• Non ci sono risultati.

Le due giornate rosse, la svolta di giugno e la nascita del blocco dell'ordine

2. Il blocco dell'ordine

2.3. Le due giornate rosse, la svolta di giugno e la nascita del blocco dell'ordine

Il clima che precede la 'settimana rossa' deve essere inquadrato nella più ampia crisi economico-sociale-politica che sta attraversando l'Italia. Le proteste per la guerra di Libia si acuiscono a causa della pesantissima situazione economica del paese, nonché dell'altissimo tasso di disoccupazione. Non a caso il 1913 era stato l'anno in cui l'emigrazione aveva toccato il suo culmine.363 Anarchici e socialisti, intravedendo un possibile affratellamento in un composito blocco

sovversivo per combattere il comune nemico sotto l'egida dell'antimilitarismo, appesantiscono nel 1914 a loro modo un'atmosfera già tesissima.364

La direzione Mussolini dell' “Avanti!” aveva iniziato a fomentare il clima di tensione già all'inizio del 1913. Quando il 6 gennaio dello stesso anno sette dimostranti erano stati uccisi a Roccagorga dalla forza pubblica durante una manifestazione di protesta contro la crisi economica, Mussolini aveva parlato di assassinio di Stato e politica della strage, affermando che dopo un anno di guerra all'estero l'Italia avrebbe avuto una conflitto al suo interno.365 L'eccidio di Roccagorga

doveva costituire la vera svolta nelle vicende del sovversivismo italiano. Così, proprio a Firenze, Mussolini dichiara l'8 febbraio 1914 che se la base rivoluzionaria aspetterà di inglobare tutti i lavoratori per fare la rivoluzione questo si trasformerà in una mossa fallimentare per il movimento operaio. La minoranza socialista rivoluzionaria, anche se ristretta, dovrà schiacciare con la violenza la borghesia.366

Gli anarchici, intanto, tentano di cavalcare lo spirito antimilitarista che si sta diffondendo nel paese sfruttando la vicenda Masetti, rinchiuso in un manicomio criminale per aver sparato al suo

363Cfr. L. Lotti, La settimana rossa, cit., p. 7.

364Cfr. F. Giulietti, Storia degli anarchici italiani, cit., pp. 297-298.

365Gli abitanti di Roccagorga, località del basso Lazio, si riunirono il 6 gennaio 1913 per protestare per le pessime condizioni igieniche della città, in cui erano assenti reti idriche e fognarie, le pessime condizioni economiche e l'altissima pressione fiscale. Il corteo di manifestanti si diresse verso la sede del comune. Il sindaco della città, Vincenzo Rossi, era l'amministratore di Casa Doria, proprietaria della quasi totalità del territorio di Roccagorga, e non aveva dato segno di voler accontentare le richieste dei manifestanti. Quando questi raggiunsero il municipio brandendo sassi, l'esercito ed i carabinieri, schierati su richiesta del sindaco, aprirono il fuoco uccidendo sette manifestanti. Cfr. http://www.eccidio6gennaio.altervista.org/eccidio.

colonnello prima di partire per la Libia e ancor più il caso Moroni. Giovane tipografo milanese e sindacalista rivoluzionario, Moroni fa pubblicare sull' “Avanti!” alcune lettere inviate nel 1913 al fratello. In queste aveva denunciato le sanzioni disciplinari riservategli dall'esercito per il suo trascorso di sindacalista rivoluzionario. Malatesta e gli anarchici chiedono alla Camera del Lavoro di Ancona di organizzare dei comizi per rivendicare la liberazione di Moroni, processato dal tribunale militare di Cagliari per diffamazione a causa delle lettere pubblicate sul quotidiano del PSI, e di tutte le vittime del militarismo. Il giorno dei comizi proposto dagli anarchici è il 7 giugno 1914, la prima domenica del mese e perciò festa dello Statuto.367

La manifestazione antimilitarista proposta da Malatesta ha lo scopo di lasciare il segno. Come sostiene l'anarchico: 'ci vogliono dei grandi movimenti d'insieme, che molestino sul serio,

impensieriscano, impauriscano il governo'.368 L'obiettivo è tristemente raggiunto. I duecento

manifestanti radunati presso la Villa Rossa, sede repubblicana, decidono di dirigersi verso la piazza in cui si tiene il concerto della banda militare. Accerchiato dalle forze dell'ordine, il corteo di manifestanti si scontra con il cordone di polizia che, per diramare la folla, apre il fuoco sui manifestanti. Si contano tre morti.369 Il fatto dà il via alla settimana rossa, la più grande agitazione

mai svolta in Italia.370

Giunta la notizia dei fatti del 7 giugno da Ancona, la sera di lunedì 8 giugno si tiene

367Ivi, pp. 57-60. 368Ivi, p. 61.

369Le parole di Malatesta riescono ad impensierire Salandra, che risponde proibendo ogni manifestazione pubblica antimilitarista. Le forze dell'ordine arrestano verso le 9:30 l'anarchico. Sparsa la notizia dell'arresto preventivo, i radunati presso la Casa del Proletariato mandano una delegazione per chiederne la liberazione, avvenuta la quale si stabilisce di fissare per le 17 un comizio presso la Villa Rossa, sede repubblicana di Via Torrigiani, per discutere riguardo il divieto di manifestare. Giunta notizia della nuova adunanza, la questura dirama un ordine di servizio per impedire che i dimostranti si riversino nella sottostante Piazza Roma, dove terrà un concerto la banda militare.

Alle 18:35 circa, i manifestanti escono dalla Villa Rossa. In pochi istanti si forma una colonna di circa duecento persone che si muove al canto dell'inno dei lavoratori, con l'evidente intento di recarsi in Piazza Roma. Il commissario, ritenendo erroneamente di non disporre di sufficienti soldati e di non poter quindi suddividere i suoi sessanta carabinieri e le sue tredici guardie in più di due gruppi, sbarra la strada ai manifestanti. Chiude via Torroni, impedendo loro l'accesso alla piazza, ma anche ogni via di uscita. La Villa Rossa si trova infatti sulla sinistra di una stretta strada in ripida salita. Poco dopo la la Villa, la strada devia ad angolo retto sulla sinistra e porta all'ospedale militare e, più su ancora, in aperta campagna. Subito dopo la curva, però, si apre sulla destra una lunga scalinata, via ad Alto, che scende al centro della città. Il commissario avrebbe potuto bloccare le vie traverse permettendo ai manifestanti di sparpagliarsi lungo via Montebello ma per il timore di dover dividere le forze a disposizione chiude l'accesso da via Torroni a via Montebello, subito sotto la Villa Rossa, e l'accesso alla scalinata, subito sopra.

I manifestanti sono costretti a percorrere la via in direzione della polizia. Volano urla e grida da una parte, l'esortazione a sciogliersi dall'altra. La pressione della massa sul cordone dei poliziotti cresce e viene dato l'ordine di respingere i manifestanti verso l'Ospedale militare per sparpagliarli, ma la strada è stretta e i manifestanti sono più numerosi. Questi convergono quindi verso l'unico accesso alla Villa Rossa per rientrare. Appena incrociato il cordone di polizia subito sotto la Villa Rossa, alcuni manifestanti si dirigono nella direzione opposta imbattendosi nell'altro cordone, quello sulla scalinata. Supponendo che l'accesso alla campagna sia impedito e ignorando che la via sopra la Villa Rossa è libera, i manifestanti si sentono accerchiati. Dalle finestre della Villa Rossa vengono perciò scagliati sassi contro i poliziotti che iniziano a disperdersi. Si odono colpi di rivoltella che non sono esplosi né dai dimostranti, né dalle forze di polizia, ma da una guardia di pubblica sicurezza. I carabinieri, pensando che a far fuoco siano i dimostranti, sparano a loro volta. Muoiono tre dimostranti e altri quattro rimangono feriti. Ivi, pp. 61-69.

un'assemblea alla Camera del Lavoro di Firenze in cui il socialista Oberdan Saccenti annuncia lo sciopero generale da parte della Confederazione del lavoro. Parlano anche Ernesto Riccioli per i repubblicani, Manetti per i tranvieri, Fantoni per i sindacalisti, Puglioli per la Camera, Puliti per i ferrovieri, Bonicelli per gli anarchici, Smorti e Barni per i socialisti.371

Durante la notte, socialisti, anarchici e repubblicani si aggirano per la città a far pressioni sui proprietari di caffè notturni intimando loro di chiudere. Viene poi affisso un manifesto con scritto

'chiuso per grave lutto nazionale',372 in segno dell'imminente sciopero. Stesso imperativo di non

aprire viene imposto, alle prime luci dell'alba, a tutti gli altri esercizi: lattai, fornai, macellai. Alle nove della mattina tutte le attività commerciali sono paralizzate e inizia lo sciopero.

Alle 10:45 si tiene il comizio in Piazza Indipendenza che accoglie i dimostranti, diecimila per la stampa, tremila secondo il prefetto.373 Gli oratori che prendono la parola dalla tribuna,

nell'occasione la base del monumento di Ubaldino Peruzzi, sono: il vice segretario della camera del lavoro Puglioli, l'avv. Terzaghi e l'.on Carlo Corsi in nome del partito socialista fiorentino, l'avv. Gino Meschiari per i repubblicani, l'operaio Antonio Fantoni per l'unione sindacale, Alfredo Quaglia per gli anarchici.374

Al termine del comizio la folla si riversa nelle strade travolgendo la polizia che tenta di impedire l'accesso al centro: ha inizio la tragedia fiorentina. Gli scioperanti iniziano a scagliare contro la polizia tutto quello che trovavano.375 La folla si sposta quindi in via Nazionale e via

Guelfa. Presso l'angolo con via Cavour, tuttavia, era stato predisposto un cordone di poliziotti. Il gruppo di manifestanti è costretto a retrocedere, chiuso da una parte dal cordone di polizia e dall'altro dalla coda della stessa folla.

In questo frangente, due agenti, Di Lorenzo e Gallo, vengono trascinati dentro la mischia e percossi.376 I due riescono tuttavia a dileguarsi fino a raggiungere la porta della manifattura di

tabacco in via Guelfa, dove la polizia prestava servizio a protezione dei crumiri per via dello sciopero che era in corso da tempo. Raggiunti nuovamente dai manifestanti i due agenti aprono il fuoco uccidendo due persone e ferendone altre due prima di rifugiarsi in una casa vicina, approfittando dello smarrimento dei dimostranti.

I manifestanti assalgono la casa ma vengono dispersi da carabinieri, agenti e da un reparto di

371Cfr. “Il Nuovo Giornale”, 9 giugno 1914 e “La Nazione”, 10 giugno 1914.

372'Le due sanguinose giornate di sciopero a Firenze, tre morti e una cinquantina di feriti, centinaia di arresti', ivi, 10 giugno 1914.

373Cfr. N. Capitini Maccabruni, Liberali, socialisti e Camera del Lavoro a Firenze, cit., p. 321. 374Ibidem.

375“La Nazione” riporta che viene scagliato anche del vino, cosa che origina un grosso malinteso. Il Maresciallo Biamonte, colpito infatti dalla bevanda, sembra esser ferito. Questo incidente dà successivamente il via a due storie differenti: fra i poliziotti si diffonde la voce che il maresciallo sia stato ucciso, fra gli scioperanti che i poliziotti siano tutti sbronzi. Cfr. 'Le due sanguinose giornate di sciopero a Firenze', cit.

cavalleria. I due agenti invece vengono tratti in salvo grazie ad un'ambulanza della misericordia che, nonostante la scorta, viene bersagliata da sassi. La situazione, in seguito al duplice omicidio, degenera velocemente. L'omicidio commesso da parte dei due agenti fa deflagrare la rabbia degli operai. Vengono infranti lampioni, distrutte vetrine e incendiati alcuni carri attrezzi adibiti ai lavori della rete elettrica. Gli scontri dilagano in tutta la città che viene messa a ferro e fuoco.

La reazione della città non si fa attendere.377 Molti fra esercenti e proprietari di attività

commerciali si recano infatti dal prefetto chiedendo di potersi unire alle forze di polizia contro gli scioperanti, ottenendo dal prefetto stesso l'autorizzazione a procedere. Questi dichiara infatti che chiunque sia intenzionato a schierarsi contro la teppa, dando una mano alle forze dell'ordine, otterrà l'autorizzazione, i mezzi necessari ed anche il porto d'armi. La decisione del prefetto getta benzina sul fuoco.

La mattina di mercoledì 10 giugno Firenze si sveglia, infatti, in un'atmosfera carica di tensione: mentre parte della cittadinanza si rintana in casa per la paura, le piazze sono in mano agli operai in sciopero, armati di soli sassi, e alle forze di polizia, coadiuvate da esercenti e piccola borghesia, armati di tutto punto.

In corso Tintori la polizia apre il fuoco nuovamente poiché, si crede che i manifestanti siano armati. Lo scopo è in realtà quello di far sgomberare le barricate intorno a Santa Croce, divenuta nell'occasione trincea socialista. Da Corso Tintori la folla retrocede in via de Benci, erigendo nuove barricate. Qui hanno luogo nuovi conflitti: sassaiole contro proiettili. Quando le forze di polizia riescono a scalzare le barricate bloccano lo stabile della Camera del Lavoro.

E' solo grazie all'intervento di Pieraccini, che esce a parlamentare, che si evitano ulteriori morti. Pieraccini infatti contratta la pacifica evacuazione degli occupanti, la consegna della sede alle autorità e la cessazione dello sciopero per la mezzanotte. La decisione non trova tuttavia l'approvazione degli operai scioperanti, che erigono ulteriori barricate. Si accendono quindi nuovi tumulti che causano la morte di altre due persone in via Verdi e ulteriori feriti.378 La situazione si

stabilizza solo il giorno successivo, con la ripresa delle normali attività cittadine.

I fatti del 10 giugno, per effetto delle violente manifestazioni, ribaltano completamente la strategia politica dei partiti fiorentini. Solo in seguito a questi accadimenti infatti, i liberali abbandonano la pregiudiziale anticlericale e, sotto la pressione del commissario prefettizio Alberto Giannoni, l'Unione avvia le pratiche per costituire il blocco dell'ordine.379 La paura per le violenze

dei manifestanti porta conservatori nazionali, nazionalisti, cattolici e l'Unione liberale, a superare ogni frattura interna e a cavalcare il malcontento per lo sciopero. Fanno seguito anche le

377Cfr. 'Il primo movimento di ribellione contro la teppa', ivi, 10 giugno 1914.

378Cfr. N. Capitini Maccabruni, Liberali, socialisti e Camera del Lavoro a Firenze, cit., p. 323. 379Ivi, pp. 323-324.

associazioni di categoria che si erano astenute per tutto il primo semestre dell'anno. La violenza perpetrata dagli scioperanti, che impongono la chiusura degli esercizi, causa la reazione degli esercenti. Nasce così il blocco d'ordine.

L'Unione liberale, sotto le pressioni del prefetto, dà il via ad una serie di colloqui con gli altri esponenti politici al fine di costituire un blocco unito contro la minaccia socialista.380 Viene

infatti costituita una commissione di quattro senatori che tenta di conciliare le divergenze fra i vari partiti. I socialisti riformisti, i radicali ed i repubblicani desistono immediatamente, dichiarando la propria astensione dalle elezioni amministrative. Diversa la reazione di conservatori e cattolici che iniziano a considerare la proposta.

Sabato 20 giugno presso il salone di via Ricasoli, il marchese Corsini espone alla propria platea l'operato svolto nella tentativo di costituire un blocco costituzionale. 'Noi procedevamo a

compilare la lista con le direttive da voi indicateci quando sopravvennero le giornate tumultuose dello sciopero generale. Rendendoci conto del mutato stato di cose e della diversa posizione degli animi credemmo compiere il nostro dovere tentando ancora quel concentramento di forze liberali […]. Tale accordo fallì mentre più sembrava prossimo a concludersi né appariva facile poter conciliare le diverse frazioni quando sorse l'iniziativa a voi ormai nota di un comitato senatoriale composto dai senatori Niccolini, Del Lungo, Grocco e presieduto da S. E. il senatore Villari'.381

Lo scopo della commissione senatoriale è quello di dare vita ad una coalizione all'interno della quale ogni soggetto politico mantenga la propria autonomia ed identità. La presidenza dell'Unione liberale delega quindi immediatamente alla commissione senatoriale la compilazione di una lista di candidati. L'assemblea approva l'operato della presidenza in forza del cambiamento vissuto nel contesto cittadino. L'anticlericalismo diffuso all'interno dell'unione è superato dalla paura vissuta in occasione delle due giornate di sciopero: l'Unione liberale vive un'inversione reazionaria spostando il proprio baricentro a destra.382

Con l'adesione di esercenti e commercianti, conservatori nazionali, nazionalisti e cattolici, i liberali si preparano allo scontro elettorale.383 I maggiorenti delle forze politiche costituzionali si

riuniscono quindi presso l'Unione liberale sabato 27 giugno e stilano un manifesto unico da presentare agli elettori: 'noi diciamo ai sovversivi e a coloro che li ammaestrano, noi vogliamo

l'ordine e la legge e lo diciamo, non per difendere i nostri beni, ma per la libertà comune, cioè a beneficio di quelli stessi che insorgono. Noi difendiamo la libertà civile contro la minacciata tirannide dei molti e dei pochi. Inganna chi fa supporre ai proletari che dai moti insurrezionali essi

380Ivi, p. 324.

381'Cronaca elettorale, l'assemblea dell'Unione liberale', “La Nazione”, 21 giugno 1914. 382Cfr. H. Ullrich, Fra intransigenza laica e blocco dell'ordine, cit., pp. 324-325. 383Cfr. “La Nazione”, 26 giugno 1914.

abbiano tutto da guadagnare! No: anch'essi avranno tutto da perdere con la caduta della libertà comune, perché solo nel regime delle guarentigie statutarie può essere consentita a tutti piena facoltà di associazione e di propaganda'.384 Domenica 28 giugno pertanto gli esponenti del neonato

blocco costituzionale si radunano in Piazza della Signoria per tenere un comizio pubblico durante il quale viene esposto il programma amministrativo ai moltissimi cittadini presenti.385

Lo sciopero generale e il malcontento degli esercenti spingono l'U.l. a superare l'istanza anticlericale e a riconsiderare l'appetibilità politica dei cattolici che diventano preziosi alleati.