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La storiografia e la memoria oltre le sentenze.

Chiusa la lunga parentesi giudiziaria, la strage di Piazza Fontana sembra destinata a essere soltanto ricordata nel giorno del suo triste anniversario.

Commemorata, sì. Ma sconosciuta ai più giovani e velata di ombre agli occhi dei più maturi.

Nel 2007 l’istituzione con legge del “Giorno della memoria dedicato alle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice”, da celebrarsi ogni anno nella simbolica data del 9 maggio, accende un nuovo interesse per il tema dell’eversione e dello stragismo.

Nello stesso anno la storica Cinzia Venturoli pubblica uno dei primi lavori sul discorso pubblico relativo alle tre stragi di Milano, Brescia e Bologna, passando in rassegna anche le canzoni, il teatro, la didattica scolastica, i luoghi della memoria302.

Gianni Flamini, giornalista, racconta agli italiani lo spettro che per più di trent’anni ha infestato l’Italia tornando sul tema dei poteri invisibili e dell’attentato permanente alla democrazia303

, mentre nel 2008 lo storico Mimmo Franzinelli esce con La sottile linea nera e ricostruisce la violenza quotidiana elevata a modalità politica, gli attentati, le connivenze con gli apparati dello Stato, i

300 P. Sapegno, Dagli anarchici ai neofascisti la memoria senza giustizia, “La Stampa”, 04 maggio 2005, p.5. 301 L. Lanza, Piazza Fontana. La banalità dell’ovvio, “Umanità Nova”, n. 17, 15 maggio 2005.

302 C. Venturoli, Stragi fra memoria e storia. Piazza Fontana, piazza della Loggia, la stazione di Bologna: dal discorso

pubblico all’elaborazione didattica, Bonomo editore, Bologna, 2007.

303 G., Flamini, L’Italia Dei Colpi Di Stato: storie di burattini e di burattinai, di ricatti politici e di micce spente

all'ultimo minuto: nomi, cognomi e amicizie segrete degli uomini che hanno attentato alla Democrazia, Newton

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depistaggi e le ambizioni dell’eversione nera italiana restituendone inoltre il panorama culturale ed ideologico di base.

Nella produzione sulle stragi e la strategia della tensione, il rischio appare sempre quello di scivolare sulle due opposte versioni estremiste: da un lato la dietrologia dei grandi e irrisolvibili misteri e dall’altro l’edulcorante convinzione che non vi sia più nulla da chiarire e spiegare.

Lo storico Miguel Gotor ha parlato a riguardo di “spiegazionisti ad oltranza”, per indicare quanti ritengono che sui terrorismi italiani sia stato tutto scritto e chiarito, contro i fautori della dietrologia per i quali nulla invece è come si manifesta e tutta la storia nazionale altro non sarebbe che un’inestricabile intreccio di interessi e poteri invisibili dove la “vera” storia è quella parallela delle pagine più oscure.

Il giornalista Aldo Cazzullo si è espresso sul tema in suo articolo apparso nel 2009 su “L’Europeo”:

Ieri trame eversive, complotti, manovre; depistaggi, regie uniche, grandi vecchi; stragi di Stato, e colpi di Stato. Oggi l’alternativa pare essere tra il silenzio e il fastidio, tra l’indifferenza e la tendenza a minimizzare, svalutare, negare. [..] Alle sicurezze – granitiche quanto spesso infondate - sul “doppio Stato”, su una storia occulta e parallela a quella ufficiale, sull’esistenza di torbidi collegamenti e collusioni, si è sostituita un’attitudine altrettanto avventata e non meglio motivata, secondo cui non c’è nulla da chiarire, tantomeno nulla di misterioso304

.

Nel quarantennale della strage, il “Corriere della Sera” accende i riflettori su quello che sembra essere l’ultimo falso relativo a Piazza Fontana: «è infatti immorale, prima ancora che falso nella ricostruzione storico-giudiziaria, coltivare il luogo comune di una verità ignota, di una strage senza paternità, di misteri totalmente mai diradati».305

È altresì chiaro che molto va ancora indagato.

Ad esempio, in merito, alle relazioni internazionali degli anni della strategia della tensione, il giornalista Giovanni Fasanella pubblica assieme all’ex giudice Rosario Priore un testo che riporta al centro la questione internazionale, inserendosi in quella narrazione che fa dei “misteri d’Italia” il cardine di ogni interpretazione sugli anni più tormentati della Repubblica. Intrigo internazionale306 interpreta, infatti, le stragi, il terrorismo e la violenza diffusa, alla luce degli interessi sovranazionali di Stati Uniti, Urss, Libia e Germania nel mantenimento di taluni equilibri nel Mediterraneo.

304 A. Cazzullo, Il torto alla storia, in “L’Europeo”, II, novembre 2009, pp. II-2.

305 L. Ferrarella, «Una strage senza colpevoli». L’ultimo falso di Piazza Fontana. I luoghi comuni sull’attentato di 40m

anni fa, in Corriere della Sera, 12 dicembre 2009.

306 G. Fasanella, R. Priore, Intrigo internazionale. Perché la guerra in Italia. Le verità che non si sono mai potute dire,

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In questo periodo anche gli storici prendono la parola: Giovanni De Luna, nel suo La Repubblica

del dolore307, indaga la Prima e la Seconda Repubblica, l’antifascismo, la shoah, il terrorismo e le

foibe, evidenziando l’emergere del paradigma vittimario, l’ambiguità delle leggi sulla Memoria, il ruolo giocato dalla televisione e dalla politica nella costruzione delle memorie collettive e quello degli storici e dei testimoni, sino ai conflitti di memorie veri e propri. L’idea dello storico è che la tracotante necessità di memoria pubblica degli ultimi anni sia espressione di uno Stato sempre meno potente e sempre più in ritirata nei settori nevralgici della sua stessa società, cosicché diventa centrale fondare l’identità statale su memorie condivise di comunità coese: una sorta di politicizzazione del ricordo come compensazione della perdita di potere di uno Stato in crisi di legittimità.

In moltissimi casi, a scrivere sono ex terroristi, vittime, giudici, magistrati, avvocati e giornalisti che hanno seguito i processi degli anni Settanta e oltre, commentando fatti, documenti, risultanze processuali.

Il dibattito pubblico è così in buona parte alimentato dalle ricostruzioni di tipo pubblicistico o attinge copiosamente alle biografie degli “ex” che fornendo la loro interpretazione della stagione delle bombe, raccontano all’opinione pubblica i misteri del Paese.

Questi ultimi sono raccolti in molte pubblicazioni, come ne Il libro che lo Stato italiano non ti

farebbe mai leggere308 e narrano dell’ingiustizia endemica di quest’Italia che si presenta come La

Repubblica delle stragi impunite309, oltre che ripercorrere le Trame310 oscure di numerosi decenni.

C’è anche chi, come Massimiliano Griner, pone in discussione il paradigma stesso della strategia della tensione, ritenendo che l’attentato alla Banca dell’Agricoltura non avrebbe dovuto nelle intenzioni originarie causare morti e quindi facendo venir meno l’idea di un disegno eversivo organizzato e consapevole delle destre per spingere il Paese verso uno Stato d’ordine e autoritario. Griner etichetta come “interpretazione canonica” quella teoria della strategia della tensione che abbiamo incontrato già nell’immediatezza della strage del 12 dicembre, contestandola vivacemente. Eppure, la constatazione dell’autore secondo cui questa visione non è in grado di soddisfare tutti i dubbi, giacché non sarebbe possibile pensare allo Stato come “centro di irradiazione del terrorismo”, non risulta sostenibile. Quello che le inchieste giudiziarie hanno accertato in numerose

307 G. De Luna, La Repubblica del dolore. Le memorie di un’Italia divisa, Feltrinelli, Milano, 2011.

308 G. Flamini, Il libro che lo Stato italiano non ti farebbe mai leggere. Stragi punite e impunite all’ombra dei servizi

segreti, Newton Compton, Milano, 2010

309

F. Imposimato, La Repubblica delle stragi impunite, Newton Compton, Roma, 2012

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sentenze e condanne, non è uno Stato integralmente coinvolto nelle trame eversive, ma certamente uno Stato in cui alcuni uomini delle Istituzioni sono risultati colpevoli di depistaggi e illiceità. Mirco Dondi, del cui testo del 2015 - L’eco del boato - abbiamo fatto ampiamente uso, dedica capillare attenzione all’uso delle parole che uomini delle Istituzioni e mondo dell’informazione hanno utilizzato relativamente agli anni delle stragi.

Perché, come abbiamo già evidenziato, nell’offrire la narrazione pubblica di un evento o di una serie di eventi fra loro connessi, i media finiscono col definire il “passato pubblico” e il “passato per il pubblico”, quello “rilevante”.

Ponendo l’enfasi su determinati fatti decidono ciò che risulta degno di venire ricordato, e nel ricordare, offrono paradigmi interpretativi comuni. I mass media costruiscono quelle “mappe di realtà” in grado di supplire alle nostre mancanze di esperienze dirette e rappresentare così quella “voce degli altri”, necessaria a ciascun individuo per accettare qualcosa come “reale” e “vero”. Zerubavel chiarisce questo concetto quando scrive che rispetto al singolo nella sua unicità, i mass media costituiscono la voce di “un altro mnemonico generalizzato” che guida i processi di socializzazione alla memoria311.

Perché questa voce giunga agli altri c’è ovviamente bisogno di un canale, in cui la voce si faccia racconto. E perché la memoria costruita sul racconto sia una memoria duratura, c’è bisogno che il raccontare sia ripetuto, ravvivato, reiterato, non un evento isolato e decontestualizzato.

L’alone di mistero e l’immagine di uno Stato come buco nero che tutto prende e nulla rende, è una rappresentazione riduttiva e mortificante delle seppur complesse e dolorose vicende dell’Italia Repubblicana.

“Noi sappiamo, dunque”, scrive Gianni Barbacetto a quarantasei anni dalla madre di tutte le stragi312. Il dovere è ora quello di non dimenticare.

311

E. Zerubavel, Mappe del tempo. Memoria collettiva e costruzione sociale del passato, Il Mulino, Bologna, 2005.

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28.05.1974. “Piazza alla Loggia, mattino alle dieci, fine di maggio, fine di tutto…”313