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Il doppio giudizio in relazione agli istituti del reato complesso e del reato continuato Cenni sul reato permanente.

Dopo aver evidenziato come il ne bis in idem possa comportare interpretazioni e conseguenze differenti a seconda dell’istituto nei confronti del quale si trovi ad operare, occorre- ai fini di una completa trattazione circa l’operatività e la portata del principio stesso nell’ordinamento interno- analizzare in che modo la preclusione di cui all’art. 649 c.p.p. si relazioni ad ulteriori figure particolari, quali il reato complesso e il reato continuato.

Per reato complesso ci si riferisce a quella situazione, disciplinata dall’art. 84 c.p., in cui all’interno di una fattispecie si inseriscono, quali elementi costitutivi o circostanze aggravanti, fatti che costituirebbero di per sé reato152 : la funzione pratica di tale istituto è quella di evitare il ricorso al regime del concorso di reati in casi in cui si è preferito optare per una unificazione normativa di fatti aventi autonomo disvalore153. Senonché, è necessario specificare che la dottrina distingue tale specie di reato complesso- detta reato complesso “in senso stretto”- da una seconda, quella del reato complesso “in senso lato”, rappresentata da una struttura composta da un fatto costituente reato e da elementi “aggiuntivi”, i quali di per sé sono penalmente irrilevanti154: il principio di ne bis in idem opererà, infatti, con effetti differenti a seconda che si versi nel primo o nel secondo caso.

                                                                                                               

152 V., tra tutti, G. FIANDACA, E. MUSCO, op. cit., p. 726 che specifica come si tratti di una unificazione legislativa di più figure criminose, i cui rispettivi elementi sono tutti ricompresi nella figura risultante dall’unificazione (ad esempio, il delitto di rapina ricomprende in sé quello di furto e di violenza privata); v. anche C. MARINELLI, op. cit., p. 2844. L’art. 84 c.p. stabilisce infatti che le disposizioni sul concorso di reati “non si applicano quando la legge considera come elementi costitutivi, o come circostanze aggravanti di un solo reato, fatti che costituirebbero, per se stessi, reato”.

153 Cfr. G. FIANDACA, E. MUSCO, op. cit., p. 727.

154 V. C. MARINELLI, op. cit., p. 2844 e G. FIANDACA, E. MUSCO, op. cit., p. 727: l’esempio di reato complesso “in senso lato”, utilizzato da entrambi, è quello della figura delittuosa, oggi non più prevista come tale, di volenza carnale, che era composta dal reato di violenza privata unito all’elemento ulteriore, di per sé non costituente reato, della

Per quanto concerne il reato complesso inteso in senso stretto, si ritiene pacificamente che il giudicato formatosi in relazione alla fattispecie complessivamente considerata impedisca l’instaurazione del procedimento relativo ai singoli reati incorporati e, viceversa, la decisione irrevocabile su uno di questi ultimi comporti il divieto di valutare, successivamente, l’insieme; in tale ultima situazione (giudicato intervenuto su uno dei reati componenti) occorre precisare, nondimeno, che non si ritiene preclusa l’instaurazione di un giudizio in ordine all’ulteriore fattispecie incorporata, insieme alla prima, nel reato complesso e rimasta estranea al processo155.

Nel caso di reato complesso “in senso lato”, invece, si rileva la sussistenza di una piena simmetria: il giudicato sulla fattispecie complessa preclude un nuovo procedimento in ordine al reato componente e, allo stesso modo, la sentenza irrevocabile sul reato incorporato impedisce un secondo giudizio sia su quello complesso, sia sul residuo elemento “aggiuntivo” in quanto costituente non un ulteriore illecito, bensì un quid pluris penalmente insignificante156.

Soluzioni differenti e singolari si riscontrano, inoltre, in merito al rapporto tra ne bis in idem e reato continuato, particolare figura giuridica- disciplinata dall’art. 81, 2° comma, c.p.- che prevede la non applicabilità delle disposizioni relative al concorso dei reati e delle pene a coloro i quali “con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso” abbiano commesso “anche in tempi diversi, più violazioni della stessa disposizione di legge”, anche se di diversa gravità: risulta

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                          congiunzione carnale. Oggi lo stesso esempio può essere effettuato con il reato di violenza sessuale (in tal senso v. G. BAUSILIO, op. cit., p. 29). Si evidenzia come F. ANTOLISEI, op. cit., p. 537 ss. distingua tra reato composto (o complesso in senso stretto), oggetto della norma ex art. 84 c.p., e reato complesso in senso lato, il quale “si ha quando un reato, in tutte o in alcune delle ipotesi contemplate nella norma incriminatrice, contiene in sé necessariamente altro reato meno grave” bastando, dunque, un solo reato con l’aggiunta di un elemento ulteriore.

155 Cfr. P.P. RIVELLO, op. ult. cit., p. 506 il quale richiama le parole di F. CORDERO: “Qui il reato complesso si scompone: e così la sentenza pronunciata sull’accusa di furto non preclude il processo di violenza privata in un caso di rapina, il cui autore fosse stato imputato solo di furto”, nonché G. LOZZI, voce “Giudicato”, cit., p. 922; v. anche F. CAPRIOLI, D. VICOLI, Procedura penale dell’esecuzione, cit., p.98, C. MARINELLI, op.cit., p. 2844. 156 Così, P.P. RIVELLO, op. ult. cit., p. 506 e C. MARINELLI, op.cit., p.2844. In giurisprudenza, v. Cass, sez. V, 17-11-1999, Giordano, in Riv. pen., 2000, p.401.

evidente, dunque, come la norma sia stata inserita per mitigare il severo trattamento stabilito per i delitti dello stesso tipo, che fossero ripetuti più volte157.

A tal proposito, sembra idoneo evidenziare che in passato numerosi contrasti- in seno sia alla dottrina sia alla giurisprudenza- erano sorti in ordine agli effetti del giudicato nei confronti del reato continuato e, ancora oggi, la tematica continua ad avere valore nell’ipotesi in cui si voglia ravvisare la continuazione tra fatti già giudicati in via irrevocabile e fatti ancora sub iudice158.

Anzitutto, si rileva come sia ormai pacificamente accettata- differentemente dal passato- la tesi per cui la continuazione è configurabile anche tra fatti già giudicati con sentenza irrevocabile e fatti commessi dopo tale passaggio in giudicato159; ciò detto, l’ipotesi obiettivamente più controversa sembra essere quella per cui il reato più grave , sul quale occorre calcolare l’aumento di pena per la continuazione, sia quello oggetto di giudizio pendente e non quello irrevocabilmente giudicato: nell’ipotesi opposta infatti- ossia quando oggetto di giudizio sia il reato meno grave-

                                                                                                               

157 Cfr., tra tutti, F. ANTOLISEI, op. cit., p. 525 ss., in cui si riporta un’amplia bibliografia sul tema e si specifica il fondamento storico dell’istituto nonché il concetto di “medesimo disegno criminoso”.

158 Così, P.P. RIVELLO, op. ult. cit., p. 512-513 che sottolinea come, con l’attuale codice, gran parte dei contrasti sussistenti in passato in merito ai rapporti tra giudicato e reato continuato abbiano perso rilevanza, specie per quanto riguarda la fase esecutiva, grazie all’art. 671 c.p.p., che consente di richiedere al giudice dell’esecuzione l’applicazione della disciplina ex art. 81 comma 2 c.p., purché questa non sia stata esclusa in sede di cognizione. Dunque la tematica resta oggi rilevante nella fase del giudizio.

159 Tra le sentenze che hanno segnato un siffatto mutamento giurisprudenziale, v. Cass., 22- 07-1985, Fissore, in Cass. pen., 1987, p. 90; anche se parte della dottrina non condivideva tale ribaltamento, tra cui A. PAGLIARO, Cosa giudicata e continuazione di reati, in Cass. pen., 1987, p. 95: egli rileva come tale orientamento “non tien conto delle ragioni stringenti che possono essere addotte in favore della necessità di limitare l’applicabilità del regime della continuazione solo ai fatti già commessi (…) nel momento in cui viene pronunciata la prima sentenza di condanna”. Per un’illustrazione circa l’orientamento contrario dominante in passato, P.P. RIVELLO, op. ult. cit., p. 513: “(…) occorreva che gli episodi oggetto del nuovo procedimento risultassero commessi anteriormente al passaggio in giudicato della precedente sentenza, in quanto tale giudicato (…) spezzava l’unicità del disegno criminoso” e aggiunge “si sosteneva inoltre che il nesso di cui all’art. 81. secondo comma, c.p. doveva ritenersi escluso, qualora il secondo reato fosse stato commesso successivamente al passaggio in giudicato della prima decisione, anche perché in tal caso il soggetto risultava recidivo e questa qualifica veniva ritenuta incompatibile col reato continuato”. Contrario a quest’ultima impostazione, V. ZAGREBELSKY, Reato continuato, II ed., Milano, 1976 p. 57;

l’istituto della continuazione sarebbe pacificamente applicabile e, conseguentemente, il ne bis in idem non si troverebbe ad operare160.

Qualora, viceversa, il giudicato sia intervenuto sul reato più lieve, due le soluzioni prospettate in dottrina: un primo orientamento è quello che nega l’applicabilità della continuazione in tali ipotesi sostenendo che, in caso contrario, si incorrerebbe inevitabilmente nella violazione di legge e nella lesione del principio di intangibilità del giudicato161; un’impostazione di segno opposto si contrappone invece a tale tesi, sostenendo la necessità di evitare una disparità di trattamento sanzionatorio per identiche situazioni, sulla sola base del fatto- del tutto casuale- costituito dall’intervenuta sentenza irrevocabile in relazione al reato più grave o più lieve162.

Occorre sottolineare come il secondo orientamento sia stato accolto dalla Cassazione a Sezioni Unite163, nonché da una pronuncia della Corte Costituzionale

                                                                                                               

160 In tal senso, P.P. RIVELLO, op. ult. cit., p. 515 che spiega come, nel caso in cui il reato pendente sia quello meno grave e venga accertata la continuazione, il giudice, mediante il c.d. giudizio suppletivo, parta dalla pena base inflitta con la decisione divenuta irrevocabile concernente il reato più grave e operi su questa l’aumento derivante dall’applicazione ex art. 81 c.p.. In tal caso l’applicazione dell’istituto non determina alcuna violazione del giudicato ma soltanto una riconsiderazione del fatto.

161 Così, V. ZAGREBELSKY, “Reato continuato”, in Enc. dir., Vol. XXXVIII, Milano, 1987, p. 852 in cui l’Autore spiega come, considerando quale base dell’aumento la pena irrogata nel primo giudicato, si violerebbe la lettera della norma, la quale prevede che l’aumento debba avere come base la pena applicata per il reato più grave. Senonché, se si andasse a modificare la sanzione irrogata con la prima sentenza, si finirebbe per violare l’intangibilità del giudicato.

162 Cfr. P.P. RIVELLO, op. ult. cit., p. 516 che richiama, in senso nettamente contrario a quest’ultima impostazione, V. ZAGREBELSKY, Concorso di reati e reato continuato, in G. VASSALLI, Dizionario di diritto e procedura penale, Milano, 1986, p. 109 il quale sottolinea la “grave stortura” connessa alla tesi che ritiene applicabile la continuazione quando sia passata in giudicato la sentenza concernente il reato meno grave. Favorevole al secondo orientamento è invece altra parte della dottrina, v. R. LI VECCHI, Reato più grave di quello già giudicato ed applicabilità della continuazione”, in Riv. pen., 1988, p.6, che sostiene l’applicabilità della continuazione anche quando sia passata in giudicato la decisione concernente il reato meno grave, ritenendo che l’opposta tesi faccia “confusione tra la res iudicata sostanziale e formale”.

163 Cass. Sez. Un., 21-09-1986, Nicolini, in Cass. pen., 1986, p. 1738: “anche per l’ipotesi in cui il reato per il quale il giudice procede è più grave di quello già giudicato con sentenza irrevocabile di condanna, è applicabile la continuazione, purchè venga accertata la identità del disegno criminoso dell’uno e dell’altro fatto criminoso (…)”.

che ha rilevato come la prima tesi determini un “trattamento gravemente differenziato” andando, così, a violare i principi di uguaglianza e di legalità164.

I diversi orientamenti giurisprudenziali e dottrinali attinenti ai rapporti tra la figura del reato continuato e il canone del ne bis in idem- con le loro rispettive discordanze- hanno fatto sì, pertanto, che si rendesse necessaria l’introduzione, nel nuovo codice di procedura, di una norma ad hoc volta ad annullare le possibili disparità di trattamento prevedendo la possibilità, in fase di esecuzione, di applicare l’istituto ex art. 81 2° comma c.p. indipendentemente dal fatto che la sentenza passata in giudicato concernesse il reato più grave o quello meno grave, e perseguendo così la finalità di impedire che il ne bis in idem possa costituire una preclusione all’operatività della continuazione165.

In conclusione, alcuni cenni meritano di essere effettuati in merito alla relazione sussistente tra ne bis in idem e reato permanente.

Premettendo che si dicono permanenti i reati nei quali il fatto, che li costituisce, crea una situazione dannosa o pericolosa che si “protrae nel tempo a causa del perdurare della condotta del soggetto”166, il divieto di secondo giudizio- ove relazionato a tale figura di reato- si considera strettamente collegato al dato temporale, ossia al concetto di interruzione della permanenza, in particolar modo quando non si ricorra nell’ipotesi di contestazione cosiddetta chiusa167.

                                                                                                               

164 Corte Cost., 9-04-1987 n.115, in Giust. pen., 1987, p. 229. La Corte rileva come, sulla base dell’orientamento che ritiene applicabile la continuazione nel solo caso di giudicato intervenuto sulla violazione più grave, l’operatività dell’istituto ex art. 81, comma 2, c.p. venga a dipendere da “una doppia fatalità: che le singole violazioni si trovino in due processi distinti, di cui l’uno concluso con il giudicato, e che la violazione più grave si trovi o non in quest’ultimo”.

165 Così, P.P. RIVELLO, op. ult. cit., p. 518 che fa riferimento, nuovamente, all’art. 671 c.p.p., norma ritenuta indispensabile in un codice che persegue lo scopo della riduzione dei casi di processo cumulativo ed in cui non era ammissibile che un rilevante numero di vicende giudiziarie si concludesse con sanzioni nettamente divergenti tra loro.

166 Cfr. F. ANTOLISEI, op. cit., p. 267 il quale specifica che per l’esistenza del reato permanente occorrono due condizioni: che lo stato dannoso o pericoloso derivante dalla condotta abbia carattere continuativo (comportando un progressivo aumento del pregiudizio originato dal fatto) e che il protrarsi della situazione antigiuridica sia dovuto alla condotta volontaria del soggetto (e che dunque quest’ultimo sia in grado di far cessare tale stato continuativo).

167 In tal senso, S. ASTARITA, op. cit., p. 737: “(…) se non sembrano sussistere difficoltà in caso di contestazione cosiddetta chiusa, certa nel dies a quo e nel dies ad quem, alcune problematiche rischiano di porsi in caso di contestazione cosiddetta aperta, certa nel dies a

La giurisprudenza maggioritaria, avallata dalla dottrina dominante, ritiene che, nonostante il reato permanente abbia natura unitaria, la condotta diversa- sotto il profilo storico e cronologico- rispetto a quella coperta da giudicato rappresenti un fatto distinto: la decisione avrebbe l’effetto di cessare la permanenza e l’ulteriore prosecuzione nell’illecito concreterebbe un nuovo reato, cosicché nessun effetto preclusivo potrebbe impedire la reiterazione del procedimento in ordine alla condotta successiva168.

Per ciò che concerne la delimitazione temporale del fatto, ai fini del divieto di un secondo giudizio, giurisprudenza consolidata ritiene che, quando manchi un’indicazione certa relativa alla durata del fatto all’interno del capo d’accusa, debba farsi riferimento alla data della sentenza di primo grado (sia essa di assoluzione o di condanna) la quale comporterebbe l’”interruzione giudiziale” della permanenza169: nondimeno, contro tale impostazione non sono mancate voci parzialmente discordanti le quali, pur ammettendo l’esperibilità di un nuovo procedimento in merito a condotte successive rispetto a quella oggetto di giudicato, hanno ritenuto che il secondo giudice non possa, nell’applicare la sanzione, spaziare liberamente tra il minimo e il massimo edittale, ma dovrebbe fare in modo che la seconda sanzione,

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                          quo ma indefinita nel dies ad quem, e non sempre coincidente con la data della richiesta di rinvio a giudizio”.

168 Cfr. P.P. RIVELLO, op. ult. cit., p. 507 che evidenzia dettagliatamente gli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali a riguardo e sostiene, inoltre, che tale orientamento sia influenzato dalla mutata visione penalistica del concetto di reato permanente, non essendo più prevista la c.d. concezione bifasica secondo cui l’illecito s’instaurerebbe con un’azione e perdurerebbe in virtù di una semplice omissione, ma ammettendosi invece che la situazione antigiuridica possa essere mantenuta anche con un comportamento attivo; v. anche C. MARINELLI, op. cit., p.2844. In giurisprudenza, Cass., 8-03-1985, Vianello, in Cass. pen., 1986, p. 1965; in dottrina, G. VASSALLI, Amnistia, decorrenza del termine e interruzione giudiziale della permanenza nei reati punibili a querela di parte, in Riv. it. dir. proc. pen., 1958, p. 1168 il quale rileva che il giudicato intervenuto sul reato permanente comporti una “interruzione giudiziale” dello stesso.

169 Così, Cass., sez. VI, 4-10-2000, Drago Ferrante, in Cass. pen., 2002, p. 259 richiamata da S. ASTARITA, op.cit., p. 738 e C. MARINELLI, op. cit., p. 2844 il quale specifica l’esistenza di un secondo, diverso orientamento, per cui l’estensione degli effetti preclusivi del giudicato alla porzione di condotta anteriore alla pronuncia di primo grado varrebbe solo nel caso di sentenza che accerti la responsabilità dell’imputato, mentre nell’ipotesi di assoluzione il divieto di un secondo giudizio coprirebbe solo i fatti accaduti fino alla data indicata nella contestazione, indipendentemente da quella della pronuncia assolutoria.

una volta cumulata a quella precedente, non superi i limiti massimi di pena stabiliti per quel determinato reato170.

Pertanto, sebbene sussista un orientamento minoritario che sostiene l’operatività del principio di ne bis in idem anche in siffatta ipotesi- poiché “il giudicato impedisce l’ulteriore esperimento dell’azione penale per fatti successivi commessi in prosecuzione dell’unico reato”171- l’osservazione per cui la preclusione, prevista dal principio in esame, comporterebbe l’applicazione di un identico trattamento sanzionatorio a fattispecie evidentemente non omogenee conduce a ritenere preferibile l’accoglimento della tesi maggioritaria, optante per la negazione dell’applicabilità del ne bis in idem in relazione ai reati permanenti172.

6. Ne bis in idem e sistema sanzionatorio. Il principio di specialità in tema di