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due La guerra di chi non l’ha fatta

Una volta stabilita l‟esistenza oggettiva della realtà generazionale non-conformista, una volta stabilita la pregnanza della partecipazione di Blanchot a tale esperienza collettiva, occupiamoci di ricercare le ragioni profonde di questo forte senso di coappartenenza, condizione di possibilità di quell‟esprit des années trente che a sua volta rende possibile il progetto politico e culturale di questa gioventù dissidente. In tal modo, proveremo a introdurci gradualmente in questo universo ideologico, costruendo passo dopo passo i caratteri che sono propri anche all‟esperienza politica e letteraria della scrittura blanchotiana di questi anni258

e scoprendo infine, nell‟ultima parte di questo capitolo, come esso converga nell‟idea epocale della necessità di una rivoluzione, sui cui caratteri, possibilità e impossibilità ci soffermeremo nei prossimi capitoli.

Seguendo le indicazioni di Belmand, abbiamo constatato come i protagonisti della stagione non-conformista siano nati tutti attorno al 1905. Essi perciò saranno tra qualche anno les

enfants de la guerre, come li definisce Sirinelli, o, meglio ancora, i figli “rifiutati” della

Grande guerra. Essi infatti ne subiranno lo choc, come la generazione precedente, quella dei genitori e dei fratelli maggiori che vi hanno combattuto,259 ma non potendovi partecipare in

256 Pascal Belmand, Les jeunes intellectuels de l’esprit des années trente, cit., p. 59. Cfr., nello stesso senso, la

tematizzazione da parte di Sirinelli della nozione di itinéraire, che si innesta su quella di génération per dar conto in maniera più precisa del percorso personale del singolo appartenente a una realtà generazionale.

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Quelli già citati, ripetutamente, ai cui lavori non vi sarà bisogno di rimandare ogniqualvolta vi fosse la necessità di un approfondimento sui presupposti storici e contestuali del nostro discorso.

258 Per questo stesso motivo, e per dimostrare ulteriormente la partecipazione di Blanchot al discorso della sua

generazione, cercheremo di servirci, ove possibile, di suoi testi, o di testi di autori a lui prossimi, di cui egli si è esplicitamente occupato.

259 Cfr., in tal senso, Jean-Jacques Becker e Serge Bernstein, Victoire et frustration, cit., p. 171: «Il n‟est guère

de Français qui n‟ait, parmi ses proches, un ancien combattant ayant subi l‟épreuve des tranchées, des attaques meurtrières, de la morte toujours présente. […] Pour toute la génération née à partir de 1905 et qui n‟a pas fait

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prima linea, si sentiranno esclusi da essa così come dall‟universo socioculturale nato dal primo dopoguerra, in cui giorno dopo giorno scopriranno sempre maggiori insufficienze. È dunque proprio la prima guerra mondiale l‟evento traumatico che agirà invisibilmente, a diversi livelli, sulle coscienze dei suoi enfants per rendere possibile la formazione di quell‟universo generazionale che quindici anni dopo si realizzerà come esprit des années

trente. È proprio da qui che occorre partire per tentare di definire i caratteri specifici della jeunesse non-conformiste: lungi però dal voler praticare una forma di “determinismo

biografico”, vogliamo soltanto constatare come le ideologie degli anni Trenta hanno un‟origine socio-psicologica profonda, che nemmeno il ricorso all‟idea di un esprit des

années vingt, proposta da Sirinelli e altri, basta a spiegare. Ancora prima, nella traumatica

infantile esperienza della guerra è possibile riconoscere il costituirsi di un sostrato di esperienze, inquietudini, esigenze comuni che insieme ad altri fattori riuscirà a compattare ideologicamente l‟universo generazionale non-conformista. Se poi concentriamo l‟attenzione esclusivamente sulla scrittura di Blanchot, la dimostrazione della pregnanza dell‟esperienza bellica diventa ancora più evidente, se si pensa che buona parte delle sue recensioni letterarie scritte negli anni Trenta trattano o di romanzi e memoriali di guerra, o di romanzi ambientati nel periodo 1914-1918, in cui la realtà bellica prima o poi fatalmente fa la sua comparsa. La Grande guerra è dunque per il Blanchot giovane critico letterario un tema privilegiato, così come le conseguenze del conflitto, l‟analisi critica della politica diplomatica francese del dopoguerra lo sono per il Blanchot giornalista politico (che in tal modo pone la sua riflessione nella scia delle analisi che Jacques Bainville per tutti gli anni Venti scrisse per «Action française»).260

Tra la fine degli anni Venti e l‟inizio degli anni Trenta, nell‟ampia letteratura autobiografica sul primo conflitto mondiale, si sviluppa un filone che racconterà la guerra come essa è stata vista dagli occhi della generazione che è rimasta a casa perché troppo piccola per combattere. La Grande guerra è la “scena primitiva”,261 per chi è nato all‟inizio del secolo e l‟ha vissuta da bambino, come scriverà Robert Brasillach, alla vigilia di un‟altra guerra che, finalmente, interromperà l‟apparenza mistificatoria di una pace mai realmente sentita come tale:

C‟était le premier spectacle sur lequel avaient pu s‟ouvrir nos yeux, et c‟est pour cela, peut-être, qu‟à tant d‟entre nous la paix a paru pendant vingt ans quelque chose de précaire, toujours menacé, Ŕ à tant d‟entre nous qui ont atteint ou dépassé de peu leur trentaine aux environs du 1939.262

directement la guerre, le souvenir de l‟épouvante des aînés à l‟évocation, même partielle, de ce qu‟ils ont vécu, va nourrir, colorer le souvenir du conflit récent».

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Ad esempio, la critica alla Società delle Nazioni che Blanchot propone nei suoi articoli per la «Revue du (XX) Siècle» (Morale et politique, mai 1933, (2), pp. 60-65; La Démocratie et les rapports franco-allemandes, octobre 1933, (6), pp. 75-77; Le dérèglement de la politique française, mai-juin 1935, (6), pp. 53-57), oppure nella sua cronaca quotidiana di politica estera per il «Rempart», riprende integralmente le argomentazioni elaborate da Bainville dalle colonne dell‟«Action Française». Non solo le convinzioni politiche di Bainville, ma parte della sua filosofia controrivoluzionaria della storia rivive nel giornalismo di Blanchot: la sua visione “astorica”, fissista, della storia, improntata a un profondo pessimismo; la tendenza a mitizzare ogni evento quotidiano, a riconoscere in esso una Storia eterna e ciclica che si ripete; l‟atto stesso di una testarda reiterazione di formule e modelli di esplicazione prefissati, sempre uguali a se stessi; cfr., a tal proposito, Jeannine Verdès- Leroux, Réfus et violences, cit., pp. 50-51.

261 Singolarmente, Bident propone di ambientare l‟autobiografica scène primitive evocata da Blanchot in

L‟écriture du desastre (cfr. ED, p. 117) proprio all‟inizio della guerra. Cfr. Christophe Bident, Maurice Blanchot partenaire invisible, cit., pp. 17-18.

262 Robert Brasillach, Notre avant-guerre, cit., pp. 16-17. Nello stesso senso e negli stessi anni, Maurice Sachs

scrive, in Au temps du Bœuf sur le toit (1939), Paris, Grasset, 1987, p. 212: «Voici dix ans que cette damnée guerre est terminée. On a rebâti la France, ramené (au milieu de quelles secousses) la prospérité ; les progrès de la science ont été considérables ; mais on a dans la bouche comme un goût de cendres, et qui n‟est pas de cendres du passé. Quelque chose que l‟on ne comprend pas : les cendres à venir d‟un incendie qui n‟est pas encore allumé» (citato in Michel Trebitsch, Jean-Richard Bloch ou l’optimisme du pessimisme, in Jean-Richard Bloch,

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A volte gli occhi del bambino, troppo piccolo per comprendere pienamente ciò che sta succedendo, sono lacerati tra la banalità dell‟infantile esistenza quotidiana e la percezione imprecisa della grande Storia che sta passando. È il caso di Jean Maxence, che nel 1932 pubblica la sua Guerre à sept ans, in cui lo sguardo retrospettivo dell‟uomo adulto si mescola troppo spesso con quelle che vorrebbero essere delle semplici memorie di bambino. Blanchot, tuttavia, nella sua recensione al libro di Maxence, non si lascia sfuggire il vero senso dell‟opera:

Nous imaginons qu‟en écrivant ces pages, il a beaucoup rêvé à l‟enfant dont la guerre surprit les premiers jeux; mais il a beaucoup pensé aussi à la destinée d‟homme qui se formait en cette jeune âme, aux sentiments distincts dont la présence enlui, mieux qu‟un souvenir fidèle, témoigne de la réalité singulière de cette première existence. […] Le sentiment de la gravité de la vie, de sa grandeur, s‟éveille, comme une jeune flamme, dans le cœur enfantin dont il nous rapporte les confidences. Un besoin presque conscient d‟héroïsme marque ses rêves; une sorte de virilité mûrit ses émotions et le rend sensible à l‟amertume dé la défaite comme à la joie de la victoire. On peut juger que ces sentiments sont trop achevés, trop lourds pour une aussi jeune âme, mais ce qui importe, c‟est qu‟elle en ait conçu les premiers mouvements, c‟est que l‟écho aujourd‟hui perceptible fasse imaginer de telles voix.263

È possibile trovare conferma della lettura di Blanchot in queste pagine di Maxence, in cui la sua retorica “maurrassiana” lega insieme l‟angoscia della guerra alla prova non meno traumatica della crescita. La guerra diventa per il bambino la prima prova di conoscenza in quanto, nello spettacolo dei giovani che partono per il fronte, i suoi occhi riconoscono la comparsa di un nuovo tragico mondo:

Ce qui semblait les rajeunir, leur donner une vigueur nouvelle, me vieillissait. Pour la première fois, je cherchais à enchaîner les uns aux autres des faits inconnus, à établir des rapports entre eux, à pénétrer un événement, non comme je le faisais jadis en l‟accueillant ainsi qu‟un miracle, mais d‟une manière toute différente, scrutant ses manifestations, tentant de débrouiller les causes […] Une force étrange, jamais éprouvée, se levait, un durcissement s‟opérait en moi […] Ah ! ce brusque adieu de l‟enfance à l‟homme de sept ans qu‟elle quitte pour quelque jours, qu‟elle semble quitter à jamais ; cette impression d‟être soudain vidé de soi-même, d‟appeler des recours abolis quand on s‟est établi déjà de l‟autre côté de la rive, au pays des douleurs humaines ! Peut-il avoir une autre angoisse, une privation plus atroce, une plus complète déréliction ?264

Nella prospettiva virilmente maurrassiana messa in atto da Maxence, la guerra diventa il luogo di formazione di una precoce maturità, che dà al bambino del 1914 la capacità di vivere da uomo gli avvenimenti della sua vita. Approfondiremo più avanti questo tema, mostrando quanto il testo di Maxence e la lettura che ne propone Blanchot si integrino e collaborino alla generale costruzione, da parte della Jeune Droite non-conformista, del mito prometeico di un uomo destinato, nell‟eroicità di una politica attivamente vissuta, così come nell‟esperienza demiurgica della creazione letteraria, a plasmare la propria individualità e con essa plasmare il mondo che la circonda. Per adesso, accontentiamoci di vedere come il non aver partecipato alla guerra non impedisca a Maxence di averne fatto un‟esperienza forte, che gli dà pertanto gli stessi diritti, rispetto a chi l‟ha combattuta, per potersi proporre lui stesso come “eroe”.

C’est que nous avons grandi dans le péril et que nous vivons dans le péril, scriveva Maulnier

in quegli stessi anni, esemplificando uno stato d‟animo in una forma che anche Maxence e tutti gli altri avrebbero potuto sottoscrivere.265 Nell‟autobiografia dell‟infanzia di Maxence possiamo dunque riconoscere i prodromi di quella paradossale dialettica che condurrà, quindici anni dopo, il figlio a volersi sostituire al padre, nella rivendicazione di un ruolo

263 Cfr. Maurice Blanchot, La guerre à sept ans, par Jean Maxence, «La Revue Universelle», 1er juillet 1932,

(7), pp. 112-113.

264 Jean Maxence, La guerre à sept ans, Paris, Librairie de la Revue Française, Redier éditeur, 1932, pp. 50-52. 265 Thierry Maulnier, Ce qui n’a pas menti, «Action française», 11 juin 1931, citato in François Huguenin, À

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decisivo nel destino della Francia che verrà.266 In tal senso, molto interessante è il racconto che nel 1974 Hélène Colomb farà del primo incontro col suo futuro marito, all‟inizio degli anni Trenta, nella redazione della «Revue française»; non solo in quanto riproduce fedelmente tutti i caratteri stereotipici dell‟iconografia dell‟universo giovanile, contestatario, irriverente, goliardico, disordinato, dilettantesco, della rivista non-conformista, ma perché li fa convergere e deflagrare nella boutade di Maxence, espressione buffonesca Ŕ e pertanto essenzialmente non-conformiste Ŕ di quel rifiuto che la generazione del 1930 oppone al mondo dei loro padri, con tutto ciò che lo rappresenta. In questo universo da rifiutare, il primo bersaglio da colpire è ciò che rende il legame dei figli ai padri un destino già scritto, firmato. Il primo atto di una rivoluzione edipica e generazionalista non può che essere il rifiuto del patronimico:

Ŕ Qui est Robert Francis? m‟informai-je comme Maxence revenait. Ŕ Mon jeune frère… Un pseudonyme… Du reste comme mon nom de Maxence… Notre père nous a défendu de traîner dans la fange… je veux dire dans les Lettres, son respectable patronyme.267

Tornando a La guerre à sept ans, constatiamo come già il bambino Maxence si senta oscuramente derubato dal padre di un‟esperienza eroica, l‟unica che in questi anni egli possa concepire come piena e degna realizzazione del destino dell‟essere umano. Egli vive nel mito del padre, eroicamente partito per il fronte, anche se forse non ancora nella consapevolezza di non poter realizzare lo stesso destino. La “guerra” che, insieme ai suoi compagni, egli dichiara al vecchio seduto sulla panchina al Champ-de-Mars,268 è l‟infantile parodia di una realtà confusamente percepita, che solo più tardi concepirà più precisamente. Per il momento, egli sa soltanto di dover vivere nella perenne ammirazione di chi ha fatto il proprio dovere, e facendolo ha conquistato il proprio diritto all‟immortalità. L‟infantile e al contempo virile esperienza della guerra di Maxence rivela perciò stati d‟animo confusi, ma ancora troppo poco conflittuali. Altra situazione si delinea invece in un‟altra opera, uno dei testi di maggior successo di questa particolare memorialistica di guerra, Dix-huitième année di Jean Prévost. Se l‟ammirazione dell‟eroe, il desiderio di emulazione, doppiati da uno strano senso di paura, colpa, inutilità, invidia, tutti mescolati, erano stati d‟animo che anche il bambino (di) Maxence provava Ŕ «Je me semblais inutile, méprisable, petit. Que pouvais-je faire s‟il y

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Anche se tale esigenza di ribellione è ancora troppo poco visibile, in un testo in cui troppo frequente è il ricorso a una retorica nazionalistica ed eroica, che esalta l‟adesione dell‟autore al mito di una fusione indissolubile tra l‟uomo e la propria patria; cfr., ad esempio, ibid., pp. 286-287: «Instantanément je compris ce que c‟était qu‟une victoire. Ce mouvement en moi de mon sang. Cette soudaine surgie de ma race. Cet air liquide devant mes yeux, ce voile qui se déchirait et me laissait voir un grand vide, comme un gouffre inconnu de bonheur» . Ricordiamo tuttavia che Jean Maxence scrive questo libro nel 1931-1932, nel periodo cioè in cui il direttore degli spiritualisti «Cahiers» ha appena iniziato quella svolta che lo condurrà (grazie anche all‟incontro con Maulnier e Brasillach, propiziato da Massis, avvenuto alla fine del 1930) su posizioni politicamente più radicali e contestatarie, in cui pertanto il suo nazionalismo abbandona i temi dell‟esaltazione dell‟unione patriottica per coniugarsi in forme decisamente più dissidenti e rivoluzionarie. Cfr., a tal proposito, Nicolas Kessler, Histoire politique de la Jeune Droite, cit., pp. 127 et ss.

267 Hélène Colomb, La danse des fous, cit., p. 58. È evidente il legame tra il ricorso, così frequente nella

generazione non-conformista, allo pseudonimo Ŕ a parte Maxence (nome ispirato all‟eroe del romanzo di Psichari) e l‟altro fratello Godmé, alias Robert Francis, Maulnier (Jacques Talagrand), Daniel-Rops (Petiot), Fabrègues (Jean D‟Azémar de Fabrègues firmerà col nome della tenuta della famiglia materna, e a volte come Pierre Gignac o René Dufort), Claude Orland (Claude Roy), Maurice Grandchamp (Pierre Monnier), Charles Mauban (Henri Caillemer),… Ŕ e l‟esigenza di un‟affermazione personale nell‟immediata differenziazione dall‟universo dei padri.

268 I vecchi sono da combattere perché, come i bambini, non possono combattere in guerra. Cfr. Jean Maxence,

La guerre à sept ans, cit., p. 117, e la lettura che ne dà Blanchot, La guerre à sept ans, par Jean Maxence, cit.,

pp. 113-114: «Bientôt les jeux imitent la guerre et les sentiments aussi imitent les passions de la guerre. Ce vieil homme contre lequel il s‟acharne avec ses petits camarades du Champ-de-Mars, figure un ennemi véritable. “Avec lui, nous faisions la guerre, avides de férocité.” Les classes dirigées par des maîtres trop âgés, les occupations baroques, mille gestes nouveaux, naguère défendus, sont comme un symbole à sa mesure des événements étranges dont il devine la présence».

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avait la guerre ? […] Un désir vague, une fièvre subite me montaient aux lèvres. Ah ! être un homme! Pouvoir tout briser et partir!»Ŕ,269 adesso tutto ciò è sentito in maniera ancora più forte, perché in questo caso non è un bambino a provarli, ma un adolescente, che dunque con maggiore drammaticità e frustrazione vive l‟irrealizzabilità di un disperato bisogno di eroismo:

Je rentrais dans mon lit, et j‟essayai d‟entendre le bruit de la bataille pendant une heure encore, ou un peu plus. Surtout, je me consternais de mon néant, de ma jeunesse méprisable, inutile […]. Une seule chose nous semblait respectable : combattre. Les combattants avaient tous les droits. […] À leur retour, après la victoire, les combattants auraient tout […]. Parmi ceux qui allaient avoir des droits sur nous, nous faisions figurer d‟abord les héros triomphants, puis, par les seuls sentiments bons et non plus par enthousiasme, les mutilés, héros vaincus. Nous méprisions tout l‟arrière : en premier lieu les inaptes ; puis les vieillards, enfin nous.270

Il racconto di Prévost condurrà magnificamente il suo lettore in un delicato percorso di ricostruzione psicologica che rivela linee di tendenza che, per il nostro generale obiettivo di ricerca, si riveleranno decisive, molto al di là del ristretto e simbolico dominio del romanzo, il diciottesimo anno, la linea d‟ombra mai varcata tra adolescenza e maturità. In tal modo scopriremo come alla fine del conflitto l‟ammirazione totale per il soldato, il senso di colpa per non aver potuto fare la propria parte, si trasformano dapprima in diffidenza, quando ci si accorge che l‟eroe di guerra non può essere anche l‟eroe della pace, il ricostruttore della Francia; in fastidio, poi, nei confronti di chi esige i privilegi di un ruolo passato che non si è più disposti a tributargli. Infine, in vero e proprio odio generazionale, e in un‟attitudine contestataria che, se nel caso di Prévost prende la strada della causa comunista, ha in comune la stessa inquietudine adolescenziale o post-adolescenziale con le scelte che alcuni anni dopo impegneranno i protagonisti della militanza non-conformista.

Là, les créanciers étaient des morts qui ne voient plus, ou des anciens combattants qui, fatigués, n‟ont rien exigé. C‟est nous qui nous sommes souvenus des promesses faites pendant la guerre, quand vint le moment de ne plus les tenir. Voilà pourquoi nous nous sommes révoltés alors ou depuis, sans autre programme que l‟injure aux menteurs, sans autre revendication qu‟une justice qui ne devait pas être pour nous : révolte d‟enfants, révolte de témoins. […] Devant les injustices, les félonies dont nous pensions que notre pays était plein, nous suivions les autres, avec la crainte de la Révolution, avec une volonté désespérée de la Révolution. Je ne pensais pas, quand je me parlais sérieusement, que la Révolution serait une éclosion de bonheur : je comptait qu‟elle serait un châtiment.271

Al contrario di quanto afferma Olivier Dard, secondo cui per la Jeune Droite la Grande guerra è un evento da celebrare, ma non un‟esperienza vissuta né pertanto un punto di riferimento centrale,272 è invece proprio il fatto di non averla combattuta a far sì che per questa generazione la guerra diventi un dramma esistenziale, un trauma invisibile, invivibile e perciò ancor più difficile da risanare. La frustrante esaltazione di un virile eroismo di guerra a cui, per ragioni crudelmente anagrafiche, non si può partecipare, sobbolle silenziosamente, durante alcuni anni di tregua, finendo per contribuire a creare quella particolare miscela che informerà di sé lo spirito non-conformista degli anni Trenta, mescolandosi ad altre componenti psicologiche, sociali, politiche, culturali che nel frattempo si saranno