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due L’antidialettica dell’illuminismo

Per l‟eroe prometeico del non-conformismo la rivoluzione si è rivelata dunque una realtà molto meno plasmabile di quanto il machiavellico Francis, l‟apologo della violenza Blanchot,

Thierry-la-Fronde (come Brasillach aveva ribattezzato Maulnier nei giorni del 6 febbraio) e

tutti gli altri loro camarades si fossero sforzati di credere, esagerando il loro cinico tatticismo e la loro sete di sangue per non fare di fronte a Guéhenno e agli intellettuali di «Europe» la magra figura di rivoluzionari della domenica. Se tuttavia non si vuole fare a tutti i costi dei non-conformisti degli illusi o degli ingenui è perché non bisogna dimenticare che tra i testi da loro più apprezzati ci sono Tecnica del colpo di Stato di Malaparte, come abbiamo appena visto, gli studi sulla Rivoluzione francese di Augustin Cochin, il teorico (controrivoluzionario) delle sociétés de pensée rivoluzionarie, e altri testi, a volte ideologicamente molto distanti dai luoghi della loro formazione politica (come Che fare? di

491 Ibid., pp. 9-10.

492 Jean-Pierre Maxence, Oui, l’Insurgé avait raison, «L‟Insurgé», 27 octobre 1937; citato in Etienne de

Montety, Thierry Maulnier. Biographie, cit., p.136. La macchina dell‟autoillusione di «Ordre Nouveau» non è meno potente, se nel suo penultimo numero, quello dell‟agosto del 1938, essa potrà ancora autoproclamarsi «le seul centre révolutionnaire de doctrine et d‟action» (citato in Olivier Dard, Le rendez-vous manqué de relèves

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Lenin), che infaticabilmente li incoraggiano a credere nella fattibilità del loro velleitario progetto. Da tutti questi testi essi avevano imparato che una rivoluzione può partire e riuscire anche da una piccola minoranza, quando la classe politica al potere non è all‟altezza della situazione: esattamente la realtà politica della Francia di quegli anni… “Provvidenzialmente”, essi scelgono come studi di riferimento sulla rivoluzione dei testi in cui riconoscono una perfetta descrizione non solo delle circostanze dell‟epoca attuale ma, guarda caso, anche del ruolo attivo e vincente che essi vorrebbero e potrebbero assumere al suo interno.

Per comprendere quanto i non-conformisti, soprattutto quelli della Jeune Droite, facciano sul serio, basti pensare a cosa avviene all‟inizio del 1933: allo scopo di dare una scossa al processo di formazione delle condizioni di un‟azione rivoluzionaria essi rivolgono le loro forze in direzione di una ricostruzione mimetica della situazione pre-rivoluzionaria descritta da Cochin nei suoi studi su L’Esprit du jacobinisme. In tal senso, essi creano un circolo di studio consacrato all‟opera di Cochin493

e progettano di dotare il Quartiere latino di una serie di laboratori ideologici che, esattamente come le sociétés de pensées di un secolo e mezzo prima, preparassero il terreno all‟avvento della Rivoluzione Ŕ stavolta, quella giusta.

Pour être plus exact, et pour mieux respecter l‟enseignement de notre maître Augustin Cochin, il faut ajouter que ce nom de Société de Pensée ne peut signifier qu‟une allusion historique et dans une certaine mesure une complicité révolutionnaire, car on le pense bien, un tel foyer, un tel cercle serait exactement l‟inverse d‟une Société de pensée, en ce sens que l‟élaboration de la vérité ou de la ligne de conduite ne serait pas subordonné au vote et que nos pensées, nos résolutions y seraient aussi peu libres du réel que possible. Mieux, un tel foyer serait exactement l‟inverse d‟une

Société de pensée parce qu‟il s‟efforcerait de déterminer, à travers des idées révolutionnaires que

la libre imagination inspire aux jeunes intellectuels d‟aujourd‟hui, celles dont l‟utilisation peut être la plus immédiate, celles qui orienteraient la révolution dans un certain sens : celui de plus immédiates et de plus tangibles libertés. On ne peut imaginer de mobile plus prochain pour un cercle révolutionnaire que de préparer et d‟accomplir en face des circonstances communes de nos vies, la révolution494.

Se Cochin avesse saputo si sarebbe rivoltato nella tomba come, a suo stesso avviso, avrebbe fatto Rousseau se avesse saputo dell‟uso che Robespierre fece del suo Contrat

social.495 Il grande merito di Cochin, purtroppo per lui, è non tanto quello di aver fornito il ritratto e di aver spiegato le dinamiche socio-psicologiche dell‟Homo ideologicus del XVIII secolo quanto quello indiretto di aver in tal modo ispirato l‟Homo ideologicus degli anni Trenta del XX secolo. Possiamo pertanto “vendicare” Cochin del cinico machiavellismo usatogli dalla Jeune Droite Ŕ la deformazione della teoria controrivoluzionaria in pratica rivoluzionaria fu l‟unico machiavellismo di cui essa seppe rendersi colpevole Ŕ rovesciando su di essa le analisi della sua sociologia dell‟intellighenzia pre-rivoluzionaria. Nella sua ricostruzione delle cause che portarono alla rottura rivoluzionaria forte è l‟eco del Sorel di Les

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La prima lezione sulla figura dello storico controrivoluzionario è tenuta da André Bellesort, professore al liceo Louis-le-Grand di Brasillach e Maulnier, critico letterario molto vicino alle posizioni di «Action Française» e collaboratore abituale al «Journal des Débats» di Blanchot. Contribuisce di certo ad aumentare l‟interesse nei confronti dell‟opera di Cochin il fascino che il suo personaggio esercita su questi giovani rivoluzionari nazionalisti. Il suo temperamento bellicoso e patriottico lo condurrà verso lo stesso tragico destino di Péguy, la morte sul fronte; e, in generale, non solo la vita (e la morte), ma anche l‟opera storiografica di Cochin è figlia delle inquietudini del suo tempo, come scrive Sergio Romano: «Il suo cattolicesimo e lo sguardo nostalgico che egli getta sulla Francia prerivoluzionaria non sono soltanto una preziosa eredità familiare; sono anche il segno di un tempo che cerca di dare alla propria crisi una risposta spirituale. Il cattolicesimo sociale di Marc Sangnier, il progetto monarchico e regionalista di Maurras, la conversione di Maritain (1906) e quella di Péguy (1908) sono le coordinate di una mappa culturale in cui la storiografia anti-illuminista di Cochin trova la sua naturale collocazione» (Sergio Romano, Attualità di uno storico reazionario, in Augustin Cochin, Lo spirito del

giacobinismo, Milano, Bompiani, 1981, p. 14).

494 Robert Francis, Trois idées révolutionnaires, cit., p. 91.

495«Se i partecipanti avessero potuto prevedere le conseguenze ne sarebbero stati sinceramente inorriditi»: così

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illusions du progrès, altro testo chiave per la formazione dell‟ideologia non-conformista.496

La descrizione sociologica da parte di Sorel e di Cochin delle società di pensiero che precedono e preparano il 1789 è anzi perfettamente coincidente;497 per entrambi, le teorie dei

Philosophes erano soltanto elucubrazioni astratte, materiale per la conversazione brillante più

che vere teorie politiche, e così erano considerate dai nobili che le leggevano e che le apprezzavano esclusivamente nella prospettiva de l’homme d’esprit. Ciò spiega anche la leggerezza con cui la censura passava su queste opere: essa interveniva infatti non se il contenuto del libro era rivoluzionario, ma solo se trattava di questioni pratiche: era più pericolosa una critica alla legge sul grano che una “teoria comunista della società” (ciò che divenne, secondo Sorel, il Contrat social nelle mani di altri lettori). L‟ambito di realizzazione di queste teorie rivoluzionarie era, d‟altronde, l‟universo della chiacchiera:

Che cosa si fa dunque in questo paese? Niente di diverso, dopo tutto, da quel che si fa nel salotto di Madame Geoffrin: si chiacchiera. Ci si ritrova per parlare, non per agire; tutta questa agitazione intellettuale, questo immenso traffico di discorsi, di scritti, di corrispondenze non conduce al minimo inizio di attività, di sforzo reale. Si tratta soltanto di “cooperazione d‟idee”, di “unione per la verità”, di “società di pensiero”.498

Quando ironizza sull‟orgasmo cerebrale che anima le varie associazioni di Union pour la

vérité Cochin non immagina nemmeno a quale sforzo ci costringa per non dimenticare che sta

parlando di altri luoghi rispetto a quelli in cui le proposte dei rivoluzionari non-conformisti venivano promosse e dibattute.499 È nel brodo di coltura di questi innocui templi del vaniloquio, dei salotti del XVIII come di quelli del XX secolo, che può nascere, in vitro, un “mito colto” della violenza rivoluzionaria, germe tanto più virulento quanto più asettico è il laboratorio che lo produce. Le parole di Sergio Romano, evocatrici dell‟esperienza del terrorismo italiano degli anni Settanta Ŕ realtà assolutamente non sovrapponibile, è ovvio, alla vicenda del non-conformismo francese Ŕ ci spiegano dunque il perché dell‟attualità di uno storico reazionario come Cochin. Senza che ciò ci obblighi a condividere i presupposti politici dell‟analisi di Romano, possiamo riportare i termini della sua riflessione, secondo cui la ricerca dello storico francese sulle cause preliminari della rivoluzione sarebbe capace di esplicare anche gli spettri di un suo esito terroristico e integralista (Terrore soltanto verbale e/o letterario, nel caso di Blanchot e della Jeune Droite), pericolo a cui conducono più facilmente i discorsi astratti dei salotti letterari che i propositi concreti del rivoluzionario di professione:

Essa ci consente di capire perché il regime assembleare e i ludi verbali di un movimento libertario possano, attraverso un processo di successive epurazioni, produrre una cellula terrorista, un “partito armato”, un discorso ideologico che si sviluppa su se stesso senza alcun rapporto con l‟esperienza umana, un disegno eversivo che ignora la realtà e cerca di farle violenza. Cochin ci aiuta a comprendere che la violenza è un mito colto, tanto più esplosivo e feroce quanto più tiepida e appartata la serra in cui esso è stato amorevolmente nutrito. E denuncia le follie di una macchina che sopprime la frontiera tra il pubblico e il privato, i pericoli di un mondo in cui il discorso

496 Sorel riporta in questo luogo l‟opinione del conte di Lally, il quale pensava, anche lui, che se Rousseau fosse

stato vivo, sarebbe morto per il dispiacere al secondo mese di Rivoluzione... Cfr. Georges Sorel, Le illusioni del

progresso (1908), Torino, Bollati Boringhieri, 1993, pp. 58-59: «Ogni formula scolastica di politica astratta avrà

lo stesso destino; e, dopo aver divertito i letterati, finirà per fornire giustificazioni a partiti dei quali l‟autore non avrebbe immaginato l‟esistenza».

497 Cfr. Augustin Cochin, I filosofi (conferenza del 1912), in Lo spirito del giacobinismo, cit., pp. 41-55, e

Georges Sorel, Le illusioni del progresso, cit., pp. 43-59.

498 Augustin Cochin, Lo spirito del giacobinismo, cit., p. 45.

499 L‟Union pour la vérité che ospita la serata pubblica in onore dei révolutionnaires non marxistes era, in verità,

un onorevole luogo di dibattito, fondato nel 1893 da Jules Lagneau col nome di Union pour l’action morale, poi diretto da Paul Desjardins (colui che organizzò l‟incontro del 18 febbraio 1933), animatore anche delle Décades

de Pontigny. Una certa ironia (che sembra proprio non voler abbandonare tutta quest‟epoca) fa sì che

l‟associazione che promuove le proposizioni rivoluzionarie, tra gli altri, degli allievi di Maurras, avesse cambiato nome in Union pour la vérité proprio in occasione dell‟impegno prodigato per la difesa di Alfred Dreyfus…

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ideologico invade la vita e non ammette le “cose” come tali, ma chiede ad esse di essere vere e giuste.500

Se l‟universo verbalistico del salotto aristocratico coltiva un “esotismo” della violenza, la dimensione irreale e immaginifica dei progetti di sovversione politica dei Philosophes, lo stesso non vale per la borghesia, che adopera per la lettura di queste stesse opere la sua mentalità pragmatica, cercandovi le possibilità di una loro realizzazione, senza peraltro riuscire a comprendere sino in fondo ciò che esse contengono: teorie politicamente oscure, incoerenti, in quanto scritte più per essere discusse nei salotti che per essere applicate concretamente alla situazione sociopolitica dell‟epoca. Ma è proprio ciò che dovrebbe renderle inattuabili a determinare, secondo Cochin, il successo finale delle società di pensiero e dei progetti politici in esse coltivate e propagandate: la loro astrattezza diventa la loro universalità, l‟applicabilità a qualsiasi realtà sociale dei principi che essi diffondono, la possibilità dunque di corrispondere con altre società di pensiero gemelle, costituire una rete, rafforzarsi sempre più, essere compatti e solidali. Contemporaneamente a questo movimento di espansione è un interiore, organico processo di epurazione, una graduale e lenta “selezione naturale” a rafforzare sempre di più e a isolare l‟ideologia delle società di pensiero; gli spiriti critici sono i primi ad andare via e il gruppo è sempre più privo di contatti con la realtà o con realtà di pensiero differenti dalla propria: «La selezione determina un fenomeno di polarizzazione. Ritrovandosi soli tra loro, i giovani, i vanitosi saranno ancor più distaccati dalla realtà, dal momento che non possono più avvalersi delle obiezioni di uomini solidi ed esperti».501

Se tutto è premeditato strategicamente, non c‟è però nessun vero complotto per raggiungere il potere, in quanto è la realtà stessa nella sua totalità a complottare per la riuscita della Rivoluzione. Tutto si evolve “naturalmente”, o meglio, attraverso un processo “meccanico”, scrive Cochin; paradossalmente, è il razionalismo durkheimiano a cui egli impronta il suo metodo ad alimentare la sua visione realista ma irrazionalistica della storia, espressione di una tradizione antilluministica, controrivoluzionaria che, se non si afferma fatalistica come in Bonald, se afferma di non credere in Dio, nel Destino e nella Storia, non per questo cede al mito prometeico del libero arbitrio:

Non ci furono complotti, ma aggregazione meccanica di una miriade di azioni disperse che andavano tutte nello stesso senso, senza che nessuno l‟avesse voluto o avesse potuto prevedere le ultime conseguenze. Sono stati i francesi a fare la Rivoluzione, essa non si è imposta loro come una decisione di Dio, del Destino o della Storia. I francesi hanno fatto la Rivoluzione, ma non lo sapevano.502

La Rivoluzione può dunque trionfare perché l‟inconsapevolezza irrazionale che essa incarna non è che l‟espressione manifesta di una sotterranea irrazionalità della storia stessa; essa può vincere perché approfitta rocambolescamente dei suoi movimenti inconsulti e non perché ha ammaestrato il cavallo: essa vi resterà in sella, ma solo fino a quando non sarà a sua volta disarcionata.503 Ma, ciò che è più singolare, l‟opportunismo pratico dei rivoluzionari non ha altra fonte né natura rispetto all‟astrattezza dei loro ideali. Se il distacco dalla realtà era

500 Sergio Romano, Attualità di uno storico reazionario, in Augustin Cochin, Lo spirito del giacobinismo, cit., p.

15.

501 Jean Baechler, Prefazione, ibid., p. 24. 502

Ibid., p. 61.

503 Cfr. Gérard Gengembre, La Contre-révolution ou l’Histoire désespérante, Paris, Imago, 1989, p. 198: «Récit

tragique, l‟histoire narre la suite des errements causés par cette rébellion de la raison, vraie déraison. L‟histoire est un mixte de folie, de malheur nécessaire et de force des institutions légitimes. Tout suit une pente tendancielle vers la perfection, même inaperçue par l‟homme. En somme, il faut faire confiance à l‟histoire dans l‟exacte mesure où elle échappe aux hommes. Quand ils croient la faire, ils ne font véritablement rien. Tous leurs actes leur échappent. Ils sont agis. Dans cette aliénation générale, place est faite à l‟action efficiente, dès lors qu‟elle traduit la Providence».

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stato il primo risultato della formazione di questi laboratori di una realtà immaginaria, esso sarà anche il motore del loro successivo funzionamento e la possibilità stessa del loro successo. Era stato proprio il carattere universale e universalmente astratto della loro idea di rivoluzione a incarnare, per gli aderenti al progetto, la fede oscura e illuminante nella sua infallibilità. Cochin, dunque, non solo vede un diabolico rapporto tra insensatezza, infattibilità dei programmi politici giacobini e la loro effettiva realizzazione; in più, la sua lettura della psicologia delle sociétés de pensée ci mostra come sarà proprio la loro irragionevole fede in una rivoluzione irrealizzabile a renderla realizzabile, prima, e poi realizzata. Il successo della Rivoluzione è dovuto proprio alla straordinaria facilità di credere nell‟inverosimile; che sia vero o falso, infatti, l‟indimostrabile è più plausibile del dimostrabile: «Nessuna obiezione

può essere opposta dalla realtà, dal momento che la realtà è assente».504 L‟efficacia della propaganda politica, peraltro, consiste appunto in questo: la sua non-scientificità è il presupposto della sua credibilità. Lo stesso meccanismo spiega, secondo Cochin, il fenomeno della claque, così ben addestrata a credere ciecamente da essere sincera nella sua fede. Abbiamo già osservato come dello sforzo di propaganda con cui i non-conformisti vorrebbero ingannare, a fin di bene, i loro lettori, essi siano le prime vittime, perché sono loro i primi lettori della loro narrazione, loro, gli scrittori, i registi, gli attori e gli spettatori aggiogati alla passione del loro immaginario rivoluzionario.505 Possiamo pertanto tornare alla domanda da cui eravamo partiti, soltanto per affrettarci a ripartirne, senza mancare prima di constatare che, come i cospiratori giacobini, i non-conformisti possono credere nella loro rivoluzione proprio

perché essa è impossibile da dimostrare. E se la rivoluzione, come scrive Blanchot, è

contraria ai fatti, è contraria alla vita, sembra a questo punto davvero difficile continuare a credere nel reale piuttosto che nella verosimiglianza dell‟immaginario.

Così un punto di partenza insignificante e innocente conduce all‟edificazione di una città delle nuvole Ŕ il riferimento ad Aristofane è di Cochin Ŕ non già al di sopra della città reale, ma mescolata a essa, come il virus invade un organismo sano. Una minoranza insignificante composta di personaggi insignificanti si trova in grado di pesare sui destini della maggioranza, ingannandola e manovrandola.506

Il riferimento di Baechler a Cochin, di Cochin ad Aristofane Ŕ «La città delle nuvole è il dato della commedia, non la battuta di un pamphlet. Non è sull‟utopia che insiste il poeta greco, è sulla realtà» Ŕ507 ci invita a riflettere sul senso dell‟esperienza della politica del giovane Blanchot e dei non-conformisti. Come abbiamo già detto, e come Cochin ci permette di ribadire, il loro non è un progetto utopico, ma la progettazione concreta e quotidiana di quella dimensione irreale dal cui interno essi progettano, immaginano, vivono la loro rivoluzione. Se essi avvertono la possibilità di realizzare in tal modo il loro ideale, essi sono degli illusi e degli ingenui esattamente come lo erano tutti i cospiratori pre-rivoluzionari di cui parla Cochin, con l‟unica differenza che, al contrario di questi, essi hanno alle spalle un esempio, concreto e glorioso, del successo di un complotto rivoluzionario. In fondo anche per loro, come per il Kant del Conflitto delle facoltà, la Rivoluzione francese è una prova

empirica, anche se di qualcosa di profondamente diverso: non delle sorti progressive

dell‟umanità, bensì della realizzabilità della loro indimostrabile e noumenica Rivoluzione. Il

504 Cfr. Jean Baechler, Prefazione, in Augustin Cochin, Lo spirito del giacobinismo, cit., p. 24 (il corsivo è mio). 505 Cfr. cosa scrive Emmanuelle Danblon di questo tipico effetto ritorsivo insito nella pratica del genere

propagandistico: «Le discours de propagande est peut-être celui qui semble le plus proche du phénomène collectif de duperie de soi. En effet, le propagandiste à l‟intention réelle de modifier les croyances de l‟auditoire en fonction d‟un désir politique. Il arrive d‟ailleurs, dans ces situations, que les croyances fausses ne soient pas de simples mensonges mais qu‟elle acquièrent la capacité de conduire une communauté ou un groupe entier à

nier l’évidence. […] Il semble y avoir actuellement une propension à pratiquer les attitudes fictionnelles d‟une

façon parfois tellement relâchée que la frontière se brouille entre le réel et le fictionnel» (Emmanuelle Danblon,

La fonction persuasive, cit., pp. 192, 194).

506 Augustin Cochin, Lo spirito del giacobinismo, cit., p. 26. 507

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fatto poi che per metterla in atto essi s‟ispirino al teorico controrivoluzionario più che al cospiratore rivoluzionario, al libro più che all‟evento che esso racconta, questo appartiene alla dimensione immaginaria e letteraria del loro progetto, e ci permette di comprenderla meglio: essi sono dei letterati che vogliono di conseguenza diventare dei rivoluzionari, dei rivoluzionari che pertanto non smettano di essere dei letterati. E se possiamo applicare a loro le teorie di Cochin è perché sono essi stessi che si autocandidano, esplicitamente, a incarnare una versione riveduta e corretta dei Philosophes,508 e lo fanno nella consapevolezza che quella fu l‟unica epoca in cui dei letterati non solo si occuparono di politica, ma se ne impossessarono; l‟unica epoca in cui l‟Intelligenza riuscì a trascendersi e glorificarsi in Violenza rivoluzionaria. Pur non condividendo nulla, ovviamente, del contenuto del loro