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Verso la rivoluzione: il Dante di Tel Quel e Sollers

CAPITOLO 2 «T RADUZIONE E MEMORIA POETICA »: D ANTE

2.3. Verso la rivoluzione: il Dante di Tel Quel e Sollers

Nell’autunno del 1965 il gruppo di Tel Quel fece uscire un volume speciale, il ventitreesimo, dedicato in gran parte a Dante in occasione del settimo centenario dalla nascita del poeta. La presentazione del numero, riportata sulla fascetta editoriale, appariva volutamente provocatoria: «Connaissez-vous Dante?». E non a caso: come da intenzione del comitato di redazione, in effetti, il volume si voleva esplicita risposta al «désolant discours (vide et pompeux) de Saint-John Perse»151. I quattro saggi critici proposti, in effetti, non potrebbero essere più lontani dal Pour Dante: in apertura un Dante dans la

perspective philosophique di Schelling; seguono Sollers, con Dante et la traversée de l’écriture, Edoardo Sanguineti con Inf. VIII e Bernard Stambler con un’analisi di tre sogni

danteschi (Trois rêves). A chiudere la rassegna, una traduzione di Giambattista Vico ad opera di Risset di una lettera indirizzata a Gherardo Degli Angioli e presentata con il titolo

Sur Dante et sur la nature de la vraie poésie. Testi di epoche e di natura così diversa, in

cui, però, un tratto fa da legante concettuale: in tutti, Dante è considerato come poeta estremamente «moderno».

Il breve scritto di Schelling originariamente intitolato Über Dante in philosophischer

Beziehung152 e proposto in «Tel Quel» nella traduzione di Jacques Legrand, colpisce proprio per la contemporaneità di un approccio risalente invece ai primissimi anni

149 É. Gilson, Dante et la philosophie, cit. Il volume che racchiude l’essenza del pensiero di Mandonnet

su Dante presenta un titolo già di per sé esplicito: Dante le Théologien. Introduction à l’intelligence de la

vie, des œuvres et de l’art de Dante Alighieri (Paris, Desclée De Brouwer, 1935). L’autore tenta in tutti i

modi (troppo spesso, come notato da Gilson, senza nemmeno prendere in considerazione tutti i testi danteschi) di dimostrare che Beatrice non è mai esistita in carne ed ossa, ma unicamente come simbolo della teologia stessa. La Vita Nuova costituirebbe, secondo Mandonnet, il racconto di come Dante rinunciò a prendere i voti (in seguito alla morte di Beatrice/la teologia) e La Divina Commedia un tentativo di espiare questa colpa.

150 Cfr. J. Risset, Dante en France, histoire d’une absence, cit., pp. 59-60. 151 «Tel Quel» n. 23, automne 1965, p. 74.

152 F. W. J. Schelling, Über Dante in philosophischer Beziehung, «Kritisches Journal der Philosophie»

dell’Ottocento: attraverso una prospettiva che, come suggerisce il titolo, si vuole filosofica e non religiosa, l’autore si propone di spiegare il carattere universale del poema dantesco sottolineando come esso sia «exemplaire pour toute la poésie moderne»153. Paradossalmente, l’argomentazione posta a sostegno di questa tesi prende le mosse dalla considerazione di ciò che la Commedia non è: né romanzo, né poema epico, né poesia didascalica, né dramma, Dante sembra aver creato attraverso le tre cantiche un nuovo genere. L’appellativo «commedia» si rivela dunque una scelta formale in linea con quanto esposto nell’Ars poetica di Orazio: il poema presenta «tragicum principium, et comicum finem»154. Non solo, ma «le caractère composite de son poème, dont la matière est tantôt sublime et tantôt grossière»155, così come il linguaggio composito, non potevano adattarsi alla categoria di «tragedia». Se tutti questi elementi portano all’affermazione dell’assoluta singolarità del poema, la prospettiva filosofica schellinghiana permette di individuarne anche il carattere universale: mentre nell’antichità, attraverso il mito, il generale sembrava potersi applicare all’individuo, in epoca contemporanea si procede all’inverso, ed è solo mediante il particolare che si arrivano a estrarre le leggi collettive. In altre parole, «l’individu crée un tout de la partie du monde qui lui est révélée à partir de la matière que lui fournit son temps, son histoire et ses sciences, se forge une mythologie»156. Sono dunque le storie individuali a dover generare l’ethos comunitario: occorre che «l’individu, grâce à sa plus haute spécificité, redevienne exemplaire, grâce à sa parfaite singularité, redevienne absolu»157. E questo compito, secondo l’analisi schellinghiana, sarebbe portato magistralmente a termine da Dante: «C’est justement par cet incomparable caractère d’individualité que l’on trouve dans son poème que Dante est le créateur de l’art

153 F. W. J. Schelling, Dante dans la perspective philosophique, «Tel Quel» n. 23, automne 1965, p.

11. Orig. Über Dante in philosophischer Beziehung, cit.: «seiner Allgemeingültigkeit und Urbildlichkeit für die ganze moderne Poesie». Questa idea sarà ripresa, quasi alla lettera, da Curtius: «I versi di Virgilio e di Dante sono attuali in ogni tempo, per tutti coloro che dalla nobiltà della poesia si sentono mobilitati» (Letteratura europea e Medio Evo latino, cit., p. 268.

154 Cfr. D. Alighieri, Epistola a Cangrande della scala, in Opere di Dante Alighieri a cura di Fredi

Chiappelli, Milano, Mursia, 1968, p. 921: «Per tutto ciò è chiaro che la presente opera si dica Commedia. Infatti se si guarda alla materia, è orribile e repellente da principio, perché è l’Inferno, mentre alla fine è prospera, desiderable e attraente, perché è il Paradiso».

155 F. W. J. Schelling, Dante dans la perspective philosophique, cit., p. 11. Orig. Über Dante in

philosophischer Beziehung, cit.: «die gemischte Natur seines Gedichts, dessen Stoff bald erhabener, bald

niedriger ist».

156 Ivi, p. 4. Orig. Über Dante in philosophischer Beziehung, cit.: «daß das Individuum den ihm

offenbaren Theil der Welt zu einem Ganzen bilde, und aus dem Stoff seiner Zeit, ihrer Geschichte und ihrer Wissenschaft sich seine Mythologie erschaffe».

157 Ibid. Orig. Über Dante in philosophischer Beziehung, cit.: «daß das Individuum durch die höchste

moderne ; celui-ci ne peut être pensable sans cette nécessité arbitraire ni sans cet arbitraire nécessaire»158. Nella Commedia appare racchiusa tutta la scienza del tempo dell’autore attraverso un’inedita combinazione di allegoria e storia che forma «un tout organique»159. Se ogni personaggio può essere letto in maniera allegorica, non per questo le caratteristiche che lo ancorano alla storiografia devono essere considerate pura invenzione. È proprio grazie a questa originale commistione tra generale e particolare che l’opera appare come «une compénétration plus haute de la science et de la poésie»160 senza per questo, come si diceva sopra, risultare didascalica. La Commedia si pone invece, secondo questo Schelling mediato da Tel Quel, come espressione di una

Weltanschaung universale, che trascende la specificità dell’epoca in cui la redazione

dell’opera ha avuto luogo: «Le poème de Dante donc, […] , n’est pas l’oeuvre isolée d’une certaine époque, d’un certain degré de la culture, il est exemplaire par sa portée générale qu’il lie à l’individualité la plus absolue, par son universalité qui lui permet de n’exclure aucun aspect de la vie et de la culture»161.

Da questa macrointerpretazione dantesca si passa all’analisi, firmata da Edoardo Sanguineti, dell’ottavo canto dell’Inferno162. Come il volume Il realismo di Dante163, pubblicato a Firenze quasi contemporaneamente all’uscita del numero 23 di «Tel Quel», questo saggio si propone di mettere in luce le tecniche narrative della Commedia attraverso lo studio dei topoi, del ritmo del racconto, del ruolo svolto dai personaggi. È facile comprendere come una simile prospettiva, peraltro perfettamente in linea con l’allora neonato Gruppo ’63, potesse accordarsi agli interessi di «Tel Quel». Quel che emerge è un Dante sapientemente in grado di tenere in sospeso il lettore attraverso opportuni cambiamenti nel ritmo narrativo. Tra i molti esempi riportati e tratti dall’ottavo canto, particolarmente emblematico appare quello dell’inattesa comparsa di Filippo

158 Ibid. Orig. Über Dante in philosophischer Beziehung, cit.: «Eben durch das schlechthin Individuelle,

nichts anderm Vergleichbare seines Gedichts ist Dante der Schöpfer der modernen Kunst, die ohne diese willkürliche Nothwendigkeit und nothwendige Willkühr nicht gedacht werden kann».

159 Ivi, p. 6. Orig. Über Dante in philosophischer Beziehung, cit.: «Einem Ganzen».

160 Ivi, p. 7. Orig. Über Dante in philosophischer Beziehung, cit.: «Dante's Gedicht ist eine viel höhere

Durchdringung der Wissenschaft und der Poesie».

161 Ivi, p. 8. Orig. Über Dante in philosophischer Beziehung, cit.: Dante's Gedicht ist also, […], kein

einzelnes Werk eines besondern Zeitalters, einer besondern Stufe der Bildung, sondern urbildlich durch die Allgemeingültigkeit, die es mit der absolutesten Individualität vereinigt, durch die Universalität, vermöge der es keine Seite des Lebens und der Bildung ausschließt, durch die Form endlich, welche nicht besonderer Typus, sondern Typus der Betrachtung des Universum überhaupt ist».

162 Si tratta di un brano già pubblicato dalla rivista «Il Verri» (n. 14, 1964) e qui tradotto in francese da

Jean Thibaudeau.

Argenti: mentre attraversano la palude dello Stige a bordo della barca di Flegias, i due pellegrini sembrano aver lasciato dietro di loro la massa dei dannati. Il ritmo del racconto si fa calmo, i versi descrivono il procedere della nave. Ma, segnalato da un «Mentre» che apre la terzina (v. 31), il tono cambia drasticamente introducendo dapprima la voce, e poi il corpo, di un dannato il cui nome sarà opportunamente svelato soltanto alla fine dell’episodio. Come spiega Sanguineti, però, la strategia di «fuga in avanti del racconto» operata dall’autore non si ferma qui: se il lettore è infatti all’oscuro dell’identità del dannato, non così Dante, che afferma di riconoscerlo nonostante gli strati di fango che lo ricoprono (v. 39). È soltanto dopo la lode di Virgilio che il nome di Filippo Argenti sarà pronunciato e che il viaggio in barca potrà continuare serenamente, come mostra il passaggio al praesens historicum (vv. 64-66). Nel quadro di un’analisi estremamente dettagliata di cui non è possibile riportare qui per esteso le conclusioni, questo esempio mostra bene la novità dell’approccio di Sanguineti, soprattutto se paragonato alle coeve produzioni francesi in ambito accademico (cfr. 2.2): l’interpretazione dei versi è letterale e non allegorica. Per la prima volta, ad essere messa in rilievo è l’abilità di Dante in quanto narratore, non come filosofo o teologo.

Più marcatamente strutturalista è, invece, l’approccio adottato da Bernard Stambler nell’analisi dei tre sogni che scandiscono il percorso di Dante nel Purgatorio, in particolare per l’ultimo, quello che vede come protagoniste Lia e Rachele. In opposizione a diversi commentatori (tra i quali Pascoli e la stessa Risset molti anni dopo l’uscita di questo articolo164), l’autore rifiuta l’idea che Lia rappresenti un’anticipazione dell’incontro in Paradiso tra il poeta e Matelda (la quale, proprio come Lia, è descritta nell’atto di raccogliere fiori); conseguentemente, viene rigettata anche l’ipotesi, comunemente accreditata, secondo la quale la sorella Rachele possa costituire un’allegoria di Beatrice. La scelta tra vita attiva (Lia-Matelda) e vita contemplativa (Rachele-Beatrice) a cui, secondo gran parte dei commentatori, Dante sarebbe chiamato, per Stambler semplicemente non sussisterebbe: Giobbe, che nell’Antico Testamento è deve esprimere una preferenza tra le due donne, non è infatti nemmeno presente nel sogno, segno questo che Dante non cercherebbe di porsi al suo posto. Per di più, secondo l’autore, se il centro della riflessione fosse stata realmente l’alternativa tra vita attiva e contemplativa, il poeta avrebbe avuto a disposizione l’episodio evangelico di Marta e

164 Come dimostra un intervento sulla figura di Matelda di cui Umberto Todini mi ha gentilmente

Maria in cui la distinzione appare più chiara che non nella coppia Lia-Rachele. Viceversa, poiché questo sogno, come anche i due precedenti, presenta alcuni motivi sessuali più o meno espliciti (una donna che raccoglie i fiori, l’altra che si guarda allo specchio), Stambler suggerisce di leggerli freudianamente come strumenti di «liberazione dell’ego»165, ovvero come un’allegoria che tuttavia rappresenti non più la verità delle Sacre Scritture, quanto piuttosto ciò a cui Dante vuole credere, ossia il suo essere stato eletto a protagonista del viaggio dell’aldilà, individuo privilegiato a cui la visione è concessa la visione divina. Non a caso, il risveglio coincide con l’elogio di Dante da parte di Virgilio, il quale dichiara il discepolo pronto ad entrare nel paradiso terrestre: è compiuta l’espiazione, l’accesso alla beatitudine appare prossimo. Per Stambler, il riferimento alla Bibbia (mediante le figure di Lia e Rachele) non sarebbe altro che un pretesto per parlare del viaggio stesso, attraverso la creazione di un linguaggio che non necessariamente trascende l’opera, quanto piuttosto la contiene: il poema resta a tutti gli effetti «une fiction poétique unique»166 in cui quel che conta davvero è quanto accade al pellegrino, al personaggio di cui si sta leggendo il racconto.

A chiudere la rassegna dei saggi su Dante si trova la traduzione rissettiana di una lettera di Vico in cui, ancora una volta, viene sottolineata l’inattualità del poeta nello scenario dell’epoca. Inattualità che va intesa, però, come estraneità rispetto al canone letterario: «vous», scrive Vico a Gherardo degli Angioli, «chérissez Dante, contre le cours naturel des jeunes gens, lesquels, par le fait du beau sang qui rit dans leurs veines, se plaisent aux fleurs, aux grâces, aux ornements». «Et vous», continua l’autore «avec un goût austère avant le temps, vous sentez ce divin poète qui semble aux sensibilités délicates de notre époque notablement inculte et rude et qui produit, pour les oreilles amollies par des musiques efféminées une harmonie souvent âpre et parfois même désagréable»167. Le stesse modalità recettive del testo osservabili in Francia appaiono riscontrabili anche nell’analisi vichiana del contesto italiano: non solo il poeta è scartato in favore di scrittori più accessibili ma, là dove invece viene elogiato, è soprattutto l’Inferno ad essere considerato come degno di nota, mentre le due restanti cantiche sembrano trascurabili. La spiegazione di questo fenomeno va cercata, secondo Vico, nell’interesse della gran parte dei lettori nei confronti di opere dal carattere «atroce», quasi barbarico, interesse che li

165 B. Stambler, Trois rêves, cit., p. 67. 166 Ivi, p. 66.

allontana dunque da quel «prodigieux émerveillement» che il Purgatorio e il Paradiso dovrebbero invece suscitare.

Nella sua portata innovatrice, il saggio di Sollers sembra costituire un prolungamento dei precedenti, ponendosi come vero centro propulsore del numero che merita di essere analizzato più nel dettaglio. In Dante et la traversée de l’écriture, ciò su cui insiste Sollers è la dimensione di «scrittore», di fine conoscitore della materia linguistica che ha piena consapevolezza dei quattro sensi che informano la Commedia e che ne fanno un testo al tempo stesso letterario, politico e filosofico168. Solo attraverso quest’ottica è possibile «riaprire Dante» facendolo dialogare con le epoche, con la Storia, rendendolo un testo tra gli altri. Anche l’analisi di Sollers muove dalla constatazione di un sostanziale fraintendimento dell’intera opera nel corso dei secoli. Al punto che, in termini di invisibilità letteraria, il poeta fiorentino potrebbe paradossalmente essere paragonato a Sade169: tanto l’uno è rimosso dalla società a causa di contenuti reputati scabrosi, quanto l’altro è dimenticato per il motivo opposto, ossia in qualità di presunto araldo del cattolicesimo. Il risultato è che ad essere negletto è il tessuto linguistico che informa la

Commedia, il quale rende l’opera non un insieme di versi da decifrare ma un testo «que

peut parcourir à travers lui [Dante] un sujet qui tente de l’épuiser dans toute ses dimensions, selon un dévoilement actif»170.

A rendere moderno e universale il «poema sacro» è, invece, la sua duplice struttura: da un lato quella di libro che si pone come somma degli altri attraverso l’evocazione di tutti i domini del sapere dell’epoca (scienza, teologia, ma anche sogni, miti, amore); dall’altro quella di racconto del viaggio negli inferi per mezzo di un narratore autodiegetico che si vuole al tempo stesso autore e spettatore. Non solo, ma questa doppia valenza si applica anche all’ambito del linguaggio, quello del poeta Dante che cerca il proprio stile ma soprattutto quello del teorico che inventa a tutti gli effetti una lingua nazionale che si sostituisca al latino. E il mezzo attraverso il quale questa invenzione può avere luogo è la poesia, definita dallo stesso Dante come «fictio rhetorica musicaque poita» (De vulgari Eloquentia, II, IV, 2) e dunque strettamente legata al ritmo: «n’oublions pas», precisa Sollers, «que ce que nous appelons musique naît, selon une convergence significative, en même temps que Dante: apparition, avec l’Ars Nova, de

168 Cfr. D. Alighieri, Epistola a Cangrande della Scala, cit., p. 920.

169 Ph. Sollers, Dante et la traversée de l’écriture, «Tel Quel» n. 23, automne 1965, p. 12. 170 Ivi, p. 13.

l’isorythmie, de la notation proportionnelle, développement de la polyphonie […]; révolution qui est surtout une révolution d’écriture marquée par le surgissement des

lignes»171. Rivoluzione della scrittura musicale che porta a una rivoluzione della poiesi, rivoluzione del verso che porta alla rivoluzione linguistica: il percorso è il medesimo e si articola in un movimento che, partendo dal significante (le note e il pentagramma o le rime e le terzine, e così via) procede verso il significato. In tal senso, la lingua a cui Dante aspira non sarà quella degli animali (immersi in un «signifiant intégral» valido all’interno della stessa specie ma non da una specie all’altra) e nemmeno quella degli angeli (caratterizzata da un «signifié pur» che rende tutto intelligibile grazie alla vicinanza divina). Se alla confusione delle lingue di Babele occorrerà sostituire una parola atta alla comunicazione, volta alla referenza, questa parola dovrà dunque ugualmente essere in grado di «faire apparaître la multiplicité invisible du signifié»172.

Da qui l’importanza che la componente del significante riveste, secondo Sollers, nell’opera dantesca: specialmente nella Vita Nova, attraverso la descrizione degli stati d’animo provocati dalla vista – e dal pensiero – di Beatrice, Dante sembra mettere in scena uno spazio in cui il corpo diventa «signifiant majeur» e dove «le champ de la détermination symbolique [est] atteint dans le tremblement du désir»173. La sfera del significante, al meglio rappresentata dal corpo di Dante, si oppone al significato assoluto, che è Beatrice. Prendendo in prestito alcuni termini dalla psicanalisi lacaniana, Sollers definisce Dante come un soggetto che fa esperienza della propria condizione mediante la scrittura: tutte le poesie che compongono la Vita Nova sono infatti concepite come racconto di un episodio della vita di Dante e, a loro volta, vengono accompagnate da un commento dell’autore. Si tratta di un triplice passaggio: un soggetto che dapprima vive, poi scrive, e poi spiega quanto ha scritto a qualcuno, ossia al lettore. «Partage triple de l’inconnu» che mostra quanto l’opera dantesca sia soprattutto «mouvement, communication»174. Secondo Sollers, pertanto, non vi è ragione di scavare nel passato per tentare di forgiare un ritratto biograficamente veritiero della donna amata dal poeta: in quanto «signifiant universel», ossia puro segno, Beatrice incarna Eros e Thanatos, «seul signe capable d’entrainer un désir sans limite»175. Proprio come annunciato da Schelling,

171 Ivi, p. 18. Corsivi dell’autore. 172 Ivi, p. 17.

173 Ivi, p. 21. 174 Ivi, p. 21. 175 Ivi, p. 22.

questo non significa che Beatrice sia unicamente un’allegoria, ma che la sua morte (reale, storicamente identificabile) diviene pretesto per la scrittura stessa, garantendo che il desiderio amoroso sia sempre vivo, cristallizzato nella distanza ultraterrena. Moderna anti-Euridice, Beatrice non solo lascia che Dante-Orfeo la guardi a più riprese, ma, addirittura, lo guida nell’oltretomba: gesto trasgressivo che Sollers associa a Bataille nella misura in cui esso comporta l’accostarsi a un territorio ignoto, l’adesione a un’«expérience qui isole et détruit le sujet en dehors de toute issue, de toute société possible»176; l’attrazione, dunque, verso quel sacro sinistro costituito dalla «parte esclusa» che sconfina proprio nella morte e nel sacrificio.

Se Dante si pone al tempo stesso come autore, narratore e personaggio, se «l’alter ego de Dante, affronté comme acteur à une altération violente, désigne malgré tout un “Dante” qui se situe au-delà de leur distinction»177, la Commedia non fa altro che rimandare ad un unico oggetto: l’atto stesso della scrittura, «la traversée de l’écriture» per l’appunto. È così che, attraverso un’immagine poi ripresa e ampliata da Risset, Sollers può applicare all’opera la stessa definizione che Alano di Lilla riservava a Dio: «La Comédie est partout, elle est nulle part. Sa circonférence est partout, son centre nulle part»; autore e lettore diventano una cosa sola, «le ‘je’ qui vient alors au langage est celui, non pas de l’individu,