CAPITOLO 2 «T RADUZIONE E MEMORIA POETICA »: D ANTE
2.8. La riscrittura del discorso amoroso L’Amour de loin
Come si è visto, la traduzione della Commedia ebbe un impatto tale sulla vita letteraria di Risset da alterare radicalmente il suo modo di fare poesia. Rispetto alle raccolte pubblicate con Tel Quel, quelle che seguono la frequentazione del testo dantesco si distinguono per «une simplicité, […] une rapidité, […] une narrativité […] inconnues»352. Pubblicato per Flammarion nel 1988, L’Amour de loin353 è, in questo senso, il testo che
sembra maggiormente legato alla lirica trecentesca, forse proprio perché
348 Ivi, p. 167.
349 J.-P. Ferrini, Dante en France (après Jacqueline Risset), cit., p. 95.
350 D. Alighieri La Divine Comédie. Dessins de Miquel Barceló, traduction de J. Risset, Paris, Musée
du Louvre Editions, 2004.
351 Y. Bonnefoy, Le paradoxe du traducteur, cit., p. 8. 352 J. Risset, C. Prigent, Jeu, «poésie», Dante, cit., p. 54. 353 J. Risset, L’Amour de loin, Paris, Flammarion 1988.
cronologicamente concomitante con il laboratorio traduttivo della Commedia. Di tutte le opere poetiche – insieme, forse, a Il tempo dell’istante – questa è probabilmente la più nota: tra il 1992 e il 1993, Enrico Frattaroli ne portò a teatro una versione italiana che riscosse molto successo354, mentre nel 2010 Enrico Pieranunzi ne mise in musica alcuni brani355.
Il titolo permette già una prima analisi del contenuto: da un lato, il chiaro riferimento a l’amor de lonh di Jaufré Rudel; dall’altro, l’attualizzazione della tematica dell’amore di lontano attraverso la messa in scena di una storia a distanza. Sulla scia di quanto già era accaduto in Sept passages de la vie d’une femme, Risset sembra ritornare alla narrazione, all’espressione di un soggetto non più ellittico ma perfettamente riconoscibile e posto al centro di un racconto, tanto che appare possibile situare questa raccolta a metà strada tra poesia e romanzo356.
L’adesione ad un tipo di lirica di stampo cortese, antesignana del dolce stil novo, è evidente sin dall’epigrafe, in cui sono riportati alcuni celebri versi di Guillaume de Poitiers: «Je ferai un poème de rien pur; / il ne sera ni sur moi / ni sur d’autres / il ne sera d’amour ni de jeunesse / ni de rien d’autre, / sinon qu’il fut inventé en dormant sur un cheval»357. A proposito della scelta di indagare il tema amoroso attraverso la mediazione della lirica provenzale, Risset ha spiegato in un’intervista che «Les troubadours ont établi une synonymie totale entre ce qu’ils appellent l’amour et le chant. […] Ce rapport immédiat me semblait quelque chose de très fort, qu’il fallait reprendre. Comme s’il y avait là une source d’énergie et de chant qui était absolument nécessaire »358.
L’opera è articolata in cinque sezioni, ciascuna recante il nome di una stagione. La primavera, che è ripetuta due volte, apre e chiude il volume. Il valore simbolico associato ad ogni stagione è piuttosto evidente: al ciclo naturale si sovrappone quello dello sviluppo della storia d’amore, con la primavera e l’estate che segnano la nascita e il consolidamento
354Amor di lontano di Enrico Frattaroli, da L’Amour de loin di Jacqueline Risset. Brani in antico
provenzale da De Pei-tieu, Rudel, De Ventadorn. Produzione Teatro Libero di Palermo. Con Franco Mazzi, Galliano Mariani. Si vedano anche alcuni articoli della stampa al riguardo: A. Audino, L'amore vero è di
lontano, «Il Sole 24 ore», 24 ottobre 1993; S. Chinzari, Teatro virtuale e canzoni d'amore, «L'Unità», 21
ottobre 1993; R. Di Giammarco, Quell’amore arriva da lontano. Frattaroli propone stralci di liriche
provenzali dai versi di Jacqueline Risset, «La Repubblica», 23 ottobre 1993.
355 Cfr. M. Galletti (a cura di) Jacqueline Risset. «Une certaine joie», cit., pp. 398-409.
356 È quanto afferma Risset in un’intervista con con Bernard Pivot:
http://www.ina.fr/video/CPB88007107 (ultimo accesso 10-2018).
357 J. Risset, L’Amour de loin, cit., p. 9. Secondo Robert Lafont, questi versi di Guillaume de Poitiers,
data la loro enigmaticità, starebbero a suggerire l’emergere ante litteram dell’inconscio. Cfr. R. Lafont, Le
Chevalier et son désir, Paris, Éditions Kimé, 1992, pp. 132-133.
della relazione, l’autunno e l’inverno che ne mostrano la fine dolorosa. Il ritorno della primavera segnala, invece, il topos della rinascita dopo la sofferenza della rottura del rapporto e contiene, in potenza, il ritorno alla felicità. A tal proposito, l’autrice ha fatto notare come l’introduzione della quinta stagione possa suggerire «les possibilités, toujours proustiennes, des intermittences du cœur. Ce qui fait qu’il y a des sortes de reprises, comme des reprises musicales»359. Questa struttura ciclica viene ulteriormente accentuata dalla ripetizione dell’immagine del primo istante, quello che segna la nascita dell’amore, sia nella poesia che apre la raccolta (Premier moment) che in quella che la chiude (O). Tuttavia, questa ripresa non è del tutto identica: in Premier moment viene infatti negato quel che invece sembra essere affermato in O, ossia la possibilità che esista un momento preciso in cui il sentimento amoroso viene generato360. In tal senso, quindi, l’architettura della raccolta rissettiana appare simile a quella della Recherche poiché, se un ritorno al punto di partenza è innegabile, è pur vero che la scrittura sembra tenere conto del percorso fatto, generando così un movimento a spirale con struttura epanodica che potrebbe ricordare la struttura concatenata propria della terza rima (cfr. 2.7).
Il punto di partenza di questa spirale è, come si è detto, il «premier moment», evocato secondo la topica classica della «première rencontre»361:
Je t’ai vu, oui, un matin visage, douceur distraite – avec la foule comme à distance lumière d’hiver
et le salut parmi les autres
dès lors, dès cet instant stupeur
désir de fuir […]362
Attraverso il ruolo privilegiato conferito allo sguardo, la dialettica cortese, secondo la quale l’amore comincia dalla vista e invita al perfezionamento morale, appare chiaramente enunciata:
l’amour passe par les yeux
359 Ivi, p. 269.
360 Cfr. E. Livorni, Jacqueline Risset, Amor di lontano, «Yale Italian Poetry», vol. 1, n. 1, Spring 1997,
pp. 133.
361 Come codificati, ad esempio, da Jean Rousset in «Leurs yeux se rencontrèrent»: la scène de première
vue dans le roman, Paris, José Corti, 1981.
et descend dans le cœur l’amour de loin nous exerce et nous perfectionne363
Sin da questi versi la démarche rissettiana di trasposizione in chiave moderna della lirica cortese risulta evidente: la distanza tra il poeta e l’oggetto d’amore non è più, come nella lirica cortese, spirituale (come riflesso, peraltro, di un diverso status sociale364), ma concreta, in quanto i due protagonisti vivono in paesi diversi. Particolarmente emblematici in questo senso sono i versi contenuti in Sur la route, l’été: «conduisant vers le tu de l’amour de loin / que la vitesse obstinément rapproche»365, dove il verbo, che certamente può essere anche interpretato in senso metaforico, indica l’azione di guidare la macchina per raggiungere l’amato: la distanza geografica si fa così espressione di una distanza morale e allegorica. Lo stesso tentativo di trasposizione in chiave moderna può essere riscontrato nella tematica dell’«amour jamais vu» qual è quello cantato proprio da Rudel per la Contessa di Tripoli, la «princesse lointaine» di cui il poeta si innamora ancora prima di averla incontrata366. In L’Amour de loin, in effetti, l’innamoramento comincia attraverso un contatto telefonico che precede la «première rencontre» evocata in precedenza:
mais déjà là, avant déjà on se parlait au téléphone on riait au téléphone pacte conclu
dans les voix avant l’œil
Il «patto concluso / nelle voci» diventa l’attualizzazione del rituale trobadorico del
domnei (o donnoi) con il quale la dama regalava all’amato, dopo che questi le aveva
giurato fedeltà, un anello: simbolo, come ricorda Denis de Rougemont, di un legame fondato sulla legge della cortezia367.
363 J. Risset, Le toucher, in L’Amour de loin, cit., p. 25.
364 Questa la tesi sociologica di Erich Köhler in Sociologia della fin’amor, Padova, Liviana, 1976. 365J. Risset, Sur la route, l’été, in L’Amour de loin, cit., p. 57.
366 L’idea della riattualizzazione dell’«amour jamais vu» si trova già in A. P. Fuksas, Jacqueline Risset
e l'Amor di Lontano. Alle radici della lirica il «mirage des sources», in Convergenze Testuali
(«Anticomoderno», 1), Roma, Bagatto Libri, 1995. Sull’amore di Jaufré Rudel per la Contessa di Tripoli cfr. D. de Rougemont, L’Amour et l’Occident, Paris, Plon, 2016 [1939], p. 98, passim.
367 D. de Rougemont, L’Amour et l’Occident, cit., p. 79. Come è noto, l’autore mette in relazione questa
Anche nelle fasi che seguono il «premier moment», dunque, è la voce a costituire il punto di contatto privilegiato tra gli amanti:
je sens de toi manque si fort dans cette absence
que rien désormais nulle présence… sinon ta voix:
ta voix un instant me comble coule en moi sans passer par-dehors passant peut-être par les veines ce sang peut-être qu’on m’a mis dans l’hôpital
c’était ton sang
ta voix coulée en sang368
Non è tanto alla visione che è affidato il carattere angelico e soprannaturale dell’amato: Risset immagina che sia proprio la voce ad essere iniettata nel braccio insieme al sangue di un donatore. Il topos rudeliano della «meizina d’amor» data dal richiamo della dama è qui ripreso alla lettera e trasposto nei corridoi di un ospedale, dove la voce dell’amato diventa la cura per il male causato dall’assenza dello stesso369.
Come i versi appena citati dimostrano, «l’amour de loin» al centro della raccolta è fondato sull’elaborazione dell’assenza in termini lacaniani: «l’amour, c’est toujours l’amour de loin, puisque l’amour est distingué, défini, par le manque»370. L’assenza è il tratto caratteristico del tu dell’oggetto amato, il quale viene così posto dall’io in una situazione paradossale riassumibile nei termini di Barthes: «l’autre est absent comme référent, présent comme allocutaire»371; situazione che dà vita alla scrittura («le langage naît de l’absence», scrive ancora Barthes372) come tentativo di sopperire, attraverso la parola, all’assenza dell’altro. I versi mettono così in scena una situazione paradossale:
dell’amore cortese non sia particolarmente rilevante nell’analisi dell’opera rissettiana, alcuni motivi, come si vedrà, possono essere rintracciati in filigrana.
368 J. Risset, Tranfusion, in L’Amour de loin, cit., p. 81.
369 Per un approfondimento dell’idea «sang-voix» come meizina d’amor cfr. A.P. Fuksas Jacqueline
Risset e l'Amor di Lontano, cit., p. 56. La trasposizione in ambito moderno della fenomenologia amorosa
cortese sembra dunque un’imprescindibile chiave di lettura della raccolta, tanto che, nella sua ripresa teatrale, Frattaroli scelse di metterlo in rilievo facendo indossare ai due attori dei data gloves, ossia dei guanti normalmente indossati per manipolare la realtà in 3D: moderna ripresa del guantone da falconiere medievale, la scelta di questo costume indica anche il tentativo di una più concreta attualizzazione del concetto di «amour de loin» attraverso l’evocazione di una realtà distopica in cui la comunicazione è solo virtuale (cfr. Cfr. S. Chinzari, Teatro virtuale e canzoni d'amore, «L'Unità», 21 ottobre 1993).
370 Così dichiara Risset durante un’intervista con Bernanrd Pivot per il programma Apostrophes:
http://www.ina.fr/video/CPB88007107. (ultimo accesso 10-2018)
371 R. Barthes, Fragments d’un discours amoureux, cit., p. 21. 372 Ivi, p. 22.
je voyage ce printemps mais c’est toi
c’est toi qui bouge vite présence retrouvée aussi forte dans chaque ville de printemps373
Nonostante il je sia il soggetto in movimento, è l’amato a sfuggire; si tratta di una dialettica già codificata da Barthes, che questi versi riprendono quasi alla lettera: «L’autre est en état perpétuel de voyage; il est, par vocation, migrateur, fuyant; je suis, moi qui aime, par vocation inverse, sédentaire, immobile, à disposition, en attente […]. L’absence amoureuse va seulement dans un sens»374. Proprio per questo appare difficile vedere, come certa critica ha invece fatto, il riferimento all’«amour de loin» come ad una lontananza dalla lingua, la difficoltà di avere accesso alla «Poesia»375. L’assenza è proprio quella dell’amato, attorno al quale è costruito un discorso «ieratico» in cui l’azione, non diversamente dalle poesie trobadoriche, è di fatto mancante376.
Le influenze che intervengono sulla composizione, d’altronde, non si esauriscono ai trovatori provenzali. Al contrario, la costellazione di poeti che, più o meno direttamente, viene evocata comprende il già noto Maurice Scève, Ibn’ Arabî e Louise Labé. Queste influenze, presenti nel testo, in puro stile rissettiano, attraverso citazioni esplicite in cui, però, non viene rivelato il nome dell’autore, contribuiscono ulteriormente a inserire la raccolta all’interno di una tradizione letteraria specifica che è quella, appunto, che parte dall’amore cortese fino ad arrivare a Petrarca, di cui Louise Labé può essere considerata come una diretta discendente. Simile il caso di Ibn’ Arabî, la cui decisiva influenza nell’opera di Dante è ormai riconosciuta, e a cui l’autrice affida l’importante ruolo di chiusura del volume. In una sorta di envoi al lettore, ad essere esplicitamente evocati sono i «fedeli d’amore», i quali «restent perplexes dans l’amour, exposés à tous les périls», mentre poco prima, nell’ultima poesia della raccolta, il riferimento al «grand être» appare un’ulteriore (ma più velata) allusione alle speculazioni del filosofo arabo riguardanti l’unicità dell’essere377. Se la parentela della lirica cortese e del misticismo medio- orientale postulata nel primo dopoguerra da Denis de Rougemont è ormai accreditata, non
373 J. Risset, Paradise, in L’Amour de loin, cit., p. 19.
374 R. Barthes, Fragments d’un discours amoureux, cit., p. 19.
375 Si veda, ad esempio, l’analisi di E. Livorni, Jacqueline Risset, Amor di lontano, cit., p. 132. 376 Sul discorso amoroso come «ieratico» cfr. R. Barthes, Fragments d’un discours amoureux, cit., p.
110.
è impossibile leggere alcune immagini ricorrenti nella raccolta come generate da questa commistione. È quanto accade con il topos astrale della dialettica tra giorno e notte all’interno della quale è l’innamorato a portare la luce:
Astres des jours la nuit tu éclaires la lune et moi
sur la planète opaque dans le noir
tu ne m’éclaires pas mais tu chauffes tu me réchauffes doucement
dans la nuit jusqu’au jour378
Stando alla tesi di de Rougemont (vicino a Bataille e, dunque, probabile lettura di Risset) il dualismo notte/giorno corrisponde a un modello di ispirazione manichea originariamente elaborato in Persia e successivamente diffuso nelle sette gnostiche e orfiche379. Questa dialettica è precisamente quanto distingue l’Eros orientale dall’Agapè cristiano-occidentale: mentre quest’ultimo annuncia la possibilità di una rinascita (dunque di un avvicinamento alla luce) già durante la vita terrestre, per il misticismo fondato sull’Eros l’uomo appartiene naturalmente alla «Notte terrestre» e non può accedere al «Giorno trascendente» se non mediante una fuga dal mondo380. Motivo, questo, che l’amore cortese eredita attraverso l’esaltazione di un desiderio sublimato, sempre differito o comunque mai pienamente soddisfatto e che L’Amour de loin riprende alla lettera ponendo come ostacolo tra gli amanti la già menzionata distanza geografica381. Il riferimento al «grand être», allora, assume un’ulteriore connotazione legata proprio a questa mistica di ascendenza araba e lontana da quella cristiana: il sentimento amoroso nei confronti di un individuo è unicamente pretesto per alimentare la passione dell’anima nella ricerca della luce o, nei termini di de Rougemont, «l’être particulier n’était guère qu’un défaut et un obscurcissement de l’Être unique»382.
378 J. Risset, Astre des jours, in L’Amour de loin, cit., p. 45. 379 D. de Rougemont, L’Amour et l’Occident, cit., p. 66. 380 Ivi, pp. 68-71.
381 È proprio l’«ostacolo», reiterato ogni qual volta gli amanti sono vicini a dare compimento al loro
desiderio, a costituire, per de Rougemont, il tratto tipico dell’amore-passione destinato all’infelicità o alla morte, come mostra l’analisi dedicata al mito di Tristano e Isotta. L’Amour de loin presenta questo stesso schema attraverso la messa in scena di un desiderio che resta, di fatto, incompiuto. Cfr. D. de Rougemont,
L’Amour et l’Occident, cit., pp. 78-79, passim.
Non sorprende, alla luce di queste riflessioni, che nella raccolta l’innamorato sia evocato a più riprese attraverso l’immagine del sole. Se si esamina il modo in cui questa associazione si modifica col progredire della relazione, si noterà che al già menzionato ciclo delle stagioni si sovrappone proprio quello dell’alternanza tra notte e giorno. Pertanto, se nella sezione «Été», l’innamorato è definito come «astre des jours» che riscalda, durante l’autunno diventa già «soleil tardif»383, per poi trasformarsi in un astro che non illumina, «vrai soleil noir»384 della malinconia secondo il topos analizzato da Kristeva e risalente già ad Aristotele sotto forma di un’associazione tra l’Eros e la mélaina
kolé, la bile nera che genera malinconia385. Se, dunque, amore e malinconia risultano intimamente legati sin dall’antichità, appare legittimo affermare con Kristeva che la perdita dell’amato diventa perdita dell’Altro percepito come «necessario»386: la malinconia così concepita conduce a una «faillite du signifiant»387 proprio a causa dell’assenza del tu a cui rapportarsi. È quanto accade nella sezione «hiver» che, non a caso, mette in scena la perdita:
Le souffle qui circule encore entre les lettres du Nom
au téléphone en t’appelant encore après la fin388
Per altri versi, l’immagine dai toni apocalittici del «soleil noir» sembra confrontarsi nuovamente con quel filone esoterico della lirica trobadorica (di probabile derivazione catara secondo de Rougemont) che rivisitava il tema dell’apofatismo applicandolo alla sfera amorosa: la visione divina illumina ma, al tempo stesso, porta alla morte. Per la tradizione araba, Mosé diventa così, il «plus grand Amant, puisqu’en exprimant le désir de voir Dieu sur le Sinaï, il exprima le désir de sa mort»389. Una simile dialettica fondata sull’idea dell’indicibilità della visione divina si ritrova anche in Angela da Foligno, i cui testi erano sicuramente noti a Risset per via dell’interesse che Bataille aveva riservato alle
383 J. Risset, Antipode, in L’Amour de loin, cit., p. 71.
384 J. Risset, De Bacchus et Ariane, in L’Amour de loin, cit., p. 102. 385 Cfr. J. Kristeva, Soleil Noir, Paris, Gallimard, 1987, pp. 13-17. 386 Ivi, p. 17.
387 Ivi, p. 20. Corsivo nel testo.
388 J. Risset, Le souffle, in L’Amour de loin, cit., p. 96.
389 D. de Rougemont, L’Amour et l’Occident, cit., p. 116. Il topos del «mondo alla rovescia», di cui il
«soleil noir» può essere un esempio, ha peraltro origini molto antiche e si ritrova già in Aristofane. Cfr. E. R. Curtius, Letteratura europea e Medio Evo latino, cit. pp. 110-115.
esperienze mistiche della santa390. Se non è propriamente la morte a essere associata alla visione divina, il tema dell’oscurità è però fortemente presente e sembra accompagnare la rivelazione del Verbo in termini molto vicini a quelli della dialettica amorosa:
Après cela je le vis dans une ténèbre et fut dans la ténèbre parce qu’il est un bien qui dépasse la pensée et l’intelligence […] Et quoique tout cela soit inénarrable, on en reçoit pourtant l’allégresse. […] Je vois ces yeux, je vois ce visage si prêt au baiser. Et ce qui jaillit de ces yeux et de cette face est ce que j’ai dit voir dans la ténèbre qui vient de l’intérieur391.
Se la ripresa del codice trobadorico – e di tutto ciò che orbita intorno ad esso – è dunque evidente, nella raccolta vi è però un rovesciamento rispetto all’iconografia tradizionale: a cantare l’amato è, in questo caso, la donna392. Al posto della tradizionale «donna angelo» stilnovista, qui è l’uomo ad essere identificato come tale:
– ange : nom venu de sa main prise en photo sur l’instrument bois lisse
image découpée de main gauche d’ange393
Si tratta, peraltro, di un angelo che – vera e propria Beatrice moderna – ha il potere di condurre chi ama in Paradiso, in un certo senso simile all’«Ange» evocato da René Char nei Feuillets d’Hypnos (con un verso di cui quello rissettiano conserva l’identica struttura sintattica: «Ange: la bougie qui se penche au nord du coeur»394). Ma, in questo caso, non è tanto la fede a permettere l’elevazione quanto, invece, la musica prodotta dalle mani dell’amato con lo strumento. E anche il Paradiso dantesco perde ogni tratto metafisico finendo per incarnarsi, parodicamente, nel nome dei cocktail di un bar, «Paradise I» e «Paradise II»395.
390 Su questo punto cfr. J. Risset, Il politico e il sacro in Il silenzio delle sirene, cit., pp. 75-87.