UNA PARABOLA DISCENDENTE? (ANNI ‘90 E QUATTROCENTO)
5.3) DUE VICENDE PER DUE RAM
Per ritrovare i Ciampolini dopo i primi anni del Quattrocento è necessario spostarsi in avanti di un ventennio, fino al catasto fiorentino del 1428 già citato in precedenza per le informazioni sul ramo di Ildebrandino. Oltre a permettere il completamento della sua sezione di albero genealogico e di parte di quello di Leonardo, può chiarire alcuni aspetti legati agli anni della cessione di Pisa199.
Giovanni di Ildebrandino Ciampolini è registrato come un settantaquattrenne (n. 1354) residente a Palaia (a circa trenta chilometri da Pisa), una delle località riconosciute come proprietà dei Gambacorta nel contratto con i fiorentini del 1406. Giovanni è sposato con Bartolommea (quarantacinque anni, n. 1383) e ha cinque figli: Antonio (ventisei anni, n.1402), Michele (ventiquattro, n. 1404), Lorenzo (diciannove n. 1409), Domenico (diciassette, n. 1411) e una femmina di cui non sono specificati nome o età. Il capofamiglia ha una bottega di spezieria - l’attività di famiglia - e commercia articoli di merceria e formaggi; possiede case e animali, senza ulteriori specificazioni200.
Appare anche il fratello di Giovanni, Leonardo (o Lunardo) di Ildebrandino, che viveva ancora a Pisa. È uno speziale infermo di sessantasei anni (n. 1362) e la sua bottega si trova «sotto casa dei Galletti» (nei pressi di dove ora si trova la chiesa della Madonna dei Galletti, sul Lungarno Pacinotti); vive con la moglie Cola (cinquantasei anni, n. 1372) e con i figli Ildebrandino (trent’anni, n. 1398),
198 Razzi, Le chiese dei frati Minori di San Gimignano, p. 71n. Su Lippa Salvucci: Mori, Documenti e
proposte per una ricerca prosopografica sulla famiglia Salvucci di San Gimignano (secoli XIII-XIV), p. 164.
199 Casini, Il catasto di Pisa nel 1428-29. Le date di nascita e che ho indicato sono calcolate sul 1428.
Rimando nuovamente all’albero genealogico in Appendice II.
Bartolo (ventitré, n. 1405) e Gaspare (diciotto, n. 1410). La famiglia possiede due case: una nella cappella di San Filippo dei Visconti e un’altra poco distante, nella parrocchia di Santa Cecilia201. Cola
è un personaggio molto interessante: sappiamo che era figlia di Piero di Vanni di Sigerio di Iglesias, probabilmente un mercante che operava in quell’area della Sardegna e che le lasciò in dote una cava di piombo proprio a Iglesias, amministrata quindi dal marito Leonardo202. Nel catasto fiorentino è spiegato che Leonardo e uno dei figli hanno passato lì undici anni, ma le perdite sono state superiori ai guadagni: nonostante una recente vendita di piombo a Pisa per 250 fiorini, dai conti di un’altra famiglia presente nel catasto veniamo a sapere che negli ultimi anni Leonardo aveva costituito una compagnia con Ranieri e Gaspare di Guido e Gherardo di Antonio di Colle Valdelsa per lo sfruttamento della cava, ma oltre metà dei guadagni era stato rubato dai pirati203. Questo ramo della famiglia aveva inoltre crediti con fiorentini, senesi, volterrani, elbani e un romano, e debiti con un senese, un fiorentino e un sardo204.
Sul ramo di Lorenzo Ciampolini nel catasto appaiono invece poche informazioni: i suoi eredi non meglio specificati risultano creditori di una famiglia per una piccola somma, mentre Lucrezia, vedova di Gherardo Ciampolini (figlio di Lorenzo e fratello di Giovanni) risulta creditrice di Bartolomeo di Ser Colo da Scorno per 200 fiorini205.
Altri dati utili a completare il quadro della famiglia sono forniti da Luigina Carratori Scolaro nella sua rassegna sull’Archivio della Certosa di Calci (in cui ho rintracciato anche il processo di cui si dirà tra poco): Lorenzo di Chele Ciampolini aveva vissuto a Kinzica nella parrocchia di San Sebastiano (la chiesa era nei pressi delle Logge dei banchi) ed era sposato con Nense; è confermata la presenza dei due figli Giovanni (m. 1417) e Gherardo (m. 1421); Giovanni era sposato con Antonia di Bartolomeo del Voglia e aveva avuto quattro figli: Antonio (m. 1421), Pandolfo (m. tra il 1434 e il 1440), Lorenzo (m. 1423) e Polissena206. Quest’ultima nel 1429 sposò Antonio da Settimo, con il quale si trasferì immediatamente a Palermo207. Pandolfo si era invece unito a Bartolomea di Bonaccorso di Banduccio Bonconti208. È interessante notare che la maggioranza dei membri nel ramo
201 Ivi, p. 276.
202 L. Carratori Scolaro, Archivio della Certosa di Calci, p. 139. “Di Sigerio” nell’indicazione del padre di
Cola potrebbe essere un patronimico oppure precisare la sua provenienza geografica: la curatoria del Sigerro, che prendeva il nome dall’omonimo torrente, corrispondeva al basso Iglesiente.
203 Casini, Il catasto di Pisa nel 1428-29, p. 263n. 204 Ivi, p. 276.
205 Ivi, pp. 249n e 275-276n.
206 L. Carratori Scolaro, Archivio della Certosa di Calci, p. 140.
207 G. Petralia, Banchieri e famiglie mercantili nel Mediterraneo aragonese: l’emigrazione dei Pisani in
Sicilia nel Quattrocento, Pisa 1989, pp. 250 e 252.
208 A. Carlomagno, Il banco Salviati di Pisa: commercio e finanza di una compagnia fiorentina tra il 1438
di Lorenzo ancora alla fine degli anni Venti del Quattrocento continuava a legarsi con famiglie pisane eminenti e nel caso dei Bonconti addirittura vecchie alleate.
I monaci della Certosa di Calci intentarono un complicato processo nel 1434 contro gli eredi di Lorenzo Ciampolini e donna Cola di Leonardo di Aldobrandino Ciampolini e donna Pomina moglie di Gabrino Fondolo per la recuperazione del castello e terre di Alica e annessi, che ci permette di analizzare ulteriormente la conclusione della parabola ciampoliniana209. La vicenda coinvolgeva entrambi i rami pisani della famiglia e aveva radici molto risalenti, da ricercare fino alla morte di Ildebrandino di Ciuccio nel 1381. Tra quella data e il 1393 il suo secondo figlio Leonardo sposò Cola, che oltre alla cava di piombo nell’iglesiente portò in dote anche la casa a San Filippo dei Visconti segnalata nel catasto fiorentino e 1000 fiorini; il cugino Lorenzo Ciampolini era stato fidecommissario dell’atto di passaggio della dote a Leonardo. Nel 1393 i due fratelli avevano venduto una serie di beni, tra la casa dotale, a Lorenzo, in un momento di difficoltà economica: è spiegato che Leonardo aveva amministrato male i suoi beni e non riusciva a mantenere la famiglia; anche Giovanni al momento del processo viveva in povertà a Palaia. La casa a San Filippo rimase quindi proprietà di Lorenzo fino al 1404, quando era diventata parte di uno scambio con i monaci della Certosa di Calci: le proprietà cedute dalla Certosa corrispondevano a 156 unità di terreno (tra cui il complesso di edifici fortificati di Alica, negli immediati pressi di Palaia, ed altri terreni limitrofi, che la Certosa aveva ricevuto da Lotto Gambacorta nel 1398 per rispettare delle disposizioni testamentarie), scambiate con le 38 date dal Ciampolini (inclusa la casa); l’iniquità dell’accordo era dovuta ad un debito dei monaci nei confronti di Lorenzo, che intendevano così ripagarlo: questi era stato d’altronde «più volte generoso nei loro confronti» per via delle sue donazioni210.
A partire dal 1410 i monaci cominciarono ad intraprendere tentativi di recuperare quegli stessi terreni che avevano ceduto (probabilmente ne era stata sottovalutata la rendita), ma senza successo. Passò un decennio e nel 1421 erano ormai morti sia Lorenzo Ciampolini che il figlio Giovanni; la vedova di quest’ultimo, Antonia del Voglia, decise di vendere una parte delle vecchie proprietà, per ripagare dei debiti; l’acquirente fu Gabrino Fondulo, condottiero di ventura invischiato in varie vicende politiche e familiari tra Milano, Mantova e Firenze. Fu ucciso in un’imboscata nel 1325 e la casa a San Filippo insieme alle altre proprietà acquistate quattro anni prima furono ereditate dalla moglie Pomina e dal figlio Pagano. Nel 1433 si rifece avanti Cola, moglie di Leonardo Ciampolini (ormai infermo) e proprietaria originaria di quella casa che aveva ricevuto in dote e ora apparteneva
209 ASPi, Corporazioni religiose soppresse, Certosa di Calci, n. 4, 267, Processo contro gli eredi di Lorenzo
Ciampolini… e L. Carratori Scolaro, Archivio della Certosa di Calci.
alla Certosa: giustificata dal fatto che aveva la necessità di mantenere sé stessa e la famiglia, richiedeva la proprietà della casa pisana e di quelle terre che il marito e il cognato avevano venduto nel 1393 e ora appartenevano in parte alla Certosa, in parte ai Fondulo. I monaci della Certosa ne approfittarono per tornare alla carica nel tentativo riottenere tutte le proprietà cedute nel 1404, e nel 1434 citarono in giudizio gli eredi di Lorenzo Ciampolini (colui che aveva acquistato per primo la casa nel 1393 e l’aveva ceduta ai monaci nel 1404), Cola e Pomina Fondulo. L’unico erede vivente di Lorenzo Ciampolini era il nipote Pandolfo, che non si presentò al processo211. Pare che la vicenda si sia conclusa con il ritorno della casa di San Filippo dei Visconti nelle mani di Cola entro il 1441 poiché non era stato effettivamente rispettato il suo diritto di proprietà in occasione della prima vendita nel 1393; tutte le proprietà rurali invece entro il 1444 erano tornate ai monaci, che erano riusciti a fare leva sull’irregolarità di quel primo passaggio, invalidando tutte le compravendite successive (e soprattutto le cessioni di proprietà a Lorenzo del 1404)212.
Da questo processo emerge l’idea di un forte impoverimento della famiglia, almeno per quanto riguardava il ramo di Ildebrandino; i figli non erano riusciti a tenere unito il patrimonio paterno e sembrano non aver mai praticato commerci a un certo livello, non andando oltre la semplice compravendita “da bottega” dello speziale. Solo Leonardo era stato attivo, con la compagnia costituita nel 1396 insieme al cugino Giovanni di Lorenzo e la gestione della cava di piombo in Sardegna, che evidentemente non aveva fruttato abbastanza per consentire di mantenere gli standard di vita della generazione precedente. In parte questo va attribuito anche all’evidente lontananza del ramo di Ildebrandino dal circolo datiniano, prerogativa di Lorenzo e del figlio.
Le località che appaiono nel catasto e nel processo non sono irrilevanti. Giovanni di Ildebrandino nel 1428 viveva a Palaia, dopo esservisi probabilmente stabilito nella finestra tra il 1404 (anno in cui Lorenzo Ciampolini l’aveva ottenuta dai monaci di Calci) e il 1421, quando le proprietà erano state cedute da Antonia del Voglia a Gabrino Fondulo. Sappiamo inoltre che Giovanni di Ildebrandino Ciampolini nel 1424 possedeva una vigna a Soiana, a meno di dieci chilometri da Alica e Palaia, peraltro adiacente alle coltivazioni di Gherardo Galletti, della stessa famiglia sotto la cui casa pisana era indicata essere la bottega di speziale di Leonardo (ma probabilmente condivisa con il fratello)213. Se Giovanni si trovava in una località che formalmente apparteneva allo zio o al cugino, e qui aveva
211 Ivi, p. 384.
212 Ivi, p. XXV
213 B. Casini, Attività giuridiche mercantili e politiche dei Da Lavaiano, in «Archivio Storico Italiano»,
vol. 132, nn. 2/4 [pp. 175-307], Firenze 1974, p. 302. Il dato proviene dall’elenco delle proprietà di Bartolomeo di Gaspare di Lavaiano nel momento in cui le ereditò dallo zio Giovanni, morto nel 1424. (ivi, p. 307). La certezza sul fatto che si tratti di Giovanni di Ildebrandino viene dal fatto che Giovanni di Lorenzo era certamente già morto nel 1321.
anche un’attività personale, significa che quelle proprietà erano considerate un bene comune della famiglia, forse anche gestito in modo partecipato: nella finestra temporale in cui l’area fu sotto il controllo dei Ciampolini, il complesso del castello-villa di Alica (oggi frazione di Palaia) subì le prime trasformazioni da fortificazione a residenza privata214. Gli ultimi proprietari del complesso prima del passaggio ai monaci di Calci erano stati i Gambacorta, che ne avevano fatto una vera e propria «residenza fortificata» a partire dal 1322215. Non è casuale la presenza di Palaia tra le località su cui la famiglia aveva ottenuto il controllo all’interno del contratto con i fiorentini nel 1406, era già in mano ai Ciampolini che ne furono in qualche modo “infeudati” dai protettori.