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La nozione di “materia penale” e le applicazioni del ne bis in idem nella giurisprudenza di Strasburgo.

In relazione alla portata del ne bis in idem convenzionale, la nozione di matière pénale, unitamente a quella di idem factum- che in seguito approfondiremo- costituisce in maniera evidente uno dei due “poli intorno ai quali si è giocata sinora la partita della maggiore o minore espansione dell’operatività del principio e della sua stessa definizione”263.

Infatti, lo stesso tenore letterale dell’art. 4 del Protocollo 7 CEDU, facendo espressamente riferimento alla “condanna penale” e alla “procedura penale”, ha consentito agli Stati membri, e in particolare al nostro legislatore, di considerare pienamente legittima la predisposizione di sistemi sanzionatori quali quelli a “doppio binario” precedentemente illustrati- caratterizzati dalla sovrapposizione di un procedimento penale e di una procedura sanzionatoria di carattere amministrativo per il medesimo fatto illecito- con la sicurezza di non comportare una violazione del ne bis in idem ex art. 649 c.p.p., non trattandosi di doppio giudizio penale264: ebbene, i giudici di Strasburgo, adottando sin dagli anni ’70 una concezione allargata di                                                                                                                

262 G. DE AMICIS, op. cit., p. 6 che sintetizza così l’idea adottata dalla Corte EDU sul tema: “una persona, dunque, non può essere nuovamente sanzionata per lo stesso comportamento con il pretesto che si tratti di una misura amministrativa o disciplinare”.

263 Così M. BRANCACCIO nella relaz. orientativa dell’Ufficio del Massimario penale n.26/2017, cit., p. 4.

264 Cfr. C. FATTA, op. cit., p. 3; v. anche G. LOZZI, Lezioni di procedura penale (Agg. 2017), cit., p. 830 in cui l’Autore specifica come negli ultimi anni la Corte di Strasburgo abbia “fornito importanti spunti per una revisione della tradizionale ricostruzione dei limiti oggettivi del giudicato penale finendo per mettere in discussione- di fatto- il presupposto fondante il ne bis in idem” e come, nonostante il divieto ex art. 649 c.p.p. si basi sul presupposto fondamentale della riconducibilità dei diversi procedimenti all’autorità giudiziaria penale, la stessa Corte non abbia esitato a smentire tale presupposto. Sul punto, cfr. anche J.A.E. VERVAELE, op. cit., p. 102 che sottolinea come storicamente il principio del ne bis in idem sia stato inteso come limitato solo alla giustizia penale.

“materia penale” che guardava alla “sostanza” dell’illecito piuttosto che alla sua qualificazione formale, hanno inteso rafforzare significativamente la tutela sottesa al divieto di doppio giudizio sancendo il principio per cui anche l’inflizione di una sanzione amministrativa definitiva può precludere l’instaurazione di un procedimento penale in ordine allo stesso fatto e nei confronti della medesima persona265.

La teoria sostanzialista del ne bis in idem convenzionalmente orientato, concernente la qualificazione dell’effettiva natura delle sanzioni amministrative previste in via contestuale a quelle penali, costituisce dunque uno dei punti nevralgici su cui si instaura il contrasto di posizioni tra la giurisprudenza italiana e quella europea, nonché il motivo della loro divergenza e incompatibilità266: ma cosa deve intendersi per “natura penale” del procedimento e della sanzione, ai sensi della Corte europea dei diritti umani?

I criteri riferibili alla giurisprudenza costante della Corte EDU possono essere delineati prendendo come punto di riferimento il leading case che li ha individuati: nella risalente pronuncia “Engel e altri c. Paesi Bassi”267, infatti, la Corte, chiamata a stabilire, tra le altre richieste268, l’avvenuta o meno violazione dell’art. 6 CEDU

                                                                                                               

265 Cfr. G. DE AMICIS, op. cit, pp. 6-7 e M. BRANCACCIO, relaz. orientativa n. 26/2017, cit., p.3; sulla superfluità della qualificazione formale della natura dell’illecito, ai sensi della giurisprudenza di Strasburgo, v. anche G. COFFEY, op. ult. cit., p. 65.

266 Così, L. TYSSERAND, op. cit., p. 1299 che inserisce il contrasto relativo alla nozione di “materia penale” tra gli elementi cardine dell’assunto della Corte EDU, per cui “è lesiva della disposizione convenzionale sul ne bis in idem, la previsione di una duplice reazione punitiva, di natura penale, seppur diversamente qualificata dalla normativa, destinata allo stesso soggetto per fatti sostanzialmente identici”.

267 Corte EDU, Engel e altri c. Paesi Bassi, 8-06-1976, n. 22, cit.: i paragrafi rilevanti ai sensi dell’individuazione dei criteri per stabilire la “natura penale” dell’accusa sono i nn. 82 e 83. La sentenza aveva ad oggetto delle violazioni inerenti la disciplina militare poste in essere dai ricorrenti, soldati di leva di grado differente nelle forze armate dei Paesi Bassi.

268 I ricorrenti lamentavano la violazione, oltre che dell’art.6 CEDU, anche (in ordine di trattazione della pronuncia): dell’art. 5 (“Diritto alla libertà ed alla sicurezza”) paragrafi 1-4- 5, da solo e in combinazione con l’art. 14 (“Divieto di discriminazione”), dell’art. 18 (“Restrizione dell’uso di restrizioni ai diritti”) in combinazione con l’art. 6, dell’art. 10 (“Libertà di espressione”), da solo e in combinazione con l’art.14, nonché degli artt, 17 (“Divieto dell’abuso del diritto”), in combinazione con l’art. 10, e 11 (“Libertà di riunione e di associazione”), tutti della stessa Convenzione.

(“diritto a un equo processo”), ha sancito la necessità di ricorrere a tre criteri essenziali, al fine di determinare la sussistenza di una “accusa in materia penale”269.

Il primo di suddetti criteri, noti come “criteri Engel”, consiste nella qualificazione giuridica della misura all’interno del singolo ordinamento nazionale e costituisce semplicemente, a detta della stessa Corte270, un punto di partenza caratterizzato da un valore relativo271. Tale assunto è spiegato dalla circostanza per cui, se il diritto interno classifica espressamente un illecito come penale, ciò sarà decisivo ai fini dell’individuazione della natura sostanzialmente (e in questo caso anche formalmente) penale dell’accusa e di conseguenza della stessa sanzione; al contrario, qualora la norma sia classificata diversamente e assuma formalmente una natura differente da quella penale, occorrerà porre lo sguardo oltre la classificazione formale e muovere l’analisi in profondità, sulla realtà sostanziale della misura in questione272.

                                                                                                               

269 Cfr. M. BRANCACCIO, Considerazioni sul principio del ne bis in idem nella recente

giurisprudenza europea: la sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri contro Italia (relaz. orientativa dell’Ufficio del Massimario Penale n. 35/2014), in www.cortedicassazione.it, 2014, p. 4. Infatti, l’art. 6 CEDU recita: “Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale deciderà sia delle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che le venga rivolta (..)”: posto che- nel caso di specie- sia il Governo sia la Commissione, contro i quali era stato proposto il ricorso, avevano stabilito che i procedimenti disciplinari instaurati nei confronti dei ricorrenti non concernevano né “diritti e doveri di carattere civile” né un’”accusa penale”, rendendo pertanto non invocabile lo stesso art.6, per la Corte EDU diveniva necessario stabilire il significato sostanziale della nozione di “accusa penale”.

270 Tra le altre pronunce, v. Corte EDU, Menarini Diagnostics S.r.l. c. Italia, 27-09-2011, ricorso n. 43509/08 e Corte EDU, Öztürk c. Germania, serie A n. 73, richiamata da A.E. BASILICO, Il controllo del giudice amministrativo sulle sanzioni antitrust e l’art.6 CEDU, in Rivista AIC, 2011, n. 4, p. 6, nota 26: in quest’ultima sentenza la Corte ha evidenziato la superfluità della qualificazione formale della norma qualificando come “pena”, ai sensi della CEDU, una sanzione pecuniaria inflitta per violazione del codice della strada tedesco. 271 In tal senso, M. BRANCACCIO, Considerazioni sul principio del ne bis in idem, cit., p. 5, che sottolinea come “il criterio della qualificazione formale non è da ritenersi decisivo ai fini dell’applicabilità del profilo penale dell’articolo 6 della Convenzione, in quanto le indicazioni che fornisce il diritto interno hanno un valore relativo”, v. anche N. NEAGU, op. cit., p. 957 che specifica come la Corte EDU abbia deciso di andare oltre la maggior parte delle pronunce che offrivano un’interpretazione di “criminal proceedings” meramente ancorata a ciò che fosse formalmente considerato “penale” dall’ordinamento interno, stabilendo una nozione di “natura penale” autonoma, valevole a livello europeo e differente dalle definizioni domestiche: il primo criterio costituisce dunque un semplice “starting point”.

Mentre la qualificazione della norma data dal diritto interno costituisce, pertanto, il meno significativo dei tre indici, dirimenti e decisamente più rilevanti sono invece considerati gli altri due criteri273, vale a dire quello della natura dell’infrazione e quello della natura e del grado di severità della sanzione274.

L’applicazione del secondo criterio, ossia la valutazione della natura dell’illecito, implica l’esame di altri fattori: a tal fine occorre, infatti, prendere in considerazione il carattere e la struttura della norma trasgredita, tenere conto se la norma in questione sia indirizzata esclusivamente a una specifica categoria o al contrario si rivolga a una generalità di destinatari, se il procedimento sia stato instaurato da una pubblica autorità avente poteri conferiti dalla legge, se la norma abbia finalità punitive o deterrenti e in generale valutare la caratura degli interessi che la stessa norma trasgredita sia volta a tutelare275.

Il terzo criterio infine, costituito dalla natura e in particolar modo dall’apprezzamento del grado di severità della sanzione, attiene, per ciò che concerne la gravità, ai profili contenutistici dell’intervento sanzionatorio, mentre la natura può essere dedotta prevalentemente dallo scopo della sanzione stessa, dalle sue procedure di adozione ed esecuzione nonché dal suo collegamento ad un fatto di reato276.

E’ bene specificare come tali criteri siano definiti come alternativi e non cumulativi: di conseguenza, ai fini dell’identificazione di un’”accusa in materia penale” valevole ai sensi dell’art. 6 CEDU, risulterà sufficiente che il reato abbia natura penale sulla base degli elementi di valutazione individuati dalla Corte, o che abbia esposto il soggetto interessato a una sanzione che rientri, per natura e per grado di afflittività, nell’ambito della “materia penale” così come rilevante rispetto alla                                                                                                                

273 Cfr. A.E. BASILICO, op. cit., p. 6 in cui si specifica che, se fosse dato rilievo preminente al primo criterio, sarebbe da escludere a priori la natura “penale” di molte sanzioni (in particolare l’Autore fa riferimento alle sanzioni inflitte dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nel caso “Menarini Diagnostics S.r.l. c. Italia”; cfr. anche N. NEAGU, op. cit., p. 957.

274 V. A. TRIPODI, Ne bis in idem e reati tributari, cit., p. 669 e M. BRANCACCIO,

Considerazioni sul principio del ne bis in idem, cit., p. 4.

275 Cfr. A TRIPODI, Ne bis in idem e reati tributari, cit., pp. 673-674 e N. NEAGU, op. cit., p. 958 che individua, oltre a quelli menzionati, anche altri fattori da prendere in considerazione per analizzare la natura dell’infrazione, tra cui stabilire se l’irrogazione della sanzione dipenda dall’accertamento della colpevolezza, e valutare come dei procedimenti simili sono classificati in altri Stati Membri del Consiglio d’Europa.

Convenzione277. Mediante l’individuazione dei criteri Engel, in poche parole, la Corte EDU ha inteso definire la propria nozione di “accusa in materia penale”, la quale può identificarsi non soltanto nella qualificazione esplicita operata dal diritto interno- come invece sostenuto spesso dalle corti nazionali- bensì dev’essere desunta principalmente dalla natura della sanzione inflitta e dal grado di severità che la stessa manifesta, sovente non riconducibile semplicemente alla categoria delle obbligazioni risarcitorie o restitutorie derivanti da illecito aquiliano278.

In relazione al leading case di partenza, dunque, la Corte ha concluso per la riconoscibilità della natura sostanzialmente penale delle sanzioni inflitte ai ricorrenti, con la conseguente e necessaria applicazione delle garanzie previste dall’art. 6 CEDU279: tale decisione ha condotto così alla compiuta elaborazione della cosiddetta concezione “autonomista”- in quanto indipendente dalle interpretazioni fornite dai singoli ordinamenti interni- della “materia penale” di stampo convenzionale280, rappresentando la base della costante giurisprudenza di Strasburgo in materia di ne bis in idem, nonché, come vedremo, il principale motivo di frizione con i sistemi sanzionatori tributari e finanziari previsti dal nostro legislatore.

                                                                                                               

277 Cfr. M. BRANCACCIO, Considerazioni sul principio del ne bis in idem, cit., p. 4; sull’alternatività dei criteri, v. anche A. GOLIA- F. ELIA, Il necessario salto nel vuoto: la rimozione del giudicato per le sanzioni “sostanzialmente” penali dichiarate incostituzionali. Riflessioni a margine dell’ord. Trib. Como del 4 febbraio 2015, in Rivista AIC, 2017, p. 5 che, specificando come secondo, l’orientamento della giurisprudenza convenzionale, i tre criteri “coesistono in un rapporto alternativo e non necessariamente cumulativo”, richiama in tal senso le pronunce della Corte EDU, Garyfallou Aebe c. Grecia, 24-09-1997, serie A n. 1821 (paragrafo 33) e Corte EDU, Lutz c. Germania, 25-08-1987, serie A n. 123 (paragrafo 55).

278 Così osserva E. MANCUSO, Ne bis in idem e giustizia sovranazionale, cit. (nota 184), p. 537.

279 Si veda la pronuncia Engel c. Paesi Bassi, cit., paragrafi 83-85: “It is on the basis of these

criteria the the Court will ascertain whether some or all of the applicants were the subject of a “criminal charge” within the meaning of Article 6 para. 1 (…) The Convention did however oblige the authorities to afford them the guarantees of Article 6 (art. 6)”.

280 Sul punto, C.E. PALIERO, “Materia penale” e illecito amministrativo secondo la Corte

europea dei diritti dell’uomo: una questiona “classica” a una svolta radicale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1985, p. 908 ss., che specifica “La Corte, in sintesi, ha stabilito che il concetto di “materia penale” (…) di cui all’art.6 non deriva pedissequamente dalle tradizioni giuridiche e dalle scelte legislativo-formali pertinenti al “caso” di volta in volta all’esame, ma va ritagliato ad hoc, «ai fini della Convenzione», con una interpretazione «in senso materiale». Liberi, ovviamente, i singoli ordinamenti di qualificare formalmente un fatto come “penale” o come “amministrativo” (…) senza tuttavia che ciò vincoli più che tanto la Corte nell’inquadramento del fatto all’interno della disciplina convenzionale”.

Invero, proprio grazie al suo autonomo concetto di “materia penale”, la Corte EDU ha tratteggiato i confini dell’ambito di applicazione dell’art. 4 Protocollo n. 7, che risultavano invece scarsamente definiti dal Rapporto esplicativo allo stesso Protocollo precedentemente citato, il quale si limitava a sostenere la non necessità della formale qualificazione dell’infrazione come “penale”, senza specificare ulteriormente i concetti di “criminal proceedings” e “penal procedure”281: il Giudice di Straburgo ha inteso chiarire, con la sentenza Engel, che le garanzie previste dalla Convenzione non possono rimanere subordinate alla volontà sovrana degli Stati Membri- a seconda della qualificazione da parte di questi ultimi di una sanzione come penale oppure di altra natura- in quanto risulterebbe inevitabile il pericolo di risultati incompatibili con lo scopo e l’oggetto convenzionali282.

Ponendo l’attenzione sull’applicazione giurisprudenziale dei menzionati criteri da parte della stessa Corte di Strasburgo, appare evidente come quest’ultima abbia in principio riconosciuto all’elemento della gravità della sanzione un autonomo rilievo, utilizzandolo quale criterio base nella valutazione della natura penale della sanzione stessa anche in mancanza degli altri elementi: l’approccio originario era dunque di tipo qualitativo e rendeva necessaria una ricostruzione del concetto di pena strettamente legata all’incidenza di quest’ultima sulla libertà personale

                                                                                                               

281 Si veda il punto 28 del Rapporto Esplicativo al Protocollo n. 7 della CEDU, cit.: “It has

not seemed necessary, as in Articles 2 and 3, to qualify the offence as “criminal”. Indeed, Article 4 already contains the terms “in criminal proceedings” and “penal procedure”, which render unnecessary any further specification in the text of the article itself”. Inoltre, vale la pena sottolineare come al punto 32 del medesimo Rapporto venga fatto presente che lo stesso art. 4 del Protocollo non esclude a priori l’applicabilità di due sanzioni di differente natura nei confronti di uno stesso soggetto e per lo stesso fatto: “Article 4, since it only applies to trial and conviction of a person in criminal proceedings, does not prevent him from being made subject, for the same act, to action of a different character (for example, disciplinary action in the case of an official) as well as to criminal proceedings”.

282 Così, P. MOSCARINI, Il concetto europeo d’”infrazione penale” e la concorrenza fra i

sistemi punitivi interni, in Dir. pen. proc., 2016, pp. 389-390, in cui viene evidenziata la contrapposizione tra la concezione formalistica del reato così come inteso dall’ordinamento penale interno e il diverso orientamento della Corte di Strasburgo: invero, mentre nel nostro ordinamento giuridico spetta esclusivamente al legislatore individuare ciò ch’è penalmente rilevante- tramite la qualificazione formale che determina automaticamente sia il trattamento sanzionatorio sostanziale, sia il regime d’accertamento- la Corte EDU, con la sua “nozione autonoma” d’illecito penale, ha sancito che per stabilire il disvalore sostanzialmente penalistico di un fatto occorre superare la qualifica estrinseca attribuita a quest’ultimo dal diritto oggettivo nazionale.

dell’individuo, rilevando così in via sostanziale solo in caso di limitazione dei diritti di cui all’art. 13 della Carta Costituzionale283.

Siffatta posizione è stata progressivamente superata dalla Corte Europea, la quale ha preferito passare da una giurisprudenza “dei valori”, incentrata sul profilo qualitativo e sulla severità della sanzione, a una giurisprudenza “dello scopo”, che ponesse al centro dell’analisi la finalità attribuita dalla legge alla sanzione stessa, concepita come strumento indirizzato alla generalità dei consociati e volto alla prevenzione generale e speciale284.

L’applicabilità delle garanzie previste dalla Convenzione finiva così per essere legata non tanto- o quantomeno non in via esclusiva- al concetto di gravità, bensì a quello della funzione della pena: un esempio evidente di tale cambiamento di rotta da parte della Corte è rappresentato dalla pronuncia “Öztürk c. Germania”, relativo a un soggetto sanzionato in via amministrativa a seguito di un incidente automobilistico, nella quale alla “finalità punitiva” della sanzione venne attribuito un rilievo a tal punto centrale, da sovrastare lo stesso criterio di severità285. Il requisito dello scopo della sanzione ha, pertanto, guadagnato a poco a poco, nella giurisprudenza della                                                                                                                

283 Cfr. A. GOLIA- F. ELIA, op. cit., pp. 5-6, che in tal senso richiama, alla nota 15, la pronuncia della Corte EDU, Albert e Le Compte c. Belgio, 10-02-1983, serie A n. 58, concernente un procedimento disciplinare in ambito lavorativo, in cui la Corte di Strasburgo considerò la sanzione della radiazione o sospensione dall’esercizio della professione d’avvocato o medico sufficientemente severa da qualificare come penale l’infrazione e la conseguente pena prevista.

284 Cfr. C.E. PALIERO, op. cit., pp. 917-918: l’Autore, nelle pagine precedenti, specifica come la Corte abbia inteso distaccarsi dalla concezione quantitativa, fondata sulla pregnanza e sulla gravità della sanzione, seguita specialmente in Germania e che aveva portato a ritenere estranee alle garanzie di cui all’art. 6 CEDU persino le pene criminali, in quanto solo pecuniarie, inflitte attraverso il decreto penale di condanna. V. anche A. GOLIA- F. ELIA, op. cit., p. 6 in cui si rileva che il Giudice di Strasburgo “ha progressivamente ricompreso nel criterio della severità anche le sanzioni pecuniarie non proporzionate rispetto alla gravità dell’illecito compiuto. Così facendo ha oltrepassato un approccio quantitativo, evitando di arenarsi nella difficile e contraddittoria individuazione di una soglia minima di severità che legittimasse il ricorso alle garanzie convenzionalmente riconosciute”.

285 Cfr. A. GOLIA- F. ELIA, op. cit., p. 6 che alla nota 17 richiama la pronuncia Corte EDU, Öztürk c. Germania, serie A n. 73, già citata, nella quale al paragrafo 53 si specifica: “the relative lack of seriousness of the penalty at stake cannot divest an offence of its inherently criminal character”. Orientamento analogo, come rileva l’Autore, è espresso dalle pronunce Corte EDU, Lutz c. Germania, 25-08-1987, serie A n. 123 e Corte EDU, Varuzza c. Italia, 09-11-1999, ricorso n. 35260/97. La stessa pronuncia Öztürk c. Germania è ampiamente commentata da C.E. PALIERO, op. cit., p. 894 ss.: la sentenza stabilisce che le garanzia di cui all’art. 6 CEDU devono trovare applicazione anche in relazione all’illecito amministrativo che, per struttura e finalità, debba essere equiparato a quello penale.

Corte, un peso sempre più dirimente in relazione al procedimento valutativo in esame, acquisendo una posizione preminente e assurgendo a ruolo di protagonista nel corso dello scrutinio inerente alla natura della reazione sanzionatoria286: in tal senso, la finalità punitivo-afflittiva della misura veniva riconosciuta e considerata preponderante, talvolta, anche in presenza di ulteriori e compresenti scopi preventivi della stessa, rendendo conseguenza necessaria l’applicabilità delle garanzie convenzionali nonostante la formale qualificazione amministrativa della sanzione (si veda, su tutte, la sentenza “Sud Fondi c. Italia”)287.

Nel corso del tempo, dunque, la Corte di Strasburgo ha condotto differenti tipi di accertamento, tutti ugualmente finalizzati a stabilire la sostanziale natura penale dell’illecito di volta in volta sottoposto alla sua cognizione, applicando i criteri Engel di propria creazione quasi sempre in via alternativa tra loro, nonostante la possibilità di adottare un approccio cumulativo degli stessi qualora l’applicazione di ogni singolo criterio non consentisse di giungere ad una conclusione certa circa la sussistenza di un’accusa penale288.

                                                                                                               

286 Così, A. TRIPODI, Ne bis in idem e reati tributari, cit., p. 674 in cui vengono richiamate,