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Il primo anniversario e gli interrogativi aperti (1970-1971) La strage è di Stato?

“L’unico modo di riconoscere la violenza è quello di riconoscerla anche quando non scende e grida in piazza,

ma si nasconde dietro la decorosa facciata delle istituzioni che difendiamo”.151

L’11 dicembre 1970 il “Corriere della Sera” richiama i suoi lettori alle questioni ancora aperte nonostante si prodighi nel rilevare l’efficienza delle istituzioni e delle forze dell’ordine relativamente all’inchiesta che è riuscita a condurre gli inquirenti sino a nomi e volti concreti. La medesima pagina ricorda la strage come «data tragica e sconvolgente per tutti gli italiani»152 definendo un primo esempio di quella rappresentazione pubblica, ancora oggi presente e viva, della strage di Milano come tornante storico e spartiacque della storia repubblicana.

Giampaolo Pansa pubblica per “La Stampa” un articolo dedicato all’estrema destra italiana153

, frutto di una conversazione con un giovane leader di Avanguardia Nazionale a Roma, in cui emergono un immaginario che vede nella violenza il mezzo per «sfogare un complesso di inferiorità politica» e una forte accusa al Movimento Sociale Italiano ritenuto colpevole di avere utilizzato i suoi giovani «sempre e solo […] per distribuire legnate».154

Sulle bombe di Milano, invece, solo un breve riferimento al fascista Stefano Delle Chiaie coinvolto nell’inchiesta, capo di Avanguardia Nazionale e «tutore politico» dell’ambiguo Mario Merlino. Il giorno successivo, “L’Unità” dedica all’anniversario della strage di Piazza Fontana lo speciale dell’interno: Bombe contro la democrazia, richiamando nel sottotitolo tutti i temi chiave: dal

151 N. Bobbio, La violenza di Stato, in “Resistenza”, XXIV, gennaio 1970, n. 1, p. 3. 152P. Radius, Un anno fa, piazza Fontana, “Corriere della Sera”, 11 dicembre 1970, p.3. 153

Nel 1969 Giampaolo Pansa aveva già dedicato alcuni articoli ai gruppi extraparlamentari di destra e sinistra. Solo due giorni prima della strage di Piazza Fontana aveva scritto un intervento relativo ai gruppi extraparlamentari a destra del Movimento Sociale Italiano. Dopo le interviste a gruppi diversi, accomunati però dall’antipartitismo, dal rifiuto dell’Europa e del consumismo, dal sentimento nazionalista e dal richiamo all’eroismo fascista, Pansa chiude con una sorta di intuizione: «Le etichette sono tante e il tentativo sembra un po' folcloristico. Lo sforzo serio […] viene dal gruppo più pericoloso: quello neonazista di Ordine Nuovo […] E' un discorso duro che introduce il tema della violenza di destra. Ne parleremo», in G. Pansa, La contestazione di destra scavalca il Msi come quella di sinistra sta al di là del

Pci, “La Stampa”, 10 dicembre 1969, p.2153

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«partito della crisi e dell’avventura» pronto a giocarsi la carta della tensione per perseguire il suo obiettivo reazionario, alla spinta delle destre in direzione di un governo forte e del blocco d’ordine. È inoltre riportato uno stralcio della proposta d’istituzione di un’apposita Commissione parlamentare d’inchiesta, di cui sono proponenti alcuni esponenti della sinistra italiana che si fanno portavoce dell’opinione pubblica rispetto alla strage e allo Stato: un’opinione pubblica «dapprima sconcertata, poi scettica e infine, in modo più critico ed esplicito, totalmente incredula di fronte al comportamento dei pubblici poteri». Leggiamo che

L'unilaterale ed esclusivo indirizzo impresso alle indagini, la labilità degli indizi sui quali si è costruita l’accusa nei confronti di taluni imputati (per tacere della sconcertante condotta dell’istruttoria giudiziaria) hanno radicato in vasti settori dell'opinione pubblica e delle forze politiche la convinzione che l’apparato di sicurezza dello Stato nell’ ipotesi più benevola si è dimostrato incapace non soltanto di prevenire gli attentati ma anche di individuarne gli esecutori e i mandanti. Si sono cosi posti e permangono una serie di interrogativi che riguardano la correttezza e la lealtà democratica di questo apparato155.

Nella stessa edizione, è Marcello Del Bosco ad approfondire la vicenda giudiziaria indicando gli orientamenti «a senso unico» delle prime indagini verso i gruppi anarchici e denunciando «Silenzi, lacune e illegalità da spiegare»,156con il richiamo agli esponenti del neofascismo italiano - Delle Chiaie, Merlino - e al controverso ruolo degli informatori infiltrati dalla polizia.

Nel primo anniversario anche la stampa della controinformazione ricorda i morti innocenti di Milano: “Avanguardia Operaia”, nata nel ’68 a Milano dalla fusione fra gruppi operai appartenenti ai Comitati di base e una parte del Movimento studentesco, dedica due pagine dell’omonimo giornale alle manifestazioni in memoria della strage

Rispetto al resto della sinistra extraparlamentare “AO” si caratterizza per una maggiore centralità accordata alla figura dell’operaio e quindi per un più forte radicamento all’interno della classe operaia stessa. Il commento, datato 14 dicembre, si apre quindi con la notizia della morte dello studente Saverio Saltarelli in una «Milano proletaria e rivoluzionaria […] mobilitata contro le violenze poliziesche di sabato 12 dicembre»157 e la redazione si propone di ricostruire i fatti distinguendo fra le molteplici manifestazioni indette per quel giorno in città: quella “resistenziale” autorizzata dalla Questura e ufficialmente contro il processo franchista a Burgos, quella fascista

155Bombe contro la democrazia, “L’Unità”, 12 dicembre 1970, p.9. 156

M. Del Bosco, Dopo un anno la verità è ancora lontana, “L’Unità”, 12 dicembre 1970, p.9.

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(che secondo gli autori non si è realmente verificata), quella del “picchettaggio” degli studenti che avrebbe dovuto opporvisi e infine quella anarchica in memoria di Pinelli (manifestazione non autorizzata, nonostante, si sottolinea, il preavviso fosse stato presentato ancor prima delle altre). E’ sminuito drasticamente il peso dell’antagonismo fra i giovani manifestanti e i fascisti, i quali addirittura sono definiti come «inesistenti a Milano, apparsi solo in sparuti gruppi presso il precedente corteo “resistenziale”» quasi che la volontà del gruppo di “AO” sia quella di evidenziare una scarsa opposizione fra militanti anarchici, rivoluzionari di sinistra da un lato e militanti di destra e fascisti dall’altro. Il focus è spostato sul conflitto fra la società civile che «scandisce pacificamente i suoi slogan» e le forze dell’ordine che invece procedono «improvvisamente e selvaggiamente» all’attacco del corteo anarchico, proprio in virtù della centralità riconosciuta al tema della lotta di classe in opposizione al sistema statale.

Si avanza un’analisi politica dell’atteggiamento degli apparati dello Stato secondo cui la violenza borghese si sarebbe mostrata contro i più deboli senza neanche far più ricorso al «pretesto di un intervento fascista», che avrebbe almeno consentito di invocare l’alibi del «mantenimento dell’ordine pubblico contro gli opposti estremismi».

La strage di Piazza Fontana è comunque definita una strage fascista, la morte di Pinelli è classificata come omicidio e la destra borghese è accusata di voler frenare «con l’azione squadristica» l’ascesa del PCI all’area di Governo, mentre la «sinistra borghese e il revisionismo» sono incolpati di mostrarsi fedeli al grande capitale e di attaccare politicamente la sinistra rivoluzionaria e le lotte di studenti e operai.

“LE BOMBE un anno dopo” è il titolo dell’articolo pubblicato da “Il Borghese” nel numero del 20 dicembre. Gli anarchici sono, ovviamente, ancora ritenuti responsabili di quella che è definita la «loro maggior bravata, la strage di Milano».158

Al movimento anarchico italiano (cui è contrapposto quello russo ritenuto perlomeno coerente di fronte alla responsabilità delle proprie azioni) è associata un’idea di «rivoluzione disperata» nella quale tutto sarebbe lecito e qui si procede a un elenco di reati tra i più vari (droga, stupro, scippo, attentato dinamitardo) che nell’opinione dell’autore volgerebbero tutti al medesimo obiettivo: la rivoluzione. A distanza di un anno, si scrive, l’ipotesi di un colpo di Stato ordito dalle destre e l’avanzata dalle sinistre come spauracchio, si è rivelata del tutto infondata, anche se «l’indignazione, nei giorni che seguirono la strage, era tale che molti, tra gli italiani, sperarono che qualcuno si decidesse a mettere ordine nella baracca di questo Paese che va alla deriva»,159 nel

158

Ivanovic – Koba, Le bombe un anno dopo,” Il Borghese”, 20 dicembre 1970, p. 991.

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quale si lascia operare uomini come Valpreda (qui dipinto come una mente esaltata e nevrastenica) e in cui il PCI manovra e sfrutta «l’arma della strage» per i suoi interessi politici.

“Panorama” esce in edicola il 24 dicembre riportando la cronaca degli scontri di Milano in occasione del primo anniversario della strage. A differenza del periodico della sinistra extraparlamentare, “AO”, qui la risposta estrema dei carabinieri sembra nascere come reazione alle violenze degli anarchici, che «rovesciavano macchine, scagliavano pietre, lanciavano piccole sfere d’acciaio con la fionda».160

Nel 1970 Crocenera Anarchica, organizzazione particolarmente attiva sul fronte dell’universo carcerario, cura il volume “Le bombe dei padroni: processo popolare allo Stato italiano nelle

persone degli inquirenti per la strage di Milano”161

inserendosi pienamente nel filone interpretativo della strage di Stato e alimentando l’immaginario della giustizia asservita al potere già ampliamente diffuso nella cultura libertaria e nell’opinione pubblica nel suo complesso.

Il 1971 vede invece, sulle pagine dei maggiori quotidiani e dei periodici nostrani, una maggiore presenza di articoli riguardanti le formazioni eversive di estrema destra e il neofascismo.

È doveroso ricordare che questo differente registro narrativo, che si orienta sempre più verso “i neri”, non è connesso soltanto alle nuove acquisizioni delle indagini per la strage di Milano nate dalle dichiarazioni di Lorenzon nel Veneto, ma è in parte anche frutto della diffusa notizia del tentato colpo di stato di Borghese nella notte dell’8 dicembre 1970.

La notizia prende corpo per la prima volta sulle pagine di “Paese Sera” il 17 marzo 1971, a più di tre mesi dai fatti.

Per il colpo di stato coordinato dal principe nero Junio Valerio Borghese erano mobilitati esponenti della destra estrema (Fronte nazionale, Avanguardia nazionale, Ordine Nuovo, Europa civiltà), ufficiali delle forze armate e dei servizi segreti, membri della loggia P2, politici, industriali ed esponenti della criminalità organizzata.

L’azione prende il via con l’occupazione dell’armeria del Ministero dell’Interno mentre non viene occupata (come invece previsto) la Rai. Improvvisamente una telefonata blocca il piano eversivo e nonostante il patto di silenzio fra la Presidenza della Repubblica e del Consiglio, il Ministero della Difesa e dell’Interno e l’opposizione comunista, la stampa viene a conoscenza del tentato colpo di stato.

160 Guerriglia a Milano, “Panorama”, 24 dicembre 1970, p. 34. 161

Crocenera Anarchica (a cura di), Le bombe dei padroni: processo popolare allo Stato italiano nelle persone degli

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Inizialmente la notizia attiva soltanto l’informazione d‘area comunista e socialista o quella più indipendente de “Il Giorno” e “La Stampa”. Il 18 marzo la testata socialista de “L’Avanti!” denuncia con maggior forza gli eventi: Sventato un tentativo neofascista contro le istituzioni

democratiche, ma presto la vicenda viene minimizzata da tutti, specialmente dai giornali vicino alla

Democrazia Cristiana, mentre negano palesemente una minaccia allo Stato le testate di destra “Il Secolo d’Italia” e “Il Tempo”.

“L’Unità” stessa smorza l’accaduto, riportando il comunicato del Comitato Centrale del Partito Comunista in cui si sottolinea che l’Italia del ’70 non è quella del ’22 e che il Paese ha in sé forze sufficienti per assicurare la sicurezza democratica.162

Sulla stessa linea si colloca nel medesimo giorno il quotidiano democristiano “Il Popolo”: Nella

ferma difesa delle istituzioni motivo di tranquillità per il Paese163, che il giorno seguente si limiterà

a scrivere di un semplice «complotto»164, ben guardandosi dall’utilizzare l’espressione colpo di Stato.

Il “Corriere della Sera” ne approfitta per elogiare fermamente il ministro dell’Interno Restivo, le forze governative nella loro interezza e soprattutto le Forze dell’Ordine per aver dato prova «di tempismo e di responsabilità» nel respingere l’azione eversiva. Gli articoli della prima pagina sono un tributo all’efficienza dello Stato e dei suoi apparati, impegnati nella difesa della «legalità repubblicana», allorché, «quando il tessuto etico-politico di un paese diventa debole, quando presenta zone d’ombra, allora anche i deliri eversivi, le tentazioni della violenza, i sogni malsani trovano adepti».

Il richiamo alla strage di Piazza Fontana è teso a sottolineare la necessità di un impegno profondo per «vigilare con estremo rigore» e «ridare fiducia alla democrazia». Il sistema politico italiano è tratteggiato come stabile: nonostante le maggioranze politiche siano incerte e divise sono comunque giudicate «sicuramente democratiche» e le Forze Armate ritenute «lealmente fedeli alla Costituzione» e ingiustamente sottoposte per anni al «dileggio sistematico».165

Il giorno seguente lo stesso giornale racconta la «galassia dell’estrema destra extra-parlamentare […] troppo opaca e troppo evanescente per poter essere inquadrata con un minimo di precisione

162 Allarme antifascista. Presa di posizione al CC del Pci nelle conclusioni di G. Amendola, “L’Unità”, 18 marzo 1971,

p.1.

163 Nella ferma difesa delle istituzioni motivo di tranquillità per il Paese, “Il Popolo”, 18 marzo 1971, p.1. 164 Estese a tutta Italia le indagini sul complotto: operati tre fermi a Roma, “Il Popolo”, 19 marzo 1971, p.1 165 Difendere la libertà, “Corriere della Sera”, 18 marzo 1971, p.1.

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dall’occhio dell’osservatore» tant’è divisa in gruppi e sigle «roboanti» e accomunata soltanto dall’ «odio al sistema, alla democrazia, alla libertà»166.

Nell’aprile del ‘71 i quotidiani nazionali diffondono anche un’altra notizia che riguarda l’eversione nera, quella dell’arresto di alcuni esponenti neofascisti veneti con l’accusa di aver preso parte alla costituzione e all’organizzazione di un’associazione diretta a sovvertire violentemente l’ordine politico, sociale ed economico dello Stato (imputando a Ventura anche l’erogazione di mezzi di finanziamento, il procacciamento di armi da guerra, di materiale esplosivo e la preparazione di attentati dinamitardi e facendo riferimento anche al coinvolgimento del consigliere Msi, Massimiliano Fachini).

Siamo solo all’inizio e ancora non è possibile stabilire nessi espliciti con l’attentato di Piazza Fontana, eppure già si scrive che «L’impressione prevalente […] è che ci si trovi in presenza di un

iceberg, di cui finora sarebbe emersa, agli occhi dell’opinione pubblica, soltanto la punta: è sotto

l’acqua che la magistratura starebbe ora lavorando»167 .

La stampa comunista è certamente più incline a suggerire il collegamento fra gli attentati di aprile e di agosto e quelli di Milano e Roma di dicembre, tanto da sottolineare la richiesta dell’avvocato Di Giovanni, difensore di alcuni degli imputati per il processo di Piazza Fontana, di allegare in copia agli atti dell’istruttoria anche i procedimenti in corso contro il Fronte Nazionale e Ordine Nuovo168

. L’informazione a stampa è scossa in aprile da nuove rivelazioni: il “rapporto Mazza” sull’ordine pubblico e le formazioni estremiste extra-parlamentari, stilato dall’omonimo prefetto milanese il 22 dicembre 1970, è indebitamente pubblicato il 16 aprile sui giornali di destra “Il Giornale d’Italia” e “La Notte”, poi su tutti i quotidiani nazionali.

La strumentalizzazione del resoconto inviato dal prefetto milanese al Ministro degli Interni Restivo ha gioco facile: la stampa conservatrice e di destra vi legge la conferma del pericolo proveniente dalle frange estremiste di sinistra e anarchiche, mentre la stampa comunista, socialista e libertaria bolla il documento come provocazione finalizzata a colpevolizzare le sinistre minimizzando la violenza dei gruppi neofascisti.

Ne dà notizia anche “La Stampa”- enfatizzando nel titolo il numero dei presunti estremisti «pronti per la guerriglia»169 - così come il “Corriere” che anticipa l’affondo del quotidiano socialista

166 A. Sensini, I gruppuscoli in camicia nera. La mappa mobile della destra extra-parlamentare,”Corriere della Sera”,

19 marzo 1971, p.3.

167 S.M., Ombre dietro gli attentati, “Corriere della Sera”, 15 aprile 1971, p. 11. 168

I. Rossi, Chi ha finanziato e diretto gli attentati alle ferrovie?, “L’Unità”, 16 aprile 1971, p.2.

38 “L’Avanti!” previsto per l’indomani170

, mentre “L’Unità” definisce il documento «provocatorio»171 suggerendo le collusioni fra la stampa di destra e le Forze Armate.

Il rapporto Mazza fa riferimento a gruppi estremisti di sinistra e di destra avallando l’immagine degli opposti estremismi seppure, nel dibattito del momento, la suggestione maggiore è evocata rispetto all’area variegata dei movimenti anarchici, studenteschi, operaisti.

Qualche mese più tardi, nell’agosto del ’71, tornerà alla ribalta il tema dell’opacità delle formazioni eversive nere e sarà, fra gli altri, il “Corriere della Sera” a raccontare le velleità golpiste dei neofascisti, richiamando l’attenzione sulle indagini del giudice istruttore Giancarlo Stiz che - con riferimento a Ordine Nuovo - ha raccolto una fitta documentazione in merito a esplosioni di bombe e ordigni, pestaggi, sabotaggi, propaganda antidemocratica e antisemita.

Nell’articolo in questione, il giornalista del Corriere fa riferimento a Giorgio Almirante e alla sua retorica nostalgica, al principe Borghese e ai suoi sogni di colpo di Stato, sino a scrivere che «la strage di Piazza Fontana […] assai probabilmente fu dovuta a un calcolo sbagliato, ma che aveva tutta l’aria di voler essere una delle tante mosse calcolate per aumentare la tensione».172

Sono passati alcuni mesi dalla notizie del tentato colpo di Stato della notte dell’Immacolata e le nuove acquisizioni della Magistratura stanno ormai aprendo alcuni squarci sul mondo dell’eversione neofascista tanto che il giornalista può tratteggiare il ritratto di un paese in cui «dopo l’episodio De Lorenzo […] i neofascisti italiani non hanno mai fatto mistero della loro intenzione di “ristabilire l’ordine” e di opporsi all’avvento del comunismo con la forza».

L’analisi qui offerta è una precisa accusa ai gruppi dell’estrema destra ed è un esempio del cambiamento di paradigma narrativo della testata milanese rispetto ai primi mesi dalla tragica data del 12 dicembre.

Anche altre testate hanno assunto una linee diversa rispetto agli inizi.

Nell’autunno del 1971 “Umanità Nova”, che abbiamo visto inizialmente accusata dagli stessi anarchici di non essersi schierata nettamente in difesa degli accusati, lancia una campagna contro «il linciaggio morale degli anarchici», proponendosi, tra le altre cose, di informare l’opinione pubblica della montatura contro i libertari, di spiegare come questa macchinazione sia funzionale a colpire la sinistra nel suo complesso per spostare a destra l’asse politico italiano173

.

170 Ventimila estremisti a Milano riuniti in formazioni paramilitari, “Corriere della Sera”, 17 aprile 1971, p.1.

171 B. Enriotti, Provocatorio rapporto del prefetto pubblicato da due giornali di estrema destra, “L’Unità”, 17 aprile

1971, p.1.

172 A. Pieroni, I fanatici del colpo di Stato. Epidemia della violenza: gli “ultras” in camicia nera, “Corriere della Sera”,

4 agosto 1971, p.3.

173

La Strage di Stato voluta dai padroni -documento di controinformazione anarchica- “Umanità Nova”, n.35, 20 ottobre 1971. Il documento è stato realizzato in un convegno di delegati di gruppi della FAI (Federazione Anarchica

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Sul versante delle pubblicazioni, nello stesso anno Camilla Cederna pubblica un libro destinato ad avere molta fortuna: “Pinelli. Una finestra sulla strage”174

.

L’opera della giornalista de “L’Espresso” si concentra specificatamente sulla morte del ferroviere Pino Pinelli evidenziando i molti dubbi sulle versioni ufficiali offerte dalla Questura e contribuendo in tal modo a interrogare l’opinione pubblica circa la validità delle informazioni “calate dall’alto” e la correttezza dell’operato delle Forze dell’Ordine.

Nello stesso periodo anche il Comitato di Controinformazione e il giornalista Marco Sassano pubblicheranno dei volumi sulla morte di Giuseppe Pinelli, denunciandola chiaramente come omicidio politico nel primo caso175 e come “suicidio di stato” nel secondo.176

La pubblica rappresentazione della strage alla Banca dell’Agricoltura cambia drasticamente volto dopo il ritrovamento, avvenuto il 5 novembre del ’71, dell’arsenale di armi di proprietà dell’editore Ventura, sebbene in questi mesi la pista anarchica avesse già perso nel sentire del Paese parte della sua forza.

L’anno si chiude quindi fra inquietanti interrogativi, per avviarsi alla cronaca del primo di una lunga serie di processi, nel febbraio 1972. Il coinvolgimento del dirigente missino Pino Rauti nelle indagini, fa sì che la pista nera divenga «per tutti gli italiani la seconda pista di piazza Fontana»177 laddove, sino a questo momento, gli indizi sulla trama eversiva neofascista sono sostanzialmente patrimonio dell’opinione pubblica facente capo alla sinistra, alle aree extra-parlamentari al PCI, al mondo libertario e ad un certo settore del mondo dell’informazione e dell’intellighenzia nostrana. La narrazione pubblica della tragedia di Milano si arricchisce quindi di nuovi protagonisti, con trame che si tingono di nero e numerosi colpi di scena a scandire il ritmo dell’inchiesta e del pubblico racconto della “madre di tutte le stragi”.

Italiana); dei GAF (Gruppi Anarchici Federati); del GIA (Gruppi Iniziativa Anarchica) e di gruppi non federati, svoltosi a Carrara il 24-7-71 e poi aggiornato per questa pubblicazione.

174 C. Cederna, “Pinelli. Una finestra sulla strage”, Feltrinelli, Milano, 1971.

175 Comitato di controinformazione, Pinelli: un omicidio politico, Galileo, Padova - Roma, 1971. 176

M. Sassano, Pinelli: un suicidio di Stato, Marsilio, Venezia, 1971.

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