Nel periodo che va dal 1909 al 1913 si assiste ad una decisa affermazione dei partiti della sinistra democratica. Nelle sezioni urbane è tangibile il costante confluire dei voti dei nuovi elettori ammessi alle urne verso i partiti popolari, con una forte preponderanza a favore dei socialisti. Nella provincia, invece, si tende a confermare il consenso per i deputati costituzionali, divisi fra ministeriali e antiministeriali, moderati e liberali di sinistra.89
La competizione elettorale del 1909 fu caratterizzata da due schieramenti contrapposi: da una parte il blocco d'ordine, composto dalle forze moderate, appoggiate dai cattolici nei collegi extraurbani; dall'altra il blocco popolare, costituito da socialisti, repubblicani ed i radicali della demosociale. Nei collegi urbani ci fu una forte prevalenza delle forze anticlericali, mentre nei collegi extraurbani l'organizzazione cattolica iniziò a costituire una presenza sempre più tangibile. La decisione di correre con l'appoggio dei cattolici portò il mondo liberale ad una rottura.90 Tre dei
quattro collegi elettorali finirono in mano al blocco popolare, ad eccezione del collegio di San Giovanni.91 Qui Rosadi, che nonostante fosse un candidato liberale era un progressista radicale,
riuscì a sconfiggere il rivale socialista grazie ai forti legami personali che vantava nel collegio.92
Anche le elezioni del 1913 furono caratterizzate da una contrapposizione bipolare fra la neonata Unione liberale (U.l.) e il blocco popolare. L'Unione liberale era nata dallo scioglimento dell'associazione “Re, Patria, Libertà e Progresso”. L' U.l. raccoglieva i liberali di tutte le gradazioni, dai moderati del disciolto sodalizio, ai democratici costituzionali dell' “Associazione per le riforme sociali”, agli ex radicali radunati intorno a Piccioli Poggiali, esponente più influente dell' “Unione Radicale Fiorentina”, espulsa dal PRI dopo il 1904. Un ruolo di spicco all'interno dell'Unione era rivestito dai giovani liberali del partito giovanile liberale italiano del fiorentino Giovanni Borelli, capeggiati da Giovanni Ciotti.93
La nascita dell'Unione liberale rappresentò un momento di rottura con il classico moderatismo fiorentino. Mentre, infatti, i socialisti continuavano ad accrescere il proprio seguito, il mondo moderato continuava a perdere consensi, non riuscendo a riadattarsi al nuovo modo di fare
89 Cfr. L. Ducci, Dal suffragio ristretto al suffragio semi-universale, cit., p. 143. 90 Ivi, pp. 143-146.
91 Cfr. G. Spini e A. Casali, Storia delle città italiane, 'Firenze', cit., p. 101. 92 Cfr. L. Ducci, Dal suffragio ristretto al suffragio semi-universale, cit., p. 148. 93 Cfr. H. Ullrich, Fra intransigenza laica e blocco dell'ordine, cit., p. 298.
politica. Venne, pertanto, avviata una riflessione sull'organizzazione, che aveva dimostrato tutta la sua carenza. A tutti gli effetti, il mondo liberale era, infatti, più un movimento che un partito. Con l' U.l., i moderati tentarono di dotarsi di un'organizzazione volta a conquistare l'area 'grigia': la fetta di elettorato non operaista.
Per questo motivo, alle elezioni del 1913, i liberali decisero di non allearsi con l'associazione cattolica.94 Questa stabilì, comunque, di appoggiare i candidati moderati, i cui
programmi sarebbero stati conformi ai propri desiderata.95 I socialisti per contro, ad eccezione del
primo collegio, furono appoggiati dai repubblicani.96 Anche in questa occasione, le forze popolari
conquistarono tre dei quattro collegi, mentre il solito Rosadi si affermò, ancora una volta, nel collegio di San Giovanni.97
Le elezioni del 1913 furono caratterizzate dalla sperimentazione del suffragio quasi universale.98 In questo contesto, grosse masse di cittadini vennero coinvolte nell'esercizio del voto.
L'allargamento del corpo elettorale implicò un processo di politicizzazione di classi sociali prima escluse dal circuito rappresentativo.99 L'immissione di masse di cittadini alla vita politica costrinse
la classe politica a riconsiderare la necessità di strutture organizzative, sia partitiche che sindacali, allo scopo di conquistare la nuova fetta di elettorato. Le maggiori trasformazioni si ebbero più nei linguaggi e nei contenuti della propaganda, che non nelle modalità di organizzazione del voto, in larga misura ancora tributario del modello notabilare.100
Gli effetti della legge del 1912 non toccarono solamente il numero degli elettori. Per intercettare e conquistare il nuovo e più ampio elettorato, i partiti furono costretti a mettersi in discussione, dotarsi di nuove strutture, linguaggi e strategie. Per effetto indiretto, la legge del 1912 modificò il tradizionale assetto della lotta politica: per la classe dirigente i vecchi legami notabilari risultarono insufficienti al conseguimento ed al mantenimento della gestione del potere politico.
Si assistette infatti ad una riconversione in atto nel ruolo di coordinamento organizzativo della struttura della competizione elettorale, con il graduale passaggio dai comitati ad personam a partiti.101 Ad eccezione del PSI e dei cattolici, già dotati di apparati organizzativi ben strutturati, le
altre forze politiche in gioco dovettero confrontarsi con il nuovo modo di fare politica. Questo le portò a dover rimarcare la propria identità politica, a dotarsi di apparati partitici ramificati e
94 Ivi, pp. 301-302.
95 Cfr. L. Ducci, Dal suffragio ristretto al suffragio semi-universale, cit., p. 158. 96 Cfr. G. Spini e A. Casali, Storia delle città italiane, 'Firenze', cit., p. 105. 97 Cfr. L. Ducci, Dal suffragio ristretto al suffragio semi-universale, cit., p. 158. 98 Ivi, p. 143.
99 Ibidem.
100Cfr. M. Ridolfi, “Partiti elettorali” e trasformazioni della politica nell'Italia unita, in AA.VV., Storia delle
campagne elettorali, cit., p. 76.
funzionali a catalizzare consensi, nonché a nuovi accordi politici.
L'organizzazione, inoltre, delle competizioni elettorali nell'ambito del collegio uninominale portò alla nascita di più moderne campagne. Si passò da un tipo di propaganda relativamente chiuso, ad una propaganda quasi di massa, rivolta ad un pubblico vasto ed eterogeneo.102 Le
occasioni di incontro venivano pubblicizzate dai quotidiani, si cercava di coinvolgere l'eterogeneo pubblico nei banchetti pro candidato o nei contraddittori politici.103
La crisi della classe liberale si colloca a pieno in questo contesto. Non essendosi dotata di un'organizzazione capillare che arrivasse a penetrare i diversi settori della società, la classe liberale finì col cedere terreno al blocco popolare.104 Nel blocco, il partito socialista occupava un ruolo
preponderante nella conquista di consensi. I socialisti infatti potevano contare su una rete organizzativa diffusa nel territorio, pari quasi ai moderni partiti di massa, cui si affiancavano l'associazionismo di mutuo soccorso, quello culturale e ricreativo.105 Non secondario il ruolo della
guerra in Libia, che aveva giocato una parte preminente nella vita politica del paese, e quindi anche nella campagna elettorale.106 Il successo dei socialisti fu legato proprio alla campagna elettorale, in
cui il PSI si manifestò, fin da principio, oppositore reciso all'impegno militare.107
Per contro, nelle aree extra urbane, i cattolici ricoprivano la funzione associativa svolta dai socialisti nelle città. Pur non schierando candidature proprie, i cattolici esercitavano una forte pressione nell'indirizzo del voto, esprimendo una capacità contrattuale simile a quella dei più moderni partiti di massa, concedendo o negando il proprio appoggio in sede elettorale ai candidati liberali.108
Le elezioni amministrative del 1914 rappresentano sia un momento di continuità con le precedenti elezioni politiche, sia un elemento di rottura. L'elemento di rottura è costituito dalla natura politica che assunsero queste elezioni. A differenza delle tradizionali elezioni amministrative, quelle del 1914 si distinsero per la presenza di programmi politici che investirono la sfera nazionale. Questa tornata elettorale fu caratterizzata dall'influenza che iniziavano ad avere i congressi nazionali dei singoli partiti.
L'elemento propulsore che spinse e costrinse i partiti a dotarsi di una macchina partitica efficace, fu proprio la legge elettorale del 1913, che immise le masse analfabete al voto
102Cfr. L. Ducci, Dal suffragio ristretto al suffragio semi-universale, cit., p. 144. 103Ibidem.
104Ibidem.
105Cfr. G. Spini e A. Casali, Storia delle città italiane, 'Firenze', cit., p. 101.
106Cfr. A. Schiavi, Come hanno votato gli elettori italiani, studio statistico sui risultati delle elezioni politiche del
1913, corredato di numerosi diagrammi, Milano, società editrice “Avanti!”, 1914, p. 5.
107Ivi, pp. 25.
amministrativo: stava cambiando in profondità la tipologia delle campagne elettorali.109 Questa
nuova geografia elettorale spiazzò le forze in campo, in particolar modo quelle di estrazione moderata. A differenza delle precedenti elezioni, gli accordi che nacquero all'interno del blocco dell'ordine arrivarono tardivamente. Se, infatti, alle politiche nazionali era consuetudine presentare i candidati a inizio anno, alle amministrative del 1914 si dovette attendere pochi giorni prima della data delle consultazioni. Solo i partiti già dotati di una struttura capillare, come i socialisti ufficiali, sembravano essere già pronti e si presentarono con largo anticipo all'elettorato.
L'elemento di continuità è invece costituito sia dalla natura bipolare che assunsero le amministrative del 1914, sia dalla crisi vissuta al suo interno dal mondo liberale. Se ad inizio anno i liberali decisero di non schierarsi con cattolici e conservatori nazionali, ricalcando la strategia delle politiche del 1913, a pochi giorni dalle elezioni del 1914 costituirono il blocco d'ordine, riappropriandosi della strategia delle politiche del 1909.110 Questo atteggiamento incoerente causò
non poche difficoltà alla direzione dell'associazione liberale.
Socialisti riformisti, repubblicani e radicali, abbagliati dal progetto di creare un polo di aggregazione alternativo a liberali e socialisti ufficiali, batterono la pista del blocco democratico.111
Il progetto tuttavia fu destinato a naufragare, in parte per la pochezza di sostenitori, dall'altra per il rigetto che gli stessi partiti avevano per l'unione liberale, unica forza che avrebbe potuto contribuire al successo del nuovo 'centro'.112
A sconvolgere il contesto cittadino, e di conseguenza le alleanze politiche per le elezioni, furono le due giornate di sciopero. Il 10 giugno la Camera del Lavoro di Firenze (C.d.L.) dichiarò lo sciopero generale, in solidarietà ai manifestanti uccisi dalla polizia il 7 giugno ad Ancona.113
Firenze visse un'esplosione di violenza che segnò definitivamente l'andamento della campagna elettorale. I dirigenti di partito delle forze del fascio democratico furono costretti a fare un passo indietro, in primis, per responsabilità politica difronte all'elettorato. I partiti della concentrazione democratica cercarono di difendersi con un comune manifesto, indirizzato tanto contro la rivolta, quanto contro la reazione.114 In seconda battuta le due giornate di sciopero scatenarono la reazione
di liberali, cattolici, conservatori e nazionalisti che si compattarono intorno ad un unico obiettivo: l'antisocialismo.
I socialisti furono gli unici che fin dall'inizio rivendicarono la propria indipendenza da tutti gli altri partiti in competizione. Dopo il congresso di Ancona stabilirono, infatti, di correre da soli
109Cfr, S. Noiret, L'organizzazione del voto prima e dopo la Grande Guerra, cit., p. 76. 110Cfr. H. Ullrich, Fra intransigenza laica e blocco dell'ordine, cit., pp. 313-318. 111Ivi, p. 315.
112Ivi, pp. 315-322.
113Cfr. L. Lotti, La settimana rossa, cit., pp. 61-69.
alle amministrative. Solo dopo il naufragio del 'nuovo centro' e la reazione del mondo liberale alle due giornate di sciopero, l'appoggio dei socialisti riformisti arrivò a rinforzare le fila del PSI.