Le cose sono cambiate con la riforma della sanità penitenziaria e con quella volta al superamento degli Opg, che, seppur con limiti e incompletezze, hanno voluto allonta-narsi dalla logica manicomiale8.
6) Ibid.
7) Per la precisione il fine pena non era certo neanche per il condannato fino alla sentenza della Corte Costituzionale n.146/1975, che ha dichiarato illegittima la sospensione della pena come conseguenza del trasferimento in manicomio giudiziario.
8) Si vedano F. Corleone (a cura di), Manicomi criminali. La rivoluzione aspetta la riforma, numero monografico della rivista “Quaderni del Circolo Rosselli”, 1/2018, fascicolo 130; D. Piccione, Il
metodo dell’integrazione dei saperi e i nuovi scenari del trattamento dell’infermo di mente autore di reato, in F. Corleone, Relazione Semestrale sulle attività svolte dal Commissario unico per il superamento
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La riforma, che ha attuato il passaggio della sanità penitenziaria dalla competenza del Ministero della Giustizia a quella del Ministero della salute, e da lì alle Regioni, processo iniziato con la delega legislativa (L.419/98) e il decreto delegato (D.Lgs. 230/99), ha se-gnato un passaggio epocale per il diritto alla salute delle persone detenute. La riforma ha generato un cambiamento di prospettiva nel guardare alla salute dei detenuti, ripor-tandoli all’interno della più generale categoria dei cittadini; alla quale ha altresì parificato la categoria degli stranieri, anche se privi di permesso di soggiorno (art. 1, co. 5, D.Lgs. 230/99). La piena attuazione di questa riforma, è uno dei compiti che il legislatore, il mondo penitenziario e le Regioni hanno ancora davanti.
Si è affermato il diritto alla salute dei detenuti in modo paritario e senza discriminazioni rispetto ai cittadini liberi, in armonia con gli articoli 3 e 32 della Costituzione italiana, nonché con le raccomandazioni del Comitato europeo per la prevenzione della tor-tura e del Consiglio d’Europa.9 Si sono adottati principi di organizzazione conformi a quanto indicato dalle Organizzazione Mondiale della Sanità10, come il principio di equivalenza dello standard di cura tra interno e esterno del carcere e il principio di gestione unica dei presidi sanitari interni ed esterni, con mobilità e passaggio di perso-nale e competenze nelle due direzioni: dalla comunità esterna al mondo carcerario e viceversa.
Il cambiamento di prospettiva operato con questa riforma, che riporta il mondo car-cerario nel mondo esterno, almeno per quanto riguarda la tutela della salute, è un elemento generatore di mutamenti in tutta l’organizzazione della sanità penitenziaria e nel trattamento del detenuto in relazione al suo diritto alla salute, che deve essere attuato nel rispetto dei principi previsti dalla Costituzione.
Uno dei frutti della nuova prospettiva sulla salute dei detenuti è stato il percorso volto al superamento degli Opg, che ha avuto inizio con il DPCM 1° aprile 2008, di attuazio-ne della riforma sulla sanità penitenziaria11, che nel suo Allegato C ha dettato le “Linee di indirizzo per gli interventi negli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) e nelle case di cura e custodia”. E poi è proseguito con le Leggi 9/2012 (di conversione del Decreto-Legge 211/2011) e 81/2014 (di conversione del Decreto-Decreto-Legge 52/2014) con le quali sono state istituite le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), ca-ratterizzate dalla prevalente finalità di cura: i luoghi a cui sono destinati coloro che sono dichiarati incapaci e pericolosi, quindi assolti e sottoposti a misura di sicurezza. Non è corretto tuttavia dire che le Rems hanno sostituito gli Opg, in quanto la nuove strut-ture sono state indicate dalle legge come extrema ratio nel trattamento del folle reo,
degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, febbraio – agosto 2016, p. 62.
9) European Committee for the Prevention of Torture and Inhuman or Degrading Treatment or Punishment (CPT), 3rd General report on the CPT’s activities, covering the period 1 January to 31 December 1992, Strasbourg, 4 June 1993, punti 38-40; Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa,
Raccomandazione n. R(98)7 sugli aspetti etici e organizzativi della salute in carcere, punti 10-11. 10) WHO, Health in prisons. A WHO guide to the essentials in prison health, 2007, p. 7 ss.
11) DPCM 1 aprile 2008 “Modalità e criteri per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria”.
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ovvero come provvedimento da adottare quando altri, meno restrittivi della libertà personale, come la libertà vigilata con prescrizioni terapeutiche, siano inadeguati a far fronte alla pericolosità del soggetto (art. 3-ter, co. 4, del DL 211/2011, convertito in L. 9/2012, come modificato dall’art. 1 del DL 52/2014, convertito in L. 81/2014). Questa disposizione, e le altre che hanno delineato il nuovo sistema delle Rems,12 hanno dato l’opportunità di configurare un sistema aperto al territorio, in cui all’opzione custodiale si arrivi solo dopo aver vagliato ed escluso soluzioni che privilegino la cura in luoghi aperti, o semiaperti.
Punti di riferimento di principio di questi mutamenti normativi sono state le sentenze della Corte Costituzionale che, negli anni 2003 e 2004, hanno affermato come la tutela del diritto alla salute sia il valore preminente da tenere in considerazione quando si decide in materia di misure di sicurezza per gli infermi di mente: la Corte ha evidenzia-to il valore terapeutico delle misure di sicurezza per infermi di mente, anche di quelle provvisorie, che non devono essere più intese come rivolte prevalentemente a garanti-re la sicugaranti-rezza, ma piuttosto la salute della persona a cui sono applicate, nel necessario bilanciamento degli interessi costituzionalmente protetti.13
12) Due esempi che hanno voluto rompere con note prassi sviluppate negli Opg: l’introduzione della durata massima della misura di sicurezza, volta a chiudere con la prassi delle proroghe senza fine della misura, che divenivano “ergastoli bianchi”, e l’esclusione dalla base di giudizio in tema di pericolosità sociale della mancanza di programmi terapeutici individuali, volta anch’essa a rompere con la prassi delle continue proroghe, dovute, spesso, alla carenza di presa in carico da parte dei servizi territoriali, che non formulavano programmi adeguati, piuttosto che allo stadio raggiunto nel miglioramento del soggetto sottoposto a misura di sicurezza (DL 52/2014, conv. in L. 81/2014, art. 1, co. 1 e 1-quater).
13) Si tratta delle sentenze della Corte Costituzionale nn. 253/2003, 367/2004 e 208/2009. Con la sentenza n. 253/2003 la Corte ha giudicato sulla legittimità costituzionale dell’art. 222 del Codice penale alla luce degli artt. 3 e 32 Costituzione e ha ribadito che le misure di sicurezza nei confronti dell’infermo di mente si muovono tra le due polarità della cura e tutela dell’infermo e del contenimento della sua pericolosità e rispondono a entrambe le finalità. A partire da tale considerazione ha affermato l’incostituzionalità del rigido automatismo che imponeva al giudice di applicare la misure dell’ospedale psichiatrico giudiziario “anche quando una misura meno drastica, e in particolare una misura più elastica e non segregante come la libertà vigilata, che è accompagnata da prescrizioni imposte dal giudice, di contenuto non tipizzato (e quindi anche con valenza terapeutica), ‘idonee ad evitare l’occasione di nuovi reati’ (art. 228, secondo comma, c.p.), appaia capace, in concreto, di soddisfare contemporaneamente le esigenze di cura e tutela della persona interessata e di controllo della sua pericolosità sociale”. Il principio che svolge un ruolo cardine nel ragionamento della Corte è quello, già affermato nella sua precedente giurisprudenza, secondo il quale “le esigenze di tutela della collettività non potrebbero mai giustificare misure tali da recare danno, anziché vantaggio, alla salute del paziente”, da cui deriva che la misura dell’ospedale psichiatrico giudiziario non sarebbe legittima se nuocesse alla salute dell’infermo, nemmeno per rispondere a tali esigenze della collettività. La Corte rileva l’inerzia del legislatore e la necessità di un ripensamento dell’intero sistema delle misure di sicurezza, e conclude che nell’ambito dell’attuale sistema il giudice debba poter adottare la misura “che in concreto appaia idonea a soddisfare le esigenze di cura e tutela della persona, da un lato, di controllo e contenimento della sua pericolosità sociale dall’altro lato”. La sentenze nn. 367/2004 e 208/2009 hanno ribadito il principio riguardo alle misure di sicurezza provvisorie e alla misura della casa di cura e custodia.
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