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Il principio nella Convenzione europea dei diritti dell’Uomo: l’art 4 del Protocollo aggiuntivo n 7.

Il testo originale della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo del 1966, come anticipato nel precedente paragrafo, era manchevole di una disposizione che facesse riferimento al ne bis in idem e ne sancisse la sua rilevanza: nonostante il principio in esame fosse già riconosciuto espressamente dall’art. 14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, e sebbene parte della dottrina- contrariamente all’opinione della Commissione europea- lo ritenesse già implicitamente riconosciuto dall’art 6 della Convenzione stessa, relativo al “giusto processo”250, una disposizione ad hoc che prevedesse il divieto di bis in idem è stata                                                                                                                

248 Cfr. R.A. RUGGIERO, Il ne bis in idem: un principio alla ricerca di un centro di gravità

permanente, cit. (nota 11), pp. 3809-3810.

249 Cfr. M.L. DI BITONTO, op. ult. cit., p. 1343 che osserva “la lenta e irreversibile costruzione dell’integrazione europea sul piano della giustizia penale si trova ora ad uno snodo strategico, perché dalla soluzione di una questione eminentemente tecnico-giuridica, qual è quella concernente la necessità di assicurare piena effettività al diritto fondamentale al ne bis in idem, discende la possibilità effettiva di offrire ai mercati regole certe affidabili e prevedibili con riguardo alle conseguenze punitive delle infrazioni finanziarie”.

250 In tal senso, v. N. GALANTINI, Il divieto di doppio processo come diritto della persona, cit., p. 119 che rileva “(…) il diritto soggettivo ad un processo giusto, individuabile nel fair trial anglosassone o nel procès equitable europeo, dovrebbe ricomprendere anche il rispetto

introdotta nella CEDU solo in via successiva, mediante l’adozione del Protocollo aggiuntivo n. 7 nel 1984 su iniziativa discussa e approvata dal Comitato per i diritti umani e aperta alla firma degli Stati Membri251.

L’art. 4 del menzionato Protocollo, infatti, sancendo che “Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato”252, costituisce quel riconoscimento sovranazionale della dimensione “interna” della garanzia in esame, presentando a tal proposito profili in comune con l’art. 649 c.p.p. ed evidenziando, pertanto, la rilevanza del divieto di bis in idem quale diritto fondamentale della persona irrevocabilmente giudicata, considerato corollario del “giusto processo” e operante tradizionalmente nei rapporti giurisdizionali di carattere interno253, senza

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                          della cosa giudicata in materia penale, il cui aperto riconoscimento non nel Patto internazionale ora citato, ma anche nella convenzione europea sui diritti umani è già sin d’ora da taluni ritenuto operante (…), nonostante le dichiarazioni in senso contrario della Commissione europea”, riferendosi così a M. DE SALVIA, Privazione di libertà e garanzie del processo penale nella giurisprudenza della commissione e della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Riv. it. dir. proc. pen., 1980, p. 97: secondo la Commissione né l’art 6 e nemmeno ogni altro articolo della Convenzione europea garantiscono implicitamente il principio del ne bis in idem.

251 B. VAN BOCKEL, The ne bis in idem principle in EU law, Alphen aan den Rijn, 2010, p. 15 che precisa come l’inserimento della previsione fu approvata durante il 374° incontro dei sottosegretari ministeriali il 22 Novembre 1984.

252 Nella versione inglese, la norma recita: “No one shall be liable to be tried or punished

again in criminal proceedings under the jurisdiciton of the same State for an offence for which he has already been finally acquitted or convicted in accordance with the law and penal procedure of that State”.

253 Cfr. M.L. DI BITONTO, op. ult. cit., pp. 1343-1344 che osserva come la garanzia convenzionale, al pari di quella nazionale codicistica, tuteli la dimensione interna del principio del ne bis in idem, che risulta “sacrificato quando una persona venga sottoposta a più di un procedimento penale in relazione al medesimo fatto dinanzi a differenti autorità giudiziarie nazionali”, e aggiunge: “(…) la norma codicistica e quella convenzionale hanno in comune il contenuto: sia l’art. 649 sia l’art. 4 Prot. n. 7 C.e.d.u. stabiliscono una regola considerata corollario del due process of law”. Giova sottolineare come, per quanto riguarda l’irrilevanza del titolo, del grado e delle circostanze ai fini della medesimezza del fatto (espressamente prevista dall’art. 649 c.p.p.), nella norma convenzionale non sia presente il riferimento alla non incidenza del titolo del reato: in tal senso, v. N. GALANTINI, Il “fatto” nella prospettiva del divieto di secondo giudizio, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, p. 1209, che rileva “l’effetto paradossale per cui le fonti europeee, nelle quali non vi è traccia di riferimenti alla non incidenza del titolo del reato, sono applicate dalle Corti supranazionali come se il rinvio ci fosse, mentre la fonte codicistica (…) è interpretata a contrario dagli organi giurisdizionali interni”.

invece precludere che venga instaurato un secondo procedimento in un altro Paese254. Quest’ultima circostanza è confermata dallo stesso Rapporto esplicativo al Protocollo il quale, al punto 27, prevede l’applicabilità della garanzia del ne bis in idem a livello nazionale, nei limiti dell’ordinamento di ciascuno Stato aderente alla Convenzione, specificando come la dimensione internazionale del principio sia garantita da altri strumenti convenzionali255: una siffatta limitazione sembra, tuttavia, ridimensionare l’effettività e la portata applicativa di quella che doveva essere una previsione dettata da fondamentali ragioni di garanzia, specialmente se si pone mente al fatto che non tutti gli Stati Membri del Consiglio d’Europa hanno ratificato il 7° Protocollo256, e che le convenzioni menzionate dal Rapporto esplicativo- le quali dovrebbero garantire il ne bis in idem a livello internazionale- risultano concernere maggiormente la cooperazione tra Stati nella persecuzione ed estradizione dei soggetti attivi del reato, piuttosto che la protezione sostanziale degli stessi da una doppia sottoposizione a procedimento per lo stesso fatto257.

Eppure, che il ne bis in idem rivesta un ruolo fondamentale e costituisca una garanzia in nessun caso derogabile, nemmeno ad opera della previsione eccezionale contenuta nell’art. 15 della Convenzione stessa, è ciò che emerge chiaramente dalla stessa lettera della previsione convenzionale di cui trattasi258, la quale appare,                                                                                                                

254 In tal senso, v. N. NEAGU, op. cit., p. 957 e G. COFFEY, Resolving conflicts of

jurisdiciton in criminal proceedings: interpreting ne bis in idem in conjunction with the principle of complementarity, in New journal of European criminal law, 2013, p. 67 che come l’ambito di applicazione dell’art. 4 in esame sia confinato alla giurisdizione di uno stesso Stato (“the principle in applicable only in acordance with the law and penal procedure of the same state”).

255 Cfr. Explanatory Report to the Protocol No. 7 to the Convention for the protection of

human rights and fundamental freedoms, in European Treaty Series, n. 117, che al punto 27 recita: “The words “under the jurisdiciton fo the same State” limit the application of the article to the national level. Several other Council of Europe coventions, including the European Convention on Extradition (1957), the European Convention on the International Validity of Criminal Judgments (1970) and the European Convention on the Transfer of Proceedings in Criminal Matters (1972), govern the application of the principle at international level”.

256 Cfr. B. VAN BOCKEL, op. cit., p. 15. In data attuale, Germania e Olanda hanno firmato il Protocollo senza però ratificarlo, mentre il Regno Unito non lo ha firmato. Sul punto, v. anche J.A.E. VERVAELE, op. cit., p. 102. Lo stato attuale delle firme e delle ratifiche del Protocollo è consultabile alla pagina https://www.coe.int/en/web/conventions/full-list/- /conventions/treaty/117/signatures del sito internet del Consiglio d’Europa.

257 G. COFFEY, op. ult. cit., p. 67.

258 Il comma 3 dell’art. 4 in esame prevede che “Non è autorizzata alcuna deroga al presente articolo ai sensi dell’articolo 15 della convenzione” (“No derogation from this Article shall

oltretutto, sancire allo stesso tempo sia la dimensione processuale sia quella sostanziale del principio, cogliendo all’evidenza il legame e la separazione che sussistono tra il divieto di secondo giudizio e quello di seconda condanna, mediante la rubrica “diritto di non essere giudicato o punito due volte”259.

Entrambi i divieti, sempre sulla base del tenore letterale dell’art. 4 in questione, sono subordinati alla circostanza per cui il soggetto sia stato “assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva” inerente allo stesso reato: mentre in relazione al concetto di “final judgment” non sembrano sussistere, in via generale, interpretazioni contrastanti tra gli Stati Membri- in quanto il divieto di bis in idem risulta applicabile nel caso di sentenza definitiva tanto di condanna quanto di assoluzione260- decisamente più problematica appare la nozione di “criminal proceedings”, nozione ricollegabile direttamente a quell’idea di “materia penale” che è stata oggetto di espressa ed ampia definizione da parte della giurisprudenza di Strasburgo, la quale si è così posta in aperto contrasto con le qualificazioni formali operate nei singoli Paesi261.

Sembra dunque idoneo, a questo punto, muovere l’analisi sul concetto di “natura penale” della controversia così come interpretato dalla Corte EDU per giungere a dimostrare come la stessa Corte, supportando il principio della prevalenza                                                                                                                                                                                                                                                                                                                           be made under Article 15 of the Convention”). Il menzionato art. 15 in fatti è rubricato “Deroga in caso di stato d’urgenza”, e non risulta operante in relazione al divieto di bis in idem.

259 Cfr. G. RANALDI- F. GAITO, Introduzione allo studio dei rapporti tra ne bis in idem

sostanziale e processuale, cit. (nota 24), pp. 10-11. La norma convenzionale infatti prevede che “nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato (…)”. V. anche G. COFFEY, op. ult. cit., p. 65: “Since the provision refes to these two distinct prohibitions, this suggests that the two prohibitions form different aspects of the ne bis in idem principle”.

260 V., in tal senso, N. NEAGU, op. cit., p. 959 in cui si specifica che, al di là di determinati casi eccezionali come quello della Convenzione americana sui diritti umani (che prevede il divieto di bis in idem nel solo caso di assoluzione), o della Convenzione di applicazione dell’accordo di Shengen (che ne prevede l’applicazione, al contrario, nel solo caso di sentenza definitiva di condanna), è generalmente pacifico come il principio sia applicabile in entrambi i casi.

261 Cfr. M.L. DI BITONTO, op. ult. cit., pp. 1344-1345 la quale rileva come, mentre sul piano interno l’effetto preclusivo del giudicato riguarda esclusivamente la giurisdizione penale, i poteri del giudice penale e il sistema processuale penale, la Corte europea dei diritti dell’Uomo estende la propria cognizione, come vedremo, anche in relazione alle condanne pronunciate in sede amministrativa, specificando che “la giurisdizione della Corte dei diritti dell’uomo non può essere in alcun modo condizionata o delimitata dalle qualificazioni formali operate nei singoli Paesi”.

della sostanza sulla forma, si sia resa portatrice di una tutela ancora più forte- rispetto a quella apportata dai singoli Stati- dell’individuo di fronte all’esercizio dello ius puniendi da parte delle autorità statali, proponendosi di superare le svariate impostazioni di politica criminale seguite dai differenti ordinamenti nazionali262.

3. La nozione di “materia penale” e le applicazioni del ne bis in idem nella