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Come abbiamo visto nel capitolo precedente, se il progetto rivoluzionario non-conformista vuole mantenere intatte le sue possibilità di realizzazione, esso deve conservarsi perfettamente puro, cioè, irrealizzato. Come Dio, la rivoluzione vive in virtù di un‟indimostrabile prova ontologica: essa non può esistere concretamente che per l‟idea della sua perfezione. Al limite, abbiamo ipotizzato, se la rivoluzione coincide con un processo che non ha né inizio né fine, essendo l‟unica strada possibile per realizzare pienamente l‟essenza creativa infinita dell‟uomo, il fatto che essa non si realizzi equivale non solo al conservarsi delle sue potenzialità, ma alla sua effettiva attuazione. Eppure, in questo “pudore” rivoluzionario, nella lenta attesa e preparazione di un evento virginale che fecondi la Storia (riproposizione laica del mistero dell‟Immacolata concezione), cioè di un atto rivoluzionario che trasformi istantaneamente l‟impossibile in necessario, i non-conformisti sono mossi da una sincera e concreta urgenza di rivoltare la realtà, il prima possibile e nella misura più radicale. In altri termini, la loro incapacità di agire sulla Storia è, per quanto ciò possa sembrare strano, la diretta conseguenza di un atteggiamento eminentemente pragmatico e strategico. Il non- conformismo è anzi proprio questa Realpolitik dell‟immaginario: il loro puro ideale di una rivoluzione integralista non avrebbe senso, ai loro occhi, se non fosse un tentativo realistico di trasformare il mondo. La rivoluzione non può esistere fino a quando essa non esiste necessariamente, scrive Blanchot; è in termini esattamente identici ed esattamente opposti che Robert Francis, qualche mese prima, insisteva anch‟egli su l’idée de l’inexistence

substantielle de la révolution:

C‟est un fait, la révolution en soi n‟existe pas. La révolution n‟existe pas sans un certain nombre des conditions qui sont: les révolutionnaires, l‟occasion révolutionnaire et la mentalité révolutionnaire, en premier lieu, en second lieu, comme conclusion, le « Gouvernement provisoire », ou le « Comité exécutif » ou tout autre nom dont se pare le petit organe qui actualise la mentalité révolutionnaire. […] Depuis vingt siècles les révolutionnaires n‟ont rien imaginé d‟autre pour faire vivre la révolution, pour la simple raison qu‟il n‟y a rien autre chose à imaginer. […] La révolution n‟est qu‟un accident, au sens philosophique du mot, mais un accident grave qui peut aisément se changer en catastrophe. En aucune façon on peut concevoir la Révolution comme un stade du développement des sociétés humaines, ou comme un but, ou encore moins comme un état autonome. On ne peut pas dire: la Révolution est ceci ou cela, puisqu‟elle n‟a aucune existence substantielle, à moins de préciser: la révolution se distingue pour ceci ou cela. En soi, je le répète, la révolution est un changement dans l‟attribution du pouvoir et de l‟argent.426

Se Blanchot e Francis non dicono niente di diverso è perché il candore anarchico del primo e il cinismo machiavellico del secondo sono perfettamente integrati, seppur permanendo

425 EL, p. 283. 426

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inconciliabili, all‟interno del discorso non-conformista; ciò che è più importante, non si comprende nulla dell‟uno senza il riferimento al contraltare rappresentato dall‟altro. Più in generale, è per tale ragione che se ci si può soffermare sulla maniera particolare in cui il giovane Blanchot elabora e fa esperienza della sua riflessione personale, non si riesce però a restituirle un‟integrità di senso senza il riferimento all‟universo ideologico e strategico in cui essa prende forma, a tutto ciò che la completa e a ciò che, talvolta, la contraddice; a ciò che le permette di esprimersi, in maniera libera e individuale, e a ciò che glielo rende impossibile. Chiedersi dunque se Blanchot in particolare creda nella rivoluzione assume un senso ancora più complesso, in quanto la domanda va posta a un soggetto integrato in tutta una serie di dinamiche identitarie, trasparenti e opache, che caratterizzano un gruppo; che egli eventualmente smetta, a un certo punto, di aderire a ciò che gli altri e, al limite, a ciò che egli stesso scrive, ciò non lo scioglie automaticamente dall‟adesione al progetto che ingloba la sua scrittura. Pertanto, nessuno dei caratteri del discorso del giovane Blanchot, né la sua convinta partecipazione, né il suo scetticismo disilluso, né il suo elogio della violenza rivoluzionaria, né il suo anarchismo puro e romantico possono valere per sé, ma devono poter assumere un significato definitivo solo in riferimento a come esse interagiscono con la storia collettiva delle riviste e dei movimenti in cui si manifestano.

L‟intersezione cercata tra i due asintoti di una logica intransigente della purezza interiore e una dimensione dell‟azione coinvolgente, compromettente, è dunque il paradosso che caratterizza non solo il rapporto tra il non-conformismo e il mondo esterno, ma anche quel comunitarismo individualistico che nell‟universo delle revues non-conformistes istituisce il singolo all‟interno del collettivo, come abbiamo già mostrato.427

Motivo in più per considerare centrale la questione di tale impossibile compresenza di strategia e ideologia, di purezza ed efficacia. I non-conformisti vogliono e non vogliono conquistare il potere, vogliono che la loro rivoluzione riesca ma non vogliono che essa abbia fine. «La morale d‟une histoire révolutionnaire, c‟est la réussite», scrive Francis;428

«C‟est l‟esprit qui est indiscutable, non la révolution», scrive Maulnier.429 Il risultato di questa schizofrenia è l‟adozione di una strategia al contempo pragmatica e irrealistica, e di una psicologia dell‟azione che non sa scegliere se è peggio che il proprio programma non si realizzi o che ci riesca. La pubblica propaganda e l‟ideologia profonda dei rivoluzionari non-conformisti si danno man forte per contraddirsi a vicenda; passano una mano di rosso, poi di bianco, poi di rosso, poi di bianco, sempre sullo stesso punto della loro storia. Impossibile stabilire quale sia il colore giusto: la propaganda incarna l‟ideologia, che scopre in essa le proprie ragioni. Il fatto che si contraddicano appartiene al senso intimo di ciascuna di esse, è il senso stesso della loro unione e deve essere per noi il senso per il tentativo di una loro comprensione.

Abbiamo visto come i non-conformisti avessero riconosciuto nel tentativo di Révolte de

l’esprit del surrealismo solo un caotico e inconcludente antiborghesismo, e come tentino di

distaccarsi anche da una certa coniugazione “spiritualistica” dell‟idea di rivoluzione che lungo tutti gli anni Venti aveva attraversato gli ambienti stessi della loro formazione. La loro rivoluzione non coincide più con la rivoluzione spirituale che Maritain, Massis ricercavano, e

427 Cfr. supra, Blanchot le jeune, pp. 89-91.

428 Cfr. Robert Francis, Thierry Maulnier, Jean-Pierre Maxence, Demain la France, cit., p. 435: «On peut écrire

sans risque qu‟il n‟y a pas d‟autre moral de la révolution que son développement même […]. Une émeute est une révolution manquée. Une révolution est une émeute réussie. Une émeute est illégale, illégitime, coupable, passible des tribunaux. Une révolution est légal, méritoire, passible des honneurs, du pouvoir, de la fortune et des statues en pied sur les places publiques. La morale d‟une histoire révolutionnaire, c‟est la réussite».

429 Thierry Maulnier, La crise est dans l’homme, cit., pp. 51-52: « …l‟esprit a sur la révolution l‟avantage de

savoir et de juger ce qu‟il refuse, et de refuser en son propre nom. Il ne doit donc se faire l‟ouvrier d‟une révolution que si cette révolution est conforme à ses exigences essentielles. […] Le problème est de confronter la révolution à la culture pour évaluer la révolution, non de confronter la culture à la révolution pour justifier la culture. C‟est l‟esprit qui est indiscutable, non la révolution ».

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che soprattutto Berdjaev, in Nuovo Medioevo e La concezione di Dostoevskij, predicava.430 Anche se è indubbio che da costoro i non-conformisti ereditino una parte importante del loro temperamento politico: un aristocratismo spirituale e iniziatico, in primo luogo; una sensibilità incurabilmente antimoderna e apocalittica; infine, un‟attenta opposizione al demone del comunismo, incarnazione di un materialismo che diabolicamente affascina con la tentazione di un progetto evangelico di salvezza universale.431 Eppure, l‟eccessiva astrattezza degli intenti riformatori dei circoli neotomisti, così come l‟innocuità della critica del sistema politico condotta da Maurras dalle pagine di «Action Française», era stato il motivo principale di distacco di questa generazione dai loro mentori e uno dei motori più forti del loro slancio rivoluzionario. In tal senso, ciò che urta maggiormente la loro suscettibilità sono proprio le accuse di spiritualismo che, come abbiamo visto, la stampa di sinistra Ŕ Jean Guéhenno e Paul Nizan a «Europe», in primo luogo Ŕ rivolge loro, riconoscendo nel loro appello alla rivoluzione una perversa coniugazione di reazionarismo borghese.432 Se l‟obiettivo della retorica dei non-conformisti è dunque quello di affermarli come alternativa non solo alla rivoluzione materialista dei marxisti, ma soprattutto alle “rivoluzioni spirituali” che gli anni Venti instancabilmente avevano prodotto Ŕ e nel cui novero i marxisti francesi automaticamente li inseriscono Ŕ il problema principale, in tal senso, sarà quello di convincere l‟opinione pubblica della loro sincera decisione a fare la rivoluzione, della

430 Già nel 1923 Berdjaev scriveva: «Il mondo moderno attraversa una gigantesca rivoluzione: non una

rivoluzione comunista che, nel fondo, è quanto di più reazionario si possa immaginare, poiché porta con sé la putredine del vecchio mondo in decomposizione, bensì un‟autentica rivoluzione dello spirito. L‟appello a un nuovo Medioevo, oggi, non è che l‟appello a questa rivoluzione dello spirito, a un rinnovamento totale della coscienza» (Nikolaj Berdjaev, Nuovo Medioevo¸ Roma, Fazi, 2000, p. 69). Due anni prima, in Théonas, Maritain proclamava: «Nous n‟avons pas peur de la révolution (…) C‟est même nous qui finalement la ferons» (citato in Nicolas Kessler, Histoire politique de la Jeune Droite, cit., p. 135).

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In tal senso, è sempre Berdjaev a fornire i termini di una riflessione teorica sulla questione. La sua personale lettura di Dostoevskij (che nella sua opera egli definisce più volte come «un grande rivoluzionario dello spirito», profeta cioè di una rivoluzione che «non è determinata da condizioni e motivi esteriori, bensì viene dall‟interno»;

cfr. Nikolaj Berdjaev, La concezione di Dostoevskij, Torino, Einaudi, 2002, p. 13, 103) e in particolare della Leggenda del Grande Inquisitore verrà unanimemente accolta dal non-conformismo, facendo sì che il

romanziere russo diventi uno dei cattivi maestri di questa generazione; cfr. ad esempio, per la Jeune Droite, l‟articolo di René Vincent sul romanziere russo (Dostoïevsky et nous, «Réaction», juin-juillet 1930, (3), pp. 101- 105), che si richiama esplicitamente a La concezione di Dostoevskij di Berdjaev. Anche Mounier (che aveva pregato Berdjaev di fornire un contributo personale per il primo numero di «Esprit»: cfr. Nicolas Berdiaeff,

Vérités et mensonges du communisme, «Esprit», octobre 1932, (1), pp. 104-128) legge sulla falsariga

dell‟interpretazione di quest‟ultimo la Leggenda del grande inquisitore, riconoscendo nel testo di Dostoevskij una critica rivolta non tanto al cattolicesimo quanto, principalmente, al mito socialista del benessere collettivo (a tal proposito, cfr. Emmanuel Mounier, Les certitudes difficiles, in Œuvres, Paris, Seuil, 1963, v. IV, pp. 71-75). Qualche anno dopo, Jean Lacroix riprenderà la stessa argomentazione: «Le socialisme, comme l‟a bien vu Dostoïevski dans la “Légende du grand Inquisiteur”, a trop longtemps cru que son but était d‟établir le bonheur sur terre, en supprimant l‟effort, en voyant la liberté plus dans la revendication que dans le sacrifice, et il n‟a guère été qu‟un projet de vaste organisation qui serait chargée de distribuer le bonheur aux hommes. D‟où son échec» (Jean Lacroix, Socialisme humaniste?, «Esprit», mai 1945, XIII (6), pp. 861-862).

432 Cfr. supra, Blanchot le jeune, p. 127. In verità, non è solo la stampa di sinistra ad accusarli, se si pensa che

anche Georges Izard, sin dal primo numero di «Esprit», aveva riconosciuto nell‟appello rivoluzionario lanciato dagli intellettuali della «Revue Française» soltanto un «voyage métaphysique […] afin d‟éviter les sacrifices de la révolution vraie, la révolution matérielle, la révolution dans la possession des biens» (Georges Izard,

Révolution pour l’esprit, «Esprit», octobre 1932, (1), p.138). Tra Guéhenno e la Jeune Droite, Izard preferisce il

primo, perché il suo atteggiamento, seppur ideologicamente contestabile, è meno astratto e “borghese”; cfr.

ibidem: «Nous préférons infiniment soutenir ceux qui réaliseront un acte où le spirituel trouvera tant soit peu son

compte Ŕ fût-ce dans notre interprétation Ŕ contre ceux qui se battent pour qu‟on ne réalise pas, même s‟ils gardent à l‟écart, dans leur intelligence ou leur mémoire, certaines vérités abstraites. On nous verra avec les gens de bonne volonté contre les pharisiens. […] M. Maxence est pour nous Monsieur Maxence, un bourgeois, un conservateur, plus un étranger qu‟un adversaire. Et Guéhenno, que nous combattrons pourtant sur des questions essentielles, je ne puis l‟appeler autrement que Guéhenno, à la manière des compagnons». Ulteriore prova di quanto abbiamo più volte notato, ovvero dell‟avversione umana e intellettuale che allontana il gruppo di «Esprit» dal resto dei non-conformisti, anche durante la stagione della loro “alleanza” con essi.

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capacità di elaborare una seria strategia rivoluzionaria. In tal senso si spiegano le occasionali, spavalde, dichiarazioni d‟intento in cui soprattutto Robert Francis Ŕ in una diligente divisione dei compiti all‟interno della Jeune Droite Ŕ433

si è specializzato:

LA REVOLUTION N‟EST PAS UNE “AFFAIRE SPIRITUELLE”. […] En 1930, quand un effort purement

spirituel pouvait être tenté à la faveur de la prospérité artificielle, on s‟occupait de son inquiétude et de ses vapeurs littéraires. Aujourd‟hui, on voudrait profiter du découragement et de la faillite pour monnayer cette « défense de l‟âme », ce « spirituel d‟abord ». L‟heure est passée ! Il ne peut plus y avoir « défense de l‟âme » sans révolution Ŕ une révolution non dans les esprits, mais dans les faits. L‟heure des difficultés psychologiques est passée. Seule une bonne technique révolutionnaire peut nous sauver […]. La révolution n‟est pas une affaire spirituelle, c‟est avant tout une affaire passionnelle. Une bonne technique révolutionnaire oriente les passions les plus basses vers le bien public.434

Il testo appena citato è sostanzialmente identico a quello che, circa un anno prima, Francis aveva presentato per il numero speciale sulla Révolution non-marxiste della «Revue française».435 Qualche mese prima, Francis calcava ancora di più la mano, affermando che «il ne faut pas oublier que la révolution est avant tout une affaire de pouvoir et d‟argent. Pour moi, le mot révolution s‟accompagne toujours de l‟expression “règlements de comptes”, […] je sais parfaitement qu‟au bout de la Révolution, si Spirituelle qu‟elle soit, il y a toujours un règlement de comptes en argent et même en têtes d‟hommes».436

Tale circostanza è la dimostrazione di come (al contrario di quanto afferma Kessler)437 non è in concomitanza dei moti del 6 febbraio che la proposta dei non-conformisti della Jeune Droite si tinge semanticamente di un concreto Ŕ bruto, nel caso di Francis Ŕ appello all‟azione, ma di quanto la riflessione sulle condizioni strategiche di realizzabilità della rivoluzione fossero originariamente integrate nella ricerca politica di questi giovani; e questo è ben comprensibile, se si pensa a quanto detto sulla polemica con gli intellettuali di sinistra che li impegna costantemente. È questo il motivo per cui l‟idea della fattibilità di una rivoluzione non marxista è sviluppata da Francis in esplicita polemica non solo contro Guéhenno, com‟è naturale, ma anche contro la Révolution Spirituelle di Daniel-Rops, e proprio per eliminare il rischio di vedere frainteso il suo approccio eminentemente pragmatico.438 Mosso dallo stesso scrupolo, anche Maulnier, in diretta continuità con la riflessione teorica sulla Révolution

aristocratique che all‟incontro organizzato da Union pour la Vérité il 18 febbraio 1933 egli

aveva pubblicamente esposto,439 avverte l‟esigenza di integrare il suo discorso con una nota che dia il senso della praticabilità della sua proposta.

433Cfr. Robert Francis, Une technique révolutionnaire, cit., p. 567: «Une technique révolutionnaire suppose

l‟élaboration d‟une idéologie révolutionnaire : voilà l‟affaire des intellectuels. […] Mes camarades étudient dans ce même cahier le programme d‟un tel parti, mon but était seulement de montrer que l‟émeute efficace, l‟émeute réussie, c‟est-à-dire la révolution qui substitue une légalité nouvelle à la « tyrannie », doit s‟appuyer d‟abord sur les intérêts personnels et qu‟elle constitue le seul moyen sérieux de reforme». In tal senso parliamo di una “divisione dei compiti”: nell‟ideologia quanto nella strategia il messaggio di ciascuno non è fine a se stesso ma alla composizione di un discorso collettivo; il cinismo di Francis è ai suoi stessi occhi solo una parte di un progetto rivoluzionario che ha altrove, nella riflessione di Maxence, di Maulnier, di Blanchot, i suoi presupposti intellettuali e spirituali.

434 Robert Francis, Thierry Maulnier e Jean-Pierre Maxence, Demain la France, cit., p. 432. 435 Cfr. Robert Francis, Une technique révolutionnaire, «Revue Française», avril 1933, XXVIII (4).

436 Robert Francis, Trois idées révolutionnaires, cit., p. 92. Francis aggiunge, poco oltre: «Je l‟avoue, j‟ai des

mains cupides et d‟instinct c‟est dans l‟espoir de futurs règlements de comptes que je pose la question révolutionnaire. […] Pour obtenir un développement révolutionnaire, le seul qui m‟intéresse ici, il faut miser sur le désir, la cupidité, l‟envie, la colère, ces passions éminemment humaines. C‟est en fonction d‟elles, avant même l‟événement, qu‟il faut poser la question révolutionnaire» (ibid., p. 93).

437 Cfr. Nicolas Kessler, Histoire politique de la Jeune Droite, cit., p. 288n, e supra, Blanchot le jeune, p. 108n. 438

Cfr. Robert Francis, Trois idées révolutionnaires, cit., pp. 90-106.

439 E che è del tutto conseguente con l‟idea di rivoluzione come percorso di eroica sovversione interiore che

Blanchot proporrà in Le marxisme contre la révolution; cfr. Thierry Maulnier, La révolution aristocratique, «Revue Française», avril 1933, XXVIII (4), p. 545: «Nous n‟admettons la révolution que comme une subversion

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Un mouvement qui prétend remettre l‟essentiel du pouvoir collectif aux mains d‟un très petit nombre, doit demander à un grand nombre de l‟aider à cette tâche. Une théorie aristocratique de la société et de l‟État doit recourir à une démagogie pour triompher. Ce problème paradoxal paraît difficile à résoudre. Non qu‟une telle situation soit illogique ; travailler à la révolution aristocratique ne saurait être en aucun cas sacrifier l‟intérêt du grand nombre à l‟intérêt de quelques-uns, et choisis, à des valeurs inaccessibles pour la masse, c‟est pour que les hommes non choisis, c‟est pour que la masse y trouvent leur compte aussi. La foule, à se gouverner elle-même et à vivre selon ses propres évaluations, ne gagne rien en bonheur ni en dignité. […] Puisqu‟une doctrine comme celle qu‟il s‟agit actuellement de mener au triomphe doit être envisagée non seulement quant à sa valeur propre, mais aussi quant à son efficacité pratique, puisque d‟autre part son efficacité est en raison inverse de sa valeur, il importe de distinguer de façon radicale le point de vue de la valeur et le point de vue de l‟efficacité ; il faut que le visage de la doctrine que l‟on présente au public soit différente de son visage réel […]. Que ces deux visages soient contraires, il n‟importe : ceux qui trompent le peuple pour le perdre sont détestables, non ceux qui le trompent pour le sauver.440

Tali e altre esternazioni di ingenuo machiavellismo rappresentano, più che l‟espressione di un cinico realismo politico, la prova che l‟antirealismo è il male genetico del non-

conformisme e ne sarà la malattia mortale. Troppo semplice sarebbe constatare che sono loro

stessi non le prime, quanto le uniche vittime della loro propaganda, vista quanta poca eco essa avrà nel dibattito politico nazionale. Tromper le peuple pour le sauver equivarrà, nel loro caso, alla costruzione di un castello di carta che finirà per tromper le peuple pour le perdre; la potente macchina della propaganda genererà in coloro stessi che l‟hanno fabbricata una catastrofica disillusione. È poco gentile, nei riguardi di Francis, ma è dovereso tranquillizzare il lettore sul fatto che dopo aver scritto: «dès aujourd‟hui, nous sommes en période révolutionnaire. Demain, c‟est-à-dire dans six mois ou dans six ans, la révolution sera faite»,441 in effetti, egli non aspetterà molto più di sei mesi per abbandonare i suoi sogni di