UN RITORNO ALLA CITTÀ (ANNI ’70)
3.1) SOLEA ESSER MERCATANTE
La famiglia Dell’Agnello aveva una storia simile a molte altre nella Pisa trecentesca: un’origine rurale non nobiliare, l’inurbamento nel XIII secolo a cui era seguita una forte ascesa grazie ai commerci e un destino deciso dalle affiliazioni politiche. In questo caso la famiglia sembra aver mantenuto un basso profilo fino al termine della prima fase bergolina, dopo la quale i membri avevano aderito «immediatamente e decisamente al mutamento politico» raspante, arrivando ad occupare cariche di grande rilievo98.
Giovanni Dell’Agnello sedette tra gli Anziani pisani almeno cinque volte tra il 1359 e il 1364, fu incaricato di ambascerie verso Milano, Genova, Firenze e Napoli e soprattutto fu per tre anni soprastante delle masnade a cavallo, ruolo che denotava estrema fiducia da parte del gruppo dirigente poiché dava il controllo delle risorse per l’arruolamento dei mercenari. Tutto ciò gli permise di concentrare in pochissimi anni un potere enorme e costruire una rete di amicizie (anche extra-pisane, incluso probabilmente Bernabò Visconti) fittissima; il calo dei consensi del partito al governo e la disastrosa sconfitta di Cascina contro Firenze nel 1364 fornirono le condizioni per renderlo protagonista di un coup: nell’agosto, scortato dai rappresentanti delle famiglie Della Rocca, Aiutamicristo, Benetti, Scarso e Gualandi, entrò nel palazzo degli Anziani e dopo aver allontanato i pochi contrari manifesti venne proclamato dogio et signore a vita: ai Raspanti era apparentemente riuscita la forzatura del proprio consolidamento al potere.
Tuttavia il nuovo ordine prese ben presto una piega inaspettata: i membri delle famiglie eminenti vennero sì inclusi nella nuova nobiltà della signoria, ma il loro ruolo venne sempre più emarginato in cariche simboliche che non prendevano davvero parte al processo decisionale, a favore di una progressiva personalizzazione del potere del nuovo doge che forse nessuno si era aspettato, accanto agli atteggiamenti aristocratici assunti dal Dell’Agnello; d’altronde, come osservava il cronista Sercambi, questi solea esser mercante99. Politicamente fece in tempo a promuovere un parziale
riappacificamento sia interno che estero, tramite i rientri degli esiliati del 1355 (i Gambacorta
98 Tangheroni, voce Giovanni dell’Agnello, in «Dizionario Biografico degli Italiani». 99 Ibid.
rimasero gli unici ancora esclusi) e un immediato accordo con Firenze con cui si tentò di far riprendere i flussi di merci e di capitali fondamentali per il ceto mercantile pisano, con scarso successo. Nel 1366 Giovanni assorbì nella sua carica anche la nomina degli Anziani, inimicandosi definitivamente le famiglie che l’avevano favorito; la stagnazione commerciale della città continuava, contribuendo al malcontento generale ma ovviamente in modo più marcato nella classe mercantile100. Nel 1368, in occasione della seconda discesa in Italia di Carlo IV, la vicinanza del doge al nemico Bernabò Visconti metteva Pisa in una situazione estremamente scomoda: un timido tentativo del doge di mantenere una posizione “oltranzista” fu sconfessato alla presenza dell’imperatore grazie all’opposizione compatta del ceto dirigente pisano e il Dell’Agnello fu costretto ad accettare la sottomissione diventando vicario imperiale. La situazione, ancora tesissima, subì una svolta nel settembre: Giovanni Dell’Agnello si era recato a Lucca per partecipare all’ingresso trionfale delle truppe imperiali, ma nel corso di una lettura pubblica il ballatoio su cui si trovava cedette, causando la sua caduta (letterale e figurata) e la rottura di un femore101. I Raspanti approfittarono della momentanea debolezza per avviare il riappacificamento con l’imperatore, ottenendo da lui la restaurazione dell’ordine istituzionale precedente al 1364 - anche se ormai i Bergolini rientrati avrebbero ripreso a costituire una forza pari ai loro avversari nelle dinamiche politiche102: il consiglio degli Anziani eletto nel settembre 1368 era costituito da sei rappresentanti scelti dai Raspanti e sei dai Bergolini103.
Nacque in questa contingenza un nuovo organo sperimentale, la Compagnia di San Michele, sorta con il favore dell’imperatore e per iniziativa di cittadini («tanto mercanti quanto nobili») che si mostravano più interessati alla ripresa economica e a un rapido ritorno all’ordine che agli scontri fazionali, i quali «avevono giurato di non favorire né e’Bergolini, né e’Raspanti, ma la justizia, ed il ben della Repubblica Pisana»104. Lo stesso gonfalone della Compagnia rappresentava San Michele con la bilancia, suo attributo tradizionale, le insegne del Comune e del Popolo di Pisa, il tutto protetto dalle ali dell’aquila imperiale: quindi «fedeltà all’impero, al Popolo, al Comune e soprattutto
100 Silva, Il governo di Pietro Gambacorta in Pisa, p. 28.
101 Giovanni Dell’Agnello avrebbe tentato di recuperare il potere a Pisa nel 1370 alleandosi a Bernabò
Visconti e ricevendo il controllo diretto su più di mille soldati insieme a John Hawkwood in prospettiva di una spartizione della costa toscana, ma l’attacco fallì. L’ex doge morì in povertà a Genova nel 1387.
102 M. Ronzani, L’ultimo «partito dell’imperatore». Pisa, Carlo IV e la perdita di Lucca, in corso di
stampa.
103 Ciccaglioni, Priores Antianorum, primi tra gli Anziani. Criteri di preminenza, cicli economici e
ricambio dei gruppi dirigenti popolari a Pisa nel XIV secolo, p. 20.
104 L. A. Muratori, Rerum Italicarum scriptores ab anno aerae christiane millesimo ad millesimum
sexcentesimum, Firenze 1748, Tomo I, pp. 747-748. La compagnia si costituì come una societas intitolata alla
giustizia, equanimità al di sopra delle parti»105. Secondo l’anonima Cronica di Pisa trecentesca le
adesioni iniziali nella cittadinanza furono oltre quattromila106.
È dunque adeguata la definizione di un “terzo partito” alternativo e per molti versi superiore alle due fazioni107. La sua composizione si può dire professionalmente trasversale e costituisce una realtà a sfavore della visione tradizionale dei due partiti pisani, di artigiani contro mercanti: nell’istituzione della Compagnia appaiono i due capi, il notaio Guido Sardo e il mercante-ritagliatore di lana Gherardo Casassi, coadiuvati da dodici consiglieri (tre per quartiere) tra cui compaiono anche lanaioli, merciai, ritagliatori, cuoiai di varia estrazione. La sua conformazione consentiva alla Compagnia di dialogare con gli altri organi istituzionali e intervenire ampiamente nelle decisioni politiche: in particolare faceva da contrappeso agli Anziani, in quanto costituita in prevalenza da uomini nuovi e distinti da quel particolare ambiente.
A questo punto si rivelò decisiva la rete di rapporti che i Gambacorta erano riusciti a mantenere con il gruppo artigiano e con quello mercantile durante l’esilio. La stessa Compagnia di San Michele riuniva al suo interno ferventi sostenitori bergolini, che entro pochi mesi dalla nascita dell’istituzione riuscirono a monopolizzarla al punto di arrivare ad «aperte minacce nei confronti dei più titubanti [alla proposta del rientro] e […] vere e proprie spedizioni armate»108.
Con il favore dell’imperatore e del governo cittadino dunque, nel febbraio del 1369 Pietro e Gherardo Gambacorta, figli di Andrea, rientrarono a Pisa insieme alle loro famiglie; entro pochi giorni versarono 12.000 fiorini nelle casse imperiali per cancellare il bando di quattordici anni prima. Il sostegno della Compagnia e dei cittadini che rappresentava non era dovuto solo a legami economici diretti con i Gambacorta, ma anche ai rapporti privilegiati che soprattutto di Pietro era riuscito a costruire con Firenze negli ultimi anni: ciò rappresentava una garanzia agli occhi degli imprenditori pisani, che vi vedevano l’unico mezzo per riallacciare i rapporti con i mercanti fiorentini, decisivi per evitare il collasso della città109. D’altronde è quasi certo che almeno dal 1360 Pietro Gambacorta stesse agendo con il supporto di Firenze nelle campagne pisane per contrastare i Raspanti, fallendo anche un tentativo di colpo di stato insieme al fratello nel 1362110. La famiglia era riuscita a riunire il
105 Ciccaglioni, Priores Antianorum, primi tra gli Anziani. Criteri di preminenza, cicli economici e
ricambio dei gruppi dirigenti popolari a Pisa nel XIV secolo, p. 20.
106 Ronzani, L’ultimo «partito dell’imperatore». Pisa, Carlo IV e la perdita di Lucca, p. 5. Rif. a C. Iannella
(a cura di), Cronica di Pisa. Dal ms. Roncioni 338 dell’Archivio di Stato di Pisa. Edizione e commento, Istituto storico italiano per il Medio Evo, Roma 2005.
107 Silva, Il governo di Pietro Gambacorta in Pisa, p. 33.
108 Ciccaglioni, Priores Antianorum, primi tra gli Anziani. Criteri di preminenza, cicli economici e
ricambio dei gruppi dirigenti popolari a Pisa nel XIV secolo, p. 22.
109 Ivi, p. 37.
favore dell’imperatore, del governo fiorentino e di quasi tutto il ceto imprenditoriale pisano di cui faceva parte, quindi non è improprio parlare direttamente di un «solido appoggio popolare»111.
Con l’ascesa di Pietro l’esperienza della Compagnia di San Michele si esaurì progressivamente, avendo ottenuto il suo scopo ultimo: una lontana parvenza di equilibrio.