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Come si è visto, la norma che è restata salda nel processo di superamento degli Opg è l’art. 65 dell’Ordinamento Penitenziario, inserito nel Titolo II relativo all’organizzazione penitenziaria. L’art. 65 prevede la possibilità di istituire apposite sezioni penitenziarie dedicate a detenuti con specifiche problematiche di salute, tra cui quelle psichiche. A tali istituti o sezioni speciali, recita l’art. 65, devono essere assegnati “i soggetti affetti da infermità o minorazioni fisiche o psichiche”. Il secondo comma poi prosegue dicendo che a tali istituti o sezioni “sono assegnati i soggetti che, a causa delle loro condizioni, non possono essere sottoposti a regime negli istituti ordinari”. La categoria di perso-ne destinate perso-nelle sezioni speciali è dunque definita in base alla capacità di adeguarsi al regime penitenziario ordinario, capacità determinata dalle loro condizioni, ma non meglio definita.

L’art. 65, come evidenzia la sua collocazione sistematica, è una norma di organizzazione penitenziaria. Le assegnazioni alle articolazioni psichiatriche penitenziarie consistono, di conseguenza, in provvedimenti dell’Amministrazione penitenziaria, al pari degli atti con i quali i detenuti sono trasferiti da un istituto a un altro. Si tratta di una procedura

am-26) Ivi, punto 7.1.

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ministrativa di assegnazione, di competenza dell’Amministrazione penitenziaria, nella quale il magistrato di sorveglianza non viene chiamato in causa28.

Leggendo l’art. 65 O.P. alla luce del processo di superamento degli Opg, esso rivela il non detto che faceva da sfondo alla gestione della sanità in carcere prima della riforma. Nel precedente paradigma la salute dei detenuti era percepita in primo luogo nella sua dimensione di interesse della collettività alla prevenzione e alla tutela contro la diffusio-ne di malattie: esigenze di profilassi contro le malattie infettive, igiediffusio-ne pubblica e con-trollo sanitario della popolazione detenuta, sono richiamate più di una volta nell’art. 11 dell’O.P., che regola il servizio sanitario in carcere. Anche la sua dimensione individuale, come diritto del singolo, era ed è presente nell’art. 11, che fa riferimento alla possibi-lità per i detenuti di richiedere di essere visitati dal medico penitenziario, e anche di richiedere a proprie spese la visita di medici di fiducia. Tuttavia, il diritto alla salute delle persone detenute stentava a essere percepito nella sua pienezza, soprattutto quando entrava in contrasto con le esigenze organizzative del carcere, o richiedeva modalità specifiche di organizzazione, in quanto gli operatori destinati a garantirne l’attuazione, ovvero medici e altro personale sanitario, erano parte integrante dello staff penitenzia-rio, cosa che rendeva di fatto impossibile opporsi alle dinamiche istituzionali.29

Nel nuovo paradigma, introdotto con la riforma della sanità penitenziaria, la salute dei detenuti è stata posta espressamente alla pari con quella dei cittadini liberi (art. 1 D.Lgs. 230/1999), rafforzando tale scelta con il passaggio del personale sanitario al servizio sanitario nazionale (DPCM 1° aprile 2008). Da tale principio discende la regola della parità nelle prestazioni dei servizi sanitari interni al carcere rispetto a quelli esterni, secondo gli standard definiti dai livelli essenziali di assistenza.

Il nuovo paradigma sottolinea che i principi in materia di diritto alla salute previsti in generale per la cittadinanza, devono valere anche all’interno del carcere. Infatti i diritti, come ha affermato più volte la Corte Costituzionale, non sono persi dal soggetto detenuto a causa del suo stato detentivo, se non nel minimo necessario per assicurare l’esecuzione della pena30. La privazione della libertà in forza della sentenza di condanna

28) Il magistrato di sorveglianza può intervenire con un controllo ex post, ex art. 35-bis O.P., .

29) Sulle dinamiche che si sviluppano nello staff di un’istituzione totale si può vedere il classico E. Goffmann,

Asylums. Essay on the Social situation of mental patients and other inmates, Anchor Book, Doubleday & Company, New York 1961, trad. it. Asylums. Le istituzioni totali: i meccanismi dell’esclusione e della

violenza, Einaudi, Torino 1970

30) Così Corte Costituzionale 114/1979: “è principio di civiltà giuridica che al condannato sia riconosciuta la titolarità di situazioni soggettive attive, e garantita quella parte di personalità umana, che la pena non intacca. Tale principio è accolto nel nostro ordinamento: nell’art. 27, comma terzo, Cost. è detto, anzitutto che ‘le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità’” (considerato in diritto, punto 4). La Corte sviluppa poi, con le sentenze nn. 349 e 410/1993, il principio nel senso che dalla sussistenza di tali diritti dei detenuti deriva che gli atti dell’Amministrazione penitenziaria che incidono sul trattamento, pur essendo atti amministrativi di sua competenza, sono sottoposti al controllo del giudice ordinario, ovvero del giudice dei diritti: “una volta affermato che nei confronti dell’Amministrazione penitenziaria i detenuti restano titolari di posizioni giuridiche che per la loro stretta inerenza alla persona umana sono qualificabili come diritti soggettivi costituzionalmente garantiti, occorre conseguentemente riconoscere che la tutela giurisdizionale di dette posizioni, costituzionalmente necessaria ai sensi dell’art. 24 della Costituzione, non può che spettare al giudice dei diritti e cioè al giudice ordinario” (punto 3.5., Considerato in diritto).

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non tocca tutti gli altri diritti del detenuto “il cui esercizio non è rimesso alla discrezio-nalità amministrativa preposta all’esecuzione della pena detentiva”31, che restano inte-gri e devono quindi poter essere esercitati. Tra questi diritti, che non possono essere compressi dalla condizione di detenzione, vi è il diritto alla salute, inteso non solo come diritto a ricevere cure adeguate, ma anche come diritto ad autodeterminarsi in materia di cure a cui sottoporsi.32

A partire dalla piena parità tra detenuti e altri cittadini in relazione al diritto alla salute, si dovrebbe riflettere anche sulla valenza che assume l’assegnazione alle sezioni speciali psichiatriche, che sono un luogo chiuso in cui si curano le malattie mentali, collocato all’interno di un altro luogo chiuso, che è il carcere. In alcuni casi, quando la sezione è ri-cavata in un penitenziario, essa si trova materialmente all’interno del carcere, ma, anche quando la sezione è collocata in un edificio autonomo, come sono le sezioni di Reggio Emilia e Barcellona Pozzo di Gotto, essa si colloca comunque all’interno del penitenzia-rio come riferimento istituzionale, come insieme di procedure e cultura di riferimento. Considerando che l’assegnazione alle sezioni è fatta in funzione dell’effettuazione di trattamenti sanitari, e considerati i principi che hanno portato alla chiusura dei manico-mi e alla nuova prospettiva sulla salute mentale, divenuta norma generale con la Legge Basaglia, l’allocazione dovrebbe essere fatta tenendo conto di tali principi e dunque della volontà del detenuto, prendendo come modello di riferimento la presentazione volontaria in ospedale della persona che vuole essere curata. Questo per evitare che le ragioni del controllo vincano su quelle della cura. Nell’attuale quadro normativo in-vece, l’assegnazione alle sezioni è fatta con un provvedimento amministrativo dell’Am-ministrazione penitenziaria, che è sottoposto a controllo giurisdizionale successivo da parte del magistrato di sorveglianza, che vigila sul rispetto dei diritti dei detenuti ex art. 35-bis. Tuttavia, trattandosi di provvedimento amministrativo, manca in via generale un procedimento giurisdizionale che ne controlli preventivamente la legittimità, dal punto di vista dei suoi presupposti sanitari e giuridici, compresa l’esistenza del consenso del detenuto.

Una modalità per garantire che la volontà del soggetto detenuto sia effettivamente richiesta e presente è quello di renderla un presupposto dell’assegnazione alla sezione psichiatrica, da sottoporre al controllo del giudice. Ogni decisione in merito alla collo-cazione dei detenuti con problematiche di salute mentale dovrebbe essere sottoposta a procedimenti giurisdizionali, come sono quelli dettati dall’art. 148 e dall’art. 112 Reg

Il principio generale è ribadito dalla sentenza della Corte Costituzionale 26/1999 secondo il quale la detenzione non incide sul nucleo dei diritti fondamentali dell’uomo: “La dignità della persona (art. 3, primo comma, della Costituzione) anche in questo caso - anzi: soprattutto in questo caso, il cui dato distintivo è la precarietà degli individui, derivante dalla mancanza di libertà, in condizioni di ambiente per loro natura destinate a separare dalla società civile - è dalla Costituzione protetta attraverso il bagaglio degli inviolabili diritti dell’uomo che anche il detenuto porta con sé lungo tutto il corso dell’esecuzione penale, conformemente, del resto, all’impronta generale che l’art. 1, primo comma, della legge n. 354 del 1975 ha inteso dare all’intera disciplina dell’ordinamento penitenziario”. (punto 3.1.)

31) Ancora nello stesso senso C. Cost. 212/1997 32) Su cui più ampiamente si veda il paragrafo 10.

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Att. O.P. Nelle norme vigenti, le decisioni in merito all’osservazione psichiatrica33 e all’applicazione dell’art. 148 c.p.34 sono sottoposte all’esame della magistratura; e l’art. 148 c.p., nella lettura successiva alla sentenza della Corte Costituzionale n. 146 del 1975, pur restando ancorato al sistema dell’Opg, può essere considerato una diversa modalità di esecuzione della pena, che mette in primo piano la dimensione della salute del detenuto.35

Si dovrebbe partire da qui, ovvero dalla previsione di una norma a tutela della salute mentale dei detenuti, attraverso una modalità differente di esecuzione della pena, sot-toposta a piena giurisdizionalizzazione, per estendere a tutti i soggetti con patologia psichiatrica, comunque questa sia definita, la garanzia del diritto individuale alla salute. Le norme necessitano di essere modificate dal legislatore, o interpretate dalla giuri-sprudenza, in modo conforme ai principi della riforma della sanità penitenziaria, ma quello che si dovrebbe salvare dell’impostazione attuale è la previsione per legge di un percorso esecutivo specifico, mirato alla tutela della salute del detenuto, e la sottoposi-zione piena di questo percorso al potere di controllo sul rispetto dei diritti dei detenuti attribuito alla magistratura di sorveglianza.

Senza una visione organica della salute mentale in carcere e senza una norma di legge, che ridefinisca in modo coerente con lo spirito della riforma della sanità penitenziaria e del superamento degli Opg, le modalità esecutive della pena e il trattamento dei rei folli, l’art. 65 O.P., se lasciato a se stesso, rischia di operare in direzione opposta a tali principi, riproponendo le vecchie modalità del controllo, attraverso una completa amministrativizzazione della procedura e la degiurisdizionalizzazione di una parte signi-ficativa del trattamento36.

Dalle norme che disciplinano le modalità di esecuzione della pena per i detenuti con patologia psichiatrica non dovrebbero residuare ulteriori modalità di trattamento di fatto applicate alle patologie psichiatriche. Così si definirebbero tassativamente i modi in cui i soggetti detenuti sono assegnati in una struttura all’esterno, oppure in una

se-33) L’osservazione è disposta dall’autorità che procede nel caso degli imputati e dalla magistratura di sorveglianza nel caso dei condannati (art. 112 Reg. Att. O.P.) e non può durare più di trenta giorni, al termine di quali deve essere disposto il provvedimento ex art. 148 c.p. oppure il rientro nella sezione ordinaria.

34) Sui ricoveri ex art. 148 c.p. provvede con ordinanza il magistrato di sorveglianza (art. 69, co. 8, O.P.), su richiesta del pubblico ministero, dell’interessato, del difensore o d’ufficio (art. 678, 1° co. c.p.p.). 35) Come ribadisce la Corte di Cassazione nell’ordinanza di rimessione sopra citata (al punto 7.1.), la

previsione dell’art. 148 c.p. era ispirata “specie a seguito della rilevante modifica della sua natura giuridica apportata dalla sentenza n. 146/1975 della Corte Costituzionale, alla realizzazione di un trattamento a prevalente vocazione sanitaria, correlata alla presa d’atto di una condizione patologica tale da impedire l’esecuzione. Il ricovero in Opg, disposto dal giudice, rappresenta(va) infatti una forma differenziata di esecuzione della pena, nel senso che, la condizione di infermità psichica sopravvenuta non dava luogo a mero differimento o sospensione della pena medesima quanto ad un mutamento di forma, posto che il periodo di ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario (o di detenzione domiciliare in luogo di cura) andavano computati nella esecuzione in corso (si veda, sul tema, Sez. I n. 26806 del 27.5.2008, rv 240864).”

36) La Corte di Cassazione ha accennato a tali rischi nella sua ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale, sopra citata parlando di "manifesto 'regresso trattamentale'".

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zione penitenziaria, e questi dovrebbero essere tutti controllati preventivamente dal giudice.

Tale visione dovrebbe poi tradursi in norme che disciplinano la posizione del detenuto con patologia psichiatrica immaginando un percorso chiaro per il suo trattamento, da svolgersi all’esterno del carcere. In tale visione le articolazioni psichiatriche penitenzia-rie avrebbero un ruolo residuale: utilizzate per gli accertamenti delle patologie e come collocazione di passaggio nel periodo in cui viene approntata la misura alternativa all’esterno. Punto centrale di tale percorso dovrebbe essere la volontà del detenuto di sottoporsi a trattamento sanitario, sia per quanto riguarda l’assegnazione a sezioni psi-chiatriche, sia per il trattamento all’esterno in misura alternativa. La piena giurisdiziona-lizzazione della procedura di applicazione di modalità alternative di esecuzione, nonché di assegnazione alla sezione dovrebbe completare il quadro delle garanzie, attraverso la predisposizione di un momento in cui, davanti al giudice si accerta la presenza della volontà del detenuto e l’adeguatezza del trattamento sanitario a cui nello specifico (anche in base alle caratteristiche della sezione) sarebbe sottoposto.

Amministrativizzazione e mancanza di giurisdizione ab initio per la