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La strage di Brescia e gli esiti giudiziari.

“La democrazia italiana è uscita vittoriosa da una prova difficile e maligna. Oggi è possibile, con il nostro impegno e la nostra lotta, farla più forte e più salda, farla invincibile.”314

L’appello rivolto ai cittadini bresciani, «perché sia con fermezza colpita ogni trama fascista; perché oltre agli esecutori materiali della violenza siano assegnati alla giustizia i mandanti e i finanziatori»,315 non resta inascoltato.

Con queste parole si è annunciata ai cittadini di Brescia la manifestazione antifascista contro la violenza e il terrorismo che ormai da mesi insanguinano la città e la provincia; una manifestazione fortemente voluta in concomitanza con lo sciopero generale indetto dai sindacati per il 28 maggio 1974.

Il comizio in Piazza Loggia, avviato puntualmente dal sindacalista della Cisl bresciana, Franco Castrezzati, è però interrotto dallo scoppio di una bomba.

Sono da poco passate le dieci del mattino e ai sei corpi senza vita della piazza se ne aggiungeranno due nel volgere di alcuni giorni316, i feriti saranno invece più di cento e a poche ore dalla strage la forza e la dignità di Brescia prenderanno forma nelle parole di un cartello anonimo: «Non si chiamino vittime, ma caduti consapevoli».317

Nella comunicazione pubblica della strage di Brescia è subito chiaro che qualcosa è cambiato rispetto alla comunicazione della strage di Milano di cinque anni prima.

313 A. Baldi (testo e musica), Piazza Loggia, 1974, Nuovo Canzoniere Bresciano, da “Memorie Resistenti”, 2005. 314

Dal manoscritto di Adelio Terraroli, Segretario della Federazione bresciana del PCI all’epoca della strage, gli appunti per il discorso che avrebbe dovuto pronunciare, e che mai pronunciò, dopo il segretario della CISL Franco Castrezzati il 28 maggio 1974 in Piazza Loggia. Il testo integrale è riportato in C. Ghezzi (a cura di), Brescia: Piazza

della Loggia, Ediesse, Roma, 2012, cit. p. 64.

315 Manifesto Cupa (Comitato Unitario Permanente Antifascista), reperibile nel sito www.28maggio74.brescia.it 316 Le prime vittime sono Alberto Trebeschi e Clementina Calzari, Giulietta Banzi, Livia Bottardi, Euplo Natali,

Bartolomeo Talenti. Il 1 giugno morirà Luigi Pinto e il 16 dello stesso mese verrà a mancare Vittorio Zambarda.

317

Cartello anonimo apparso in Piazza della Loggia il 28 maggio 1974, citato in M. Milani, Non vittime, ma caduti

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A essere cambiata è l’Italia stessa e la comprensione a livello giudiziario, politico, mediatico e pubblico, di alcuni nodi cruciali che hanno scosso e continuano a minacciare l’ordine democratico e la vita dei cittadini.

Nel quinquennio di quella che è passata alla storia come l’epoca della “strategia della tensione”, alla bomba di Piazza Fontana è, infatti, seguita una lunga scia di sangue: nel luglio del ‘70 il deragliamento del treno Freccia del Sud nei pressi di Gioia Tauro uccide sei persone; nel ‘72 l’attentato di Peteano provoca la morte di tre carabinieri e il ferimento di altri due; nel ’73 la bomba alla Questura di Milano miete quattro vittime e nel maggio 1974 esplode infine l’ordigno di Brescia. In questo tornante storico gli italiani sono messi a dura prova da una moltitudine di altri eventi violenti e destabilizzanti: la rivolta di Reggio Calabria tra luglio e settembre del ‘70 (3 morti, più di 200 feriti e 426 incriminati per infrazione dell’ordine pubblico318); l’irrompere sulla scena delle Brigate Rosse come prima compiuta organizzazione della lotta armata di sinistra; la notizia, nel 1971, del fallito colpo di Stato del dicembre ’70 ordito dal principe nero Junio Valerio Borghese, e poi, nel 1973, quella dell’esistenza della Rosa dei Venti, una struttura collegata ad un ramo parallelo del Sid e coinvolta in trame eversive.

Il contesto sociale ed economico in cui la strage di Brescia si inserisce è segnato dalla crisi petrolifera del ‘73, dal conseguente aumento dei prezzi delle materie prime e dalla stagnazione che combinata all’inflazione spinge i governi a politiche duramente restrittive. Si riduce il potere di acquisto dei redditi da lavoro e nelle fabbriche si acutizza il malcontento. I sindacati dei settori manifatturieri ad alta intensità di manodopera si scontrano aspramente con le direzioni aziendali. Brescia, per la sua radicata tradizione operaia, si presenta negli anni Sessanta e Settanta come un «laboratorio progettuale di ricerca dell’unità sindacale e di democrazia», in cui «la vastità della mobilitazione dell’“autunno caldo”, l’uso da parte dei lavoratori di originali forme di lotta […], l’asprezza del conflitto, la forza trascinante del movimento dei Consigli, la crescita d’importanza di un sindacato dalla forte inclinazione unitaria e politica»,319 divengono gli assi portanti della questione operaia.

La realtà di fabbrica bresciana è percorsa in questi anni dalla continua denuncia sindacale dell’attività intimidatoria neofascista all’interno degli stabilimenti produttivi.

318 Dati riportati in P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi, Einaudi, Torino, 1989, p.458 319

S. Boffelli, C. Massentini, M. Ugolini, Noi sfileremo in silenzio. I lavoratori a difesa della democrazia dopo la

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Gli episodi di violenza legati al cosiddetto “fascismo in fabbrica” sono così numerosi e capillari da mobilitare il movimento operaio in quella che è stata definita la “vertenza antifascismo”,320 elemento centrale dell’attivismo politico bresciano del periodo.

Persino la stampa nazionale si occupa dell’inserimento ad hoc di neofascisti nelle aziende del territorio. “Il Giorno” e “L’Unità” ne rendono nota già sul finire del 1972 in alcuni articoli dai titoli inequivocabili: “Industriali bresciani cercano di far entrare in fabbrica i teppisti fascisti”,321

“Le aziende arruolano i fascisti di provata fede.”322

Dal punto di vista giudiziario l’eccidio di Piazza Loggia trova una risposta definitiva nella sentenza della Corte di Cassazione del 20 giugno 2017, quarantatré anni dopo la strage. Il dispositivo conferma quanto disposto dalla sentenza della Corte di Assise di Appello di Milano del 22 luglio 2015: la condanna all’ergastolo per gli estremisti di destra Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte, rispettivamente capo fascista di Ordine Nuovo per il Veneto e uomo dei servizi segreti a libro paga col nome in codice di “fonte Tritone”.

La parola “fine” alla quarantennale vicenda giudiziaria ostacolata, come accertato da sentenze passate in giudicato, da depistaggi e reticenze di varia natura, giunge al termine di un iter complesso e che ha visto impegnati costantemente uomini di legge e familiari delle vittime per aprire un varco nella densa coltre di fumo che ha avvolto sin dalle prime ore la “strage politica” per antonomasia. La prima istruttoria è avviata nel giugno ‘74 e sulla base delle accuse mosse al neofascista Ermanno Buzzi da Luigi Papa (secondo il quale Buzzi avrebbe confidato a uno dei figli di aver messo le bombe in Piazza Loggia), si orienta subito sulla pista bresciana.

Dal gennaio 1975 al maggio 1977 si svolge l’istruttoria che termina con la richiesta di rinvio a giudizio, da parte del giudice Domenico Vino, di sedici persone, in buona parte appartenenti alla galassia neofascista.323

Si avviano, l’anno seguente, le 178 udienze che culmineranno nella sentenza della Corte di Assise di Brescia del 2 luglio 1979, dopo sei lunghi giorni di camera di consiglio.

320 Ivi, p. 37. Cfr. R. Cucchini, Relazione, in Piazza Loggia 28 maggio 1974. Una strage fascista, Brescia, Camera del

Lavoro territoriale di Brescia, 1982, cit. p. 15.

321

“L’Unità”, 4 dicembre 1972, p.6.

322 “Il Giorno”, 10 dicembre 1972, p.8.

323 Nello specifico: Ermanno Buzzi, Angelino e Raffaele Papa, Cosimo Giordano, Fernando Ferrari, Arturo Gussago,

Andrea Arcai, Marco De Amici, Pierluigi Pagliai, Ugo Bonati, Ombretta Giacomazzi, Roberto Colzato, Sergio Fusari, Benito Zanigni e Maddalena Lodrini. Di questi, i primi otto sono tutti imputati anche di strage. I restanti, invece, per detenzione e porto d’armi (Pagliai) o per falsa testimonianza. I riferimenti a questa e alle successive istruttorie sono tratti da B. Bardini (a cura di) I percorsi della Giustizia. 34 anni di processi. Piazza Loggia 28 maggio 1974, Casa della Memoria, Brescia, 2008.

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Nella sentenza vengono meno i collegamenti fra i neofascisti e i politici bresciani e degli otto imputati per la strage soltanto Buzzi e Angelino Papa sono condannati (Raffaele Papa è infatti assolto per insufficienza di prove e gli altri imputati con formula piena).

Segue la seconda istruttoria a carico di Ugo Bonati che però sarà assolto nel dicembre 1980 per non aver commesso il fatto.

Il giudizio di secondo grado presso la Corte di Assise d’Appello prende avvio nel novembre dell’anno successivo. Ermanno Buzzi, principale imputato, è già stato assassinato il 13 aprile nel supercarcere di Novara dagli estremisti neri Pierluigi Concutelli e Mario Tuti324.

Con sentenza del 2 marzo 1982 tutti gli imputati sono assolti per non aver commesso il fatto e solo De Amici viene condannato per detenzione di esplosivo e armi.

Contro la sentenza d’Appello è presentato ricorso in Cassazione sia dal Procuratore Generale di Brescia sia dall’unico condannato.

La sentenza del 30 novembre 1983 respinge il ricorso di quest’ultimo mentre rinvia gli altri atti alla Corte d’Assise d’Appello di Venezia: Nando Ferrari, Angelino e Raffaele Papa e lo stesso De Amici, sono accusati di reato di strage.

Il processo si riapre. Di nuovo i neofascisti alla sbarra, ma la sentenza del 19 aprile 1985 assolve tutti. I ricorsi presentati in Cassazione contro la seconda sentenza d’appello non sono accolti dalla suprema corte e la sentenza passa in giudicato il 25 settembre dell’‘87.

Nessun colpevole.

Un copione che si ripete nella storia giudiziaria delle stragi italiane.

Intanto però, nel marzo ’84, si è avviata un’altra istruttoria che, a seguito di una serie di rivelazioni di esponenti della destra carceraria collaboratori di giustizia, ha di nuovo accesso i riflettori su Cesare Ferri, un neofascista che nei primi giorni seguiti alla strage era saltato alla cronaca delle indagini ma senza risultati apprezzabili per l’impianto accusatorio e si era poi reso irreperibile. Solo nella primavera dell’84, dunque, viene emesso mandato di cattura per Ferri, unitamente a Giancarlo Rognoni (leader de “La Fenice”, che abbiamo già incontrato per la strage di Piazza Fontana) e Marco Ballan (leader di “Avanguardia Nazionale” a Milano).

Nel corso dell’istruttoria emergono altri nomi legati all’estrema destra italiana: Fabrizio Zani, Marilisa Macchi, Alessandro Stepanoff, Guido Ciccone e Luciano Benardelli.

324

La condanna a morte di Buzzi era stata annunciata, peraltro, sulla rivista di estrema destra “Quex”, nella rubrica “Ecraser l’infame”.

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Il 23 marzo dell’86 viene chiesto il rinvio a giudizio per strage a carico di Ferri e Stepanoff e il 23 maggio dell’anno successivo, nonostante nelle motivazioni della sentenza si legga che «la massa di indizi è diventata impressionante ed imponente»,325 sono tutti assolti per insufficienza di prove. Il giudizio di secondo grado della Corte d’Assise d’appello di Brescia conferma la sentenza: il 10 marzo 1989 tutti gli imputati sono assolti, e questa volta con formula piena, per non aver commesso il fatto.

Il ricorso del Procuratore Generale di Brescia è ritenuto inammissibile nel novembre dello stesso anno e la strage sembra, come quella di Milano, non poter trovare Giustizia alcuna.

Intanto nel 1986 si era avviata una nuova istruttoria su altri filoni d’indagini, tutti coinvolgenti esponenti del neofascismo oltre che personalità dei servizi e delle forze armate.

Emergono così le prime complicità istituzionali ma il 23 maggio del ‘93 il giudice istruttore Zorzi proscioglie dal reato di strage, per non aver commesso il fatto, Zani, Rognoni, Ballan, Macchi e Benardelli.

Ormai nel segno delle nuove disposizioni del codice di procedura penale, si avvia un’altra indagine preliminare che si avvale delle dichiarazioni dei pentiti Carlo Digilio, Martino Siciliano e Maurizio Tramonte.

Sono nomi legati anche alla vicenda della strage di Piazza Fontana e indirizzano le indagini per Piazza Loggia nella stessa direzione: Ordine Nuovo e Ordine Nero.

Nell’aprile 2007 la Procura della Repubblica chiede il rinvio a giudizio per la strage di Brescia e per omicidio volontario plurimo, a carico di Delfo Zorzi, Maurizio Tramonte e Carlo Maria Maggi. Chiede inoltre il rinvio a giudizio per favoreggiamento (di Zorzi) nei confronti di Gaetano Pecorella, Fausto Maniaci e Martino Siciliano. Qualche mese dopo è notificata la richiesta di rinvio a giudizio anche al generale dei Carabinieri Francesco Delfino, a Pino Rauti e a Gianni Maifredi. Il 16 novembre 2010 la Corte d’assise di Brescia assolve Zorzi, Maggi, Tramonte, Delfino e Rauti in base all’articolo 530 comma 2 (assimilabile alla vecchia formula dell’insufficienza di prove). Nell’aprile 2012 la Corte d’assise d’appello di Brescia si pronuncia in merito al ricorso proposto dall’accusa, assolvendo - questa volta con formula piena - Maggi, Zorzi, Tramonte e il generale dei carabinieri Delfino che due anni prima erano stati assolti con formula dubitativa e condannando le parti civili al rimborso delle spese processuali, indicando però come responsabili della strage tre ordinovisti ormai defunti - Digilio, Buzzi e Soffiati.

Il 21 febbraio 2014 la Corte di Cassazione annulla le assoluzioni di Maggi e Tramonte confermando quelle di Zorzi e Delfino.

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È quindi istruito un nuovo processo d'appello che il 22 luglio 2015 condanna i primi due all’ergastolo. Le motivazioni dell’ultima sentenza, depositate solo il 10 agosto 2016, ricostruiscono dapprima i fatti del 28 maggio e i processi precedenti fornendo un quadro d’insieme in cui l’attività terroristica della destra eversiva assume contorni delineati e specifici, pur riconoscendo la Corte che il processo abbia natura indiziaria. Rispetto a quest’ultimo punto, viene però evidenziato che tale natura non rende inammissibile la pronuncia di un giudizio di colpevolezza, ma richiede che tutti gli elementi, singolarmente posti in esame, siano messi in relazione fra loro a tracciare un disegno complessivo.

Si ricorda che le indagini si sono sviluppate lungo plurimi filoni, in ogni caso «tutti afferenti a militanti o simpatizzanti della destra radicale, anche eversiva»326 e più avanti, dopo aver riproposto i vari gradi di giudizio, le opposizioni e gli appelli, si sottolinea la peculiarità dell’attentato di Piazza Loggia: «il primo ad essere qualificato giuridicamente a norma dell’art. 285 c.p., e dunque come “strage politica”», oltre che ribadire con fermezza come «il peculiare contesto spazio-temporale in cui esso viene realizzato non lascia adito a dubbi sulla sua connotazione e sulla sua matrice»327. Dalla lettura delle motivazioni della sentenza si evince il quadro nel quale l’attentato di Piazza Loggia è inserito dalla Corte:

«Una strage, dunque, maturata nell'identico ambiente incubatorio delle altre stragi che hanno caratterizzato la stagione delle bombe, tra il 1969 ed il 1980, inglobando la strage di piazza Fontana (dicembre 1969) - l'altra grande “incompiuta" della storia giudiziaria italiana, che spesso si intreccia, anche per la comunanza di imputati e fonti probatorie, con quella di Brescia - , la strage della Questura (maggio 1973), la strage dell'Italicus (agosto 1974), la strage di Bologna (agosto 1980) ed i tanti attentati, specie ai treni (estate 1969- aprile 1973), fortunatamente rimasti senza vittime».328

L’analisi pronunciata dalla Corte di Assise si sposa con la ricostruzione storica ormai diffusa sulla stagione delle stragi e ritiene i fatti in esame perfettamente inseriti in «una delle fasi più oscure della vita della Repubblica, fortemente caratterizzata da spinte eversive dell'ordine democratico - cui non

326 Motivazioni della sentenza della Seconda Sezione Penale della Corte di Assise d’appello di Milano del 22 luglio

2015, p. 1.

Il dispositivo della sentenza e le motivazioni della stessa sono disponibili in formato .pdf al sito internet www.28maggio74.brescia.it

327

Ivi, p. 194.

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sono rimaste estranee centrali di potere occulto, anche extranazionali, e parti non insignificanti degli apparati istituzionali, specie militari».329

Una ricostruzione storica che finalmente ha trovato conferma nella verità giudiziaria attesa con caparbietà per oltre quattro decenni, tanto da far dire a Manlio Milani (sopravvissuto alla strage nella quale perse la giovane moglie Livia) che «oggi, con questa conferma degli ergastoli, abbiamo trovato un senso a tutti questi anni d’attesa, siamo finalmente dentro la storia di questo Paese.»330 Una sentenza storica, dunque, che ha trovato una definitiva affermazione con il dispositivo del 20 giugno 2017 rigettante i ricorsi presentati da Maggi e Tramonte all’indomani della condanna all’ergastolo.

2.2. “Barbara strage fascista”. Le prime analisi sulla stampa.

“Il sangue di innocenti è sparso sul selciato a Brescia un’altra strage i fascisti hanno firmato..”331

La tragica serie delle violenze fasciste di questo periodo funge da sfondo alla notizia della strage di Brescia. Una nuova Piazza Fontana, si scrive, e la percezione della portata politica è davvero rilevante per tutta l’opinione pubblica, il cui dibattito si accende attorno al tema delle trame nere in una sorta di continuum temporale che dal ‘69 giunge diretto sino al ‘74.

Nel mondo dell’informazione i cambiamenti avvenuti sono ormai importanti e ai giornalisti è chiaro quello che anni dopo scriverà in proposito Enzo Forcella, cioè, che dopo Piazza Fontana «il rapporto con le autorità costituite non era più attendibile» e «si sarebbe dovuto fare dell’informazione democratica».332

Forti di cinque anni di indagini e di una narrazione pubblica puntellata di vere e proprie “battaglie di carta” (su tutte si pensi a quella relativa all’anarchico Pietro Valpreda), nella primavera del ‘74 gli italiani hanno già letto e discusso dell’esistenza di gruppi eversivi di marca neofascista e riescono a cogliere e a comprendere la possibilità di un collegamento fra le violenze e le stragi degli ultimi cinque anni.

329 Ivi, p. 195.

330 In P. Colaprico, Due ergastoli per una strage, la giustizia mette la parola fine su piazza della Loggia, in “la

Repubblica”, 21 giugno 2017, p. 20.

331 Dalla canzone di Franco Trincale, Brescia, 28 maggio, 1974. 332

E. Forcella in L’Italia in redazione, in “La Stampa”, 7 gennaio 1995, cit. in G. Crainz, Il paese mancato, Donzelli, Roma, 2003, p. 408.

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A poche ore dalla deflagrazione della bomba le testate locali “Il Giornale di Brescia” e “Bresciaoggi”, ma anche il “Corriere d’Informazione” danno alle stampe edizioni straordinarie per raccontare l’orrore consumatosi ai piedi della Torre dell’Orologio.

In queste prime testimonianze leggiamo che la strage è stata preceduta dal ritrovamento di armi e da numerosi arresti e che «tutto questo deve suonare come estremo allarme per l’Italia intera nel tremendo momento che attraversa»333; che ci si trova a vivere fra il «medioevo nero […] gli attentati, le bombe inesplose, la strage di questa mattina: una progressione diabolica» i cui esecutori sono certamente «i boia di marca nazista».334

Incontriamo anche i primi riferimenti all’opinione pubblica, a quella «parte viva e sana del Paese [che] condanna senza attenuanti questi metodi; [che] vuole che le trame eversive siano stroncate», incalzando con una richiesta pressante la classe dirigente e gli esponenti politici perché «superino angusti interessi di parte»335 e si impegnino per garantire sicurezza, progresso sociale e avvenire civile.

Anche l’edizione serale de “La Stampa” racconta l’eccidio di Brescia evidenziando la natura del comizio antifascista nelle parole indignate dell’inviato - «Ancora loro, i fascisti»336

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Il commento a caldo del giornalista insiste in più passaggi su una sorta di “politicità” di questo genere di violenza indiscriminata: prima facendo di Piazza Fontana lo specchio di Piazza Loggia («Uccidere e basta. Era avvenuto così in piazza Fontana, per cui oggi sono in carcere i fascisti Freda e Ventura») poi, asserendo che luogo e circostanza dell’attentato indicano senza dubbio come colpevoli «i terroristi neri», e infine, tracciando una demarcazione qualitativa fra le modalità operative del terrorismo rosso e quelle del terrorismo fascista («la viltà sanguinaria e bestiale, l’odio indiscriminato verso uomini, donne e bimbi è di marca fascista. Le “Brigate rosse”, con le loro imprese criminali, finora hanno scelto personaggi precisi e la loro violenza crudele non ha portato a spargere sangue.»337)

Il 29 maggio la stampa nazionale sembra unanimemente concorde sulla paternità dell’eccidio di Brescia. Scorrendo i titoli delle maggiori e più diffuse testate del Paese è possibile verificare la

333 Bomba in piazza della Loggia. Dodici persone uccise e un centinaio ferite, “Il Giornale di Brescia”, 28 maggio 1974,

prima edizione straordinaria, p.1.

334 Ore 10,12 carneficina in piazza della Loggia, “Bresciaoggi”, 28 maggio 1974, prima edizione straordinaria, p.1. 335 Bomba a Brescia contro un corteo. 5 morti e 60 feriti, “Corriere d’ Informazione”, 28 maggio 1974, prima edizione

straordinaria.

336

Attentato a Brescia Sei morti 50 feriti, “Stampa Sera”, 28 maggio 1974, p.1.

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sostanziale unità di lettura della tragedia: la bomba è descritta inequivocabilmente dagli aggettivi “fascista” e “nera”.338

E se il “Corriere della Sera” è fra i pochi che appaiono più cauti, non manca comunque di ricordare in prima pagina che la bomba è esplosa «Dopo una serie di criminali attentati compiuti da neofascisti».339

Come le altre testate, anche il quotidiano di Via Solferino richiama al triste precedente di Piazza Fontana, aggiungendo tra l’altro una sorta di mea culpa rispetto all’atteggiamento assunto dalla redazione all’indomani della bomba di Milano: «ci dividemmo e fummo incerti» di fronte ad un evento «che oggi appare come l’inizio di un lungo ciclo di violenze».340

In generale, all’indomani dell’attentato di Brescia non si ripete quel gioco di reciproche accuse in