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Il racconto giornalistico sino alla prima sentenza (1974 – 1979).

«Ministri, deputati, professori, artisti, finanzieri, industriali: quella che si suole chiamare classe dirigente. E che cosa dirigeva, effettivamente? Una ragnatela nel vuoto, la propria labile ragnatela. Anche se di filo d’oro».386

- 1974: l’avvio della prima istruttoria. Lo Stato golpista delle manovre oscure.

La prima istruttoria per la strage di Brescia prende avvio il 14 giugno del ‘74 per concludersi dopo tre anni, il 17 maggio. È affidata al sostituto procuratore di Brescia Francesco Trovato che, dopo l’abbandono della pista milanese incentrata sulla figura di Cesare Ferri, chiederà il rinvio a giudizio, fra gli altri, di Ermanno Buzzi, Fernando Ferrari e Angelino Papa in qualità di imputati della morte di Silvio Ferrari e parimenti della strage del 28 maggio. Il giudice istruttore Domenico Vino accoglierà le richieste del pm disponendo il rinvio a giudizio degli imputati presso la Corte di Assise di Brescia.

In concomitanza con i primi mesi dell’indagine, l’informazione nazionale rende conto di un Paese costretto ad affrontare, in una pluralità di procedimenti aperti, il nodo del neofascismo e delle coperture a esso offerte da una parte degli apparati dello Stato.

Come si è già avuto modo di osservare nella narrazione pubblica delle vicende della strage di Milano, l’anno 1974 racconta all’Italia del coinvolgimento di esponenti dei servizi segreti in alcune delle vicende più torbide degli ultimi anni della Repubblica, alimentando il senso di sfiducia dei cittadini nei confronti degli apparati di sicurezza e delle istituzioni.

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M. Tedeschi, Anno nuovo, »golpe« vecchio, “Il Borghese”, 29 dicembre 1974, pp. 1365-1366.

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Sono questi i mesi delle dichiarazioni dell’onorevole Andreotti sul ruolo di Giannettini all’interno del SID, del processo per Piazza Fontana, ma anche della notizia dei mai distrutti fascicoli dello scandalo SIFAR del generale De Lorenzo e, ancora, dell’inchiesta sull’associazione eversiva Rosa dei Venti e del golpe bianco di Edgardo Sogno.

I numerosi procedimenti, nati o già in corso nell’anno, testimoniano la drammaticità dello specifico frangente storico segnato da spinte eversive, attentati e stragi, ma rendono merito anche ad una Magistratura che è entrata pienamente in azione per far luce sulla strategia della tensione.

Brescia è al centro di tutte le principali indagini sul terrorismo e dopo la strage del 28 maggio le inchieste sull’eversione affidate alla procura bresciana salgono a quota tre: la prima è quella relativa al MAR di Fumagalli, di cui si occupa il giudice istruttore Arcai, la seconda è relativa alla morte del neofascista Ferrari avvenuta nella notte fra il 18 e il 19 maggio e la terza è appunto avviata dopo la bomba in Piazza Loggia.

Le ultime due sono entrambe di competenza del giudice istruttore Vino e saranno unificate nel febbraio 1975. La pista Ferri, o “pista milanese”, si sviluppa appena qualche giorno dopo l’esplosione dell’ordigno in piazza Loggia e prende avvio dalle indagini sulla sparatoria di Pian di Rascino avvenuta nella prima mattinata del 30 maggio in provincia di Rieti. Nel conflitto a fuoco restano feriti due carabinieri e muore uno dei campeggiatori che la squadra di militari aveva accerchiato.

Il colpo mortale è per Giancarlo Esposti, noto membro di Ordine Nero e vicino al Mar di Fumagalli, mentre i due giovani che sono con lui, Alessandro Danieletti e Alessandro D’Intino, si arrendono. Addosso a Esposti sono ritrovate – assieme ad un’agenda, a una tessera della polizia politica portoghese Pide e ad un’altra da studente della Sorbona – due fototessere che raffigurano il neofascista milanese Cesare Ferri.

Dalle indagini e dalle confessioni dei due arrestati emergerà che il gruppo aveva in progetto piani golpisti da attuare in Italia con il sostegno di personaggi di rilievo del corpo dell’esercito.

Il 31 maggio, sulla scia di queste acquisizioni, i carabinieri di Brescia perquisiscono le abitazioni di tre neofascisti milanesi: Gorla, Cippelletti e Ferri, disponendo il loro fermo.

A darne notizia è la stampa locale di “Bresciaoggi” e dopo aver visto la foto del Ferri il parroco Gasparotti lo riconosce come il giovane incontrato in chiesa la mattina della strage.

Soltanto il 25 giugno però il curato denuncerà il riconoscimento alle Autorità, che nella persona del capitano Delfino ne renderà edotto il giudice Arcai (sebbene egli si stia occupando dell’inchiesta sul MAR e non di quella sulla strage). Il giorno successivo Arcai disporrà una perquisizione in casa del Ferri che immediatamente dopo si renderà irreperibile rientrando in Italia solo il 18 luglio per poi

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costituirsi il 5 settembre. Il confronto con don Gasparotti si effettuerà quindi il giorno 7 dello stesso mese e nonostante alcune discrepanze il testimone si dichiarerà certo del riconoscimento. Tuttavia, varie testimonianze a conferma dell’alibi del Ferri per la mattinata del 28 maggio faranno decadere la pista milanese e nella sentenza-ordinanza del 17 maggio 1977 il giudice disporrà il proscioglimento di Ferri.

In ogni caso, sulla stampa locale e nazionale il sanbabilino occupa numerosi articoli dell’estate- autunno del 1974. Il “Corriere della Sera” del 12 settembre, ad esempio, descrive il Ferri come uno degli indiziati per la strage di Brescia ricostruendone la militanza politica nelle file del neofascismo in un lungo articolo che narra agli italiani le tappe della strategia della tensione partendo dalla bomba esplosa ai danni del rettore Opocher all’Università di Padova, il 15 aprile del 1969, sino alla bomba esplosa sul treno Italicus il 4 agosto del 1974.

Negli stessi mesi di quello che è passato alla Storia come l’anno delle stragi, la cronaca nazionale racconta della pluralità di inchieste avviate attorno alle attività eversive della galassia neofascista chiamando in causa anche l’avvocato Adamo Degli Occhi, leader della “maggioranza silenziosa” coinvolto nelle indagini sulle attività golpiste del nord Italia.

Sfogliando i giornali di questo periodo, quello dei tentati colpi di Stato è uno dei temi più ricorrenti assieme a quello della difficile Giustizia e delle connivenze di parte delle Istituzioni col terrorismo fascista.

Si evidenziano sulle testate nazionali alcune rappresentazioni e un sentire comuni rispetto ai temi della Democrazia, dello Stato e della Giustizia stessa.

Le parole di Carlo Casalegno colgono uno stilema centrale di questa narrazione pubblica:

Oggi conviene chiedersi […] se il silenzio distaccato e solenne (rotto appena da indiscrezioni casuali o interessate) che la magistratura oppone alle domande, alle inquietudini, alle critiche dell'opinione pubblica non sia un grave errore: intacca la fiducia nella Giustizia, fa sospettare complicità di casta, approfondisce il solco tra i cittadini e il potere giudiziario. II Paese non pretende che i magistrati tengano udienza in piazza, tra i clamori e le passioni […] ma ha il diritto di chiedere qualche informazione chiara e sicura sui troppi misteri tragici che si sono accumulati negli ultimi anni.

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La Giustizia e i suoi rappresentanti appaiono fallaci agli occhi degli «uomini della strada», che non riescono a convincersi di dover «accusare soltanto la fatalità o le complesse procedure se dal 1969 a oggi nessuna tragedia è stata chiarita, nessun processo politico è arrivato alla sentenza».387

Sulle pagine del “Corriere della Sera” si paventa il rischio che la contemporanea istruzione di molteplici inchieste sulle cosiddette “trame nere” possa disperdere le acquisizioni degli inquirenti e rendere più difficoltosa la ricostruzione degli eventi e delle responsabilità388.

La stessa testata racconta dell’incontro, presso gli uffici della corte di appello di Brescia, fra i singoli magistrati delle inchieste parallele sulla strage di piazza Loggia, sulla morte di Silvio Ferrari e sulle trame eversive del Mar. Nelle parole del giornalista «si ha la netta sensazione che l’indagine ripieghi su se stessa» e che secondo l’opinione pubblica battere la strada del nesso stringente fra la morte del giovane neofascista e la strage rischi di non cogliere «le grandi responsabilità che hanno manovrato nell’ombra».

Si descrivono cittadini confusi, scissi fra «una certezza civile acquisita secondo la logica dei fatti e una certezza giuridica che, forse impotente, rimane ancorata ad inadeguati schemi di indagine». L’immagine della Giustizia è quella di una «magistratura-serpentone» che «focalizza il crimine nelle reciproche giurisdizioni, in un coro dissonante di indagini» che si snodano lungo la penisola da Verona a Brescia, da Milano a Rieti, da Roma ad Ascoli fino a Reggio Calabria389.

Dall’opinione pubblica si leva la richiesta di una maggiore limpidezza dell’operato delle Istituzioni politiche, riassunta nelle pagine de “L’Unità” da uno stringente “Bisogna dire tutto”390 indirizzato al Governo.

Mala-giustizia e mal-governo sono due facce della stessa medaglia per l’universo libertario, che dalle pagine di “A-Rivista anarchica” denuncia i lunghi e «tortuosissimi giri» in cui, dalla strage di Piazza Fontana in poi, hanno cercato di perdersi quanti vollero seguire piste costruite ad hoc per poi ritrovarsi, tutti, «alla periferia di Roma, cioè dell’esercito, della magistratura, della polizia, del governo … dello Stato».

Il foglio anarchico ritiene che la commozione accesa dalle stragi di Brescia e del treno Italicus sia tale da rendere necessario un nuovo “polverone” nel quale far confluire tutto – perquisizioni, arresti e interviste – nella speranza che qualche «fascista o parafascista marginale allo Stato» possa attrarre

387 C. Casalegno, Il silenzio dei giudici, “La Stampa”, 05 giugno 1974, p.9.

388 G. Zicari, Sei inchieste separate sulle trame nere possono ostacolare la caccia ai mandanti, “Corriere della Sera”, 7

giugno 1974, p.10.

389 A. Giuliani, La difficile verità sulla strage di piazza della Loggia. Anche i magistrati devono ammettere che le

indagini procedono a rilento, “Corriere della Sera”, 18 giugno 1974, p. 10.

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l’attenzione dell’opinione pubblica distogliendola dalle responsabilità politiche della strategia della tensione.

Quello che si deve impedire ad ogni costo è che il buon cittadino medio, credulo consumatore di notizie ufficiali ma non del tutto incapace di intendere, arrivi a capire che la strategia terroristica ha avuto sempre in questi anni due regie. Una, appunto, è quella di quei fascisti o parafascisti che nutrivano improbabili (ma non impossibili) speranze golpiste … L’altra regia, che non si deve scoprire, è quella governativa di chi, a puntuale conoscenza delle cosiddette “trame nere”, le ha lasciate sviluppare per anni e facilitate in cento modi, strumentalizzandole paradossalmente a difesa del regime.

In questa lettura anarchica, che tanto richiama agli interventi che la stessa testata dedicò nel biennio ’72-‘73 alla strage di Milano scrivendo di “piste tricolori” e “stragi di stato”,391

vengono proposti anche alcuni dei temi che il “regime” starebbe adottando per edificare e reiterare la sua immagine pubblica di garante dell’ordine e della democrazia. Per «l’ultima rappresentazione» il Governo avrebbe scelto di recitare il suo canovaccio costruito attorno a tre grandi questioni: «l’eversione nera, la repubblica in pericolo, l’antifascismo riscoperto».

È interessante seguire questa narrazione offerta dai libertari perché suggerisce una riflessione critica circa l’uso pubblico - e l’abuso - della Storia da parte degli attori politici e di Governo, allettati da certe categorie interpretative quando queste sono utili ai loro interessi di parte.

Solo in questa logica la redazione spiega quello che con amara ironia definisce «l’improvviso inverosimile balletto antifascista di notabili e ministri democristiani che gareggiano col denunciare “distrazioni” poliziesche e “deviazioni” del SID e “debolezze” della magistratura», in uno scenario disincantato in cui operano alti personaggi della politica nostrana come connessione fra esecutori della strategia stragista e «gangli vitali dello Stato».392

Sulle pagine de “La Stampa”, questo stesso Stato ha dichiarato lotta al terrorismo fascista e ha ribadito tramite i responsabili del governo una «precisa volontà nello stroncare l'eversione»393 in un clima di maggiore collaborazione, di vigilanza e di fermezza.

Uno Stato che, fra le righe del “Bollettino di Controinformazione Democratica” e di fronte ad un “Golpe permanente”, è dichiarato uno “Stato inesistente.”

391 A titolo esemplificativo, La pista tricolore. Oltre Freda e Ventura: la strage è di stato, “A-Rivista Anarchica”, n.14

settembre 1972; La pista tricolore, “A-Rivista Anarchica”, n.25, novembre-dicembre 1973.

392 Tutte le piste portano a Roma, “A-Rivista Anarchica”, n.31, agosto-settembre 1974. 393

F. Carbone, Scoperti i fili della "ragnatela nera" Ancora ignoti i mandanti delle stragi, “La Stampa”, 31 agosto 1974, p.2.

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In quest’analisi il foglio della controinformazione accusa apertamente la Democrazia Cristiana e i suoi rappresentanti, il cui gioco sarebbe mai terminato se «i fascisti non si fossero sottratti al ruolo subalterno di piazzaioli e di alleati di riserva assegnato loro dai sostenitori della idiota teoria degli opposti estremismi».394

Nel quinto anniversario di Piazza Fontana, il discorso pubblico sulla strategia della tensione abbraccia gli eventi dell’ultimo lustro, incluso quindi l’eccidio di Piazza Loggia.

“Lotta continua” ricorda la strage di dicembre come l’evento che nelle intenzioni dei suoi artefici avrebbe dovuto invertire la tendenza di un’intensa stagione di lotte operaie e proletarie e in ultima pagina richiama l’attenzione sul filo nero che lega l’eccidio di Piazza Fontana a quello di Piazza Loggia passando per tutti gli scandali che coinvolgono i servizi segreti. La redazione rileva che dalle indagini bresciane emergono elementi a sostegno dell’istruttoria condotta dal giudice Tamburino sui legami fra l’organizzazione eversiva “Rosa dei Venti” e le stragi dell’ultimo quinquennio, contribuendo a rafforzare l’immagine di un unico fosco quadro eversivo.395

In effetti, il 31 dicembre 1974, la stampa nazionale rende nota la decisione della Corte di Cassazione di unificare le inchieste sulle cosiddette “trame nere” e demandare ai giudici della capitale il compito di proseguire le indagini sull’eversione e i tentati o progettati golpe degli ultimi anni.

Confluiscono così a Roma l’inchiesta del giudice Tamburino di Padova sulla Rosa dei Venti e parte di quella torinese del giudice Violante sui golpisti del ’74. La decisione solleva non pochi dibattiti pubblici sulla legittimità della stessa: una legittimità non tanto discussa su un piano giuridico, quanto logico.

Scrive in proposito il “Corriere della Sera” che «a torto o a ragione, è parso per anni all’opinione pubblica che nella sede romana della giustizia influenze che il codice non prevede abbiano portato a indulgenze o a ritardi in favore di cospiratori e di avventurieri».396

Il timore è che ci si trovi di fronte, come per Piazza Fontana, a un tentativo di rallentare i già tortuosi percorsi della giustizia italiana.

In questo clima si chiude l’anno 1974, lasciando dietro di sé una lunga scia di morti e interrogativi che diverranno il cardine delle indagini del 1975, tutte centrate sulla “pista bresciana” e su un delinquente comune legato all’estrema destra: il controverso Ermanno Buzzi.

394 Golpe permanente e Stato inesistente, “Bollettino Controinformazione Democratica”, 23 ottobre 1974, p.1.

395 Anche la strage di Brescia ha la sua matrice nel SID e nella Rosa dei Venti, “Lotta Continua”, 12 dicembre 1974,

p.4.

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P. Menghini, La Cassazione affida ai giudici di Roma tutte le istruttorie sulle trame nere, “Corriere della Sera”, 31 dicembre 1974, p.1.

111 - 1975: la pista bresciana e il primo anniversario. Lo Stato nella “regnatela nera” e l’identità antifascista.

L’autorevole penna di Carlo Casalegno torna più volte a interrogarsi sul rapporto fra cittadini e Istituzioni, fra cittadini e Giustizia. Lo fa anche alla fine del gennaio 1975, sull’onda delle considerazioni per il processo della strage alla Banca dell’Agricoltura, che valgono però il sentimento della Nazione sulle numerose inchieste che si susseguono ormai da tempo in Italia. Leggiamo, con riferimento al neofascismo, che preconcetti, errori e indulgenze hanno consentito a questa minaccia di crescere e di colpire, «pressoché impunita» e che il processo aperto a Catanzaro ben sessantadue mesi dopo la strage di Milano, rende lecito pensare che «cinque anni di ritardo e tante contraddizioni suscitano anche nei cittadini più responsabili sfiducia e velenosi sospetti». Poco dopo, il giornalista aggiunge una considerazione che chiama in causa lo Stato nella sua struttura più profonda, nella sua fondatezza politica. Scrive Casalegno che contro l’eversione nera e i progetti golpisti non bastano i processi, ma si ha bisogno di una risposta politica in grado di «disperdere il gran polverone sollevato negli ultimi mesi e distinguere tra le diverse minacce contro l'ordine civile della Repubblica».

Al terrorismo fascista «criminale e provocatorio» si aggiungono le «cellule sovversive, come le vecchie pattuglie di Borghese o la Rosa dei venti» che però non possono da sole impadronirsi del Paese. Ci sono anche i «partigiani bianchi» da fermare laddove scivolino nell'attività clandestina, ma soprattutto c'è un ulteriore pericolo ed è insito nella «psicosi golpista, o la cieca caccia alle streghe annidate nei “corpi separati”». Il pericolo, secondo il noto giornalista, è che questa psicosi contribuisca al disfacimento dello Stato che si vorrebbe difendere, laddove la Repubblica finirebbe per essere rovesciata non per mano dei golpisti ma per «gli errori, la demagogia o i meschini calcoli elettorali dei politici».397

Questo Stato minacciato nel suo “ordine civile” sta in realtà lavorando alacremente per far luce sulle trame eversive e Brescia è agitata da una svolta importante nelle indagini allorché, il 31 gennaio, è presentata una denuncia alle forze dell’ordine da parte di Luigi Papa.

Questi è padre di Angelino e Raffaele, due giovani che pochi giorni prima sono stati incarcerati per furto e altri reati assieme ad Ermanno Buzzi. L’uomo accusa proprio quest’ultimo di molestia sessuale ai danni di un altro suo figlio, il tredicenne Antonio, e dichiara di aver saputo dal primogenito che il Buzzi è coinvolto nelle attività eversive e nelle bombe del ‘74. La figura di Ermanno Buzzi è una figura particolarmente controversa, tanto che su di lui è stato persino

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pubblicato uno studio dalla rivista di psichiatria “Annali di freniatria e scienze affini”,398

già nel 1971.

Dedito al furto e al recupero (dietro compenso) di opere d’arte, ha sovente contatti con i carabinieri di cui è occasionalmente anche confidente. Se nessuna fonte dubita delle caratteristiche caratteriali e dei comportamenti illeciti del Buzzi, sulla sua attività politica le interpretazioni sono diametralmente opposte. Alcuni giornalisti che ne tracciano il profilo (Achille Lega e Giorgio Santerini, ad esempio) non gli attribuiscono un’appartenenza politica certa tanto da scrivere che «Politicamente è tutto e il contrario di tutto».399 D’altro canto nella sentenza del 1985, poi confermata in via definitiva dalla Cassazione, leggiamo che se è vero che la difesa dell’imputato ha tentato di presentarlo come un mitomane che avrebbe millantato militanze politiche e conoscenze in realtà non rilevanti, è comunque «un dato acquisito che nella gerarchia delle cellule eversive aveva un ruolo non secondario».400

In ogni caso, quella che il giudice Francesco Pagliuca definisce la “piccola squallida corte” del Buzzi, si compone di delinquenti comuni non politicizzati e proprio per il tramite del Buzzi verrebbe in contatto con un gruppuscolo variegato di giovani dell’alta borghesia bresciana militanti dell’estrema destra.

Amicizie comuni e stessi luoghi di frequentazione (celebre la pizzeria “Ariston”), sono l’anello di collegamento fra Buzzi e Angelino Papa da una parte e Silvio e Nando Ferrari dall’altra.

Su questa connessione si reggerà l’impianto dell’istruttoria che lega indissolubilmente la morte di Silvio Ferrari alla strage di Piazza Loggia e dopo lunghi mesi di interrogatori ai membri dei due gruppi, con tanto di confessioni dapprima rilasciate poi ricusate ed infine nuovamente affermate, il 7 luglio 1975 la Corte di’Assise d’Appello di Brescia giungerà all’incriminazione di Buzzi e Nando Ferrari per omicidio volontario aggravato ai danni di Silvio Ferrari401.

In queste lunghe settimane la stampa nazionale segue con attenzione le vicende giudiziarie legate alla strage di Brescia.

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C. Caldera, C. Filippini, G. Pellegrini, A proposito dell’imputabilità di talune persone psicopatiche a radicali

multipli. Un istrionico mistificatore. Il cosiddetto Conte di Blanchery, n. 3, luglio-settembre 1971. Il riferimento al

titolo “conte” nasce dall’acquisto da parte del Buzzi nel 1954 di una patente nobiliare a Napoli.

399 In V. Marchi, La morte in piazza. Vent’anni di indagini, processi e informazione sulla strage di Brescia, Grafo

edizioni, Brescia, 1996, cit. p. 74.

400 Ibidem, cit. p. 75. 401

Per una ricostruzione dettagliata e completa delle vicende legate alla strage di Brescia si veda P. Casamassima,

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In febbraio “L’Unità” rende noto il coinvolgimento del Buzzi nelle indagini sulla bomba di piazza Loggia e il 15 marzo annuncia che forse Angelino Papa sarebbe il materiale esecutore della strage, descrivendolo come “un giovane succubo di un ladruncolo che si autodefinisce neonazista”.