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quattro La necessaria rivoluzione (dell’)impossibile

Le polemiche con la sinistra intellettuale rappresentano in questi anni per i non- conformisti, prima ancora che una maniera per farsi conoscere pubblicamente, un modo per formare la propria proposta politica nell‟esercizio quotidiano del dibattito, affinché essa resista alla dura battaglia ideologica in corso nella Francia dei primi anni Trenta. È importante, dunque, tematizzare con cura il contesto in cui la propaganda rivoluzionaria del non-conformismo svolge il suo compito, quello di cercarsi uno spazio vitale, una visibilità, nel dialogo e nello scontro con le opzioni culturali e politiche preesistenti. Solo in questo modo si può comprendere in maniera più precisa il significato epocale che la proposta politica del non-conformismo incarna. Abbiamo cercato di mostrare come non ci si possa limitare a considerarla semplicemente come una “deriva”, a destra o a sinistra, di concezioni politiche già esistenti, ma come occorra pensare a essa come a una visione del mondo autonoma che, in una prospettiva storica determinata, approfitta della polisemia consustanziale a una serie di idee filosofiche e politiche Ŕ rivoluzione, spirito, persona,… Ŕ per appropriarsene e risignificarle. E tuttavia bisogna considerare come, nel momento stesso in cui queste idee vengono riproposte, con una nuova e rivoluzionaria accezione, esse restano radicate nella loro propria storia; e gli stessi protagonisti di questa rivoluzione “semantica” dell‟idea di

rivoluzione sono i primi a essere consapevoli delle conseguenze del gesto politico che

compiono nel momento in cui, rinnovando il senso di una singola idea, finiscono per riconfigurare un intero universo culturale. Come abbiamo già avuto modo di vedere, analizzando l‟universo delle riviste in cui il temperamento non-conformista scopre il suo

habitat naturale, un‟ideologia s‟incarna immediatamente in una strategia, in una dimensione

386 Ad esempio, l‟esperienza controversa del circolo neotomista di Meudon, in cui il tentativo di Maritain e

Massis di fare proseliti tra gli esponenti della letteratura di questi années folles, come Jean Cocteau e Maurice Sachs, di convertire in fervore cattolico il loro estetismo annoiato, che proprio nella religione ricerca nuovi eccitanti, è un esperimento intellettuale interessante, ma non privo di complicazioni e di situazioni imbarazzanti.

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relazionale, pubblica, e non si può pretendere dunque di analizzarla come se si fosse formata in un universo astratto e “robinsoniano”.

Il messaggio rivoluzionario dei non-conformisti prende forma all‟inizio degli anni Trenta in una spietata concorrenza con la soltanto omonima “rivoluzione” professata dal marxismo francese, anche se fu proprio in collaborazione con esso che il progetto di rinnovamento da loro proposto poté conquistarsi una certa, relativa, visibilità (proprio a scapito dei rivoluzionari marxisti). Nel 1932, Jean Paulhan, in seguito alla lettura di un articolo di Rougemont, ebbe l‟idea di affidare proprio a lui l‟organizzazione di un Cahier de

revendications in cui venissero affermate le ragioni della Cause commune (questo il titolo

dell‟articolo di Rougemont) delle diverse correnti delle giovani leve rivoluzionarie. Il numero di dicembre 1932 della “N.R.F.” rese pubblico e tangibile il progetto politico della gioventù non-conformista e diede autorevolezza alla loro proposta di una rivoluzione spirituale. L‟organizzazione del Cahier de revendications da parte di Rougemont fu, in tal senso, un capolavoro di strategia comunicativa. Collocati prima dei rappresentanti di Ordre Nouveau,

Esprit e della Jeune Droite, gli interventi dei marxisti Paul Nizan e Henri Lefebvre svolsero la

funzione di dare una allure vividamente e materialmente rivoluzionaria a tutto il Cahier. Solo grazie a tale “legittimazione” Maulnier potrà scrivere, poche pagine sotto: “D‟être spirituelle, cette révolution n‟est donc pas verbale, mais au contraire plus totale, plus dure, peut-être plus sanglante”.387 Poco male, in fondo, se ciò che accomuna la causa dei marxisti e dei non- conformisti sia esclusivamente una logica di rifiuto totale della società politica francese, così ben espressa dal categorico ni rien di Nizan,388 che non lascia adito a dubbi sull‟intransigenza di questi giovani dissidenti nei confronti dell‟integralità delle manifestazioni della vecchia società politica francese.

Rougemont avrà vita facile, nell‟intervento che, concludendo il Cahier, ne tira le somme, a mettere fuori gioco le categorie rivoluzionarie marxiste. In comune c‟è la lotta al capitalismo, al fascismo, alla mistica della nazione e della Società delle Nazioni, al primato dell‟individualismo e del pensiero borghese; ma la rivoluzione spirituale va più in là del marxismo, perché non vuole salvare una sola classe ma l‟uomo minacciato nella sua integrale personalità. Il marxismo è solo una falsa strada, un altro vicolo cieco: «Comment penser Ŕ si “penser” est inséparable d‟une action Ŕ entre une bourgeoisie déchue et un marxisme faux ? Il reste à faire la révolution».389 È pertanto palese quanto, nell‟economia del Cahier, la presenza dei marxisti sia meramente strumentale all‟affermazione di un‟idea di rivoluzione che è decisamente diversa da quella da essi professata;390 e Rougemont non aspetta la fine del numero per mettere in chiaro quanto la causa comune non sia poi comune proprio a tutti.391 Dal canto suo, Nizan non aspetta un mese per protestare, piccato, contro quella che si potrebbe definire un‟“imboscata”, e nel numero di gennaio 1933 di «Europe» già si dissocia dal Front unique a cui egli aveva aderito e denuncia la pericolosità del reazionarismo

387 Thierry Maulnier, Révolution totale, in Cahier de revendications, cit., p. 820. 388

Cfr. Paul Nizan, Les conséquences du refus, ibid., p. 806 (già citato in Appunti alla ricerca di un metodo, p. 5).

389 Denis de Rougemont, À prendre ou à tuer, in Cahier de revendications, cit., pp. 839-840. 390

Lo stesso atteggiamento strumentale da parte di Rougemont è all‟opera anche nei confronti del gruppo di «Esprit». Presentando l‟intervento di Georges Izard, Rougemont scrive «Tel est le principe du régionalisme que le groupe Esprit (reprenant le vocabulaire de l‟Ordre Nouveau) utilise comme base d‟action» (ibid., p. 827). Rougemont ci tiene a sottolineare il primato teorico del suo movimento e finisce così per svelare il piano strategico di tutto il Cahier; Michel Trebitsch ha sottolineato come esso rappresenti per Rougemont il tentativo, nemmeno tanto velato, di imporre Ordre Nouveau come movimento catalizzatore e guida di tutte le istanze rivoluzionarie della giovane Francia degli anni Trenta. Cfr. Michel Trebitsch, Le front commun de la jeunesse

intellectuelle. Le "Cahier de revendications" de décembre 1932, cit., pp. 216 et ss..

391 «Ce concert de refus n‟avait rien d‟harmonieux», scriverà Rougemont qualche tempo dopo; cfr. Denis de

Rougemont, Politique de la personne, cit., p. 160. Anche Robert Francis, appena un mese dopo la pubblicazione del Cahier, afferma che questo non presenta «qu‟un seul mérite, montrer que tous les jeunes écrivains envisagent aujourd‟hui des solutions révolutionnaires» (Robert Francis, Trois idées révolutionnaires, «Revue Française», janvier 1933, XXVIII (1), p. 103).

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borghese che si nasconde sotto la bandiera della rivoluzione: «Qu‟on ne dise pas que ces groupes ne sont rien, qu‟on perd son temps à le combattre: petit fasciste peut grandir».392 Il compito più urgente dei non-conformisti diventa dunque quello di smarcarsi dall‟accusa di spiritualismo reazionario di cui la stampa di sinistra dell‟epoca li accusa393

. Un‟ulteriore occasione di ribadire tale concezione totale della rivoluzione Ŕ non solo materiale, non solo spirituale Ŕ sarà la serata pubblica che Union pour la vérité organizzerà il 18 febbraio 1933 per coloro che vengono definiti i “révolutionnaires non-marxistes”: ormai i non-conformisti si sono affermati come alternativa rivoluzionaria al marxismo. Nel numero speciale di aprile 1933 della «Revue française» che raccoglie i risultati di tale dibattito, Maurice Blanchot presenta il suo intervento su Le marxisme contre la révolution: proprio in questo testo possiamo riconoscere, sin dal titolo, uno dei luoghi in cui lo smarcamento dell‟idea di rivoluzione dal marxismo all‟ideologia non-conformista si afferma con maggior forza teorica e linguistica. La prospettiva del nostro lavoro quasi ci impone di considerare questo testo come tappa fondamentale del nostro percorso, sia perché ci permette di misurarci con uno dei luoghi più importanti della giovanile scrittura blanchotiana, sia perché si tratta in generale di uno dei contributi teorici più interessanti dell‟epoca, uno dei più rappresentativi dell‟ideologia rivoluzionaria non-conformista. Come abbiamo cercato e cercheremo ancora di mostrare, infatti, la scrittura di Blanchot s‟inserisce coerentemente nel più ampio discorso generazionale che abbiamo sinora analizzato; essa riprende e sviluppa personalmente una serie di temi che abbiamo già incontrato, nel discorso di Daniel-Rops, Maxence, Maulnier, Dandieu e Aron, e la potente idea di rivoluzione in cui culmina il suo intervento è dunque il risultato di una riflessione politica e filosofica che impegnava in quel periodo, assieme a lui, un‟intera schiera di giovani intellettuali dissidenti. Ed è lo stesso Blanchot a riconoscere il carattere collettivo e generazionale di un‟inquietudine dissidente, della quale egli si fa portavoce, sin dall‟incipit del suo testo, e in nome della quale egli si fa contestatore di chi, sottovalutando la pericolosità della crisi, o preferendo per paura il male alla necessaria violenza del rimedio, nega la legittimità, la necessità, l‟urgenza di una soluzione radicale:

Un certain nombre de jeunes écrivains ayant constaté que le monde actuel est uni avec force à son désordre et qu‟il entraînera notre ruine si nous ne préparons pas sa destruction, quelques esprits ont manifesté leur désapprobation et leur inquiétude. Ils ne veulent pas croire que le mal soit si profond qu‟il faille renoncer au corps qui le nourrit. Réaction attendue. […] Il y a aussi d‟autres raisons pour hésiter à parler de révolution et de refus. Elles paraissent si fortes à quelques uns qu‟après avoir rejeté par un refus supérieur ce refus insuffisant, ils se déclarent avec décision pour le consentement et pour l‟acceptation. C‟est en particulier le cas de R. Garric qui vient de consacrer à ce sujet un article de la Revue des Jeunes. C‟est aussi le sentiment de ceux qui ne pensent pas que le monde soit aujourd‟hui troublé si profondément ou qui pensent que la violence ne peut s‟opposer à l‟anarchie dont elle est une idole. Raisons tellement fortes et tellement vaines

392 Paul Nizan, Sur un certain front unique, «Europe», janvier 1933, (121), p. 140.

393 Soprattutto attraverso la penna di Jean Guéhenno, il quale, già nell‟agosto 1932, dalle pagine di «Europe»,

ironizzava su «la bésogne révolutionnaire de l‟esprit» e premuniva riguardo La contre-révolution organizzata da Daniel-Rops, Maulnier e soci (cfr. Jean Guéhenno, La contre-révolution, «Europe», août 1932, (116), pp. 613- 616). Sempre da «Europe», Jean-Richard Bloch aveva profeticamente denunciato, già nel 1929, le conseguenze di un declino dell‟idea stessa di rivoluzione, divenuta solo un cadavre de mot ; cfr. Jean-Richard Bloch,

Paganisation de la pensée, «Europe», 15 août 1929, pp. 625-629, ripubblicato in Destin du siècle, cit., pp. 165-

166: «En France, certains signes graves […] font sentir à quel point le mythe révolutionnaire a cessé d‟inquiéter la bourgeoisie, l‟Eglise, l‟État, et, davantage encore, de les intriguer, de les intéresser. Ils ne lui font plus aucune place dans leurs préoccupations intellectuels ou politiques. La notion même de révolte contre le conformisme officiel et de révolution contre l‟ordre établi ne pourra bientôt plus se concevoir qu‟à la manière d‟un secret sourdement transmis par des petits groups d‟initiés». Cfr., infine, gli attacchi contro le trahisons bourgeoises di Daniel-Rops, Maulnier, Fabrègues, effettuati da «Masses», rivista nata nel 1933 in seguito alle divergenze tra gli intellettuali di Ordre Nouveau e quelli di «Mouvements» (rivista che sino a quel momento li aveva ospitati): «Les piques y abondent contre “une certaine jeunesse d‟aujourd‟hui [qui] se pose en révolutionnaire” et “se prétend ni plus ni moins qu‟anti capitaliste”. Pour Masses, les choses sont claires: “NOUS AVONS AFFAIRE À DES FASCISTES ET À DES FASCISTES À PEINE DÉGUISÉS”» (citato in Olivier Dard, Le rendez-vous

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qu‟elles suppriment toute raison de s‟y opposer et toute envie de les débattre, car il manquerait à la discussion ce petit nombre d‟idées communes qui viennent de besoins communs et sans lesquelles le discours le plus simple a l‟air d‟un mystère ou d‟une injure.394

Utilizzando l‟articolo che Robert Garric aveva scritto per la «Revue des jeunes» il 15 febbraio del 1933 come bersaglio polemico e, allo stesso tempo, come appoggio teorico, il testo di Blanchot costruisce la sua idea di rivoluzione attraverso un linguaggio che è barocco e classicheggiante, mostrando già in questa occasione un gusto intellettuale per una prosa che si affida all‟ossimoro per costruire una riflessione rigorosa, asciutta, tortuosa ma lineare. Robert Garric è l‟esponente di un riformismo che, ancor più del marxismo rivoluzionario (che egli si prodiga a criticare), è contrario al temperamento politico di Blanchot. Se Garric rifiuta la rivoluzione è proprio perché, secondo Blanchot, è stato capace di riconoscerne l‟essenza stessa. Ciò che Garric critica, Blanchot esalta; ciò che attira Blanchot, Garric lo rifugge. I suoi timori sono in parte motivati dal fatto che egli identifica istintivamente la rivoluzione con la rivoluzione comunista (con tutti i suoi risultati) e, in tal senso, egli non può che temerne la realizzazione. Garric rifiuta dunque l‟idea di rivoluzione perché è allo stesso tempo un critico del marxismo e un inconsapevole marxista ortodosso, nel senso che dogmaticamente non riconosce altra rivoluzione all‟infuori di quella comunista. La conclusione del testo di Blanchot può pertanto rivelare i “postulati incoscienti” del discorso di Garric:

M. Garric juge instinctivement la révolution dangereuse, parce qu‟il la distingue malaisément du régime de la Russie soviétique ; il juge la révolution spirituelle utopique et impossible, parce que, postulat inconscient, il n‟y a pour lui qu‟une révolution véritable : la révolution communiste. L‟idéal révolutionnaire et l‟idéal marxiste ne font qu‟un, ils échoueront ensemble ou ensemble se réaliseront. Dans ces conditions, toute autre tentative ne peut être qu‟un songe confus d‟idéaliste, tout autre mouvement, une imagination d‟intellectuel et le refus n‟est plus qu‟un sentiment de mépris sans force. Attitude dérisoire « facile et inefficace », dit-il. C‟est ce que disent aussi les communistes, M. Garric est communiste en ce point, et l‟on peut affirmer que son refus de la révolution est, dans une large mesure, l‟œuvre de Marx. Preuve nouvelle que le marxisme sert très mal la révolution.395

Se queste sono le convinzioni implicite di Garric, prima di questa conclusione, lungo tutto il testo Blanchot si è impegnato implicitamente a controbatterle, promuovendo un‟idea di rivoluzione alternativa a quella comunista. In tal senso, egli si riconnette alla doppia battaglia ideologica che in questi anni interessa, come abbiamo visto, diversi esponenti del non- conformismo francese, contro il marxismo e per una rivoluzione non marxista. Su entrambi i fronti, l‟impegno teorico di Blanchot è assoluto, radicale, intransigente. I toni particolarmente accesi della sua opposizione al marxismo, che resisteranno sino alla fine della sua esperienza non-conformista contribuendo a caratterizzare il tono personale della sua scrittura, sono dovuti probabilmente alla sua formazione maurrassiana e alla sua appartenenza ad Action

française, luogo in cui si respira un “odio viscerale” nei confronti dei comunisti396

(sentimento a cui il giovane Blanchot però associa, come è possibile verificare qui e in diversi altri luoghi, una buona conoscenza dei testi di Marx e del marxismo). Se Ordre Nouveau, come abbiamo visto, si dimostra più disposto al compromesso teorico, appellandosi talvolta al

394 Maurice Blanchot, Le marxisme contre la révolution, «Revue Française», avril 1933, 4 (XXVIII),

ripubblicato in «Gramma», Lire Blanchot II, 1976, (5), p. 53. Anche Mounier negli stessi mesi risponde polemicamente all‟articolo di Garric contro la rivoluzione Ŕ e a un altro, di contenuto analogo, di Mauriac («Echo de Paris», 25 mars 1933) Ŕ in maniera simile a Blanchot: è la parola stessa di “rivoluzione” a intimorirli, egli suggerisce, non si sa bene per quale ragione. Ma questa parola non è stata scelta con leggerezza: «Quand nous l‟avons adopté, ce mot, au départ, ce fut contre nos résistances et perpétuellement contre notre tranquillité. Aucune mode, aucun entraînement ne nous y poussait. […] Nous l‟avons adopté avec gravité. Nous nous y sommes engagés, avec nos vies, avec notre âme» (Emmanuel Mounier, Réformisme et Révolution, in Refaire la

Renaissance, cit., p. 226).

395

Maurice Blanchot, Le marxisme contre la révolution, cit., pp. 60-61

396

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giovane Marx per criticare il Marx maturo e il marxismo materialista e deterministico, affermando un‟originaria bontà delle sue tesi Ŕ Marx de nos jours ne serait pas marxiste Ŕ;397 se Maulnier, a partire dalla metà degli anni Trenta, cerca di rinnovare le sue concezioni politiche servendosi del marxismo per andare Au delà du nationalisme,398 il giovane Blanchot resterà invece, sino alla fine, allergico a questa soluzione, irreprensibile nel suo antimarxismo.399 Si tratta, in verità, di una differenza di temperamenti, più che di contenuto; i principi sono gli stessi, in fondo. A parte la retorica della critica al materialismo e al determinismo meccanicista,400 il motivo principale che determina l‟opposizione di Blanchot al marxismo sta nella sua incapacità di spingersi sino in fondo per realizzare una rivoluzione totale, un sovvertimento verticale dell‟ordine esistente. I motivi di questa insufficienza sono dunque non solo teorici, ma pratici; Blanchot è contro il marxismo perché esso si compromette col potere istituzionale, è contro il marxismo perché non condivide la soluzione strategica della Ŕ seppur temporanea, nelle intenzioni dei rivoluzionari marxisti Ŕ dittatura del proletariato. La polemica antimarxista di Blanchot si richiama insistentemente a questo tema, lungo tutti gli anni Trenta, fondendolo con un più generale rifiuto, quasi anarchico, del potere centralista per configurare così uno dei nuclei centrali della sua riflessione politica. Illuminante della posizione teorica di Blanchot è, in tal senso, la recensione a Destin de la

révolution di Victor Serge, uno dei numerosi “rinnegati” comunisti di cui egli fa collezione

per le colonne delle sue Lectures de l’Insurgé.401

397 Robert Aron e Aron Dandieu, La révolution nécessaire, cit., p. VI.

398 Testo del 1938 che, nel titolo, richiama il tentativo simmetrico, proposto da Henri de Man qualche anno

prima, di andare al di là di alcuni dogmi del marxismo, per una nuova sintesi politica. Da posizioni opposte, ma nella stessa direzione, Maulnier cerca di insufflare nel suo ormai stanco nazionalismo rivoluzionario alcuni elementi provenienti dalla teoria e dalla pratica politica marxista, riconoscendo un grande valore nell‟appello al proletariato e soprattutto nella critica scientifica del capitalismo, ma restando critico nei confronti dell‟economicismo e del riduzionismo materialista. La parte propositiva del libro è un appello alla fusione delle due “violenze”, quella proletaria e quella nazionalista, nel nome di una rivoluzione che unisca le classi, invece che dividerle, nella lotta contro la Francia senescente e per una nuova Francia; cfr. Thierry Maulnier, Au delà du

nationalisme, cit., p. 250: «libérer le nationalisme de son caractère “bourgeois” et la révolution de son caractère “prolétaire”, […] intéresser organiquement, totalement à la révolution la nation qui seule peut la faire, à la nation la révolution qui peut seule la sauver». Cfr. inoltre, su questo tema, Etienne de Montety, Thierry Maulnier: biographie, cit., pp. 136 et ss..

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Quando, dalle colonne di «Le Rempart», saluterà l‟avvento del néo-socialisme di Déat, Montagnon, Marquet come di buon auspicio per la politica francese in generale (anche se mantenendo pur sempre una certa diffidenza), sarà proprio nel segno dell‟antimarxismo che la sua retorica nazionalista scopre nei loro discorsi; cfr. Maurice Blanchot, Le socialisme marxiste s’effondre, «Le Rempart», 18 juillet 1933, (88), p. 3: «L‟apparition d‟un socialisme qui rejette le marxisme, mais qui ne rejette plus la nation, est un fait significatif et qui peut avoir une grande importance. Comme nous l‟écrivions le 12 juillet en des termes que les déclarations de M. M. Marquet et de M. Montagnon ont exactement confirmés, le fascisme et le hitlérisme ont appris aux partis de gauche que la foie révolutionnaire, que l‟enthousiasme des réformes véritables, que les puissances de révolte ne