CAPITOLO 2 «T RADUZIONE E MEMORIA POETICA »: D ANTE
2.5. Due illustrazioni della Commedia a confronto: Doré e Botticelli interpreti di Dante
Dante et la traversée de l’écriture di Sollers si chiudeva con la constatazione che a
fornire uno dei migliori commenti della Commedia non furono tanto un trattato né un apparato di note quanto piuttosto i disegni di Botticelli realizzati intorno al 1480 e il 1503, i quali gli apparivano come vera e propria traduzione visiva della «traversée de l’écriture» dantesca: «Botticelli a compris que le texte était un seul corps en état de transformation continue, de telle sorte qu’un passage n’était jamais que l’annonce, la réplique, l’annulation ou l’achèvement d’un autre par une loi de réversibilité sans cesse vérifiée219». Secondo Sollers, la grande quantità di dettagli, le variazioni sensibili da un disegno all’altro, richiamavano da vicino la natura stessa dell’opera, il suo carattere estremamente polifonico tanto che «d’une page blanche à une autre page blanche […], la distance pouvait être celle du monde exploré dans sa plus grande dimension»220.
Si tratta di uno dei tanti punti di contatto tra la prospettiva critica sollersiana e quella di Risset: è forse proprio grazie a questo saggio che, diverso tempo dopo, la studiosa contrapporrà le illustrazioni di Botticelli a quelle di Gustave Doré, individuando nelle prime un perfetto analogo grafico dei versi danteschi. Dall’incontro tra la traduzione rissettiana e le tavole cinquecentesche nascerà, peraltro, un’edizione pregiata realizzata da Diane de Selliers e corredata da un commento dello storico tedesco Peter Dreyer, in cui per la prima volta i disegni di Botticelli sono riuniti nel formato e nei colori originali221. Ma in gioco vi è molto più che una scelta estetica: Doré e Botticelli sembrano
218 O. Mandel’štam, Entretien sur Dante, cit., p. 22. 219 P. Sollers, Dante et la traversée de l’écriture, cit., p. 33 220 Ibid.
221 D. Alighieri, La Divine Comédie, illustrations par Sandro Botticelli. Préface, traduction et
notes par J. Risset, présentation et commentaires des dessins de Botticelli par P. Dreyer, Paris, Diane de Selliers, 2008.
eletti a emblemi di opposte concezioni critiche, l’una erede del dix-neuviémisme, che elogia il primo, l’altra improntata a una rilettura totale della Commedia, che propende per il secondo; l’una che vede Dante come interprete di un ethos medievaleggiante, l’altra che lo considera proiettato verso la modernità. A margine della rassegna sulla ricezione dantesca in Francia, quindi, appare opportuno esaminare brevemente il modo in cui queste due illustrazioni sembrano aver influenzato in modi opposti la lettura del poema.
Nel 1861, un’edizione dell’Enfer pubblicata da Hachette e tradotta da Pier Angelo Fiorentino segna il trionfo di Gustave Doré come artista. In questa fase, in cui il poema è recepito come espressione del genere del noir (cfr. 2.2.), anche le illustrazioni della
Commedia cominciano a seguire da vicino questo filone presentando Dante come un
pellegrino timoroso che quasi sparisce di fronte a uno scenario che accentua il carattere meraviglioso del viaggio. Le illustrazioni di Doré sono, senza alcun dubbio, tra le più note tanto che all’epoca Lorédan Larchey poté scrivere che «l’auteur est écrasé par le dessinateur. Plus que Dante illustré par Doré, c’est Doré illustré par Dante»222. Atmosfera buia accentuata dal bianco e nero della litografia, dettagli vividi che si orientano verso un realismo in eclatante opposizione a uno scenario volutamente meraviglioso. Un effetto, questo, che nemmeno il Paradiso – per quanto certamente realizzato in toni più chiari, con accenti di luminosità intensa intorno a Beatrice – riuscirà a sovvertire: ormai «Dante et Enfer sont deux termes synonymes confondus dans la catégorie du visionnaire et l’effrayant»223. Non è secondario, nell’ottica di un’analisi dell’approccio rissettiano a Dante, sottolineare che questa visione dix-neuviémiste è proprio quella da cui la traduttrice prenderà maggiormente le distanze224: ancor più che le letture filo-religiose o spiritualiste, la tendenza a non considerare Dante nel suo ruolo di scrittore ma come eroe di un racconto fantastico separa, di fatto, il testo dal momento storico in cui è stato creato, collocandolo in un tempo vuoto in cui la componente allegorica – pur così fondamentale – viene offuscata in favore del solo piano narrativo. Per di più, come sottolinea Risset, il successo di queste litografie produsse un effetto duraturo sul piano della ricezione della
222 L. Larchey, Paru pour le jour de l’An, in «Le Bibliophile français», décembre 1869. Cit. in A. Goetz,
Images de Dante au XIXe siècle, in H. Levillain (sous la direction de), Dante et ses lecteurs, cit., p. 122.
223 Ph. Sollers, Dante et la traversée de l’écriture, cit., p. 12.
224 Ancora nel 2014, in occasione della presentazione di Les instants les éclairs, Risset dichiarerà con
ironia di non comprendere come mai la mostra temporanea su Dante e Gustave Doré, organizzata quell’anno al Musée d’Orsay, continuasse a registrare dei visitatori. Ringrazio per questa segnalazione, e per la messa a disposizione del nastro della registrazione, Umberto Todini. Sollers sembra condividere l’idea che il XIX secolo, nel complesso, abbia frainteso Dante: cfr. P. Sollers, La Divine Comédie, cit., p. 12.
Commedia in Francia rafforzando l’aspetto aneddotico legato al tema infero già diffuso
nell’Ottocento (cfr. 2.1). Ancora nel 1984 Risset poteva scrivere che Dante «viene correntemente scambiato con un personaggio della sua opera: un personaggio accigliato e burbero, quello evocato dalle illustrazioni di Gustave Doré»225. Si tratta senza dubbio di un fraintendimento particolarmente rivelatore che spiega, peraltro, come mai l’Inferno sia stata per molto tempo la cantica più letta, se non addirittura la sola.
Decisamente di diversa concezione sono, secondo Sollers e Risset, le illustrazioni di Botticelli226: questi disegni, commissionati da Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici intorno al 1490, avrebbero probabilmente dovuto accompagnare un’edizione pregiata della Commedia ma non furono mai portati a termine. Il pittore, però, vi lavorò per circa dieci anni, forse addirittura mettendo da parte altre commissioni227. Fatta eccezione per una tavola che risulta “completa”, ossia colorata, e per altre due che lo sono parzialmente, le restanti presentano unicamente i contorni delle figure tratteggiati con stilo d’argento e piombo e successivamente ripassati con penna e inchiostro228. L’ effetto è di un “non finito”, come se le pergamene costituissero uno schizzo da ritoccare successivamente. In tal senso, il giudizio dei critici d’arte su questi disegni è lungi dall’essere unanime: se alcuni ammettono l’impossibilità di valutare un lavoro non finito, per molti altri il complesso delle illustrazioni è deludente, nient’affatto all’altezza del lirismo dantesco e forse, addirittura, una grave macchia nella produzione dell’artista. Pochi, al contrario, sembrano sottolineare «l’originalité de l’invention, la varieté de l’expression dramatique»229 che in queste tavole, data l’assenza del colore, emergono più di quanto non avvenga nei quadri. Spetta a Yvonne Batard aver notato come i contorni delle figure siano più simili alla tecnica di scrittura ideografica cinese o giapponese che non a quella di altri disegnatori occidentali: «Botticelli ne cherche pas à être exact […] il est un maître suprême de la ligne; il lui donne une légèreté et une pureté qui ne trouve d’analogie […] qu’avec certaines notes aiguës du violon ou certaines vibrations cristallines des voix de
225 J. Risset, Premessa a Dante scrittore, cit., p. IX.
226 Delle centodue pergamene che avrebbero dovuto costituire la totalità dell’opera (una per canto più
una mappa dell’Inferno e un disegno rappresentate Lucifero) solo 92 sono oggi ancora conservate: ottantaquattro si trovano al Kupferstichkabinett di Berlino e solo otto alla Biblioteca Apostolica Vaticana di Roma. Cfr. D. de Selliers, La Divine Comédie. Note sur la publication de Dante illustrée par Botticelli in H. Levillain, (sous la direction de), Dante et ses lecteurs, cit., pp. 45-47. Si rimanda a questo articolo per i dettagli riguardanti gli acquisti da parte delle due biblioteche.
227 Y. Batard, Les dessins de Sandro Botticelli pour la Divine Comédie, Paris, Perrin, 1952, p. 6. 228 Ivi, p. 7.
soprano»230. Nel caso di Risset, non è impossibile pensare che ad averla affascinata sia stato proprio carattere di non-finito dell’insieme: la dimensione di palinsesto che possiedono i disegni sembra infatti renderli più vicini all’operazione scritturale dell’opera stessa, nonché alle migliaia di varianti che i testimoni hanno tramandato attraverso i codici.
Tuttavia, non è solo l’importanza conferita alla linea a caratterizzare le illustrazioni di Botticelli, ma il loro impianto narrativo: se in ogni tavola di Gustave Doré è illustrato solamente un momento emblematico per ogni canto, quelle di Botticelli rappresentano sinteticamente l’intero canto in una sola tavola231. Attraverso questa inedita disposizione «gli elementi figurativi sono sincronizzati alla narrazione» e ne mostrano il carattere di continuità mettendo in risalto «il rapporto tra Dante e la sua guida in tutte le sue evoluzioni»232. Il protagonista del viaggio non appare più come semplice visitatore che assiste – con un certo distacco che in Doré sembra quasi sinonimo di superbia – alle pene dei dannati o al trionfo dei santi, ma come colui che partecipa empaticamente a ciò che accade attorno a lui. Non più figura immobile, Dante sembra così mutare di tavola in tavola assieme al paesaggio: dal caos pieno di figure nell’Inferno in cui Botticelli sembra accostare, senza una vera prospettiva, le scene che scandiscono la narrazione si arriva alla «rarefazione» del Paradiso, nel quale il protagonista appare nello spazio quasi solo con Beatrice. Non si tratta solo di suggerire che la presenza dei beati sia meno importante rispetto a quella della donna amata che in sé raccoglie l’emanazione cristica: nelle sfere celesti la visione divina, così come mostrano anche i versi del poema, non è rappresentabile233. Più che tradursi nella raffigurazione degli eventi che scandiscono l’ascesa al Paradiso, il viaggio nell’oltretomba immaginato da Botticelli sembra soprattutto avere luogo all’interno del personaggio-Dante grazie alla comunione con Beatrice234. Tale lettura dell’ultimo canto del Paradiso si ritrova in Risset e, come si vedrà, viene accostata all’idea di una ricerca linguistica volta proprio a dire “l’indicibile” della divinità (cfr. 2.6). L’apparizione di Beatrice si rivela particolarmente emblematica in Botticelli: la pagina in cui è raffigurata è bianca, i soli due corpi rappresentati sono
230 Ibid. 231 Ivi, p. 8.
232 J. Risset, Botticelli: La “Commedia” della crudeltà, «L’Unità», 4 novembre 1996. Anche l’idea
delle illustrazioni concepite come fumetti ante litteram si trova sviluppata in questo stesso articolo.
233 Y. Batard, Les dessins de Sandro Botticelli pour la Divine Comédie, cit., p. 109. 234 Ibid.
quello della donna che arriva dall’alto – corpo angelico, etereo, appena accennato – e quello di Dante che si protende verso l’amata pur restando ancorato al suolo. Per mezzo di una tavola che sembrerebbe quasi spoglia, Botticelli riesce a rendere conto della distanza che intercorre tra il poeta e Beatrice, la stessa annunciata nell’ultimo canto del
Purgatorio nella scena analizzata da Borges (cfr. 2.4). Non è un caso che, riprendendo
una tradizione medievale, il pittore scelga di rappresentare Beatrice come più grande, più imponente di Dante: la sua grandezza è evidentemente morale, ma il rapporto di subordinazione è reso manifesto, e forse ancora più esplicitamente che nel testo originale235.
2.6. Genesi di una traduzione
Per comprendere a pieno le motivazioni che spinsero Risset a intraprendere la traduzione della Commedia bisogna tenere conto di due avvenimenti che ebbero luogo a poca distanza l’uno dall’altro: da un lato, l’incontro a Roma con Giorgio Petrocchi e la sua recente edizione della Commedia secondo l’antica vulgata236; dall’altro, la proposta alla casa editrice Seuil di un progetto editoriale su Dante, progetto che troverà l’opposizione dell’editore e che sfocerà più tardi nella pubblicazione del primo studio sistematico sull’autore dal titolo Dante écrivain237. Ad essi va naturalmente aggiunta la fondamentale influenza di Tel Quel e della lettura del già menzionato numero 23 del 1965 il quale, lo si è visto, agì come motivo propulsore per una nuova lettura dell’opera (cfr. 2.3).
È il 1967 quanto Giorgio Petrocchi, che Risset conosceva in quanto Preside dell’allora facoltà di magistero di Roma presso la quale lei stessa insegnava238, pubblica la sua edizione della Commedia secondo l’antica vulgata. Questa edizione si distingueva da quelle in circolazione per la scelta di basarsi sui più antichi manoscritti, ossia quelli anteriori alla versione approvata e divulgata da Boccaccio. L’interesse filologico di questa impresa appare tanto più interessante se si considera l’antica querelle relativa a quali
235 Ivi, p. 116.
236 D. Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata, a cura di Giorgio Petrocchi, Milano,
Mondadori, 1966-1967.
237 J. Risset, Dante écrivain ou l’intelletto d’amore, Paris, Seuil, 1982.
238 Cfr. J. Risset, Histoire d’une traduction in Alighieri D., La Divine Comédie, Paris 2010, pp. XXXIII-
testimoni tenere in considerazione nella stesura di un’edizione della Commedia239: le numerosissime varianti presenti nei testimoni medesimi andavano segnalate mediante una
recensio totale dei codici? Oppure, a causa dell’accertata compromissione del testo
originario, bisognava privilegiare un unico testimone? Petrocchi compie, in questo quadro, una vera e propria operazione di «pulizia», decidendo di procedere con l’esame di tutti i manoscritti anteriori all’edizione di Boccaccio ma senza riportare nella versione finale tutte le varianti, molte delle quali classificabili come semplici distorsioni dialettali, non utili all’analisi testuale. Secondo Petrocchi, le versioni anteriori erano dunque da considerarsi come maggiormente attendibili poiché meno soggette a variazione linguistica e all’intervento dei copisti. Ed è proprio su di esse che si basa l’edizione petrocchiana, forse la prima in cui il poema dantesco è presentato come testo da leggere, più fruibile rispetto alle imponenti edizioni critiche precedenti. Non a caso, è proprio su questa versione che si baserà la traduzione di Risset e, come si vedrà, anche le posteriori fino a quella recentissima di René de Ceccatty240.
Come lei stessa ebbe modo di raccontare in più di un’occasione, quel che colpì Risset di fronte a questa edizione fu l’impressione di trovarsi di fronte ad un nuovo Dante, alla cui lingua era restituita tutta «l’asprezza» originale, non più «addolcita» dagli interventi dei copisti241. Non meno importante, la scelta di operare alcune apocopi («i’» al posto di «io», ad esempio), pur non alterando di fatto il conteggio sillabico, conferiva ai versi un tutt’altro ritmo, quella «vitesse» moderna che, come si vedrà, la traduttrice scelse di mettere al centro della sua versione francese (cfr. 2.7.). Per la prima volta, dunque, il testo veniva percepito come qualcosa in cui entrare «direttamente a partire dalla poesia contemporanea»242.
Fu proprio sulla scia dell’edizione di Petrocchi che Risset, incoraggiata da quest’ultimo 243, propose a Paul Flamand, allora direttore della casa editrice Seuil, di pubblicare un Dante par lui-même da inserire nella collezione «Écrivains de toujours», nella quale erano già comparsi nomi celebri come quelli di Victor Hugo, Gustave
239 Per un approfondimento della questione si rimanda alla recensione di L. Vergani, La Commedia,
secondo l'antica vulgata by Dante Alighieri; Giorgio Petrocchi, «Italiaca», vol. 46, n. 2, summer 1969, pp.
191-193.
240 D. Alighieri, La Divine Comédie, nouvelle traduction de René de Ceccatty, Paris, Points, 2017. 241 J. Risset, Il mio viaggio appassionato nella Commedia, «L’Unità», 21 aprile 1990.
242 J. Risset, Peut-on traduire les géants ?, in «Mezzavoce» n. 1, 1994, pp. 58-61. Trad. it. a cura di F.
Laurenti: Si possono tradurre i giganti?, in F. Laurenti (a cura di) Tradurre l’Europa, cit., p. 18.
243 Cfr. J. Risset, Preistoria di una traduzione, La "Divine Comédie" francese di Jacqueline Risset
Flaubert, Jean Racine e, tra gli stranieri, William Shakespeare, Niccolò Machiavelli e James Joyce. Come l’analisi degli archivi conservati all’IMEC ha mostrato, questo progetto si tradusse in un nulla di fatto di fronte alla reticenza dell’editore a inserire nel catalogo uno scrittore considerato completamente slegato dalla modernità e, quindi, di nessun interesse commerciale; «un écrivain poussiéreux», insomma244. La bozza che Risset aveva steso riguardo l’assetto che il libro avrebbe dovuto avere si rivela interessante nella misura in cui la figura di Dante viene interrogata da diversi punti di vista (traduttore, lettore della Bibbia e, infine, poeta) e attraverso i legami con alcuni scrittori francesi quali Marguerite de Navarre e Balzac245.
Archiviata l’ipotesi di un Dante par lui-même, Denis Roche, allora direttore della collana «Fiction & Cie.» di Seuil, ottiene dall’editore il consenso alla pubblicazione di
Dante écrivain che, per impostazione e contenuti, si discosta poco dallo stile degli
«Écrivains de toujours»: l’idea di fondo appare, in effetti, quella di compiere un’analisi sincronica sull’opera di Dante tentando di analizzare l’autore Trecentesco in chiave più moderna attraverso una lettura che tenesse conto delle nuove tendenze della critica; impresa che, come si è visto, passerà ancora una volta attraverso l’influenza di Tel Quel. Non è da sottovalutare, in tal senso, il fatto che Dante écrivain sia stato concepito come un libro destinato alla pubblicazione in Francia e solo successivamente tradotto in italiano246: l’intento di Risset era di far conoscere un autore ad un pubblico che, sostanzialmente, lo ignora. Se la panoramica tracciata sopra (cfr. 2.2) dimostra bene la conoscenza parziale, talvolta stereotipa, da parte dei francesi del poeta fiorentino, non stupisce che Risset tenti un’operazione di tabula rasa attraverso la quale, partendo da un’analisi testuale corredata da una ricerca filologica, si approdi poi alla tesi di fondo: quella, come si è visto, di un Dante che è prima di tutto uno scrittore. L’uso di quest’ultimo termine pone immediatamente in relazione l’autore con la nuova concezione della letteratura portata avanti da Tel Quel (vedi 1.2) e, dunque, con l’approccio di impronta post-strutturalista. La scelta del titolo, d’altronde, si pone come un richiamo
244 Questo aneddoto è in parte rievocato da Risset nel saggio Histoire d’une traduction, cit., pp. XXXIII-
XLI
245 Il dossier in questione, conservato all’IMEC è classificato come: Seuil, SEL 4592.7
246 J. Risset, Dante scrittore, trad. it. di M. Galletti con la collaborazione dell’autore, Milano,
Mondadori, 1984. Nella prefazione all’edizione italiana, Risset sottolinea, appunto, che il libro nasce in una prospettiva francese, ma spiega anche, come in Italia, Dante sia vittima di un diverso «gesto di cancellazione» che lo rende un «Eroe nazionale», un «Ideologo» di cui però non si conosce più la scrittura vera e propria. Cfr. pp. IX-X.
esplicito a Sollers écrivain247, la raccolta di saggi che Roland Barthes aveva dedicato qualche anno prima al capofila del gruppo della rue Jacob: così come Barthes «difendeva Sollers da quanti lo vedevano come un ideologo, un politico, per riportarlo alla sua dimensione di scrittore», Risset allontana Dante dalla tradizione che lo aveva relegato al rango di moralizzatore, di teologo o, tutt’al più, di poeta oscuro248. Sebbene queste implicazioni non siano così evidenti nel corrispettivo italiano del lemma “scrittore”, va però sottolineata la differente connotazione di questo termine rispetto ad altri quali “autore” o “poeta” che, rimandando al solenne canone della tradizione poetica italiana, rischiavano di mettere in ombra la componente dell’«intelligenza tecnica»249. A interessare Risset è dunque «quella che Yves Bonnefoy chiama la coscienza di sé della poesia», la consapevolezza dell’atto poetico rintracciabile non solo nei testi teorici ma anche nella stessa Commedia250.
Attraverso la lezione telqueliana, dunque, Dante viene letto secondo le nozioni di simbolico/presimbolico (cfr. 1.3), intertestualità, écriture: malgrado diverso tempo dopo l’autrice abbia dichiarato che nessuno strumento critico moderno è in grado di spiegare «l’enigma di Dante»251, i suoi testi sono qui analizzati, retrospettivamente, con l’ausilio della linguistica post-saussuriana, della psicanalisi e di quella letteratura del XX secolo che si situa “ai margini” del canone tradizionale. Il saggio, quindi, risulta fondato su un approccio che è molto lontano dalle «interpretazioni accademicamente patentate252».
Particolarmente riuscita, in questo senso, appare l’applicazione della nozione di pre- simbolico elaborata da Kristeva (cfr. 1.3) alla lingua dantesca, la quale «garderait en soi les valences enfantines» e sarebbe «prédisposée en quelque sorte phonétiquement à accueillir dans une organisation symbolique achevée l’invention inclassable du moment pré-symbolique253». Come non vedere, infatti, un’accentuazione della componente presimbolica, ovvero il principio del piacere freudiano (o il «plaisir du texte» barthesiano) nella lunga serie di neologismi denominali coniati dal poeta? Al di là del celebre «trasumanar», i vari «indovarsi», «imparadisar», «intuarsi» e, persino, «indiarsi» (ossia