diversi mesi di reciproca frequentazione, un arresto nel processo di apprendimento dell'italiano da parte loro63.
Per alcuni dei miei interlocutori la spiegazione a questa fossilizzazione della lingua appresa potrebbe risiedere anche altrove. Un giorno chiedo a Nadia se non ha intenzione di iscriversi ad un nuovo corso di italiano che a breve sarebbe cominciato. Lei mi risponde senza indugio che non è interessata, il suo livello di italiano le è sufficiente. In quell'occasione mi spiega per l'ennesima volta che la sua famiglia sognava l'Inghilterra e pertanto entro uno, due o tre anni prevedeva di trasferirsi. Non c'era ragione di investire in una lingua che non sarebbe servita più. In quel momento però non poteva ancora sapere che nel giro di sei mesi, come si vedrà nella prossima sezione, questo progetto si sarebbe realizzato per davvero.
63 Nelle mogli ho notato invece dei miglioramenti, anche se minimi, nella capacità di espressione e di comunicazione
orale, forse dovuti all'interesse a comunicare con me e al loro sentirsi “studentesse di italiano”. Per quanto concerne lo sviluppo linguistico dei mariti, si può pensare a una mancanza di progressi nelle competenze in L2 (lingua di approdo) che la linguistica acquisizionale descrive come “fossilizzazione”. Un approccio critico a questo complesso fenomeno si trova in Han (2004 e 2013). La studiosa, cercando di definire cosa si debba intendere per fossilizzazione, ricorda la necessità di guardare a due componenti essenziali: “(a) la tendenza verso una cessazione
dell'apprendimento (b) nonostante una continua esposizione all'input, un’adeguata motivazione, la prontezza ad acquisire o sufficienti opportunità di fare pratica” (Han 2004:232; traduzione mia). La studiosa sottolinea la
necessità di distinguere tra fossilizzazione e stabilizzazione. Non ogni stabilizzazione nel processo di apprendimento della L2 porta a fossilizzare le competenze: la stabilizzazione può essere, ad esempio, solo temporanea e tesa a fissare dei traguardi prima di nuovi progressi verso la lingua obiettivo (Han 2004:224-225). Nel caso qui descritto penso sia possibile parlare di fossilizzazione giacché le persone in questione abitano in Italia da almeno cinque anni, un lasso di tempo abbastanza ampio per lo sviluppo delle loro competenze linguistiche in L2, e, soprattutto, dalle loro storie di migrazione è possibile immaginare che in questi anni abbiano ricevuto input costanti della “nuova” lingua nei luoghi di lavoro.
Italiano di madri, italiano di figli Educazione dei figli e italiano
L'italiano non è soltanto la lingua prevalente nel contesto di immigrazione ma rappresenta, per le mie interlocutrici, un nucleo importante attorno al quale si costruisce parte del rapporto quotidiano con i figli. Contrariamente a quello che è il compito di educatrice che il ruolo di madre normalmente include, queste donne si trovano impossibilitate a seguire appieno l'educazione dei propri figli in età scolare, proprio a causa della limitata competenza in L2 (lingua di approdo). Assieme a questi condividono infatti un percorso di apprendimento dell'italiano che non può che essere impari. Loro, impegnate in corsi di italiano per stranieri, e i figli, impegnati nella scuola, acquisiscono la nuova lingua con velocità molto diverse. Questo provoca uno squilibrio tra le competenze delle due parti, squilibrio che porta scompiglio nell'assolvimento del ruolo educativo di una madre in terra di immigrazione.
Il fatto che Nadia e Rachele mi abbiano chiesto già al nostro primo incontro un aiuto per i figli nello svolgimento dei compiti per casa dimostra, senza necessità di troppe parole, il senso di inadeguatezza da loro sentito rispetto al dovere di seguirli nello studio. Allo stesso tempo rivela la prontezza nel cercare soluzioni alternative a questa impasse. Ma io non sono stata l'unica risorsa “utilizzata” a questo scopo. Tommaso è stato iscritto da entrambi i genitori (Vittorio e Rachele) all'aiuto-compiti estivo del Centro Donna. Quando poi è ricominciato l'anno scolastico le due madri
appena ricordate si sono avvalse del doposcuola offerto dal patronato cattolico del loro quartiere, un servizio gratuito per bambini e ragazzi stranieri di scuole primarie e secondarie di primo grado. Nelle vacanze scolastiche successive, anche Irene ha scelto di mandare la figlia a “fare i compiti al Centro Donna” e ha chiesto a me di controllare gli ultimi esercizi fatti da Isabella in autonomia. Poter ricorrere al servizio pubblico o, comunque, ad associazioni e organizzazioni locali per gestire il vuoto nel ruolo educativo è una possibilità da tutte ampiamente sfruttata e apprezzata.
pratica molto diffusa già in Bangladesh64. Tommaso mi racconta che prendeva regolarmente
ripetizioni quando stava nel suo paese: studiava moltissimo, 13 ore al giorno, e andava fino a casa della sua insegnante privata prima di andare a scuola. Lì studiava assieme a una decina di altri bambini. Poi l'insegnante andava da lui il pomeriggio, a scuola finita. Anche il nonno materno, che è professore di inglese, riceveva moltissimi ragazzi per impartire lezioni private, addirittura 150 persone! Sì, perché le ripetizioni le svolgeva con gruppi di studenti che apprendevano tutti insieme a casa dell'insegnante. Il padre di Rachele aveva solitamente una quarantina di studenti alla volta in casa, moltiplicati per tre turni ogni giorno. Ora che è in pensione riceve ancora studenti, ma in numeri più limitati, circa una decina.
Scuola e voti
L'attenzione delle madri per lo studio passa anche per un controllo serrato del rendimento scolastico dei figli, almeno per Rachele e Irene65. Entrambe si preoccupano moltissimo per i voti
ricevuti dai figli. La prima mi chiede continuamente come è possibile che Tommaso abbia solo voti bassi, 6 e 7, quando in Bangladesh era invece il primo della classe. Mi invita a spronarlo ad impegnarsi di più e a puntare al “10 su 10”, come dice lei, al massimo. In Bangladesh era così, lui studiava tantissimo e otteneva sempre il punteggio più alto: stava sui libri molte ore a memorizzare le risposte dei test, che si svolgono diverse volte nel corso dell'anno scolastico, nemmeno si alzava per andare a mangiare, era Rachele a portarglielo in camera. Lei e il marito sognano un futuro da ingegnere, banchiere, o businessman per il figlio66.
64 Si confrontino Hamid, Sussex e Khan (2009). Il loro intervento si concentra sul fenomeno delle lezioni private di
inglese nel Bangladesh rurale tra alunni della scuola secondaria (dalla sesta alla decima classe). Gli autori offrono altresì una panoramica globale sulla popolarità dell'insegnamento privato per le materie scientifiche e la lingua inglese ad ogni gradino della scala sociale. In Bangladesh, concludono, si tratta di un vero e proprio imperativo per studenti e famiglie che reputano essenziale affidarsi ad insegnanti privati, o, addirittura, a centri specializzati che forniscono ripetizioni al di fuori degli orari scolastici, per garantirsi l'eccellenza richiesta tanto nel mondo del lavoro che in quello dell'università. Evidentemente, come mostra l'esperienza di Tommaso, quest'esigenza è avvertita sin dalla scuola primaria.
65 Non è questo il caso di Nadia che, pur preoccupandosi di favorire lo studio del figlio di 8 anni, non è ossessionata
dai voti.
66 Per migliorare anche i voti in musica del figlio, Rachele ha trovato per lui, tramite il patronato cattolico del suo
quartiere, un'insegnante di musica in pensione disposta a impartire lezioni private gratuitamente. Le speranze e le aspettative della donna rispetto alla carriera scolastica del figlio sono ben emerse nell'intervista fattale il 14/06/2013, riportata in appendice. In quell'occasione mi ha raccontato che non aveva intenzione di emigrare in
Anche Irene è molto preoccupata per il futuro della figlia. Ha qualche difficoltà in matematica, materia in cui i suoi voti sono più bassi, 6 o 7, non di più. Ma questo non basta! Isabella dovrà fare la dottoressa, da grande, la matematica è importante. Sorprendentemente, quando racconta queste sue piccole preoccupazioni, cita i suoi nipoti – figli delle sorelle – di successo in Bangladesh: uno è ingegnere, un'altra dentista, un nipote “di prima media” ha passato gli esami di fine anno ottenendo il massimo, gold. C'è una competizione che passa le frontiere, Irene non vuole essere da meno rispetto ai suoi parenti lontani. Sua figlia deve essere all'altezza.
Una certa competizione sulla bravura dei figli si svolge inoltre tra i connazionali presenti in Italia. Se Rachele mi racconta di come sua figlia aiuti spesso il figlio di Nadia a scuola, perché sempre distratto, Irene mi chiede se sua figlia sia più o meno brava dei figli di Rachele.
Queste discussioni sui risultati scolastici si basano a volte su limitate conoscenze del sistema scolastico italiano o su fraintendimenti. Irene mi ha per esempio interpellata per accertarsi su quale sia la scala dei voti usati a scuola: il dieci è il massimo o c'è anche undici, dodici? Rachele e il marito hanno invece frainteso un'intera situazione. Ad una riunione con i professori a cui erano presenti i genitori di soli sei ragazzi, hanno pensato che fossero state convocate solamente le famiglie degli studenti con maggiori difficoltà. Hanno perciò rimproverato duramente il figlio una volta rincasati. Tommaso mi prega di spiegare loro il malinteso e mi mostra l'avviso in cui si annuncia semplicemente il ricevimento dei professori prima della fine dell'anno scolastico, un avviso rivolto a tutti ovviamente. Cerco di spiegare allora che è stato solo un ricevimento genitori e che spesso succede che non tutti si presentino alle riunioni della scuola. Ma i due non sembrano convincersi. Un altro esempio lo offre sempre Tommaso. La madre lo vorrebbe sempre impegnato a studiare, proprio come faceva in Bangladesh, lui si sforza di dirle che la scuola italiana funziona diversamente: non ci sono pagine e pagine da “memorizzare”, come dice lei, da imparare
Italia quando il marito gliel'ha chiesto: il figlio era molto bravo a scuola e continuando così avrebbe senz'altro ottenuto la borsa di studio statale destinata a studenti meritevoli che gli avrebbe permesso di frequentare gratuitamente le scuole superiori. Sognava questo momento, quando sarebbe stata orgogliosa di vedere il figlio primeggiare. Ora che è in Italia questo non è più possibile. Nemmeno pensando ad un ipotetico rientro in madrepatria.
letteralmente a memoria e saper riproporre pari pari nei test. Questa è la scuola in Bangladesh! In Italia si impara a capire i concetti e a riesporli con parole proprie. Questo è un discorso che ho sentito fare al ragazzo moltissime volte. In risposta ha sempre ricevuto soltanto raccomandazioni a impegnarsi di più. Un altro punto critico mi è stato spiegato da Irene. In un'occasione si è confidata rispetto alla difficoltà di comunicare con le insegnanti della figlia proprio sul tema del rendimento. Alle riunioni le maestre le dicono sempre che Isabella è molto brava, che va bene così, è straniera, cosa si vuole di più? Irene ne è molto risentita: cosa significa che sua figlia è una “straniera”! Ha frequentato la scuola materna in Italia e ora, da quattro anni, fa le elementari. Perché le maestre continuano a ripeterlo? Irene difende il diritto della bambina ad essere aiutata a dare il massimo a scuola, anche se ufficialmente è nata in un altro paese. Ha anche chiesto di avere dei mediatori a colloquio, per poter spiegare bene alle insegnanti il suo punto di vista, ma non è stata mai esaudita. Sua figlia va bene a scuola, le è stato sempre risposto. Nella sua esperienza da “maestra” – Irene ha lavorato nella scuola primaria in Bangladesh – questo non sarebbe mai successo: mi dice che ci teneva alla disciplina in classe e che spronava a migliorare anche il più bravo. I genitori dei suoi alunni erano molto contenti di lei.
Mamme a scuola... dai figli
Come già accennato, tutte le donne conosciute hanno frequentato uno o più corsi di italiano. Ma non è solo dai corsi che le madri imparano o vorrebbero imparare.
Prendiamo il caso di Rachele che, dopo i corsi introduttivi di lingua italiana, ha deciso di intraprendere il percorso scolastico per ottenere il diploma di licenza media. Si è pertanto iscritta allo specifico corso presso il CTP di Mestre, un corso lungo un intero anno scolastico e che prevede lo studio di molte materie oltre l'italiano (inglese, matematica, tecnologia, storia e geografia, informatica). Al termine gli studenti devono sostenere gli esami di terza media. Rachele mi parla della sua scelta dicendo che le servirà per seguire meglio la figlia a scuola e nei compiti. Questa prima motivazione datami si rivelerà, nei fatti, molto parziale. Rachele assieme al marito investe in
questo corso anche per avere maggiori possibilità lavorative in futuro. Nemmeno questa sarà però una motivazione sufficientemente forte per seguire il corso in maniera regolare. Alla fine dell'anno lei sarà esclusa dall'esame per non aver rispettato le ore minime di frequenza previste per esserne ammessa. Ma non è questo il punto che in questa sede si vuole affrontare.
Nei lunghi mesi in cui si è articolato il corso, infatti, madre e figlio si sono trovati a vivere un'esperienza di studio vicinissima, frequentando contemporaneamente l'una la terza media, l'altro la seconda. Entrambi sono stati alle prese con compiti per casa e lezioni da seguire, in un percorso decisamente anomalo per una madre e suo figlio. In questa strana condivisione però si è verificata spesso un'inversione di ruoli tra i due protagonisti. Tommaso si è trovato infatti a svolgere lui il ruolo di educatore della madre. Per quanto ha potuto e ne ha avuto la pazienza l'ha infatti aiutata a svolgere i compiti per casa, ha tradotto per lei la lingua dello studio dei libri, le ha spiegato la matematica per prepararsi ad una verifica. Queste occasioni non sono state numerosissime, ma senz'altro significative in quanto mostrano uno scambio di ruoli che parla della dipendenza e subalternità di una madre rispetto al proprio figlio. Ciò in contesti in cui questa subordinazione normalmente non c'è. Non è un caso, allora e forse, se Tommaso si è mostrato sì orgoglioso per gli sforzi della madre ma, più spesso, se ne fa beffa, sottolineando gli errori che lei continua a fare esprimendosi in italiano.
Come lui, anche Isabella ride spesso degli sbagli che commette la madre parlando in italiano. Irene le chiede sempre ed esplicitamente di essere corretta, perché vuole migliorare, ma la bambina è troppo piccola per farsi carico di questo compito “didattico” e solo sporadicamente l'accontenta con qualche correzione. Più spesso deve invece sopperire alle scarse competenze in L2 della madre e divenire mediatrice linguistica per lei67. Per di più, un giorno si lamenta con me
dimostrando la sua irritazione nel vedere il padre o la madre dire di sì, quando invece non comprendono quanto viene loro detto. Poi pretendono da lei spiegazioni! È uno scambio di ruoli in
67 Questo è successo, ad esempio, nel corso di diverse visite mediche alle quali ero presente, su richiesta della donna.
cui non è più l'adulto a mediare con il mondo circostante, anche al posto del bambino. Accade invece l'inverso68.
Irene avverte il peso di questa mancanza e mi ripete spesso il suo desiderio di imparare meglio l'italiano. Mi chiede così di farle qualche lezione di conversazione, per lei è importantissimo poter esprimersi: già da cinque anni vive in Italia e non accetta di non riuscirci ancora. Presto farà anche un altro corso di italiano al Centro Donna.
Figli alle prese con l'italiano: imparare da soli o quasi
Ho ricordato parecchie volte il mio ruolo di aiuto-compiti per i figli di Rachele e Vittorio. In quest'esperienza di insegnamento ho potuto raccogliere le impressioni del giovane Tommaso, quelle di quando è arrivato a 11 anni in Italia e si è scontrato con scuola e lingua sconosciute. Vorrei qui riproporle brevemente, così come lui me le ha narrate.
Appena giunto nel nuovo paese, Tommaso ha cominciato subito a frequentare la scuola primaria, l'ultima classe. I primi giorni li ricorda molto bene, ha anche tentato di scappare dalla scuola. I compagni gli parlavano, lui non capiva nulla e chiedeva: what? cosa? Nessuno a sua volta lo capiva. Aveva paura. Poi sono arrivate a scuola delle donne bengalesi che l'hanno un po' aiutato69.
Ma l'italiano ha cominciato a capirlo e impararlo solo più tardi, quando ha avuto la possibilità di seguire i laboratori extrascolastici di socializzazione e comunicazione, mentre frequentava la prima media. Grazie a questi corsi ha iniziato davvero a comprendere e parlare la nuova lingua. Me lo dice sincero, perché quei corsi gli sono serviti a superare un momento davvero critico. Ed è nella seconda parte di questi corsi che io l'ho conosciuto, avendo svolto in quel periodo (gennaio-maggio 2012) il tirocinio per conto del Servizio immigrazione sia ai corsi di italiano per le donne straniere, sia ai laboratori linguistici per i ragazzi. A gennaio, quando l'ho incontrato per la prima volta,
68 Un caso ancor più estremo è quello della signora Bruna, vicina di Rachele, di cui si è parlato nell'introduzione.
Nonostante i sette anni già passati in Italia non riesce a comunicare in italiano. Nemmeno il corso di italiano che stava seguendo alla parrocchia del suo quartiere era servito a qualcosa. La signora è perciò in larghissima misura