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Dubbi: «le prime crepe nell’informazione quotidiana e settimanale»

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“Si può sospettare, dunque, che esista una segreta carta costituzionale che al primo articolo reciti: La sicurezza del potere si fonda sull’insicurezza dei cittadini”134

Già il 23 dicembre si costituisce a Milano il Comitato per la libertà di stampa e per la lotta contro la repressione, cui aderiscono circa 150 giornalisti di differenti testate impegnati a denunciare le trame reazionarie e la politica di repressione del potere esecutivo e giudiziario.

Nel maggio dell’anno seguente, sulla scia di questa e di altre iniziative e sotto l’egida di Marco Nozza, uscirà il primo numero di «Bcd»: il bollettino di controinformazione democratica.

Da parte delle testate di opposizione e dalla stampa extraparlamentare è presto messa in discussione «l’informazione guidata dal potere»,135

aprendo la via alla controinformazione sollecitata dalla tragica morte dell’anarchico Pinelli e dal “provvidenziale” arresto di Valpreda.

Tra le file della sinistra extraparlamentare, il foglio “Lotta Continua” pubblica, già nel numero del 20 dicembre, l’articolo Bombe, finestre e lotta di classe, nel quale oltre allo sdegno per il terribile eccidio di Piazza Fontana si denuncia la strumentalizzazione dell’informazione (accusa che poi tornerà al mittente in relazione alla campagna mediatica condotta contro il Commissario Luigi Calabresi):

132 G. Arpino, La vendetta d’un debole, La Stampa, 19 dicembre 1969, p.3.

133 P. Murialdi; N. Tranfaglia, I quotidiani dal 1960 al 1975, in La stampa italiana del neocapitalismo, V. Castronovo,

N. Tranfaglia (a cura di ), Laterza, Roma, 1976, p. 30.

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L. Sciascia, Il cavaliere e la morte, Einaudi, Torino, 1988.

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Mai prima di oggi abbiamo avuto schifo delle parole, del modo in cui le parole possono essere piegate a qualunque spudoratezza, a qualunque ipocrisia, a qualunque calunnia […] E non abbiamo intenzione, di fronte alla campagna mostruosa montata contro i militanti rivoluzionari, con lo schermo degli «estremismi di tutte le sponde», di difenderci, di sentirci imputati o di comportarci come tali. [..] Oggi bastano le «idee» a costituire reato, a identificare chi le professa come un criminale.136

Ma non è solo l’area più oltranzista della sinistra ad agitare dubbi circa l’informazione sulla strage di Milano e la gestione delle indagini.

Col passare delle settimane anche la stampa nazionale si dedica più assiduamente alla questione degli interrogativi irrisolti e, nel tornante del nuovo anno, il racconto della strage si arricchisce di nuovi personaggi e fatti.

Nel gennaio 1970 “L’Unità” affronta in un unico articolo137

le venti principali questioni che ritiene ancora da chiarire: la morte di Pinelli e il suo alibi; il perché sia stata fatta brillare la bomba inesplosa alla Banca Commerciale; i tempi tecnici che sarebbero occorsi al Valpreda per scendere dal taxi, entrare in banca, sedersi al tavolo e depositare la valigetta contenente la bomba prima di tornare al tassì; l’eventualità di un complice di Valpreda a Milano; l’Identità di chi ha deposto le bombe di Roma; i fatti concreti che costituiscono le prove della colpevolezza dei sei fermati; l’attendibilità delle dichiarazioni del Rolandi; il ruolo di Claps e degli informatori della Polizia di Stato; il tempo necessario alla preparazione di un piano terroristico articolato su più città; la provenienza dell’esplosivo e l’identità di chi ha costruito le bombe; i mandanti e quindi i finanziatori economici della strage; le infamanti accuse mosse al senatore Bellisario; la mancata deposizione dell’istruttoria; la questione territoriale che vede l’inchiesta a Roma; il dubbio confronto effettuato dal Rolandi e infine la necessità di chiarire i legami del gruppo XXII marzo coi fascisti.

Nello stesso giorno, “La Stampa”, senza scendere nell’elenco degli interrogativi irrisolti, richiama comunque alla necessità di dissipare almeno qualche ombra che ritiene inizi ormai a infastidire l’opinione pubblica in un Paese che invece si è dimostrato, nelle parole del vicedirettore, in grado di

136Bombe, finestre e lotta di classe, “Lotta Continua”, n.5, 20 dicembre 1969.

137 M. Del Bosco, Venti domande ancora senza risposte, “L’Unità”, 04 gennaio 1970, p.7. Marcello Del Bosco

partecipa alla realizzazione del libro collettaneo “Le bombe di Milano”, edito nel 1970 dalla casa editrice Guanda, che raccoglie anche i contributi di Giampaolo Pansa, Giorgio Manzini, Ermanno Rea, Camilla Cederna, Marco Nozza, Corrado Stajano, Duilio Bartolo, Luca Boneschi, Marco Fini, Aristide Selmi e Giorgio Bocca.

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superare «il momento più difficile della crisi […] malgrado la goffa campagna parolaia dell'estrema destra ed i lamenti dell'estrema sinistra».

Come di consueto, la testata di Torino torna poi a proporre il paradigma delle due fazioni in lotta, asserendo che «l'invito dell'estrema destra a «Usare le mitragliatrici» non sembra più innocente che il «Sì alla violenza operaia» proprio dell'estrema sinistra.138

Le Lettere al Corriere del 4 gennaio sono voci di un’Italia che s’interroga.

Se qualche cittadino invoca il ripristino della pena di morte, addirittura richiamandosi al Sultano che «puniva il ladro (e ce n’erano tanti in quel paese) con la amputazione della mano sinistra e il recidivo con quella anche della destra» così che «oggi in quel paese vive la gente la più onesta di tutto l’oriente»139; c’è anche chi manifesta riprovazione verso i toni utilizzati dalla testata milanese nei confronti di Pietro Valpreda. Leggiamo, infatti, con riferimento all’espressione utilizzata dal “Corriere della Sera” «Una molla lo ha trasformato in un mostro», che in Italia vige invece il principio secondo cui «L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva».140 È altresì interessante notare la presa di posizione di alcuni gruppi anarchici nei confronti della linea assunta dalla rivista “Umanità Nova” all’indomani della strage di Milano, la quale, come abbiamo visto in precedenza, non aveva difeso Valpreda.

Nella Circolare interna riservata, indirizzata a Mario Mantovani (editorialista di “Umanità Nova”), alla FAI e alla GIA, a “L’Internazionale” e a “tutti i gruppi anarchici di lingua italiana”, leggiamo: «Denunciamo come errata, dannosa ed assurda la linea assunta da Umanità Nova e da alcuni compagni sui recenti fatti». In particolare si contestano l’atteggiamento ambiguo nei confronti di Pinelli e quello «stupido ed odioso nei confronti del compagno Valpreda, dato […] per colpevole, definito sergente fascista, miserabile relitto umano»; oltre che l’interpretazione politica “ingenua” del complotto fascista e la «tardiva ed eccessiva condanna del gruppo XXII marzo».

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C. Casalegno, Vorremmo sapere, “La Stampa”, 04 gennaio 1970, p.4.

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La pena di morte, in Lettere al Corriere, “Corriere della Sera”, 04 gennaio 1970, p. 5.

140 G. Pecorella, Valpreda, in Lettere al Corriere, “Corriere della Sera”, 04 gennaio 1970, p. 5. Gaetano Pecorella e’ un

noto avvocato penalista che negli anni settanta militava nella sinistra extraparlamentare e si trovò a difendere, tra gli altri, l’anarchico Giovanni Marini dall’accusa di omicidio del missino Carlo Falvella. Nel tempo si spostò su posizioni sempre più liberali sino all’impegno politico con Forza Italia nella seconda metà degli anni novanta. Avvocato di Silvio Berlusconi e autore della discussa legge del 2006 che porta il suo nome, nel 2012 entra nel gruppo politico di Mario Monti. Il suo nome ricorre nella storia giudiziaria delle stragi in qualità di avvocato difensore dell’ordinovista Delfo Zorzi, accusato della strage di Milano del ’69 e di quella di Brescia del maggio 1974, sempre assolto.

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In conclusione si afferma che la linea editoriale seguita dalla rivista anarchica ha «praticamente avallato certe interpretazioni anti anarchiche dei fatti» prestandosi «al gioco della repressione e della calunnia».141

In aprile “L’Unità” torna nuovamente a parlare di «Tutto ciò che manca» alle indagini per essere valide, evidenziando lo scetticismo dell’opinione pubblica

Dall’ Avanti! a Panorama, da Sette giorni a L’Espresso, dal Giorno alla Stampa, giornali che pure sono espressione di forze politiche diverse, hanno formulato e continuano ad avanzare con sempre maggiore forza dubbi e interrogativi. È lo specchio della sfiducia dello scetticismo che regna tra la gente. Ci volevano prove e chiarezza, ci sono parole e confusione142.

Nello stesso mese viene pubblicato il volume collettaneo “Le bombe di Milano”, che raccoglie le testimonianze e le riflessioni di dieci “giornalisti democratici”, un avvocato e un giudice, sulla strage di Piazza Fontana, conferendo forza alle posizioni già emerse nel racconto giornalistico anche relativamente alla morte di Pinelli e al disegno eversivo sottostante le bombe.143

Il libro nasce, come ricorda Marco Nozza citando il collega giornalista Alberto Papuzzi, «dalla volontà di recare un contributo alla chiarificazione di uno dei fatti più atroci, più misteriosi e più ricchi di implicazioni politiche di questo dopoguerra».144

Nell’interrogativo che accompagna uno degli interventi l’Italia è dipinta come un Paese omertoso: «Non è triste vivere in un paese in cui conviene tacere?».145

La riflessione di Giorgio Bocca è un’accusa alla destra e alle potenze straniere interessate al mantenimento del centrismo in un’Italia invece attiva nelle lotte politiche e sindacali; in un Paese in cui la congiura neofascista è rozza ma efficace, sorretta dalle complicità dello Stato e dalla compiacenza di larga parte dell’informazione di massa.

Ma il 1970 sarà segnato da una svolta di notevole rilievo per il pubblico dibattito relativo alla strage.

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Gruppo Ugo Fedeli, Gruppi Di Bandiera Nera, Gruppo Azione Libertaria, Gruppo G. G. Mora, I Libertari Del Politecnico, Circolo Ponte Della Ghisolfa, Circolo Scaldasole, Sezione U.S.I. Bovisa, Lega Anarchica Milanese, Croce Nera Anarchica, Circolare interna riservata di Gruppi anarchici su posizione Mario Mantovani e Umanità Nova, 7 gennaio 1970, Milano. Disponibile online al sito www.stragedistato.wordpress.com

142 M. Del Bosco, I complici nascosti della strage di Milano, “L’Unità”, 12 aprile 1970, p.9. 143 AA.VV., Le bombe di Milano, Guanda, Parma, 1970.

144 In M. Nozza, Il pistarolo.Da piazza Fontana, trent’anni di storia raccontati da un grande cronista, Il Saggiatore,

Milano, prima ed. 2006, cit. p.357, ed. 2010.

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Nel mese di giugno la casa editrice Samonà e Savelli pubblica il pamphlet risultato del lavoro collettivo di militanti e simpatizzanti della sinistra e dell’ultrasinistra milanese e romana, esempio unico di controinformazione militante.

Già il titolo si annuncia importante e destinato a divenire il leitmotiv di un’intera stagione della storia repubblicana: La strage di Stato.146

È di certo rilievo che vi sia nell’opera un capitolo dal titolo: “Perché proprio gli anarchici?”, nel quale si pone da subito in evidenza quel paradigma della “vittima designata” che segna buona parte della rappresentazione pubblica offerta dalle sinistre al tema della strage di Milano.

Leggiamo che «gli anarchici costituiscono la parte più debole dello schieramento di sinistra, perché priva di protezione, senza amici, di fatto isolata politicamente».

Segue poi una riflessione sull’immagine pubblica dell’Anarchia in Italia, che richiama molto quella rappresentazione da noi già incontrata: «per l’italiano medio, gli anarchici rappresentano le forze scatenate e disgregatrici dello Stato, il rifiuto delle istituzioni e di ogni valore borghese, senza idee o alternative precise».

Insomma, è possibile ritenere colpevoli gli anarchici «senza provocare traumi nell’opinione pubblica moderata né nelle forze politiche costituzionali».147

Il libro simbolo della controinformazione avvia una serie di considerazioni sui legami fra apparati dello Stato e neofascisti e rafforza una certa diffidenza verso la tesi della responsabilità anarchica, già emersa peraltro nel febbraio del ‘70 con le dichiarazioni di Lorenzon cui abbiamo fatto riferimento, anche se le accuse investono l’area romana e non quella veneta.

Scorrendo i titoli degli articoli apparsi sulla stampa italiana nel corso del primo anno di indagini, affiorano spesso più domande che risposte e i quesiti riguardano la morte del ferroviere Giuseppe Pinelli ma anche la sostanza delle accuse mosse ai sei fermati e la concretezza delle prove a loro carico. Si avanzano, su tutte le testate, nomi di esponenti del neofascismo italiano radicati nel Nord Italia, nell’area veneta e milanese e si affacciano sulla scena pubblica personaggi legati ai servizi segreti italiani.

Sempre in questi mesi, il giornalista Ruggero Zangrandi propone un servizio a puntate (dal 10 febbraio al 5 marzo) sul quotidiano “Paese Sera”, nel quale affronta i temi delle attività di spionaggio attivate nei primi anni Sessanta per sondare il livello di gradimento degli industriali italiani verso i primi governi di centro-sinistra. Indaga inoltre i finanziamenti della Confindustria in

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AA.VV., La strage di Stato, Samonà e Savelli, Roma, 1970.

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supporto ai gruppi anticomunisti e allega le fotocopie di molti documenti originali riguardanti il caso SIFAR (il Servizio Informazioni delle Forze Armate)148.

Il tutto è poi pubblicato, nello stesso anno, in un volume che ha come obiettivo quello di dimostrare la «degenerazione cui sono stati portati i nostri servizi di sicurezza militare»149.

La pubblicazione di questi materiali evidenzia la centralità accordata al problema dei “corpi separati dello Stato” nel quadro più ampio di un generale interesse per i poteri invisibili e le loro possibili deviazioni.

Nonostante la maggiore attenzione per il mondo dell’eversione nera e per quello dei servizi segreti, o forse proprio per questo,“L’Unità” denuncia la riproposizione da parte del ministro Restivo, nel luglio 1970, della teoria degli opposti estremismi150 - continuamente ri-attualizzata sulle pagine del democristiano “Il Popolo” che il 1° agosto condanna le violenze - mentre sulle pagine del “Corriere della Sera” si alternano notizie sulla validità dell’alibi di Valpreda, l’incriminazione dei suoi parenti, il coinvolgimento di altri anarchici, l’emergere di alcuni sosia, l’archiviazione dell’inchiesta sulla morte di Giuseppe Pinelli, la presenza (alla fine di novembre) di una dubbia figura quale quella di Stefano Serpieri che si scoprirà appartenere ai servizi segreti.

Nell’intenso intreccio narrativo che riguarda la strage di Milano si sommano quindi molteplici racconti fra i quali trovano spazio la tesi governativa di opposte fazioni di facinorosi in azione contro la Democrazia e le prime indagini sulle tendenze eversive di alcune aree contribuendo ad alimentare l’immaginario collettivo di uno Stato Nemico, specialmente nella sinistra.

148 Lo “scandalo SIFAR”, come ebbe a definirlo la stampa italiana, si inserisce nel progressivo contesto del disgelo

internazionale avviato dalla seconda metà degli anni Cinquanta e del nuovo clima politico che dopo il 1956 aveva visto avanzare in Italia il centrosinistra, mettendo in allarme i settori della politica e gli apparati dello Stato più conservatori ed oltranzisti. Con una circolare del 1959 rivolta ai prefetti e agli uffici periferici si chiedevano schede biografiche e relazioni dettagliate sulle attività di deputati e senatori e dal 1960 anche di preti, vescovi e sacerdoti. Le schedature di massa si diffusero a macchia d’olio anche ad altre categorie (industriali, intellettuali) e sotto la direzione del generale De Lorenzo raggiunsero quota 157 mila fascicoli, moltissimi dei quali riguardanti dati non sensibili per la sicurezza nazionale ma potenzialmente utilizzabili quali arma di controllo e/o ricatto. Le informazioni dei fascicoli sarebbero servite anche per un eventuale colpo di Stato da attuarsi in Italia sotto la direzione di De Lorenzo che dal 1962 era stato posto a comando dell’Arma dei Carabinieri. Il Piano Solo, da attuarsi per il colpo di Stato nel 1964, venne alla luce assieme ai fascicoli del SIFAR nel 1967 con l’inchiesta di Lino Jannuzzi sulle pagine de “L’Espresso”. La crisi di governo del luglio 1964 e l’impunità di cui godettero il generale De Lorenzo e i suoi collaboratori diverranno così di pubblico dominio nel ’67 scuotendo fortemente l’opinione pubblica disorientata dall’operato delle Istituzioni.

149 R. Zangrandi, Inchiesta sul Sifar, Editori Riuniti, Roma, 1970, cit. p. 9.

La biografia del giornalista Ruggero Zangrandi e’ legata all’antifascismo militante (che gli costò il carcere in Italia e l’internamento in svariati campi tedeschi) e al giornalismo d’inchiesta che gli valse anche un processo per le sue denunce relative ai fatti italiani dopo l’armistizio del settembre 1943. Morirà suicida nell’ottobre 1970.

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Siamo ormai alla vigilia del primo anniversario della strage e la commemorazione delle vittime si intreccia al resoconto degli ultimi dodici mesi di indagini, in una narrazione che lascia emergere numerosi nodi ancora da sciogliere.

1.6. Il primo anniversario e gli interrogativi aperti (1970-1971).