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Dal momento che il toponimo “Ambrogiana”, che tutt’oggi permane, deriva chiara-mente dal cognome Ambrogi è ipotizzabile che, nell’arco temporale che va dall’ac-quisto del podere da parte di Niccolò nel 1450 alla vendita di tutti i beni a Giovanni di Domenico Ardinghelli nel 153615, sia stato costruito un edificio di notevole im-portanza. Del resto solo una costruzione più maestosa delle preesistenze, ma anche di molti altri edifici che dovevano trovarsi sul territorio circostante, poteva fissarsi nella toponomastica conferendo il nome alla zona del comune di Montelupo su cui sorgeva. Dall’analisi planimetrica svolta sul rilievo è possibile affermare allora che la casa da signore degli Ambrogi corrispondesse all’attuale braccio nord. Questo corpo dell’attuale villa è, del resto, dotato di un disegno unitario e di una spiccata simmetria, caratteristiche tipiche dell’architettura del XV secolo. Proprio per la precisa modularità dei vani, perfettamente simmetrici rispetto ad un ambiente con funzione di androne, è possibile sostenere che questa parte dell’edificio non abbia dovuto dialogare con delle preesistenze ma che sia stata costruita ex-novo (fig.1). L’elegante disegno planimetrico restituisce dunque la natura imponente di questo antico edificio che doveva emergere nel panorama della campagna di Montelupo. Difficile stabilire con certezza quale fosse l’aspetto di questo “palagio degli Ambrogi” dal punto di vista volumetrico. Le due torri che ora definiscono la facciata avranno caratterizzato anche l’originale volumetria? La tipologia di edificio con un corpo stretto tra due torri non era sicuramente insolita nel contado fiorentino dell’epoca, ma non è possibile escludere anche la possibilità che esistesse solo una torre e in corrispondenza dell’altra fosse presente un semplice avan-corpo o, addirittura, che l’edificio non prevedesse torri ma solamente due avancorpi. Sicuramente possiamo individuare nella fattoria di Collesalvetti, uno dei possedimenti medicei dipinti da Utens (fig.8), una costruzione formalmente analoga e quindi un buon modello di edificio rurale dell’epoca. La fattoria di Collesalvetti, in base a quanto raffigurato nella lunetta, era anch’essa caratterizzata da un impianto planimetrico ad U con un avancorpo da un lato e una torre dall’altro. La rappresentazione di Utens risulta preziosa anche perché ci rivela come la villa-fattoria fosse circondata da tutti gli annessi di servizio necessari all’attività agricola e quindi come esistesse una relazione di simbio-si tra la villa e il suo contesto agricolo, che risultava inscindibile. Infatti le case da simbio-signore erano, nella maggior parte dei casi, allo stesso tempo fattorie, cioè edifici residenziali ma anche produttivi, e tra i possedimenti “collegati” vi erano i poderi, numerose case da lavoratore, stalle ed eventualmente fornaci o mulini. Ci possiamo allora immaginare per il palagio degli Ambrogi un edificio che si elevava per due piani fuori terra imposta-to su un piano seminterraimposta-to che, regolarizzando il profilo ad U dei piani superiori, dava origine ad una terrazza, raggiungibile tramite una scalinata meno grandiosa dell’attuale scalera, su cui si affacciavano finestre e porte che adesso risultano tamponate ma le cui tracce sono emerse proprio grazie all’indagine termografica eseguita (fig.9). Altre tracce che “traspaiono da sotto l’intonaco” del prospetto rivolto verso l’Arno indicano

15) Volume regesti, doc.10, in A. Cocchini, D. Forgione, M. Nucci, Il restauro della Villa medicea dell’Ambrogiana, tesi di laurea in Ingegneria Edile-Architettura, Università di Pisa, 2015.

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Fig

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L'antico palagetto (in rosso),

la pr imigenea tor re (tr atteggiata in gr igio) e la casa da la vor atore (in b lu)

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Figura 6 - Dettaglio di preesistenza

sotto l'intonaco Figura 7 - Fase Pre-Medicea con Palagetto, Casa da lavoratore e Torre

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che questa parte del corpo di fabbrica ha raggiunto la sua consistenza attuale solo dopo numerosi adattamenti che hanno stravolto il sistema distributivo e funzionale dell’edificio. Un segno di questa stratificazione è la discontinuità derivante dalla sopra-elevazione del corpo tramite l’aggiunta del secondo piano (databile all’inizio del XVII secolo), mentre altre tracce utili per ipotizzare l’aspetto dell’antico palagio risultano es-sere gli elementi verticali lapidei che, come si vede dalle termografie, intersecano pro-prio la linea di discontinuità dovuta alla sopracitata sopraelevazione: potrebbero forse rappresentare i segni di mensole in pietra (superstiti solo nella parte ammorsata nella muratura) che costituivano un coronamento a beccatelli dell’edificio. Inoltre, grazie alle termografie, si nota che la tessitura muraria della facciata appare, nella parte più antica, di buona fattura, di pregio e organizzata in filaretti regolari di bozzetti lapidei (impres-sione confermata dalle foto conservate in Soprintendenza ed eseguite in occa(impres-sione del restauro di quella facciata) ma, se nel corpo centrale del prospetto nord individuiamo una demarcazione netta riconducibile al sopraelevamento dell’ala, non riscontriamo nulla di simile nelle torri. Questo non può però consentire di asserire con oggettività che le torri nord siano nate della consistenza che oggi le caratterizza; in effetti una so-praelevazione eseguita demolendo il precedente cornicione di coronamento (spesso in mattoni e quindi visibile nell’indagine termografica) sarebbe comunque risultata non apprezzabile durante i nostri sopralluoghi, così come una sottile linea di demarcazione potrebbe nascondersi sotto il cordone lapideo che delimita l’ultimo piano delle torri. Va inoltre considerato che le due torri hanno probabilmente visto un ispessimen-to murario necessario alla realizzazione del “gioco dei fuochi prospettici”16: se così è, questo rimaneggiamento copre oggi, agli occhi della termocamera, ogni traccia di una eventuale precedente sopraelevazione. Ulteriore dato da tenere in considerazione, e che avvalora l’ipotesi fin qui presentata, è la caratteristica conformazione del portale e delle finestre del piano terra in corrispondenza della terrazza di sbarco della scalera: le quattro finestre in questione sono di dimensioni minori e sono ornate da cornici con modanature più semplici rispetto a quelle degli altri prospetti, la stessa discrepanza di cura nelle finiture si ha relativamente al portale d’ingresso, che nel caso del corpo nord, presenta una corrispondenza tra conci e bugnato, che invece non si riscontra in quello sud dove i conci sono appositamente sagomati per ottenere l’effetto bugnato tradendo un’origine più tarda (fig.10).

Alla luce di quanto detto, proviamo ad analizzare le parole del testamento di Niccolò Ambrogi redatto nel 1493: “Io lascio a Giovanni di Santi di simone ambrogi et a simone

d’antonio di simone ambrogi tutti e due miei nipoti et a ciaschuni per metà la casa mia chon labitazioni e chiuso chiamata il palagio chon ogni sua habitatione et apartentia. E più una chasa da lavoratore et una fornace da chalcina e mattoni et una da embrici chon tutte loro apartenentie posta a pie ditto palagio appresso adarno et nel popolo di Sanchirico

amontelupo chon più e più loro chonfini”17.

16) Con questa espressione si fa riferimento all’andamento convergente verso un fuoco prospettico centrale delle testate delle due torri come si ritrova anche nelle ville di Seravezza e di Artimino. Si tratta di un motivo compositivo ispirato alla coeva architettura militare.

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Da queste parole ricaviamo dunque un’altra informazione: la presenza di un “chiuso”, ovvero una corte. Risulta invece difficile capire se il nuovo palagio verso Arno esistesse già. Dal punto di vista storico si è maggiormente portati a pensare che l’edificio sia sta-to costruista-to per volere di Niccolò poiché dai documenti sappiamo che, probabilmente, negli anni dell’acquisto disponeva di elevate possibilità economiche - dal lodo del 1451 tra i fratelli Ambrogi risulta chiara la ricchezza della famiglia18, mentre nel catasto del 1480 si dichiara in povertà e costretto a vivere in villa (l’Ambrogiana) e non in Firenze19. Ma è altrettanto probabile che la casa di Niccolò potesse essere ancora il “palagetto” acquistato dalle suore20 e che il “palagio degli Ambrogi” possa essere stato costruito successivamente, fra il 1493 e il 1532 (anno in cui si inizia a vendere la proprietà agli Ardinghelli), magari da uno dei nipoti di Niccolò, che dovevano condividere il bene avuto in eredità. Le parole riportate nella decima granducale di Giovanni di Domenico Ardinghelli, dove dichiara di possedere il “detto palagio degli Ambrogi (...) parte del palagio grande”21, suggeriscono invece che in questa fase coesistano due strutture, il palagio degli Ambrogi e il palagetto, che assieme costituiscono il “palagio grande” in comproprietà fino al 1536 tra gli Ambrogi e gli Ardinghelli22.

dell’Ambrogiana, tesi di laurea in Ingegneria Edile-Architettura, Università di Pisa, 2015. 18) Ibidem, doc. 2.

19) Ibidem, doc. 4.

20 ) Ibidem, doc. 4. Nel 1450 Niccolò di Simone degli Ambrogi acquista il podere detto “il Palagetto” posto nel Popolo di San Quirico a Montelupo dalle monache di S. Pietro Martire.

21) Ibidem, doc. 9.

22) Ibidem, doc. 10. Nel 1536 Giovanni di Domenico Ardinghelli risulta proprietario di tutti i beni degli Figura 9 - Termografia del prospetto esterno nord

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Figura 10 - La differenza morfologica di portali e finestre del piano terra tra il corpo Sud e il corpo Nord

Leggendo il rilievo alla luce di queste informazioni, è lecito ipotizzare una prima fase evolutiva con un “chiuso” a racchiudere il resede compreso tra il “palagetto” e la casa da lavoratore e una seconda fase con l’aggiunta del nuovo palagio posto verso l’Arno.

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Le termografie realizzate sul prospetto est della villa rivelano la presenza di una mer-latura per tutta la lunghezza della facciata, dalla torre nord a quella sud tranne nel pun-to in cui doveva essere presente la casa da lavorapun-tore avvalorando l’ipotesi avanzata (fig.11). È probabile che il muro del chiuso fosse merlato, del resto beccatelli, merli ed altri elementi tipici degli apparati difensivi erano molto diffusi nelle case di campagna dell’epoca23, e che poi sia stato utilizzato come base per edificare l’attuale corpo est della villa. Allora la villa sarebbe stata organizzata planimetricamente come rappresen-tato in figura (fig.12) con il palagetto e la casa da lavoratore disposte ad “L” e affacciate su una corte, perimetrata dal muro merlato e caratterizzata dalla presenza di un log-giato e magari anche di un pozzo (da evidenziare che l’attuale pozzo risulta al centro dell’ipotetica corte quattrocentesca). La presenza del loggiato, elemento molto diffuso nelle ville dell’epoca, è stata ipotizzata sulla base del rilievo che mostra come la stanza a ovest dell’androne del corpo nord, affacciata sul cortile, sia paragonabile dimensional-mente all’androne e sia caratterizzata anche dalla stessa copertura a crociera. Quindi la parte di androne verso sud, che si affaccia sul cortile, insieme alla stanza adiacente, ad ovest, si configuravano come un loggiato aperto sul “chiuso”. La definitiva conferma è stata fornita dalle termografie effettuate: sul prospetto interno nord si leggono con chiarezza delle arcate tamponate a livello terreno (fig.13). Pare inoltre significativo che il terzo modulo del prospetto (verso est) non presenti alcun segno di arcate; in effetti in prossimità di quell’area avevamo già individuato delle probabili preesistenze in fase di rilievo, alle quali va forse associata la presenza di una scala già da lunga data. Proprio sul volume del vano scala, infatti, emerge dall’analisi termografica una piccolissima finestrel-la dalfinestrel-la spessa cornice finestrel-lapidea. Anche se questa prima fase può sembrare “povera”, o

23) Un esempio nell’area dell’Empolese-Valdelsa è la villa del Cotone appartenuta agli Spini, poi ai Mannelli e infine agli Strozzi. Si veda il censimento delle ville empolesi a cura di Emanuela Ferretti con la collaborazione di Davide Turrini - http://www.comune.empoli.fi.it/archivio_storico/htm/mappa.htm Figura 11 - Termografia del prospetto esterno Est

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Fig

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non troppo distante da ciò che Niccolò aveva acquistato, bisogna tener presente che il bene apparteneva ad un ente ecclesiastico. Di per sé questo dato non rappresenta un fatto insolito per l’epoca, anzi era prassi comune che un proprietario terriero, in caso di mancanza di eredi o per grande devozione, donasse alcuni o tutti i propri beni ad un ente ecclesiastico. È quindi probabile che le monache avessero ricevuto in dono il bene e che, non sfruttandolo, lo avessero rivenduto. Allora è possibile ipotizzare anche uno stato di abbandono o di decadenza del bene all’atto di acquisto da parte di Niccolò che dovette, probabilmente, in una prima frase ristrutturarlo. In un non ben precisato momento successivo, sarebbe stato edificato l’attuale corpo nord della villa sfruttando l’esistente muro nord del chiuso. Dal rilievo risulta come il muro verso sud, di quello che abbiamo identificato come “palagio degli Ambrogi”, sia di spessore minore rispetto ai setti di spina e alle pareti nord, ma equivalente al muro “merlato” del prospetto est. Quindi il nuovo palagio sarebbe sorto in adiacenza alle preesistenze ipotizzate ma dal lato verso l’Arno, a sottolineare l’importanza del legame con l’acqua (fig. 14). Il fiume del resto garantiva la bellezza della vista panoramica ma soprattutto, oltre all’accesso tramite navicello, risorse idriche abbondanti per l’irrigazione dei campi, la possibilità di pescare, di lavare i panni e anche di abbeverare gli animali. Un accesso diretto al fiume poteva risultare così importante da arrivare ad influenzare l’architettura e la disposizio-ne planimetrica di una casa da signore.

Dal punto di vista volumetrico la fabbrica avrebbe potuto avere un aspetto simile a quello ricostruito nei modelli in figura 15.

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Figur

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