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Prima che la rivoluzione diventasse impossibile, essa era stata per alcuni anni, nella retorica da pamphlet del non-conformismo, un‟esigenza necessaria. È alla fine degli anni Venti che cominciano a costruirsi i presupposti ideologici che determineranno, negli anni di punta del non-conformismo, il successo della categoria di “rivoluzione”. Se l‟appello alla giovinezza è ciò che ha reso possibili la retorica e l‟ideologia del non-conformismo, l‟appello alla rivoluzione è ciò che le renderà concrete. L‟esortazione a una rivoluzione spirituale contro il disordine stabilito si affermerà in pochi anni, grazie alla pazienza di una retorica martellante, come la parola d‟ordine del movimento dei non-conformisti. Attorno a questa realtà Ŕ che, come vedremo, è lungi dall‟essere definita in maniera chiara e univoca Ŕ finiscono per coagularsi una serie di esigenze generazionali condivise; l‟appello rivoluzionario non-conformista approfitta strategicamente dell‟indefinitezza del suo messaggio, configurandosi come una rivendicazione abbastanza vaga per poter affascinare e mobilitare il massimo numero di giovani inquietudini per la costituzione di un front commun generazionale contro la senescenza della Francia.328 Bisogna dunque considerare

l‟indeterminatezza sistematica di tale progetto “rivoluzionario” come la prima delle condizioni di possibilità di un incontro tra giovani intellettuali che, pur condividendo la stessa identità generazionale, provengono da ambienti culturali e sono portatori di esigenze decisamente differenti: il gruppo di «Esprit» di Emmanuel Mounier e Georges Izard, nato sotto l‟ala protettrice di Maritain e Berdjaev; il gruppo di Ordre Nouveau, culturalmente il più eterogeneo (in prima linea erano Arnaud Dandieu, studioso di Proust appassionatosi alle ultime tendenze della filosofia tedesca, il suo amico ebreo normalista Robert Aron, il calvinista Denis de Rougemont, il fervente e inquieto cattolico Daniel-Rops) e, per questa ragione, il più disposto a mettersi ideologicamente in gioco. Infine, la Jeune Droite dei fratelli Godmé (Jean Maxence e Robert Francis) e Jean de Fabrègues, formatisi all‟intersezione di Maritain e Maurras; di Thierry Maulnier e Robert Brasillach, normalisti classicisti,

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Jacques Laurent, Histoire égoïste, cit., p. 208.

328 Cfr. Nicolas Kessler, Histoire politique de la Jeune Droite, cit., p. 288n : «On n‟a pas assez souligné le

caractère profondément polysémique de l‟idée de révolution dans le débat idéologique de l‟entre-deux-guerres. Popularisée dans un premier temps par l‟intelligentsia marxiste, reprise dès 1920 par Maritain, déclinée ensuite sur tous les tons par les porte-paroles de la jeune génération, elle est simultanément employée dans des acceptions très différentes : symbole d‟une volonté de rupture radicale pour les uns, expression d‟un rejet de la démocratie parlementaire et de sa logique réformiste pour d‟autres, signe d‟une adhésion au dogme de la lutte des classes pour les plus à gauche, elle a à peu près autant des significations que d‟usages. Le contexte historique contribue également dans une large mesure à en déterminer la portée. Jusqu‟au début des années 30, en effet, seuls les marxistes les plus dogmatiques pouvaient sérieusement croire à la possibilité d‟un processus révolutionnaire en France. Pour les autres Ŕ à commencer par Maulnier, Maxence et Francis Ŕ se dire révolutionnaire ne constituait guère qu‟une attitude négative, un “Front du refus” opposé à l‟ensemble des manifestations d‟un ordre social dont on entendait rejeter en bloc la logique, et ne supposait pas nécessairement une réelle volonté d‟action. Début 1934, les données du problème changent totalement : la crise aidant, l‟idée de révolution, longtemps confinée dans les limbes de l‟imaginaire, fait irruption dans le domaine du possible et se charge au passage d‟un nouveau contenu sémantique».

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maurrassiani per caso più che per vocazione; e di Maurice Blanchot, appena arrivato da Strasburgo, un po‟ in ritardo rispetto agli altri.

È dunque proprio dalla nozione di rivoluzione che bisogna partire per comprendere la specificità dell‟opzione politica e culturale proposta da Blanchot e dai non-conformisti in questi anni. Tale idea resta significativa, pur nel suo carattere problematico, velleitario,

impossibile; il suo fallimento stesso partecipa di una struttura di senso che bisogna interrogare

nella sua integralità, valorizzando cioè il significato intrinseco nell‟impossibilità stessa della sua realizzazione concreta.329 Se infatti un anelito rivoluzionario resisterà a lungo nel loro discorso, pur senza trovare dei caratteri precisi e definitivi, è proprio perché in questa aspirazione irraggiungibile essi disegnano la propria identità, distinguendosi da tutte le altre opzioni politiche allora in gioco, in un rifiuto violento, integrale, integralista del mondo circostante.330 Se dunque è difficile dotare di un significato definito l‟appello alla rivoluzione lanciato dal non-conformismo, è perché il senso di tale appello è, ancora una volta, valido come elemento di differenziazione generazionale, e funziona da catalizzatore delle esigenze politiche dei giovani più in un senso “negativo”, di opposizione indifferenziata alla politica dell‟epoca, che come costruzione positiva di una dottrina sovversiva dell‟ordine esistente.

Anche in tal senso si spiega, ad esempio, la violenza insistita della loro propaganda antiparlamentarista, uno dei cardini del messaggio politico del non-conformismo. Al di là delle numerosi “fonti” storiche che potremmo addurre per motivare tale atteggiamento ideologico (la Controrivoluzione, Maurras, ma anche George Sorel e la tradizione anarchico- socialista francese),331 esso è innanzitutto la logica evoluzione di una propaganda generazionale,332 per cui il torto maggiore del parlamento sembra essere la sua ormai troppo

329 In tal senso condividiamo la lettera, ma assolutamente non lo spirito, dell‟interpretazione di Olivier Dard:

«L‟impasse des “non-conformistes” est enfin le signe d‟une absence de projet commun. Le non-conformisme n‟existe pas, sauf à traduire des refus et un mal de vivre dans une société abhorrée. Cela ne fait pas un projet constructif» (Olivier Dard, Le rendez-vous manqué des relèves des années 30, cit., p. 271). L‟interesse dello studioso deve tematizzare e approfondire proprio la mancanza di un progetto costruttivo, di un contenuto positivo del non-conformismo: rendere presente il contenuto assente, invece che arrestarsi alla constatazione della sua irrealizzabilità.

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L‟appello a un‟attitudine politica intransigente e rivoluzionaria è ciò che li distingue, innanzitutto, dai loro coetanei della generazione realista, portatori invece di un messaggio di carattere maggiormente “riformista” (e proprio grazie a tale approccio, probabilmente, più capaci di entrare in comunicazione con la società politica dell‟epoca e avere riscontri e risultati concreti per i loro obiettivi). Per comprendere quanto tale radicale distanza di temperamento fosse avvertita all‟epoca, e fosse diventata motivo primario di polemica e propaganda ideologica, cfr. la recensione che la rivista «Pamphlet», fondata da Alfred Fabre-Luce e Pierre Dominique, propone di Jeune Europe di Alexandre Marc e René Dupuis, uno dei testi fondativi dell‟immagine del non-

conformisme: «Il est trop facile de dire que des groupes nouveaux et parce qu‟ils portent un nom nouveau sont

originaux et non conformistes, tandis que des hommes qui se contentent d‟une vieille étiquette à laquelle ils accolent le préfixe “néo” ou “jeune” sont “fidèles à l‟ordre établi”. Il est peut-être plus adroit de pénétrer dans la maison, de s‟y installer et de l‟occuper peu à peu toute entière que de camper dans la cour, sous la pluie, en discourant devant les fenêtres closes» (citato ibid., p. 170).

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Per quanto riguarda invece la coniugazione letteraria dell‟antiparlamentarismo in Francia, cfr. Jean Estèbe, Le

parlamentaire, in Jean-François Sirinelli (a cura di), Histoire des droites en France, cit., v. II, pp. 325 et ss.

Flaubert, Alphonse Daudet, Lemaître e, ovviamente, il Barrès dei Déracinés sono i responsabili della nascita dello stereotipo letterario del parlamentare mediocre, eterodiretto, egoista, corrotto. Soprattutto a destra l‟antiparlamentarismo trionfa, per la coerenza rigorosa del suo immaginario e l‟imparzialità con cui esso viene applicato a tutto lo spettro della politica francese; ma fino alla Grande Guerra esso non si consolida in una rappresentazione collettiva, restando soltanto l‟argomento di una certa élite culturale. Solo in seguito esso diventerà un luogo comune di massa, anche grazie allo sviluppo delle leghe e della stampa di destra.

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Anche se esso finirà per diventare un banale cliché, condiviso dalla maggior parte della società francese, al di là dell‟universo non-conformista. La responsabilità della crisi politica in Francia, dell‟indebolimento del suo regime democratico, sono da ricercare anche in questo clima di odio parossistico per le istituzioni parlamentari, che raggiungerà le sue estreme conseguenze nel febbraio 1934. Non solo le riviste dell‟estremismo non- conformista, ma la maggior parte dei giornali avvelenava il clima politico con un violento e insistito antiparlamentarismo; cfr. Claude Bellanger, Louis Charlet e Jacques Godechot, Histoire générale de la presse

française, tome III, De 1871 à 1940, Paris, PUF, 1972, p. 484: «Le 6 février 1934 ne peut se comprendre sans

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lunga storia: la democrazia parlamentare è in crisi perché è vecchia più di un secolo e non regge più il confronto con altri regimi Ŕ come le dittature fasciste, o anche il comunismo sovietico Ŕ più “affascinanti”, perché espressione di una gioventù rivoluzionaria in ascesa. Paradossalmente, la Francia e l‟Inghilterra, i popoli che hanno vinto la guerra, i paesi politicamente più stabili, sono quelli più in pericolo, perché la vittoria delle loro istituzioni senescenti impedisce una “crisi” politica e spirituale che sia risolutiva di quella stagnazione epocale da cui Russia, Italia, Germania sono usciti grazie alle loro gioventù non- conformiste.333 L‟antiparlamentarismo è dunque un diretto corollario dell‟appello alla gioventù lanciato dal non-conformismo, che non può che identificare nella tradizione repubblicana francese la causa dei mali politici dell‟epoca. L‟ideologia non-conformista resta dunque rigorosa nella sua critica delle istituzioni parlamentari.334 E tuttavia l‟idea di jeunesse, proprio perché è la categoria più generale, quella che in maniera più essenziale ne incarna lo spirito di contestazione epocale, riesce infine a varcare i confini del non-conformismo ed entrare in Parlamento, in uno dei pochi episodi di vita veramente “pubblica” di un movimento che resterà, per la maggior parte della sua storia, del tutto autoreferenziale. L‟appello a un

rajeunissement de la politique diventerà, paradossalmente, uno slogan scandito in Parlamento,

una rivendicazione sentita da alcuni uomini politici particolarmente illuminati, come, tra gli altri, i radicali Pierre d‟Exideuil, Henri de Jouvenel, Pierre Cot, che non esiteranno ad associare la loro penna a quella di giovani esponenti di una cultura critica più o meno estrema, o addirittura antiparlamentarista, come Daniel-Rops, Maulnier, Maxence,….335 Il non- conformismo trionfa così a casa del suo nemico; ma in tal modo esso finisce per conformarsi, perdendo buona parte del suo potere critico e della sua valenza contestataria. Se dunque esso, con il suo appello al ringiovanimento della politica, contribuisce a informare l‟opinione pubblica di un elemento di dibattito nazionale, lo fa a scapito della sua integrità ideologica, rischiando di finire aggiogato a quella realtà che sino a quel momento ha combattuto. Nella sua recensione per il «Journal des Débats» di Le rajeunissement de la politique, Blanchot svela i rischi di questa inevitabile dialettica, criticando il tentativo di Pierre Cot di tradurre lo sforzo di rinnovamento totale che la giovane generazione propone in un‟esigenza di riformismo che cerchi di salvare ciò che deve essere combattuto, la causa stessa del male che bisogna eliminare:

Sans doute, dans le livre que nous signalons, le rajeunissement de la politique exprime surtout une nécessité, le besoin de rompre avec les explications conventionnelles, les formules toutes faites, les cadres ordinaires de l‟action politique. Il nous semble que M. Pierre Cot se trompe, lorsque, dans le même livre, il ébauche « un plan de rajeunissement à l‟usage du parti radical-socialiste ». […] Nous croyons que M. Cot se fait des illusions. Si la politique a besoin d‟être rajeunie, c‟est qu‟elle est accaparée par les idées dont il tente l‟émouvant sauvetage, et par d‟autres du même genre. Toutes ces anciennes erreurs, ces programmes qu‟épuisent les vieilles formules, ces

journaux». I moti del 6 febbraio, in effetti, furono il risultato di una violenta campagna di stampa effettuata, in primo luogo, da «Action française».

333 Cfr. René Dupuis e Alexandre Marc, Jeune Europe, cit., pp. 179-214 e, nello stesso senso, la risposta di

Fabrègues all‟inchiesta sulla Jeunesse française devant l’Allemagne nouvelle della «Revue du Siècle», 5 mai 1933, (2), p. 7: «La France n‟est plus contemporaine des nations qui l‟entourent et qui la menacent. Tel est le fait. Elle souffre d‟une carence aigue de la jeunesse. C‟est pourquoi le problème de son destin se confond avec le problème de notre génération».

334 Anche se è doveroso distinguere tra l‟antiparlamentarismo sistematico di Ordre Nouveau e la Jeune Droite

post-maurrassiana Ŕ per la quale la questione era anzi talmente scontata da non essere nemmeno luogo di discussione nei loro scritti polemici e pamphlettistici Ŕ e quello soltanto contingente di Esprit, critico delle istituzioni esistenti, del democratismo liberal-parlamentare, ma non di un‟idealità democratica originaria: «C‟est contre cette démocratie que nous sommes démocrates, si nous entendons par démocratie, avec plusieurs de ses fondateurs, le régime par excellence de la responsabilité personnelle», scriverà Mounier nel gennaio del 1935 (quando, in verità, la posizione politica di «Esprit» è già parecchio evoluta); cfr. Emmanuel Mounier, Révolution

communautaire, in Refaire la Renaissance, cit., p. 107. Cfr., in generale su questo tema, Jean-Louis Loubet del

Bayle, Les non-conformistes des années 30, cit., pp. 215-234.

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combinaisons de mots fatigués ne représentent plus guère, pour les générations nouvelles, que des ambitions tenaces et des intérêts persévérants. Si jamais une réaction de jeunesse devient nécessaire, il y a vraiment bien peu de chances pour qu‟elle se produise en faveur du radicalisme sénatorial et du jacobinisme sectaire.336

Denunciando il tentativo di corruzione che l‟idea di giovinezza sta subendo, denunciando ciò che Péguy avrebbe definito il processo di degradazione della mistica della giovinezza in una politica della giovinezza, Blanchot dimostra in questo luogo l‟integralismo “incorruttibile” che instancabilmente contraddistingue la sua radicale coniugazione dell‟ideologia non-conformista e attesta categoricamente l‟impraticabilità di una coniugazione in chiave parlamentare di una dottrina allergica ai compromessi che tale scelta comporterebbe. La rivoluzione resta pertanto l‟unica strada percorribile per l‟ideologia non-conformista, proprio perché la sua impossibilità pratica salvaguarda l‟unica possibilità per loro di vederla effettivamente realizzata, e cioè la sua incontaminata purezza.

Tornando al tema dell‟origine di tale potente (e impotente) propaganda rivoluzionaria, notiamo come il catalizzarsi delle rivendicazioni generazionali del non-conformismo attorno all‟idea di rivoluzione era stata causata da una generale “politicizzazione” dell‟epoca, dovuta a una serie di ragioni, economiche, sociali, culturali.337 Tutto ciò è possibile, all‟inizio degli anni Trenta, perché un deciso cambiamento di atmosfera ha avuto luogo, rispetto al primo dopoguerra: anni caratterizzati da un‟urgenza di vita, di pascaliano divertissement, di disimpegno, dopo le tragedie e le ristrettezza degli anni di guerra; anni caratterizzati però da un‟inquietudine profonda, che l‟ostentazione di una disperata spensieratezza rivela più che nascondere. La fine degli anni Venti si scoprirà invece, finalmente, nell‟espressione divenuta celebre grazie a Brasillach, come il compimento della fin de l’après-guerre. Un nuovo spirito costruttivo sembra sostituirsi all‟inquietudine che era stata la divisa dei primi anni del dopoguerra. Questa, almeno, è l‟opinione di Benjamin Crémieux, che nel 1931 pubblica una raccolta di studi sulla letteratura degli anni Venti, in cui Inquiétude et Réconstruction sono rispettivamente il punto di partenza e il punto di arrivo (ancora da raggiungere) della cultura francese di questi anni. Il libro di Crémieux è una delle ricostruzioni più accurate del temperamento letterario degli anni Venti, e pertanto ebbe un grande successo, forse proprio perché concilia una severa analisi del passato con un finale ottimistico, propositivo, che sprona la cultura letteraria stessa a scrivere questo lieto fine.338 O forse perché, di nuovo, è l‟applicazione di una chiave di lettura generazionale ad affermarsi come metodologicamente vincente, particolarmente adatta a descrivere la realtà letteraria dell‟epoca.339

Ad ogni modo, il riferimento allo studio di Crémieux ci permette innanzitutto di comprendere come tale movimento epocale che tenta di trasformare una paralizzante inquietudine in un‟urgenza morale di ricostruzione, sia nato in seno alla letteratura, che lì si sia sviluppato, fino a farsi consapevole di essere una questione non tanto di poetica, quanto di politica. Ciò non è sorprendente, in Francia: ci risparmiamo la dimostrazione di come la letteratura sia stata, in questo paese, il terreno di coltura di tutte le dottrine, le ideologie e le pratiche che per diversi secoli si sono affacciate, alternandosi o combattendosi, sulla scena della politica francese. Sarebbe molto complicato smentire una convinzione talmente poco contestabile da essersi quasi trasformata in un cliché della storia delle idee francese; anche se, ovviamente, non sarà

336 Maurice Blanchot, Le rajeunissement de la politique, «Journal des Débats», 2 mai 1932, p. 1. 337

Su cui si sofferma Jean-Louis Loubet del Bayle, Les non-conformistes des années 30, cit., pp. 13-35.

338 Cfr. Benjamin Crémieux, Inquiétude et reconstruction, cit., pp. 257-258: «Vitalité et conscience, tout

dominer, mais ne rien rejeter, telle pourrait être la devise de demain. Il est puéril de croire que le monde est devenu fou, qu‟il court à sa perte. Il s‟organise et, dans son organisation nouvelle, il faudra bien que les lois fondamentales de la vie spirituelle soient respectées».

339 Nella sua Histoire de dix ans, Maxence si riferisce proprio a Crémieux e a un suo articolo del 1926 per

«Europe», per testimoniare della vera e propria “moda” sorta in quegli anni attorno alla categoria di “generazione”. Cfr. Jean Maxence, Histoire de dix ans, cit., pp. 53-56.

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inutile approfondire il tema di un‟“origine letteraria” della politica, che è anzi centrale ai fini del nostro lavoro, e nel corso di esso ci sarà sicuramente l‟occasione di farlo.

La letteratura degli anni Venti è stata il palcoscenico di un‟inquietudine profonda, nel senso che, mettendola in scena, le ha dato la possibilità non solo di manifestarsi, ma di farlo in maniera teatrale, esasperata. Essendone il mezzo di espressione, la letteratura diventa, a un certo momento, il materiale stesso di questa attitudine epocale, di un cerebrale amletismo, di un morboso psicopatologismo, di un rifiuto assoluto del reale, di un immoralismo scandaloso, di un esotismo di evasione, di tutte le varianti di tale irrequieta inquietudine.340 La letteratura non solo la esprime, non solo la amplifica, ma esprimendola e amplificandola essa finisce per riprodurla in vitro, facendo a meno della realtà psicologica che sinora l‟aveva sostenuta, autogenerando i propri stessi mostri: «L‟inquiétude en littérature est devenue, par stérilité, une inquiétude littéraire».341 L‟inquietudine che “sinceramente” animava gli spiriti letterariamente più ispirati del dopoguerra diventa accademismo piccolo-borghese, espressione non di una profonda angoscia esistenziale ma di un pessimismo dilettantesco e fine a se stesso. Tali accuse, rivolte agli epigoni di Gide, Proust, ai superficiali lettori di Freud, non può però che condurre la nuova generazione a rifiutare anche questi grandi maestri. Abbiamo visto il destino di declino a cui il successo stesso della sua letteratura ha condannato Gide. Il suo è un classico esempio di autore “ribelle”, le cui ondate di scandalosa ribellione vengono pian piano riassorbite da un più ampio movimento di risacca della cultura dell‟epoca, che ne fa un inerme idolo, e della sua letteratura un libro di ricette per emuli insopportabili. La letteratura di Gide, ripresa da mille altri, impesta l‟aria; alcune tendenze della sua opera, ingigantite, diventano un macigno impossibile da sopportare. È per questo che molti in questo periodo attaccano in Gide tutto ciò che la sua opera ha prodotto, anche involontariamente. Se il gidisme vale meno dell‟uomo e dello scrittore che l‟hanno ispirato, e la cui opera durerà a lungo, la ribellione contro Gide ha in questo momento un preciso senso storico: contro il simbolo dello psicologismo, per una nuova letteratura combattiva, concretamente rivolta al mondo. Gide, a