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La poesia come sottrazione La Traduction commence

Sono ben sette gli anni che separano la seconda raccolta di poesie, intitolata La

Traduction commence (1978), dall’esordio di Jeu. Come si è visto, nel frattempo Risset

continua a scrivere – in maniera tutt’altro che regolare – su «Tel Quel» e, parallelamente, a portare avanti l’attività di traduttrice da e verso il francese. È proprio in questi anni, infatti, che Dramma di Sollers sarà pubblicato per Einaudi e che il Tristano di Nanni Balestrini arriverà in Francia tramite Seuil. A questi anni risale anche l’importante contributo al volume Vita del testo, una raccolta di poesie di Ponge, la cui traduzione venne affidata a Risset sotto la spinta di Giuseppe Ungaretti316 e che precederà quella di

Le Parti pris des choses (1979).

Per comprendere a pieno questo secondo testo poetico, però, è necessario sottolineare l’entrata in scena di un nuovo modello, sicuramente da sempre latente, ma che nei sette anni che separano le due raccolte si fa via via più presente: si tratta di Maurice Scève, al quale il volume del 1971 dal titolo L’Anagramme du désir è dedicato.

L’impatto che questo saggio ebbe nell’ambito degli studi sceviani dell’epoca fu alquanto controverso: se alcuni sembrarono apprezzare la novità dello studio, altri criticarono quella che poteva apparire come una tesi arbitraria317. Senza volerne giudicare la validità, quel che interessa la nostra analisi è l’approccio adottato dall’autrice nell’accostarsi ad un’opera della lirica cinquecentesca: in maniera piuttosto sorprendente, le poesie sono lette alla luce della pratica testuale di Tel Quel, in un incontro tra la Délie e lo strutturalismo dove il significante è messo in primo piano, tanto che l’anagramma, da intendersi in termini saussuriani, diventa appunto la chiave di lettura per l’interpretazione della poesia di Scève. Le teorie di Saussure qui evocate da Risset

316 Cfr. F. Laurenti, Tradurre l’Europa in Tradurre l’Europa. Jacqueline Risset da Tel Quel ai Novissimi

a Dante a Machiavelli, Roma, Artemide, 2017, p. 42.

317 Cfr. Giudici, Enzo, L'anagramme du désir. Essai sur la Délie de Maurice Scève by Jacqueline Risset,

in «Bibliothèque d’humanisme et renaissance» t. 35, n. 3, 1973, pp. 592-595. In questa recensione Giudici non risparmia critiche molto dure che prendono palesemente di mira lo strutturalismo in generale: «La marée montante du structuralisme ou des méthodes se rattachant plus ou moins à cette nouvelle critique ne pouvait manquer d’envahir le domaine de l’École lyonnaise, qui parait être, depuis longtemps, le champ d’essai des débutants» (p. 592) ; «Elle [Risset] possède, d’ailleurs, toutes les qualités nécessaires pour revenir sur ses pas et se consacrer à une critique sérieuse et à des recherches scientifiques (p. 595). Va comunque sottolineato che il lavoro di Risset si colloca in un’epoca in cui questo tipo di analisi testuale era ancora in auge. È interessante notare come, già nel 1967, a proposito del suo Huître, Ponge avesse affermato che la ripetizione nel testo di parole come «blanchâtre», «verdâtre», «opiniâtre» era probabilmente dovuta (in maniera non casuale ma nemmeno totalmente volontaria) al fatto che «huître» possieda un accento circonflesso sulla vocale e che presenti le sillabe ‘t’, ‘r’ ed ‘e’, proprio come gli aggettivi ricorrenti sopra menzionati. Cfr. F. Ponge, Entretiens avec Philippe Sollers, cit., p. 111.

riguardano un aspetto del pensiero del linguista meno conosciuto rispetto al Cours de

linguistique générale nel quale, come è noto, è la linearità della lingua scritta ad essere

maggiormente posta in rilievo. Viceversa – e questo soprattutto sotto la spinta di Jean Starobinski, che per primo ne comprese il potenziale rivoluzionario – il Saussure amato da Tel Quel è quello degli inediti Cahiers des anagrammes nei quali, analizzando gli inni sacri latini, il linguista aveva constatato la presenza ripetuta di alcuni schemi sillabici che sembravano generare dei nomi nascosti. Accanto al significato principale, pertanto, se ne generava un secondo di natura non razionale, in cui, per la prima volta, il segno non era arbitrario. Da un punto di vista scientifico, questa intuizione si traduceva in un ribaltamento dell’originale formula saussuriana della linearità del segno per cui, da un’immagine acustica (significante), il concetto (significato) può svilupparsi soltanto nel tempo, un significato alla volta, secondo quel che permette la natura uditiva del significante318. Quel che la lettura degli Anagrammes sembrava suggerire, pertanto, era che, a partire da un medesimo significante, possono generarsi diversi significati, i quali si sovrappongono a quello lineare attraverso una percezione che avviene in maniera simultanea.

In maniera del tutto analoga, Risset sembra rilevare nei versi di Scève un’alternanza costante tra le vocali “i” ed “é”, alternanza che potrebbe suggerire un camuffamento, nient’affatto casuale, del termine stesso “délie”. La poesia sceviana si muoverebbe così in quello che Kristeva definisce un «système de connexions multiples qu’on pourrait décrire comme une structure de réseaux paragrammatiques»319. Lontano dall’essere associato a un unico significato, il significante diventa strumento per creare diverse possibili combinazioni formali di senso. Délie diverrebbe di fatto ascrivibile a un’ulteriore corrente di pensiero, quella «mimologica» e, dunque, alla possibilità di riconoscere un valore espressivo nei fonemi, come accade con la “i” e la “é” dei versi sceviani320.

318 Su questo punto vedi R. Runyon, The Errors of Desire, «Diacritics», vol. 4, n. 3, Autumn 1974, pp.

9-14. Cfr. anche la stessa Risset, L’Anagramme du désir: essai sur la Délie de Maurice Scève, Bulzoni, Roma 1971, p. 125. Per quanto riguarda l’analisi più prettamente linguistica si rimanda a J. Kristeva, Le

sujet en linguistique, in Polylogue, cit., p. 303 e a J. Starobinski, Les Mots sous les mots. Les Anagrammes de Ferdinand de Saussure, Paris, Gallimard, 1971.

319 J. Kristeva, Pour une sémiologie des paragrammes, in Semeiotikê. Recherches pour une sémanalyse,

cit., p. 132.

Non sorprende che, secondo l’analisi di Risset, Scève sia da considerarsi estremamente moderno in quanto la sua scrittura lascia che il testo appaia «pleinement pour ce qu’il est, le lieu génétique de la langue321». A partire da questa formulazione dagli inequivocabili echi telqueliani, Risset opera un ardito accostamento tra i versi di Délie e l’uso del linguaggio da parte di Mallarmé che, come ricorda Genette, è incentrato sulla «valorisation du mot»322. Come per Scève, «le mot est convergence de toutes ses virtualités: pluralité de sens, étymologie, son et forme des lettres, “éléments” constitutifs (mots à l’intérieur d’autres mots, échos et valeurs harmoniques etc.)» 323.

Questo breve esame della prospettiva adottata per l’analisi di Délie appare utile all’approccio critico di La Traduction commence: per certi versi è come se, nel leggere un poema cinquecentesco, Risset avesse adottato le lenti del suo stesso modo di fare poesia fornendo, così, un utile strumento interpretativo dei versi di quegli anni.

Testo atipico – come tutti quelli scritti sotto l’influenza di Tel Quel – La Traduction

commence venne pubblicato da Christian Bourgois nell’allora giovane collezione

«première livraison» diretta da Mathieu Bénézet e Philippe Lacoue-Labarthe. Potendo vantare una serie di titoli “scomodi” – tra i quali Histoire de la merde di Dominique Laporte e Misère de la littérature di Maurice Blanchot – i due direttori si gloriavano di aderire al solo imperativo di pubblicare «des livres, sans sacrifier à un genre, quel qu’il soit […]. Nul manifeste, là, mais juste un soupçon: il est vraisemblable que nous sommes

fous de la littérature»324. Un programma, questo, che ben si adatta ad un testo come quello di Risset in cui, non diversamente da Jeu, la poesia si fonde con la prosa, la finzione incontra frammenti di storia.

Sebbene il volume non abbia riscontrato un grande successo in Francia325, è singolare notare come negli Stati Uniti diverse riviste dapprima, ed editori dappoi, si siano interessati a questo lavoro, infine tradotto nel 1996 da Jennifer Moxley per la casa editrice

321 J. Risset, L’Anagramme du désir: essai sur la Délie de Maurice Scève, cit., p. 18.

322 G. Genette, Mimologiques, cit., p. 295. L’analisi genettiana del Mallarmé di Les Mots anglais mostra

bene quanto possa essere legittimo il collegamento operato da Risset tra quest’ultimo e Scève.

323 J. Risset, L’Anagramme du désir: essai sur la Délie de Maurice Scève, cit, p. 123. È interessante

notare come, nella bibliografia di questo saggio, sia presente un volume di R. G. Cohn su Mallarmé, segno evidente di una lettura incrociata dei due autori.

324 M. Bénézet, P. Lacoue-Labarthe, Collection première livraison, in J. Risset, La traduction

commence, Paris, Christian Bourgois, 1978. Corsivo nel testo.

325 La consultazione degli archivi Imec conferma la quasi totale assenza di articoli critici da parte della

stampa francese. Per giunta, nel dossier Christian Bourgois, BRG 19.12, si può leggere una lettera a Jacqueline Risset da parte del direttore finanziario della casa editrice con cui quest’ultimo comunicava all’autrice che non le sarebbe spettato alcun rimborso dei diritti d’autore in quanto le copie vendute non erano state sufficienti a coprire la somma versata come anticipo.

Burning Deck326. Visto l’ampio lasso temporale che separa l’uscita del libro dalla traduzione americana, appare lecito pensare che la riscoperta di queste poesie possa essere legata all’ondata di fervore strutturalista che coinvolse molte delle università statunitensi a partire dalla metà degli anni ’80 e che culminò con una speciale ammirazione per Tel

Quel e, soprattutto, per la figura di Julia Kristeva che ben si prestava all’applicazione

degli allora recenti gender studies.

Il nucleo centrale della narrazione, esposto, seppur ellitticamente, nella parte intitolata

Corpus {Histoire}, è quello del mito di Diana e Atteone, secondo il quale il giovane,

sorpreso a spiare la dea che si faceva il bagno in una grotta, venne trasformato per punizione in un cervo. Ammesso che un racconto ci sia, che sia possibile discernere un filo conduttore tra i diversi componimenti, resta il fatto che «dès le début de sa lecture, le lecteur ne saurait manquer d’être déçu, frustré dans son attente de lecture poétique : les repères sont des pièges pour la lecture ‘simple’» 327. In effetti, di «repères» ce ne sono ben pochi: se le poesie sono provviste di un titolo, là dove non si tratta di citazioni da altre opere – come per il testo che chiude la raccolta, O miei dolci animali – spesso il lettore è confrontato unicamente con delle sigle che è chiamato a decifrare, come nel caso di YK

61, M.S. 1544 o di M.P. 1908. In questo senso, la scelta di intitolare il volume La Traduction commence appare ancora più decettiva e, al tempo stesso in linea con la

nozione derridiana di letteratura come atto «incoativo» o come «defaillance organisatrice du telos»328: il titolo postula che una traduzione sta cominciando, ma traduzione di cosa?

Prima di tutto la traduzione appare come il passo che il lettore deve compiere al fine di poter entrare nel testo. Vera e propria operazione di traghettamento, l’appropriazione dei versi necessita di una riflessione, di una partecipazione più che attenta da parte del fruitore. È così che, accedendo ancora una volta a una dimensione ludica, si comprende che la sigla «YK 61» indica lo Yi King, un manuale di divinazione cinese, «M.S. 1544» sta per Maurice Scève, mentre quella «M.P. 1908» è formata dalle iniziali di Marcel Proust e del suo celebre Carnet de 1908. In questa raccolta più che in altre, i titoli scelti

326 J. Risset, The translation begins, trad. J. Moxley, Providence, Burning Deck, 1996. Stando ad una

lettera trovata nel dossier Christian Bourgois, BRG 19.12, sembrerebbe che anche la casa editrice italiana La Salamandra avesse chiesto le opzioni per un’eventuale traduzione ma, per qualche motivo, al progetto non venne dato seguito.

327 O. Renault, Inadmissibilité de la poésie ? in P. Ffrench, P. Forest (sous la direction de), De Tel Quel

à l’Infini : l'avant-garde et après ? Colloques de Londres et de Paris mars 1995, Nantes, Pleins Feux, 2000,

p. 137.

da Risset rispondono dunque alla categoria proposta da Genette di «titres thématiques», ossia aventi la funzione, come nel caso dell’Ulysses di Joyce, di vera e propria chiave di decifrazione di un testo che, senza questa indicazione, potrebbe essere letto in tutt’altro modo329.

Eppure, anche dopo aver partecipato al gioco e aver risolto l’enigma, il senso del testo rimane oscuro, come se non esistesse correlazione alcuna tra l’indicazione fornita dal titolo e la poesia che effettivamente lo segue. Si potrebbe anzi affermare che la scelta di ridurre Scève e Proust a delle sigle fa scaturire una doppia conseguenza: da un lato, la dimensione autoriale appare completamente cancellata, l’aura sacrale che, per alcuni, accompagna la firma di chi scrive viene qui ridotta ad una strizzata d’occhio; dall’altro lato, però, l’indicazione temporale colloca i due autori in un momento biograficamente preciso della loro vita, ossia nell’anno della pubblicazione di Délie per l’uno, e nei primi passi verso la costruzione dell’architettura della Recherche per l’altro330. Il risultato è che i due titoli, pur non arrivando a “dare un senso” alla poesia, si comportano come una sorta di reagente chimico che crea nuovi impulsi alla lettura del testo: l’insistenza sul campo semantico della vista in M.S. 1544 («regard», ripetuto due volte in posizione di rimante, «tu vois», «que voir», «oeil»331) evoca il legame tra délie et desir che scandisce l’opera di Scève mentre, in M.P. 1908, termini come «Venise», «peinture» o, addirittura, versi ellittici quali «elle mon livre» o «rêves érotiques avec / sujet rétroactif»332 sembrano dialogare direttamente col titolo che, in qualche modo, orienta la lettura.

I due testi appena citati costituiscono, peraltro, un buon esempio di come la raccolta sembra essere stata costruita. Come si è visto in precedenza, Risset aveva visto nell’opera di Scève un «travail de la langue» che si articola, oltre che in associazioni semantiche e fonetiche, in una «ressemblance infinie», in un’operazione di «stratification et de retournement» che coinvolge la sfera significante333. Ebbene, questo stesso procedimento è direttamente osservabile nelle poesie che compongono La Traduction commence, in cui il lavoro sulla lingua diventa vero e proprio motivo propulsore, tanto che, come suggerisce

329 Cfr. G. Genette, Seuils, Paris, Seuil, 1987, pp. 85-89.

330 Cfr. l’Introduction di P. Kolb a M. Proust, Le Carnet de 1908, Paris, Gallimard, 1976, pp. 7-29. 331 J. Risset, M.S. 1544, in La Traduction commence, cit., p. 91.

332 Ivi, M. P. 1908, pp. 91-92.

Joseph Guglielmi334, la lingua passa dall’essere mero strumento comunicativo a personaggio a tutto tondo, decidendo dell’andamento stesso dei versi:

trame : se retourne fil : se casse335

Dietro l’apparente semplicità di questa dilogia, si cela un’interrogazione semantica piuttosto raffinata: la trama e il filo, legati insieme da un primo livello concreto che appartiene all’ambito tessile, sono ugualmente accostabili sul piano figurato della letteratura, come ben dimostra l’uso corrente di espressioni quali “la trama di un libro”, “il filo del discorso” e così via. I verbi che l’autrice sceglie di accostare appaiono dotati della stessa polisemia: potendo “reagire” con entrambi i sostantivi, essi sono in grado di creare, a seconda delle combinazioni, dei significati più o meno metaforici (fil / se retourne, oppure trame / se casse).

Forse ancora più esplicito è un passo tratto da La petite marque sur l’estomac, la sola delle poesie di questa raccolta, insieme a Notes- Fin de l’aventure336 ad essere apparsa su «Tel Quel». Qui, le sole protagoniste dell’azione – ammesso che di azione si possa parlare – sono le lettere “j” e “m”:

de côté le paysage de grotte couvre un peu quelques dessins – ou lettres –

où est le j ? […]

honte et en même temps multiplication des m […]337.

Si tratta, peraltro, delle medesime lettere che, in maniera più o meno regolare, sono ripetute in altri componimenti, costituendo una sorta di fil rouge che attraversa la raccolta. Nel tentativo di decifrare il significato di queste due sillabe (la “j” potrebbe stare ad indicare il nome dell’autrice? Oppure potrebbe trattarsi dell’indicazione del “je” di prima persona?) ci si chiede se una simile operazione abbia senso: non è forse una prerogativa di Tel Quel quella di dare vita ad una letteratura in cui il significante rivesta il ruolo

334 J. Guglielmi, Une nouvelle collection démarre chez Christian Bourgois, in « France Nouvelle » n.

1965, 8 mai 1978, p. 36.

335 J. Risset, Éclate, in La Traduction commence, cit., p. 39.

336 La prima venne pubblicata su «Tel Quel» n. 70, été 1977. La seconda, ripresa con il titolo di Forme

et événement I, in «Tel Quel» n. 44, hiver 1971.

centrale? Come spiega Denis Roche, attraverso una definizione della sua poetica che ben si applica anche a Risset e che molto deve alle teorie di Pierce riguardanti la «fuga degli interpretanti»:

L’ensemble de la narration qui se donne comme étant poétique peut à la limite n’être considéré que comme un enchaînement de signifiants où le signifié serait évacué. Il n’y aurait plus qu’un enchaînement de signifiants où joueraient comme signifiants des enchaînements de mots ou de métaphores, ou même des ensembles disjoints métriques338.

D’altronde, se è vero che Risset aveva riscontrato in Scève un uso massiccio dei cosiddetti «mots vides»339, la medesima inclinazione è osservabile, forse anche in maniera più evidente, in La Traduction commence. Gli esempi sono infiniti, al punto che si potrebbe persino affermare che la gran parte dei versi sono, effettivamente, costituiti da sequenze di deittici. Si registra così una vera e propria disgiunzione tra soggetti e predicati di influenza lacaniana:

je ne – que tu –

– que veut dire ceci, que je te que nous nous340

Come spiega Risset, si tratta di un processo «généralement invisible ou partiellement éludé dans la poésie, qui forme ce que Lacan appelle l’anticipation du signifiant – par effet duquel une phrase interrompue avant le terme significatif crée néanmoins, et impose, un sens»341. E, in effetti, l’utilizzo dei «mots vides» non impedisce che una qualche forma di paesaggio narrativo, sotto forma di immagini frammentate, venga presentata al lettore. I versi sopra citati, ad esempio, tratti da una poesia intitolata Pasiphaé, si collocano in un insieme che, non diversamente dagli altri due componimenti su Proust e Scève, può essere decriptato solo attraverso queste «greffes» disseminate nel testo342. Così, prendendo come chiave interpretativa il mito di Pasifae, appare possibile leggere l’intera poesia alla luce dell’abominio commesso dalla moglie di Minosse la quale, invaghitasi di un toro, si fece

338 J. Ristat, Entretiens avec Denis Roche, in Qui sont les contemporains, cit., p. 226. 339 J. Risset, L’Anagramme du désir: essai sur la Délie de Maurice Scève, cit., p. 12. 340 J. Risset, Pasiphaé, in La Traduction commence, cit., p. 65.

341 J. Risset, L’Anagramme du désir: essai sur la Délie de Maurice Scève, cit., p. 12.

342 Sul concetto di «greffe» cfr. J. Derrida, Hors livre in La Dissémination, Paris, Seuil, 1972, p. 17,

fabbricare un marchingegno atto a permetterle di accoppiarsi con l’animale, animale da cui, come è noto, sarebbe nato il Minotauro. Delle suggestioni che si trovano nel testo, quali, ad esempio, «“Vous allez trop loin”, dit Freud à Freud»343, «courant vers l’étang, / vers le crime»344 o ancora «Oui et non à l’intérieur des organes»345, sembrano orientare la narrazione in questo senso dando origine a una sorta di palinsesto raciniano.

Quel che appare in maniera piuttosto evidente, quindi, è che un secondo aspetto della traduzione a cui si fa riferimento nel titolo consiste in una forte componente intertestuale in cui, però, le fonti esterne vengono, se non proprio nascoste, almeno rese in maniera ellittica attraverso un’operazione di disseminazione di stampo derridiano. In altre parole, l’operazione di scrittura sembra procedere per sottrazione piuttosto che, come in genere avviene, per addizione.

In questo senso, i deittici, gli spazi bianchi o i trattini, che marcano una visibile interruzione della frase, operano come simulacri di porzioni di significato mancanti e, al tempo stesso, come tracce di questa stessa assenza: insomma, vi è qualcosa che visibilmente è stato rimosso ma il processo di rimozione non è nascosto, quanto piuttosto enfatizzato. Si tratta di quel che Risset definirà, in un’intervista con Christian Prigent, «l’absence de métalangage», ossia «ni surplomb, ni Référence: des fictions, des passages,