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Le prime interpretazioni all’indomani della strage.

“Spesso coloro che sono ansiosi di compiacere le masse commettono errori di interpretazione.” 78

L’editoriale del giornale di Spadolini del 13 dicembre, auspica che la ferma risposta dello Stato si inserisca «nel più rigoroso rispetto della legalità, nella calma necessaria alla gravità dell’ora, senza isterismi colpevoli, ma senza colpevoli debolezze o negligenze o pigrizie»79.

Contestualmente, dalle pagine interne del quotidiano di Via Solferino, emerge l’immagine di un Paese in attesa di «misure insieme repressive e preventive che oggi non sono più dilazionabili e rinunciabili»,80

Nella sezione “Corriere milanese”, poi, si propone agli italiani l’unico parallelismo storico che assolverà il ruolo di chiave interpretativa della tragedia a poche ore dalla deflagrazione dell’ordigno.

Il titolo dell’articolo di Alberto Grisolia (collaboratore dell’Uaar81

) e che abbiamo già citato con riferimento al “seconda ondata di violenza anarchica”, conferisce sostegno alla pista prima ancora che le Autorità si esprimano sulla questione: Un tragico precedente: lo scoppio del Diana. La

bomba esplose la sera del 23 marzo 1921 – Autori furono tre anarchici. 82

L’articolo sostiene il riferimento che il quotidiano più letto in Italia sul finire degli anni Sessanta83 aveva già riportato in prima pagina, secondo il quale «non sono possibili termini di confronto; non basta nessun richiamo o parallelo storico, con la sola eccezione della strage del Diana, nella Milano infuocata dell’altro dopoguerra84

».

78

J. Pulitzer, Sul giornalismo, Bollati Boringhieri, Torino, 2009, p.100.

79

Difendere la libertà, “Corriere della Sera”, 13 dicembre 1969, p.1.

80 M. Cervi, Un enigma sconvolgente, “Corriere della Sera”, 13 dicembre 1969, p.3. 81 È l’Ufficio Affari Riservati del Ministero degli Interni.

82 A. Grisolia, “Un tragico precedente…”, art. cit.

83 Per la classifica dei quotidiani più venduti in Italia nella seconda metà degli anni Sessanta, il riferimento è ai dati

riportati in A. Del Boca, Giornali in crisi. Indagine sulla stampa quotidiana in Italia e nel mondo, Aeda, Torino, 1968, pp.37-38.

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Le sfumature nel racconto del “Corriere della Sera” rivelano i differenti profili delle sue penne nella generale accondiscenza del quotidiano nei confronti del governo.

Il direttore Spadolini si allinea al messaggio presidenziale di Saragat ma è comunque difensore della legalità dello Stato e degli interventi che esso deve attuare; il giornalista liberal-conservatore Mario Cervi - che nel 1974 lascerà il “Corriere” in contrasto con la presidenza di Piero Ottone per fondare “Il Giornale” assieme all’amico e collega Indro Montanelli - e’ invece favorevole a “misure repressive”; infine, il collega Alberto Grisolia, legato ai servizi segreti, si prodiga per suggerire la suggestione del precedente storico di marca anarchica nelle pagine interne della cronaca locale, dove la costruzione del caso politico contro i libertari ha maggiori margini d’azione.

La suggestione del precedente storico è comunque proposta da molti altri quotidiani di opinione orientati a destra, come “Il Giornale d’Italia”, “La Notte”, “Il Resto del Carlino”, “Il Tempo”, testate che insisteranno sulla necessità di ristabilire l’ordine e sul gravoso peso della conflittualità del periodo assieme ad altre, come l’“Osservatore Romano”85, che vedranno nella strage il risultato della stagione della contestazione e del diffondersi dei miti individualistici dell’anarchia.

Quest’ultima sarà richiamata anche nell’occhiello del titolo in prima pagina di un altro noto quotidiano della capitale, questa volta di simpatie monarchiche: “Un’ondata di anarchia si abbatte sul Paese”.86

La suggestione simbolica della “tragica catena” di violenze è suggerita dal discorso del Presidente della Repubblica Saragat indirizzato al Presidente del Consiglio dei Ministri Rumor.

Il messaggio presidenziale, carico di enfasi e retorica, è costruito su un imperativo all’azione dettato dall’emergenza:

L’orrendo attentato che ha seminato la morte a Milano lascia sgomenta la Nazione per l’efferatezza del delitto, per la sua mostruosa enormità, per la sua bestiale incoscienza. L’attentato di Milano è l’anello di una tragica catena di atti terroristici che deve essere spezzata ad ogni costo per salvaguardare la vita e la libertà dei cittadini. Tocca alle forze dell’ordine democratico, tocca all’autorità giudiziaria innanzi alla quale giacciono numerose denunce per istigazione ad atti di terrorismo, restituire alla legge voluta dal popolo la sua sovranità. Tocca ai

85 “L’osservatore romano”, quotidiano edito dalla segreteria per la comunicazione della santa sede pur non essendo

organo ufficiale della stessa, e’ diretto fra il 1960 e il 1978 da Raimondo Manzini. Si caratterizza per un taglio misurato della cronaca e degli editoriali, sempre vicino al partito della democrazia cristiana di cui Manzini era parte e per il quale aveva ricoperto dal 1927 al 1969 il ruolo di membro del consiglio nazionale.

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cittadini assecondare l’opera della giustizia e delle forze dell’ordine democratico nella difesa della vita contro la violenza omicida87.

Il Presidente della Repubblica assurge sin da subito al ruolo di opinion maker: il suo messaggio è veicolato attraverso tutte le testate nazionali e il processo di rifrazione della notizia è tale da suggerire un continuum fra i passati episodi di violenza - l’attentato di aprile alla Fiera di Milano, le bombe dell’8 e 9 agosto sui treni , la morte dell’agente Antonio Annarumma il 19 novembre88- e la strage del 12 dicembre, suggerendo un nesso stringente fra mobilitazione di piazza e violenza, fra disordine e atti terroristici. L’intento è, evidentemente, richiamare gli italiani alla necessità di un ripristino dell’ordine e del controllo.

La relazione fra gli episodi violenti appare così netta e inequivocabile che, anche analizzando le testate di opposizione, il tema della “tragica catena” tanto caro alla stampa più conservatrice è accolto persino dalla sinistra, utilizzandolo però per inserire l’attentato di Piazza Fontana non già nel quadro dei disordini dell’autunno caldo ma nel più ampio mosaico di eversione firmato dalle destre.

L’organo di informazione del Pci non ha infatti dubbi circa la paternità della strage: «Spaventosa carneficina a Milano. 14 morti […] e un centinaio di feriti per un criminoso attentato fascista alla Banca Nazionale dell’Agricoltura».89

L’articolo di Sergio Segre, che nel ‘72 sarà eletto alla camera nelle fila del Partito Comunista, inserisce chiaramente la strage di Piazza Fontana all’interno di un progetto eversivo finalizzato al sovvertimento dell’ordine costituzionale, in un quadro di «barbaria fascista» e di tentativi di impedire che le richieste avanzate dalla classe dei lavoratori trovino adeguate risposte e sbocchi politici. Il condirettore del quotidiano comunista dichiara risolutamente che «gli attentati […] hanno una firma chiara, e inequivocabile […] quella di provocatori fascisti e reazionari».90

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G. Saragat, messaggio al Presidente del Consiglio dei Ministri Mariano Rumor:

88 Il 19 novembre tra i 14 e i 19 milioni di italiani aderiscono allo sciopero generale sulla casa. A Milano scoppiano

tafferugli fra i manifestanti e la polizia e l’agente di polizia Antonio Annarumma muore. La versione ufficiale avallata dal Governo, da Saragat e dalla stampa conservatrice e di destra è che il giovane poliziotto sia stato ucciso da un tubulare in ferro lanciato dai manifestanti. Soltanto “Il Giorno” e “La Stampa” avanzano dubbi circa la dinamica dei fatti e criticando l’operato della polizia. La morte di Annarumma sarà tristemente funzionale alla strategia della tensione, esacerbando gli animi e contribuendo alla creazione e al consolidamento di un immaginario di violenza dilagante da arrestare in ogni maniera possibile. Inoltre, significativamente, nelle narrazioni di giornali quali “Il Tempo”, “Il Secolo d’Italia”, “Il Borghese” e “Candido”, c’è un’estensione semantica del termine “comunista” funzionale alla designazione del nemico interno.

89 “Nel quadro di provocazioni fasciste e manovre reazionarie ORRENDO ATTENTATO TERRORISTICO PROVOCA

UNA STRAGE A MILANO Quattordici morti e 90 feriti”, “L’Unità”, 13 dicembre 1969, p.1

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Sulla stessa linea si assesta “Paese Sera” – quotidiano vicino al Pci - con un editoriale molto esplicito nell’affermare la colpevolezza della destra italiana, giudicando prevedibile che l’autunno caldo ne avrebbe scatenato le ire laddove nessun altro avrebbe avuto interesse, peraltro in un momento di distensione sindacale, ad organizzare una strage. Nessun altro, «se non chi si sente sconfitto non soltanto dalla storia di ieri, ma anche dagli uomini di oggi? Chi, se non coloro che contano sul colpo di Stato?»91

Negli articoli interni leggiamo che «il disordine giova solo a chi può essere tanto pazzo da sognare di trasformare il nostro paese in una Grecia senza più legge né democrazia»92 e che la spiaggia pronta a ricevere l’onda criminale è quella del fascismo.

Dello stesso tenore le analisi del quotidiano socialista “L’Avanti!”, che danno immediatamente un colore politico alla strage di Milano, il colore nero di quel fascismo che «è violenza» e di quei «colpi della destra» che è necessario bloccare e respingere con fermezza.»93

Di tutt’altro avviso, invece, ma ugualmente certi della responsabilità della strage, sono i giornalisti della testata missina “Il Secolo d’Italia”, nelle cui pagine è possibile leggere un categorico e laconico «sono comunisti gli assassini», per poi incalzare, nelle parole di Nino Tripodi, che loro complice è il PCI colpevole di utilizzare i gruppi extraparlamentari come «avanguardie di copertura».94

“La Notte” accusa apertamente la sinistra e propone una lettura politico-sociologica della strage, affermando che eventi di tale gravità sono favoriti «dal disarmo morale e materiale della polizia» e che si è giunti «fino a questo punto per i maledetti partiti e la maledetta politica»95(spostando l’attenzione sulla necessità di rafforzare i poteri delle forze dell’ordine dopo le vittime degli scontri di Battipaglia in aprile e la morte dell’agente di polizia Annarumma il 19 novembre).

“La Nazione” rileva l’incapacità d’azione della classe dirigente nel contrasto alla violenza: «tanti nostri colleghi, per apparire democratici (e non farsi attaccare dai comunisti) fingono di non accorgersene.»96

Tra le testate meno politicizzate “La Stampa” fa comunque propria quella che potremmo definire l’interpretazione canonica di buona parte dell’informazione italiana: quella di attori che, a destra della destra e a sinistra della sinistra, si fronteggiano trascinando il Paese nel caos e nell’orrore.

91 Un marchio inconfondibile, “Paese Sera”, 13 dicembre 1969, p.1. 92 Benelux, A chi giova, “Paese Sera”, 13 dicembre 1969, p.2. 93 “L’Avanti!”, 13 dicembre 1969, p.1.

94 N. Tripodi, I complici, “Il Secolo d’Italia”, 13 dicembre 1969. 95

N. Nutrizio, Violenza e odio, “La Notte”, 13 dicembre 1969, p.2.

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Se il quotidiano torinese analizza infatti la questione muovendosi dalle caute considerazione di Carlo Casalegno, è pur vero che sempre dalla stessa penna nascono considerazioni che sembrano condividere la necessità di «una grande azione collettiva contro tutte le forme di squadrismo e di violenza, qualunque bandiera pretendano di servire»97.

È sempre “La Stampa” a riportare le incaute parole del commissario di Polizia Luigi Calabresi, che a sole poche ore dall’attentato dichiara di guardare all’«estremismo di sinistra», perché «non sono certo quelli di destra che fanno queste azioni. Sono i dissidenti di sinistra: anarchici, cinesi, operaisti (Potere operaio, Lotta continua)».98

Il direttore de “Il Giorno”, l’ex partigiano Italo Pietra, propone invece un’interpretazione problematizzante che al retorico “A chi giova?”, ormai incalzante in ogni dove, ribatte che le bombe possono esser funzionali all’estrema destra quanto all’estrema sinistra, ma che è altrettanto evidente che vi sono in Italia forze della «destra economica e della conservazione, use a utilizzare lo spauracchio del disordine per trattare la politica da vassalla e per frenare le riforme».99

Dalle pagine dello stesso quotidiano milanese, Giorgio Bocca lascia emergere una possibile linea interpretativa incentrata sullo scopo ultimo di un’azione come quella del 12 dicembre: «Non importa che la gente si convinca veramente che sono gli anarchici o i cinesi a minacciare la società, basta che si convinca che è il momento di un governo forte, il momento di ristabilire l’ordine».100 Per “L’Espresso” è invece Camilla Cederna a raccontare l’immagine d’orrore in quella Piazza Fontana che sembra «come la guerra, i bombardamenti, il caos, il massacro, il macello» e nel merito dell’interpretazione politica del sanguinoso attentato, la giornalista chiama all’appello i «tranquilli borghesi» che negli ultimi anni hanno appoggiato i «qualunquisti» e i fascisti, e si scaglia contro «quelle specie di tonanti imbecilli che invocano la mano forte, il pugno di ferro, la pena di morte, e l’intervento dei militari». 101

“Panorama”102

, nel numero del 25 dicembre, dedica l’intera copertina alla strage. A tutta pagina una foto a colori dell’interno devastato della banca sotto la quale campeggia il titolo “TERRORISTI Chi sono – Quanti sono – Chi li paga”. All’interno troviamo un lungo articolo, “Rapporto sulla

97 C. Casalegno, Prenderli ad ogni costo, “La Stampa”, 13 dicembre 1969, p.1. 98

G. Tumiati, La polizia ha fermato 150 persone. Si indaga negli ambienti estremisti, “La Stampa”, 13 dicembre 1969, p.3.

99 I. Pietra, Non si illudano, “Il Giorno”, 13 dicembre 1969, p.1.

100 G. Bocca, L’obiettivo vero colpire la democrazia, “Il Giorno”, 13 dicembre 1969, p.1. 101 C. Cederna, Una bomba contro il popolo, “L’Espresso”, 21 dicembre 1969, p. 2.

102 “Panorama” nasce come mensile nel 1962 con Arnoldo Mondadori, per poi diventare nel ’67 un settimanale.

Predilige le inchieste e dedica ampio spazio allo stragismo e alla strategia della tensione sulla scia de “L’Espresso”. Il suo pubblico e’ rinvenibile in un’area di opinione di sinistra molto ampia, abbracciando anche studenti, quadri aziendali, manager e professionisti. Cfr. A riguardo M. Forno, Informazione e potere, op. Cit., pp.184-185.

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violenza”,103 che dalla descrizione di quanto avvenuto nella Banca dell’Agricoltura quel venerdì pomeriggio e dalle prime impressioni di chi si trovava nei pressi della stessa, passa a descrivere analiticamente i gruppi «estremisti» di sinistra e destra, individuandone 20 nel primo caso e 26 nel secondo. Si avanza anche una stima numerica, sostenendo che in totale gli appartenenti a tali gruppi non dovrebbero raggiungere quota 60mila, ma che, essendo tutti accomunati «dalla volontà di rovesciare il sistema politico italiano attuale», nessuno «in ipotesi» scarterebbe la possibilità di ricorrere alla violenza per raggiungere lo scopo.

L’interpretazione che sembra emergere è, anche qui, quella di un’Italia contesa fra gli schieramenti del variegato mondo extraparlamentare, che sosterrebbero tutti, da un lato e dall’altro, di «essere vittime» del sistema.

Si rende noto l’incontro del 15 dicembre a casa Rumor (presenti Forlani, De Martino, Ferri e La Malfa), dal quale sarebbe emersa la necessità di «fare presto», nel senso di ricompattare il centro sinistra e guidare il Paese ormai preda di un’«emergenza psicologica», tratteggiando quindi l’immagine di una classe politica decisa a salvare lo Stato ormai posto sotto attacco da forze destabilizzanti.

In merito all’evidente gioco di reciproche accuse in virtù dell’appartenenza politica, Lino Rizzi affermerà che le prime giornate seguite all’eccidio di Piazza Fontana sono state dominate da un tentativo, «convulso», di «individuare le responsabilità secondo i parametri delle posizioni politiche».104

Scorrendo quindi le pagine della stampa nazionale nei primi giorni seguiti alla strage, è immediato cogliere - fra le accuse della sinistra alla destra e quelle della destra alla sinistra - l’idea diffusa di “opposti estremismi” in lotta fra loro che permea buona parte del dibattito pubblico in differenti declinazioni.

Gli opposti estremismi de “La Stampa” di Casalegno non sono stessa cosa rispetto a quelli raccontati da “La Notte” di Nutrizio o da “La Nazione” di Mattei, né si possono identificare con quelli descritti dal “Corriere della Sera” o “Il Popolo” della Democrazia Cristiana”.

Appare utile ricordare brevemente l’origine di quest’espressione destinata a un così vasto utilizzo secondo le posizioni politiche e le cui origini risalgono già agli anni Venti. L’espressione acquisisce nuova forza negli anni del secondo dopoguerra, quando si mette in dubbio l’adesione del Partito Comunista e del Movimento Sociale Italiano alla democrazia, temendo che “l’illegalismo di destra e di sinistra” avanzino nel tessuto sociale e politico. Viene proposta l’unione attorno alle forze

103Rapporto sulla violenza. Gli attentati. Gli estremismi, “Panorama”, 25 dicembre 1969, pp. 24-30. 104 L. Rizzi, Il Contraccolpo, “Panorama”, 25 dicembre 1969, p.32.

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politiche centriste e la Democrazia Cristiana si erge a baluardo contro gli opposti estremismi. Dopo i fatti di Genova dell’estate 1960, che porteranno alla caduta del Governo democristiano di Tambroni (la cui vita era dipesa dal sostegno dei fascisti del Msi)105, gli opposti estremismi sono di nuovo al centro della scena politica nazionale. L’annuncio del nuovo Governo monocolore della Dc sostenuto da PSDI, PLI e PRI, nel luglio dello stesso anno, è seguito dalla dichiarazione ufficiale dell’onorevole Aldo Moro, felice «che, in un momento così difficile, e per il senso di responsabilità dei partiti, si sia realizzata una convergenza che, impedendo il pericoloso radicalizzarsi della lotta politica, consente di difendere più efficacemente la democrazia contro gli opposti estremismi».106 Nel 1969, dopo i nuovi gravissimi scontri di Battipaglia, il direttore del “Corriere della Sera”, Spadolini, non manca di far seguire un durissimo fondo intitolato Disarmo morale in cui offre la celeberrima interpretazione: «Non si è avvertita nessuna differenza fra manifestanti di destra e di sinistra […] Il vento della protesta ha soffiato indistintamente» denunciando «un’altra incognita non meno grave e incombente: quella di una graduale ondata di sfiducia negli stessi organi preposti alla tutela dello Stato, di un “disarmo” psicologico e morale».107

Su questa scia, solo due giorni prima della bomba di Milano, lo stesso giornale scriverà del pericolo di un «estremismo anarcoide di destra e di sinistra».108

La tesi degli opposti estremismi è denunciata dai comunisti alla vigilia della strage di piazza Fontana.

Un articolo del quotidiano di via Solferino dell’11 dicembre rende nota la conclusione del dibattito sull’ordine pubblico alla Camera, riportando le parole del deputato comunista Spagnoli il quale critica «l’etichetta degli “opposti estremismi”» a suo giudizio utilizzata impropriamente per «accreditare la tesi che i pericoli per gli istituti democratici “vengono solo da sinistra”»109

.

In maniera più evidente l’interpretazione del Pci emerge sulle pagine de “L’Unità”, che dedica maggiore spazio alla denuncia di Spagnoli e già nel titolo sottolinea che “La tesi dei due estremismi

è una copertura per le destre”.110

Il 15 dicembre farà invece la sua compiuta comparsa sul panorama mediatico italiano l’espressione “strategia della tensione”, mutuata dall’articolo del giornalista britannico dell’ “Observer” Leslie

105

Per il 2 luglio di quell’anno il movimento missino indice a Genova il suo sesto congresso scatenando i malumori della città medaglia d’oro alla Resistenza: si scatenano manifestazioni e scontri violenti, con centinaia di feriti fra manifestanti e forze dell’ordine.

106 A. Airoldi, Verso un governo presieduto da Fanfani, “Corriere della Sera”, 17 luglio 1960, p.1. 107 G. Spadolini, Disarmo morale, “Corriere della Sera”, 13 aprile 1969, p.1.

108

E. Melani, Restivo: lo Stato deve isolare ogni forma di estremismo violento, “Corriere della Sera”, 10 dicembre 1969, pp.1-2.

109

E. Melani, No ad ogni violenza, “Corriere della Sera”, 11 dicembre 1969, pp.1-2.

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Finer, lo stesso che aveva già fatto scalpore il 7 dicembre denunciando i legami della destra italiana con la Grecia dei colonnelli111.

Nello stesso giorno si celebrano nel Duomo i funerali delle vittime, ai quali si accompagna nella notte il tragico volo nel vuoto del ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli, dal quarto piano della Questura di Milano.

Peraltro, proprio ora, alle illazioni sulla colpevolezza del movimento libertario, segue effettivamente la notizia dell’arresto di un anarchico: Pietro Valpreda.

È la svolta narrativa del 16 dicembre.

1.4. “La furia della bestia umana”. Ritratti di violenza anarchica.

“Il crimine ha ormai una fisionomia precisa. Il criminale ha un volto.”112

Finalmente il mostro da sbattere in prima pagina ha un’identità concreta e una storia personale da poter utilizzare come prova di bestialità e responsabilità nell’eccidio di tanti innocenti.

È davvero una pubblica gogna quella che il giornalismo italiano costruisce, nell’indignazione e nel dolore generali, ai danni di un uomo le cui vicende più intime sono presentate come sintomi di un sordo e rabbioso rancore verso la società tutta.

A dare agli italiani la notizia dell’arresto è la diretta Rai del telegiornale della sera, prima tramite le parole ripetute di Rodolfo Brancoli – “un anarchico appartenente al gruppo anarchico 22 marzo è stato riconosciuto da un testimone” – poi, con assoluta e perentoria certezza, dal giovane inviato Bruno Vespa che in collegamento dalla questura di Roma dichiara: “Pietro Valpreda è un colpevole, uno dei responsabili”.

Il giorno successivo, il 17 dicembre, tutte le maggiori testate nazionali fanno da cassa di risonanza alla notizia. In alcuni casi l’enfasi è posta sulla fede politica anarchica di Valpreda113