• Non ci sono risultati.

La sentenza A e B contro Norvegia: un revirement giurisprudenziale della Corte EDU?

Abbiamo appena osservato come, sin dalla pronuncia “Grande Stevens” e nel corso dei mesi successivi, i sistemi sanzionatori nazionali costruiti sul meccanismo del doppio binario (in particolare, l’ambito del market abuse e quello di alcuni reati tributari) costituissero ormai un elemento di forte e decisa incompatibilità con il principio del ne bis in idem per come sancito dalla CEDU ed interpretato dalla Corte di Strasburgo: ebbene, proprio perché in diritto occorre non dare mai nulla per scontato, nel novembre 2016 gli stessi giudici della Corte europea hanno rovesciato nuovamente le carte in tavola pronunciandosi nel caso “A e B c. Norvegia”, ed elaborando un assetto innovativo di principi destinati a ripercuotersi sull’ordinamento italiano, nonché ad aprire una serie indefinita di interrogativi613.

Prima di passare all’analisi di quest’ultima importante sentenza, però, occorre fare un passo indietro, in modo da osservare anche come il mutamento interpretativo                                                                                                                

611 Così, S. GOLINO, A. GOLINO, op. cit., pp. 146-147.

612 Siffatta opinione è espressa da G. FLICK-V. NAPOLEONI, A un anno di distanza

dall’affaire Grande Stevens, cit., p. 884: gli Autori specificano infatti come tale sinergia debba ispirarsi “alla semplicità, al buon senso, al dialogo fra le Corti, come è evidente nel caso di specie: una situazione in cui, al di là delle qualificazioni e delle acrobazie formali (…), resta il fatto che si è sottoposti a un duplice giudizio per il medesimo fatto”.

613 Si tratta della sentenza della Corte EDU (GC), 15-11-2016, A e B c. Norvegia, ric. n. 24130/11 e 29758/11, commentata da F. VIGANÒ, La Grande Camera della Corte di Strasburgo su ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio, in www.penalecontemporaneo.it, 18.11.2016.

della Corte EDU abbia avuto riflessi decisivi soprattutto sui procedimenti in corso: in particolare, s’intende in tal caso porre nuovamente la mente alla questione di legittimità costituzionale sollevata dalla sezione tributaria civile della Cassazione nel 2014, tramite l’ordinanza precedentemente citata, relativa all’art. 187-ter t.u.f..

La vicenda riguardava l’imprenditore Stefano Ricucci, condannato dalla Consob al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria per l’illecito amministrativo di manipolazione del mercato (art. 187-ter t.u.f.), nonostante fosse già stato definito il parallelo procedimento penale ex art. 185 t.u.f. con sentenza di patteggiamento: la sezione tributaria civile della Cassazione, come visto, aveva dunque sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 187-ter t.u.f. per contrasto con l’art. 117 Cost. in riferimento all’art. 4 Protocollo n. 7 CEDU, questione restituita al mittente dalla Corte Costituzionale con l’analizzata sentenza n. 102 del 2016614.

La Sezione tributaria, pertanto, riassunto il giudizio, ha deciso di rimettere la questione alla Corte di Giustizia, scegliendo così la strada già intrapresa in precedenza dal Tribunale di Torino e da quello di Bergamo: a differenza dei ricorsi presentati da questi ultimi, però, stavolta la contestazione riguardava la disciplina sanzionatoria in materia di abusi di mercato- ambito senza dubbio rientrante nel campo di applicazione del diritto dell’Unione- e richiedeva ai giudici di Lussemburgo di stabilire se lo stesso art. 50 CDFUE osti alla vigente disciplina in materia di abusi di mercato e, in caso affermativo, se la stessa disposizione della Carta sia suscettibile di diretta applicazione da parte del giudice comune615. Essendo                                                                                                                

614 Cfr. F. VIGANÒ, A never-ending story? Alla Corte di Giustizia dell’Unione europea la

questione della compatibilità tra ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio in materia, questa volta, di abusi di mercato, in www.penalecontemporaneo.it, 17.10.2016: l’Autore ribadisce come la Consulta abbia, con la menzionata sentenza, rigettato la questione di legittimità costituzionale sottolineando come la medesima fosse stata prospettata in termini “dubitativi” e “perplessi” dal giudice a quo, il quale non si era preoccupato di sciogliere il dubbio in merito alla compatibilità tra i principi imposti dalla Corte EDU in “Grande Stevens” e gli obblighi di repressione degli abusi di mercato imposti dal diritto dell’Unione europea.

615 Si veda Cass., Sez. Trib. Civ., ord. 20-09-2016, n. 20675/16, in

www.penalecontemporaneo.it, 2016, commentata da F. VIGANÒ, A never-ending story?, cit., p. 2 in cui si specifica che “la prima questione (…) concerne, allora, il significato da attribuirsi all’art. 50 CDFUE. Più in particolare, il giudice del rinvio chiede anche in questo caso se la disposizione in parola debba essere interpretata alla luce della lettura che la Corte EDU ha fornito della parallela disposizione convenzionale di cui all’art. 4 Prot. 7 CEDU, che pure proclama il diritto al ne bis in idem in una serie costante di pronunce, e in specie in

pacifica la risposta al secondo quesito (in quanto più volte è stato affermato il dovere del giudice di garantire l’efficacia delle norme comunitarie, disapplicando quelle interne che siano contrastanti), anche la risposta al primo quesito, sulla base della- fino ad allora costante- giurisprudenza di Strasburgo, sembrava effettivamente semplice: infatti, come già evidenziato in precedenza, se ai sensi dell’art. 52 CDFUE i diritti della Carta corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU devono avere lo stesso significato e la medesima portata conferiti dalla Convenzione stessa, e se la disposizione corrispondente all’art. 50 CDFUE è proprio l’art. 4 Protocollo n. 7 CEDU, allora il contenuto minimo essenziale di tutela del diritto al ne bis in idem ex art. 50 dev’essere uguale a quello assicurato a livello convenzionale e, di conseguenza, lo stesso art. 50 della Carta osta effettivamente alla celebrazione o alla prosecuzione del secondo procedimento sanzionatorio616.

Ebbene, siffatta conclusione non è più da considerarsi scontata in seguito alla decisione presa dalla Grande Camera di Strasburgo nel caso “A e B c. Norvegia”, procedimento pendente in via contemporanea a quello- appena esaminato- innanzi alla Corte di Giustizia617 e che ha costituito un vero e proprio “spartiacque” nella giurisprudenza della Corte EDU sulla problematica del ne bis in idem618.

Ma procediamo con ordine, partendo dalla vicenda in questione.

La decisione della Corte di Strasburgo trae origine dai ricorsi presentati da due cittadini norvegesi, che contestavano la violazione dell’art. 4 Protocollo n. 7 CEDU per essere stati giudicate due volte, in via penale e amministrativa, in merito ai                                                                                                                                                                                                                                                                                                                           Grande Stevens c. Italia”; mentre “la seconda questione sottoposta alla Corte di giustizia è d’altra parte essenziale ai fini della determinazione delle conseguenze nel giudizio di rinvio di una ipotetica risposta affermativa al primo quesito”.

616 Tale è il ragionamento svolto da F. VIGANÒ, A never-ending story?, cit., p. 3 che evidenzia infatti come il dubbio interpretativo non riguardi affatto la seconda questione, alla quale la Corte di Giustizia ha già dato risposta nell’analizzata sentenza “Fransson”, in cui ha sottolineato che il giudice nazionale ha l’obbligo di garantire la piena efficacia delle norme dell’Unione, disapplicando all’occorrenza qualsiasi disposizione contrastante “anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale”.

617 Nel commento relativo a tale ordinanza di rimessione alla Corte di Giustizia infatti, F. VIGANÒ, A never-ending story?, cit., p. 4 osservava come fosse necessario procedere con cautela da parte degli stessi giudici di Lussemburgo, in vista dell’imminente decisione della Corte EDU nel caso “A e B c. Norvegia”: nonostante quest’ultimo fosse inerente al doppio binario sanzionatorio in materia tributaria, la decisione- osserva l’Autore- avrebbe potuto ripercuotersi anche sulla materia degli abusi di mercato.

618 Cfr. L. TRUCCO, Ne bis in idem: la Corte di Strasburgo scende a più miti ed ulteriori

medesimi fatti di natura fiscale: in particolare, il primo ricorrente (il signor A), essendo stato arrestato per non avere dichiarato profitti derivatigli da complesse transazioni finanziarie compiute all’estero, era stato condannato dall’Autorità fiscale norvegese con sanzione amministrativa, poco dopo l’instaurazione- nei confronti dello stesso soggetto- del procedimento penale per il reato di frode fiscale, relativo alle medesime condotte illecite 619 . Nonostante la definitiva chiusura del procedimento amministrativo- mediante il versamento all’amministrazione dell’intero importo dovuto, prima della scadenza del termine- il signor A era stato successivamente condannato anche in sede penale: l’imputato aveva così proposto appello avverso quest’ultima sentenza, lamentando già di fronte alla giurisdizione nazionale la violazione del suo diritto al ne bis in idem per essere stato perseguito e punito due volte in merito allo stesso fatto, ma tanto la Corte d’appello quanto la Corte Suprema avevano respinto la doglianza, confermando la condanna620.

Il secondo ricorrente, il signor B, coinvolto nei medesimi fatti contestati al signor A, era stato ugualmente condannato sia in sede amministrativa sia in sede penale, con condanna- quest’ultima- nuovamente confermata dalla Corte d’appello: entrambi i ricorrenti, pertanto, avevano deciso di ricorrere alla Corte EDU, lamentando la violazione dell’art. 4 Protocollo n. 7 CEDU621.

Per un’analisi completa del caso, nonché per comprendere a pieno gli argomenti posti alla base della decisione finale operata dai giudici di Strasburgo, è bene soffermarsi qualche istante sullo stato del diritto norvegese in materia di doppio binario sanzionatorio e ne bis in idem, dettagliatamente ricostruito nella stessa sentenza della Corte EDU: infatti, l’Alta Corte interna norvegese, in entrambi i casi, ha dimostrato di aver preso in forte considerazione i principi sanciti a livello convenzionale, riconoscendo l’identità del fatto materiale oggetto dei due procedimenti- in base alla nozione di idem factum, per come delineata nella sentenza                                                                                                                

619 Cfr. C. FATTA, op. cit., pp. 8-9 e F. VIGANÒ, La Grande Camera della Corte di

Strasburgo su ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio, cit., pp. 1-2: entrambi gli Autori descrivono dettagliatamente la vicenda dei due ricorrenti sottoposta all’attenzione della Corte di Strasburgo.

620 Cfr. F. VIGANÒ, La Grande Camera della Corte di Strasburgo su ne bis in idem e

doppio binario sanzionatorio, cit., p. 2.

621 Così, C. FATTA, op. cit., pp. 9-10: si specifica come, nel caso del secondo ricorrente, la Corte Suprema si fosse addirittura rifiutata di esaminare il caso, rendendo definitiva la sentenza di condanna in sede penale (mentre quella amministrativa era già divenuta definitiva in seguito al pagamento degli importi dovuti, come nel caso del signor A).

“Zolotukhin”- nonché la natura sostanzialmente penale della sovrattassa irrogata in via amministrativa, in base ai criteri “Engel”622. Tuttavia, il diritto fondamentale al ne bis in idem è stato ritenuto non violato nei confronti di entrambi i ricorrenti, in ragione del fatto che i due diversi procedimenti erano stati condotti in parallelo e in modo tale che s’integrassero vicendevolmente, tanto che da un lato la pena inflitta in esito al procedimento penale era stata graduata tenendo conto della sanzione tributaria già inflitta agli imputati, dall’altro l’amministrazione finanziaria aveva conferito rilevanza alle prove assunte nel corso del procedimento penale623.

Sulla base di tali argomentazioni, i giudici supremi norvegesi hanno pertanto evidenziato come tra i due procedimenti sussistesse una “connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta”, tale da poter considerare le due reazioni irrogate come parti di un’unica reazione sanzionatoria apprestata dall’ordinamento contro la condotta antigiuridica dei ricorrenti: l’una era da considerarsi il completamento dell’altra, alla stregua di due facce di una stessa medaglia624.

                                                                                                               

622 Cfr. F. VIGANÒ, La Grande camera della Corte di Strasburgo su ne bis in idem e

doppio binario sanzionatorio, cit., pp. 2-3, in cui si specifica come il sistema normativo norvegese nella materia in questione sia caratterizzato dal doppio binario sanzionatorio composto da un procedimento amministrativo- funzionale all’accertamento di eventuali evasioni d’imposta e all’irrogazione di sanzioni pecuniarie- e da un processo penale funzionale- per i casi più gravi- all’irrogazione di sanzioni privative della libertà personale: è importante rilevare che, in una pronuncia della Corte Suprema norvegese del 2006, era stata esclusa la sussistenza di un idem tra la condotta di evasione fiscale rilevante ai fini dell’irrogazione della sanzione amministrativa e la condotta penalmente rilevante a titolo di frode fiscale, sulla base della diversità degli elementi costitutivi delle due fattispecie legali (stessa argomentazione che, come osserva l’Autore, era stata utilizzata dalla Corte di Cassazione in relazione al rapporto tra gli illeciti penali ex artt. 10-bis e 10-ter d.lgs. 74/2000 e l’illecito amministrativo di cui all’art. 13 d.lgs. 471/1997). L’opinione della stessa Corte Suprema è però mutata con la sentenza del 2010, relativa al caso del signor A, in cui i giudici norvegesi- come visto- hanno preso atto dei principi espressi nella sentenza “Zolotukhin” per affermare la medesimezza del fatto oggetto dei due procedimenti.

623 Cfr. C. FATTA, op. cit., pp. 9-10: la Corte Suprema norvegese aveva respinto la tesi difensiva relativa alla violazione del principio del ne bis in idem utilizzando argomentazioni pressoché identiche per entrambi i ricorrenti. In entrambi i casi il giudice penale aveva infatti tenuto conto, nella quantificazione della pena, della sanzione tributaria già inflitta e di quanto già versato dall’imputato al Fisco.

624 In tal senso, C. FATTA, op. cit., p. 10 e F. VIGANÒ, La Grande Camera della Corte di

Strasburgo su ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio, cit., p. 2 il quale aggiunge inoltre che i supremi giudici norvegesi avevano stabilito, nella sentenza relativa al primo ricorrente, che la decisione amministrativa con la quale era stata inflitta la sovrattassa doveva essere considerata “definitiva” ai sensi della previsione convenzionale, ma che- nonostante ciò- il divieto di bis in idem andasse delineato in maniera meno stringente nell’ipotesi in cui i due procedimenti sono paralleli, come nel caso in esame.

In seguito al ricorso proposto dai due imputati, dunque, alla Grande Camera- cui il ricorso era stato devoluto per via della particolare rilevanza delle questioni sollevate dalle parti625- è stato demandato il compito di esaminare due diverse quanto rilevanti questioni giuridiche: la prima riguardante la possibilità di qualificare come “sostanzialmente penale” la sanzione tributaria irrogata ai ricorrenti, la seconda relativa invece all’applicabilità o meno della garanzia convenzionale ai procedimenti celebrati in parallelo e aventi ad oggetto il medesimo fatto626.

Prima di passare all’analisi della sentenza della Corte EDU, è bene evidenziare che, sebbene la vicenda non presentasse profili innovativi rispetto ai casi analoghi precedenti, a costituirsi in giudizio sono stati ben sei Paesi UE (oltre alla direttamente coinvolta Norvegia, anche Bulgaria, Repubblica Ceca, Francia, Grecia, Moldavia e Svizzera), a dimostrazione del fatto che i tempi erano ormai maturi perché si facesse sentire l’esigenza di maggior tutela degli interessi- in particolare finanziari- dell’Unione, protetti negli Stati membri attraverso sistemi di doppio binario sanzionatorio, nonché la necessità d’individuare un bilanciamento tra siffatti interessi e le ragioni di garanzia individuale, bilanciamento possibile solo tramite l’abbandono, da parte dei giudici di Strasburgo, delle intransigenti posizioni che avevano fino ad allora assunto627.

Ciò detto, la prima questione- di carattere evidentemente centrale- è stata risolta semplicemente da parte della Grande Camera: questa ha sostenuto infatti che, se è vero che i criteri “Engel” sono stati elaborati con riferimento all’art. 6 della Convenzione (relativo al diritto ad un equo processo in materia penale) e non all’art.                                                                                                                

625 Cfr. F. VIGANÒ, La Grande Camera della Corte di Strasburgo su ne bis in idem e

doppio binario sanzionatorio, cit., p. 2: l’Autore specifica infatti che la camera della prima sezione della Corte EDU ha valutato la necessità di rimettere il caso alla Grande Camera. 626 Cfr. C. FATTA, op. cit., p. 11: è importante sottolineare, inoltre, che tutte le parti intervenute hanno condiviso le argomentazioni sviluppate dalla Suprema Corte norvegese sulla nozione di idem. L’approccio sostanzialistico consolidato nella giurisprudenza di Strasburgo non è infatti stato messo in discussione.

627 Così, M. BRANCACCIO, Ne bis in idem: percorsi interpretativi e recenti approdi della

giurisprudenza nazionale ed europea (relaz. orientativa n. 26/17), cit., pp. 13-14; v. anche L. TRUCCO, op. cit., che rileva in tal senso come la scelta di numerosi Stati terzi di intervenire, nonché quella della Prima Sezione di riunire i ricorsi e deferire la questione alla Corte in composizione allargata, non possa considerarsi casuale “dati gli «interessi» (anche) dell’Unione toccati, per i peculiari rapporti che la Norvegia intrattiene con l’ordinamento eurounitario, con la conseguente possibilità di vedervisi una sorta di «zona franca» rispetto a cui testare determinate soluzioni da estendere poi, se del caso, a situazioni analoghe concernenti gli Stati membri dell’UE”.

4 Protocollo n. 7 CEDU, è altrettanto vero che il divieto di un doppio giudizio per lo stesso fatto è strettamente connesso alla garanzia dell’equo processo, derivandone di conseguenza l’applicabilità dei suddetti criteri al caso concreto, ai fini dell’operatività del ne bis in idem628. La sanzione amministrativa, consistente in una sovrattassa del 30% sull’imposta evasa, aveva dunque- nell’opinione dei giudici di Strasburgo, analoga a quella che era stata adottata dalla Corte Suprema norvegese- un’indubbia natura sostanzialmente penale629.

Più complesso, sicuramente, il percorso argomentativo seguito dai giudici di Strasburgo per giungere alla decisione in merito alla seconda questione, relativa all’operatività del divieto di doppio giudizio nei confronti di procedimenti paralleli: decisione che gran parte della dottrina ha letto come un passo indietro rispetto agli approdi raggiunti dalla stessa Corte EDU in materia di ne bis in idem, o comunque come un netto superamento, qualificandola talvolta come un revirement, talvolta come un’evoluzione nell’interpretazione di tale controversa garanzia convenzionale630.

Con un inedito colpo di coda, infatti, la Corte europea, premettendo che la garanzia convenzionale è, in linea di principio, applicabile anche ai casi di procedimenti paralleli per il medesimo fatto (una volta che uno di essi si sia concluso con un provvedimento divenuto definitivo), ha nondimeno concluso che non viola il principio del ne bis in idem la celebrazione di un procedimento penale nei confronti di chi sia stato già sanzionato in via definitiva dall’amministrazione tributaria, qualora tra i due procedimenti sussista una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta (in tal senso utilizzando le parole della stessa Corte Suprema

                                                                                                               

628 Per un ampio approfondimento sul punto, v. C. FATTA, op. cit., pp. 12-13 che specifica, nella prospettiva del governo convenuto, l’ambito di applicazione previsto dall’art. 4 Protocollo n. 7 CEDU sarebbe più circoscritto rispetto all’art. 6 della stessa Convenzione: il governo norvegese sosteneva pertanto che il diritto a non essere giudicato o condannato due volte dovesse essere limitato ai procedimenti penali stricto sensu intesi, e non al caso in questione. A sostegno di tale interpretazione è intervenuto anche il governo francese, sostenendo che i criteri applicabili al caso concreto sarebbero dovuti essere quelli elaborati dalla giurisprudenza in relazione al diverso art. 7 CEDU, che sancisce il principio nulla poena sine lege.

629 Cfr. C. FATTA, op. cit., p. 13.

630 Così, M. BRANCACCIO, Ne bis in idem: percorsi interpretativi e recenti approdi della