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La nozione di “idem factum” e la ricerca di un equilibrio tra Corti italiane ed europee: la sentenza della Corte costituzionale n 200 del 2016.

Per porre nuovamente l’attenzione sul concetto di “idem factum”, di cui si è discusso precedentemente416, occorre tornare ad una prospettiva interna del principio del ne bis in idem, così come interpretato dai nostri giudici nazionali. Nel fare ciò, tuttavia, non può essere tralasciata l’analisi di elementi fondamentali, che hanno contribuito a rendere il principio in esame uno degli argomenti più dibattuti e discussi da dottrina e giurisprudenza negli ultimi anni417: l’inevitabile influenza che i giudici sovranazionali hanno operato nella definizione della già menzionata nozione di “identità” dei fatti, le conseguenze interpretative delle differenti posizioni assunte dalle Corti, nonché gli esiti- o quantomeno gli attuali approdi- del dialogo giurisprudenziale attuatosi tra Corti italiane e europee in tale materia.

                                                                                                                416 V. retro, cap. I, par. 3.

417 Sul punto, v. R.A. RUGGIERO, op. cit., p. 3809 che specifica come, nonostante il principio del ne bis in idem sia considerato da sempre un “principio indefettibile di civiltà giuridica negli stati moderni”, è pero “indubitabile che è di recente, probabilmente anche per le numerose sollecitazioni provenienti dalle corti europee, che di ne bis in idem si è tornati a parlare insistentemente”; analogamente, v. R. CALÒ, La dimensione costituzionale del divieto di doppio processo, in Giur. It., 2016, p. 2240: “Il divieto di doppio processo è oggi un tema à la page. Complici le sempre più numerose pronunce delle Corti sovranazionali in materia (…), si è assistito infatti negli ultimi due lustri ad un fiorire di incontri di studio e contributi della dottrina italiana sul tema”.

Come evidenziato in precedenza, la nozione di “idem factum” si pone quale concetto centrale per l’individuazione e la delineazione dei confini relativi all’ambito di applicazione del divieto di bis in idem, essendo diretta a chiarire l’estensione della portata garantistica dell’art. 649 c.p.p.418.

Ricapitolando, due sono state le interpretazioni di siffatta nozione che si sono fatte strada nel diritto interno: da una parte la dottrina che, volta ad accogliere l’interpretazione maggiormente tesa alla tutela dell’individuo, ha sostenuto che per accertare il significato di “fatto” occorra prendere in considerazione la sola condotta419; dall’altra la giurisprudenza la quale, al contrario, privilegiando esigenze di giustizia sostanziale e per evitare che in nome del ne bis in idem si venissero a creare delle insostenibili sacche di impunità420, ha individuato l’identità del fatto solo                                                                                                                

418 Cfr. P.P. RIVELLO, La nozione di “fatto” ai sensi dell’art. 649 c.p.p. e le perduranti

incertezze interpretative ricollegabili al principio del ne bis in idem, in Riv. it. dir. proc. pen., 2014, p. 1411 in cui l’Autore, richiamando le parole di E.M. MANCUSO, osserva come l’analisi in merito a ciò che deve intendersi per idem factum ai sensi dell’art. 649 c.p.p. “costituisce il cuore dell’esegesi concernente la cosa giudicata sostanziale e ne delinea caratteristiche e ambito di garanzia”; sull’essenzialità della nozione, v. anche N. GALANTINI, Il “fatto” nella prospettiva del divieto di secondo giudizio, cit., p. 1211 in cui evidenzia come dottrina e giurisprudenza abbiano adottato due approcci differenti in relazione ai criteri d’individuazione della identità del fatto.

419 Così, P.P. RIVELLO, La nozione di “fatto”, cit., p. 1413 ss.: proprio perché, come sottolinea l’Autore, “la portata del ne bis in idem non consiste dunque nel tutelare il valore e la coerenza logica dell’accertamento ma nel costituire un presidio a garanzia dell’individuo”, la dottrina ha inteso fare propria quell’interpretazione di “fatto” che facesse in modo di “non depotenziare l’ambito garantistico che il legislatore ha inteso riconoscere all’art. 649 c.p.p.”. Lo stesso Autore, alla nota 17, richiama, tra gli esponenti della dottrina più autorevoli, F. CORDERO, Considerazioni sul principio d’identità del «fatto», in Riv. it. dir. proc. pen., 1958, p. 943, il quale sosteneva appunto che il “fatto” rilevante ai fini del ne bis in idem si sostanziasse “in un quid che rappresenta ad un tempo il nocciolo della figura criminosa e l’oggetto del giudizio d’illiceità: nella condotta, intendiamo, con esclusione di ogni altro elemento di fattispecie (…)”.

420 Cfr. P.P. RIVELLO, La nozione di “fatto”, cit., pp. 1415-1416 in cui si osserva come la giurisprudenza abbia voluto scongiurare gli esiti giudiziari paradossali che sarebbero scaturiti dalla nozione di “fatto” come interpretata dalla dottrina (“precludendo ad esempio la possibilità di instaurare un procedimento in ordine al reato di lesioni colpose o di omicidio colposo qualora la condotta che ha dato origine a tale episodio criminoso sia già stata esaminata in precedenza”), sostenendo che “l’instaurazione dell’azione penale appare necessaria in ordine a tutte le eventuali violazioni di legge derivanti da una condotta illecita, al fine di poter valutare, nel suo contenuto complessivo, l’intera area di disvalore inerente ad un determinato fatto, laddove da esso derivi la lesione o la messa in pericolo di differenti beni giuridici”; cfr. anche N. GALANTINI, Il “fatto” nella prospettiva del divieto di secondo giudizio, cit., p. 1210, che sottolinea come nel quadro della casistica giurisprudenziale emerga la volontà di perseguire esigenze di giustizia sostanziale, prevalenti rispetto all’osservanza del ne bis in idem.

“quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi”421, stabilendo dunque che a dover corrispondere non è solo la condotta, bensì anche l’evento, il nesso causale, le circostanze di tempo, di luogo e di persona nella loro dimensione giuridica oltre che storica422.

Pertanto, la medesimezza del nucleo storico del fatto- individuata mediante una comparazione effettuata sulla base dei dati empirici a disposizione- si scontra tradizionalmente con l’identità della tipizzazione legale, strettamente connessa alla qualificazione giuridica e comportante la non operatività del divieto di bis in idem ogniqualvolta il reato non sia lo stesso423: l’idem factum, inteso in una prospettiva naturalistica e incentrato sulla pura condotta, contro l’idem legale, collegato alle qualificazioni operate dal legislatore424. Contrapposizione ricollegabile alla perenne tensione, sottesa al principio in esame, tra libertà individuale ed autorità statuale: da una parte il diritto a non essere sottoposto a una serie indeterminata di processi per il medesimo fatto, dall’altra le pretese punitive dell’ordinamento, volte ad una repressione dei reati che sia quanto più efficace possibile425.

Ebbene, premettendo che, se ci soffermassimo sul tenore letterale dell’art. 649 c.p.p., l’alternativa tra le due soluzioni appena evidenziate non avrebbe ragione di sussistere in quanto è l’articolo stesso ad affermare che la preclusione processuale                                                                                                                

421 Così si è espressa la Cassazione in Cass., Sez. V, 07-03-2014, n.32352, Tanzi, in CED 261937, pronuncia richiamata da N. GALANTINI, Il “fatto” nella prospettiva del divieto di secondo giudizio, cit., p. 1211.

422 La pronuncia più significativa sul tema, già citata, è quella delle Sezioni Unite, n. 34655 del 28/06/2005, Donati, Rv. 231799 e 231800: v., sul punto, M. BRANCACCIO, Ne bis in idem, percorsi interpretativi e recenti approdi della giurisprudenza nazionale ed europea (relaz. orientativa del Massimario Penale n. 26/17), cit., p. 19; per altra giurisprudenza analoga sul tema, v. N. GALANTINI, Il “fatto” nella prospettiva del divieto di secondo giudizio, cit., p. 1211.

423 Cfr. R.A. RUGGIERO, op. cit., p. 3811, che rileva come le due “differenti e antitetiche interpretazioni” rendano la definizione del concetto di “medesimo fatto” un punctum dolens del ne bis in idem, in quanto non destinato ancora a trovare una vera e propria composizione condivisa.

424 In tal senso, D. PULITANÒ, La Corte costituzionale sul ne bis in idem, in Cass. pen., 2017, pp. 70-71.

425 R. CALÒ, op. cit., p. 2242: “Così, mentre una lettura ampia del divieto di doppio processo, incentrata sul “medesimo fatto” in senso storico-naturalistico, è funzionale alla tutela del bisogno di certezza soggettiva sulla stabilità e incontestabilità delle situazioni giuridiche (…), la lettura in senso restrittivo della disposizione, incentrata sulla qualificazione giuridica del fatto, garantisce che tutti i possibili profili di rilevanza penale di un accadimento storico siano presi in considerazione, ne maleficia maneant impunita”.

opera anche qualora il medesimo fatto sia diversamente qualificato426, occorre in tale sede ribadire come- sulla base dell’indirizzo giurisprudenziale prevalente- il ne bis in idem sia stato ritenuto non operante nei confronti di istituti quali il reato permanente, il reato continuato, il reato progressivo e, soprattutto, il concorso formale di reati427.

Senonché, è proprio in relazione a tale ultima figura giuridica che la Corte costituzionale è intervenuta recentemente, dichiarando la parziale illegittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p. limitatamente alla parte in cui “esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale”428. Quest’ultima pronuncia ha segnato una vera e propria svolta nell’interpretazione del concetto di “idem factum” e in generale in tema di ne bis in idem, grazie ai principi enunciati e al percorso ermeneutico seguito429.

Ma procediamo con ordine.

                                                                                                               

426 Così, R.A. RUGGIERO, op. cit., p. 3811 che evidenzia la situazione paradossale per cui, nella prospettiva nazionale, nonostante l’art. 649 c.p.p. affermi espressamente l’irrilevanza della mutazione del titolo, del grado o delle circostanze ai fini dell’operatività del ne bis in idem, l’orientamento giurisprudenziale ha negato la rilevanza dell’idem fattuale in favore dell’idem legale; al contrario, nella prospettiva convenzionale e in quella eurounitaria, nonostante le norme che disciplinano il ne bis in idem non impieghino il termine “fatto” ma quello di “infraction” o di “offence” (rendendo dunque più plausibile il ricorso alla nozione di idem legale), è stata privilegiata, come vedremo, un’interpretazione di “medesimezza” del fatto che guardasse al nucleo storico dello stesso.

427 Cfr. N. GALANTINI, Il “fatto” nella prospettiva del divieto di secondo giudizio, cit., pp. 1210-1211, che richiama alcune sentenze esemplificative a proposito della mancata operatività della preclusione processuale nei confronti di determinate figure giuridiche: la sentenza Cass., Sez. II, 12-07-2011, n. 33838, Blandina, in CED 250592, in tema di abuso edilizio, ha ritenuto inapplicabile il principio in esame in relazione al reato permanente; in Sez. Un., 27-01-2011, n. 21039, Loy, in CED 249668 si è giunti al medesimo esito in merito al reato continuato; mentre la sentenza Cass., Sez. V, 01-07-2010, n. 28548, Carbognani, in CED 24795 ha ritenuto inapplicabile il ne bis in idem alle ipotesi di reato progressivo. In merito al concorso formale di reati, la stessa Autrice richiama la Cass., Sez. III, 18-09-2014, n. 50310, Starnai, in CED 26156, in cui si è ritenuto che la preclusione processuale di cui al ne bis in idem non operi “potendo in tal caso la stessa fattispecie essere riesaminata sotto il profilo di una diversa disposizione di legge”.

428 C. cost., 21-07-2016, n. 200, analizzata in maniera approfondita, tra gli altri, da B. LAVARINI, Il “fatto” ai fini del ne bis in idem tra legge italiana e Cedu: la Corte costituzionale alla ricerca di un difficile equilibrio, in Processo penale e giustizia, 2017, p. 60.

429 Così, D. PULITANÒ, op. cit., p. 70 e R.A. RUGGIERO, op. cit., p. 3811, in cui si afferma che la Corte costituzionale è intervenuta “con una decisione che appare al tempo stesso innovativa e conservatrice e che, come vedremo, offre all’interprete più di qualche spunto”.

Nonostante la dottrina prevalente abbia sempre ritenuto operante il principio di cui all’art. 649 c.p.p. rispetto al concorso formale di reati- proprio in considerazione del tenore letterale della disposizione, che considera irrilevante il mutamento del nomen iuris- la giurisprudenza è sempre stata ferma nel sostenere l’orientamento contrario: nessun effetto preclusivo a meno che il primo giudizio, concernente uno dei reati in concorso formale, non si fosse concluso con una sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto o per mancata commissione di esso da parte dell’imputato430.

Siffatta posizione giurisprudenziale è stata per certi versi superata, come detto, dalla sentenza della Corte costituzionale n. 200 del 2016: prima di giungere all’analisi di suddetta pronuncia, però, è necessario ripercorrere gli orientamenti che sono stati adottati a livello sovranazionale, dalla Corte EDU e dalla Corte di Giustizia, nell’interpretazione del concetto di “stesso fatto”, passaggio fondamentale per comprendere le conclusioni dei Giudice costituzionale.

Indubbiamente, il principale termine di paragone utilizzato dalla Consulta per giungere alla parziale declaratoria di incostituzionalità è stata la giurisprudenza di Strasburgo, per via della quale è stata resa sempre più evidente la divergenza ermeneutica tra la disposizione interna, così come interpretata dai giudici nazionali, e la norma convenzionale con la sua esegesi431.

                                                                                                               

430 Cfr. R.A. RUGGIERO, op. cit., pp. 3812-3813: infatti, nell’opinione della giurisprudenza- almeno quella precedente alla sentenza della Corte costituzionale che esamineremo- la funzione dell’art.649 c.p.p. sarebbe sempre stata solo quella di evitare il conflitto pratico di giudicati. Si specifica, inoltre, che rispetto al concorso formale di reati non sussiste un problema di lesione dell’idem sostanziale ma solo processuale, “poiché è il legislatore stesso che, nella formulazione delle fattispecie incriminatrici, ha previsto che l’imputato vada incontro all’accertamento e poi alla punizione per titoli diversi”. Per quanto riguarda l’opinione contraria della dottrina maggioritaria, l’Autrice richiama F. CAPRIOLI, Sui rapporti tra ne bis in idem processuale e concorso formale di reati, cit..

Sul punto, v. anche R. CALÒ, op. cit., p. 24443, che specifica come, nel progetto di codice licenziato dal Guardiasigilli, la versione precedente dell’articolo in esame (l’art. 90 c.p.p. abr.) stabiliva che “la preclusione non vale quando l’imputato abbia violato con il medesimo fatto più disposizioni di legge e si debbano applicare le norme sul concorso di reati e di pene”: tale parte della disposizione fu soppressa nella versione definitiva del codice. Fu dunque il legislatore stesso a voler eliminare siffatta deroga al principio del ne bis in idem, eppure, come osserva l’Autrice, “la storia sa prendersi le sue rivincite, e ciò che è uscito dalla porta è rientrato, senza troppo clamore, dalla finestra.”

431 Cfr. N. GALANTINI, Il “fatto” nella prospettiva del divieto di secondo giudizio, cit., p. 1212.

Gli stessi orientamenti della Corte EDU, tuttavia, sono stati per un lungo periodo fortemente altalenanti, tanto che risulta possibile registrare tre indirizzi principali inerenti al tema in esame: il primo è rappresentato dalla pronuncia “Gradinger c. Austria”- risalente al 1995 e relativa ad un caso di guida in stato d’ebbrezza da cui era poi derivata la morte di un uomo- in cui la Corte ha identificato una violazione del divieto di bis in idem di cui all’art. 4 Protocollo n. 7 CEDU in quanto la decisione dell’autorità amministrativa e quella dei giudici penali avevano avuto ad oggetto un’identica condotta (le même comportement)432. In tale pronuncia, dunque, il Giudice di Strasburgo ha adottato un’interpretazione di “idem factum” basata sulla pura identità della condotta, senza che a nulla rilevasse la circostanza per cui le norme in questione fossero differenti nella natura e nello scopo433.

La non linearità del percorso interpretativo della Corte di Strasburgo è confermata dal secondo indirizzo sostenuto dalla stessa, di cui il leading case è costituito dalla sentenza “Oliveira c. Svizzera” del 1998, concernente nuovamente la violazione di norme sulla circolazione stradale produttiva di un danno alla salute nei confronti di un utente della strada: in tal sede, la Corte europea ha- contrariamente a quanto sostenuto in precedenza- ritenuto insussistente la violazione dell’art. 4 Protocollo n. 7 CEDU nonostante, come nel caso “Gradinger”, l’imputato fosse stato colpito dapprima da una sanzione amministrativa e successivamente da una condanna da parte del giudice penale, relativa alla stessa condotta434. La mancata operatività del divieto di bis in idem era dovuta, secondo i giudici di Strasburgo, al fatto che nel caso di specie si trattava di più illeciti realizzati per mezzo di un unico                                                                                                                

432 Corte EDU, Gradinger c. Austria, 23-10-1995, serie A n. 328-C, così richiamata da R. CALÒ, op. cit., p. 2244.

433 Cfr. R. CALÒ, op. cit., p. 2244, che sottolinea come, nell’interpretazione della Corte EDU emergente dalla sentenza “Gradinger”, a violare la garanzia del ne bis in idem fosse sufficiente che “le deux dècisions litigieuses se fondent sur le même comportement” (punto 55 della sentenza).

434 Così, R. CALÒ, op. cit., p. 24445 riferendosi alla sentenza della Corte EDU, Oliveira c. Svizzera, 30-07-1998, ricorso n. 25711/94: nel caso di specie, l’imputato era stato condannato ad una sanzione amministrativa per mezzo di una pronuncia da parte del Polizeirichteramt di Zurigo per non aver adeguato la velocità del veicolo alle condizioni della strada innevata, e successivamente condannato dal giudice penale per lesioni colpose. Sul punto, v. N. GALANTINI, Il “fatto” nella prospettiva del divieto di secondo giudizio, cit., p. 1213, che specifica come l’indirizzo ermeneutico seguito nella sentenza “Oliveira”, completamente opposto dal quello precedente, renda difficile comprendere le ragioni alla base della decisione.

atto, vale a dire di un concours idèal d’infractions, e pertanto l’instaurazione di un procedimento nei confronti di uno dei due atti- nonostante sull’atto concorrente fosse già intervenuta una condanna amministrativa- non doveva considerarsi preclusa435. Un vero e proprio cambio di rotta rispetto all’indirizzo precedente: non più la rilevanza del comportamento storico ai fini dell’identificazione della medesimezza del fatto, bensì quella della formale qualificazione giuridica del fatto stesso.

Il terzo indirizzo ermeneutico seguito dalla Corte EDU e costituente un ulteriore mutamento di prospettiva è rappresentato dalla sentenza “Franz Fischer c. Austria” del 2001, in cui i giudici di Strasburgo hanno sì confermato la conclusione per cui l’art. 4 Protocollo n. 7 CEDU- riferendosi espressamente all’identità dell’“infraction” e non del “fatto”- non intende precludere l’instaurazione di una pluralità di processi in caso di concorso formale di reati, ma hanno allo stesso tempo esplicitato la necessità di stabilire caso per caso se si tratti di concorso vero e proprio, oppure di un reato che sia diversamente nominato ma sostanzialmente lo stesso, in quanto caratterizzato dai medesimi elementi essenziali436. Sulla base di tale approccio, dunque, per stabilire l’identità o la diversità del fatto oggetto di doppio procedimento non basta valutare se i reati per cui il soggetto è stato processato siano nominalmente diversi, ma ciò che occorre è verificare se i due reati in questione abbiano the same essential elements437.

La necessità di un intervento chiarificatore era evidente ed è stato infatti percepito dalla Grande Camera, che ha deciso nel 2009 di intervenire con la sentenza “Sergei Zolotukhin c. Russia”, mettendo a confronto le varie pronunce precedenti ed                                                                                                                

435 Cfr. R. CALÒ, op. cit., p. 2445: nel paragrafo 26 della sentenza in commento (richiamato alla nota 30) si legge “Article 4 of Protocol No. 7 (…) prohibits people being tried twice for the same offence whereas in cases concerning a single act constituting various offences (concours idèal d’infractions) one criminal act constitutes two separate offences”. Inoltre, l’Autrice richiama il paragrafo 27 della sentenza, in cui la Corte aggiunge che nel caso in esame le sanzioni non erano neppure cumulative, avendo trovato applicazione il principio di compensazione.

436 Corte EDU, Franz Fischer c. Austria, 29-05-2001, ricorso n. 37950/97 richiamata da R. CALÒ, op. cit., p. 2445: in tal caso la Corte, come evidenzia l’Autrice, trovandosi nuovamente a decidere un caso di omicidio stradale, “ha ritenuto che la sottoposizione di una persona a due processi, il primo per l’omicidio commesso al volante della sua autovettura, il secondo per la guida in stato di ebbrezza costituente autonoma violazione del codice della strada, costituisse una violazione del divieto di cui all’art. 4 cit., avendo ad oggetto i due processi il medesimo fatto perché caratterizzato dai medesimi elementi essenziali”.

437Così, R. CALÒ, op. cit., p. 2445, che richiama in particolare il paragrafo 25 della sentenza “Franz Fischer”.

individuando le basi per il consolidamento dell’interpretazione convenzionale della nozione di idem factum438. In suddetta sentenza la Corte, escludendo la percorribilità dell’approccio normativo seguito nel caso “Oliveira”- posto che quest’ultimo orientamento avrebbe determinato un indebolimento eccessivo della garanzia apprestata dal divieto di bis in idem- ha affermato che il concetto di “idem factum”, nonostante il tenore letterale della disposizione convenzionale, non vada riferito al reato inteso nella sua prospettiva giuridica, occorrendo al contrario prendere in considerazione una concezione naturalistica di “fatto”, che faccia scattare la preclusione processuale quando le imputazioni “scaturiscano dalle medesime circostanze concrete relative allo stesso autore e indissociabilmente legate fra loro nel tempo e nello spazio”439.

Con quest’ultima sentenza, la Grande Camera di Strasburgo si è dunque preoccupata di chiarire in via definitiva la portata e lo scopo della garanzia esplicitata dall’art. 4 Protocollo n. 7 CEDU, enucleando una nozione autonoma di “idem