Alberto Baldissera
1. I PROBLEMI E LE SFIDE
L'europessimismo è una moda che va e che viene. Assai pronunciato negli ultimi dieci an-ni, esso sembra declinare negli ultimi tempi — pur restando maggioritario in alcuni paesi membri. Il problema che più preoccupa gli eu-ropei è la stagnazione economica e il crescen-te peso della disoccupazione.
Dal 1974 al 1984 i dieci paesi membri della CEE hanno perso oltre 2 milioni di posti di lavoro, mentre il saggio di disoccupazione si è attestato — in gran parte degli stessi — su numeri a due cifre.
Questa situazione viene in genere associata al declino o all'instabilità della capacità concor-renziale delle economie europee. In proposi-to sono sovente evocati gli ormai cronici de-ficits della bilancia commerciale agricola, non-ché il crescente gap tecnologico esistente tra l'Europa dei 10, gli Stati Uniti e il Giappone. Il concetto di "gap tecnologico" — già di mo-da negli anni '60 per designare l'inferiorità eu-ropea nei confronti degli USA — è relativa-mente vago e infido. Esso fa in genere riferi-mento allo sviluppo ineguale di alcuni settori industriali — tipicamente raggruppati sotto l'etichetta di "alta tecnologia" — e soprattut-to all'adozione di specifiche macchine o im-pianti valutati come particolarmente
sofisti-cati. L'interesse spasmodico riservato alle esperienze e ai prodotti della famosa Silicon Valley californiana da parte delle élites poli-tiche, industriali e intellettuali europee (ma ora anche da parte del grande pubblico) è un buon esempio di ciò che normalmente viene inteso per "gap tecnologico".
Numerose obiezioni possono essere rivolte a questa concezione. La prima, di carattere ge-nerale, è che il concetto di "progresso tecni-co" comprende — oltre all'innovazione dei prodotti — quella dei processi produttivi. In pratica, i due tipi di innovazioni sono soven-te indistinguibili. Nuovi prodotti richiedono per lo più nuove attrezzature, mentre miglio-ramenti nelle tecniche di produzione sono ac-compagnati in genere da modificazioni, anche rilevanti, del prodotto finito. D'altra parte, nuove macchine rappresentano innovazioni dei prodotti per le aziende che le producono, e innovazioni nei processi per le aziende che le utilizzano. Fissare l'attenzione solo sulla c.d. tecnologia "dura" — ovvero sulle mac-chine — può essere in molti casi un errore as-sai grave. Miglioramenti decisivi nella produt-tività possono essere ottenuti mediante inno-vazioni del layout industriale, nonché dei me-todi di organizzazione e gestione dei processi produttivi — a parità di tecnologia "dura" utilizzata. Gran parte del divario di produtti-vità esistente tra le aziende giapponesi e le
cor-rispondenti aziende europee sembra anzitut-to dovuanzitut-to a differenze nei meanzitut-todi di gestione in senso lato e non a dislivelli tecnologici ne-gli impianti. Al contrario: sovente sono pro-prio le aziende europee ad utilizzare macchi-nari più sofisticati.
Va criticata, in secondo luogo, la credenza se-condo cui l'industria europea sarebbe arretrata rispetto a quella giapponese e statunitense. Es-sa viene ad esempio smentita dalla compara-zione tra industria nucleare europea e quella statunitense (e giapponese). Lo stesso vale per il settore delle telecomunicazioni, per quello farmaceutico, per l'aeronautica e per la mis-silistica commerciale.
Esiste invece un grave ritardo europeo nelle tecnologie dell'informazione (hardware e soft-ware) che si concretizza in un crescente defi-cit della bilancia commerciale informatica — soprattutto in relazione ai calcolatori e alla componentistica. Questo sembra il punto più debole dell'economia europea, soprattutto in previsione dello sviluppo probabile di questa industria (che sarà tra una decina di anni il set-tore manifatturiero più importante dell'eco-nomia mondiale) e all'impatto che l'utilizza-zione dei prodotti informatici avrà sui processi produttivi di quasi ogni settore economico. Un ultimo problema riguarda infine i rapporti tra ricerca scientifica di base, ricerca tecnolo-gica, sviluppo di nuovi prodotti o
procedimen-ti e loro commercializzazione. Esiste un gene-rale consenso sul fatto che i risultati della cerca scientifica possono favorire in modo ri-levante il progresso tecnologico. L'esistenza di una relazione sistematicamente positiva tra progresso scientifico e sviluppo tecnologico re-sta tuttavia tutta da dimostrare. La rivoluzione industriale inglese nel XVIII secolo, il rapido sviluppo industriale degli USA nel X I X e del Giappone nel X X non sono stati preceduti da alcun incremento apprezzabile dell'attività scientifica. Al contrario, sino a qualche decen-nio or sono, la bilancia tecnologica del Giap-pone è rimasta a lungo negativa. Per contro, lo sviluppo economico della Germania nella seconda metà del secolo scorso e quella degli USA nel presente sono stati alimentati da ri-levanti investimenti nel campo della ricerca scientifica e tecnologica.
Come spiegare questi sviluppi apparentemente contraddittori? Una possibile spiegazione è che la ricerca scientifica svolta in un determi-nato paese non rappresenta una condizione ne-cessaria al suo sviluppo economico. In alcuni casi, può essere preferibile a un determinato paese investire la maggior parte delle sue ri-sorse nell'utilizzazione economica dei risultati di ricerche scientifiche svolte altrove. Stati Uniti e Unione Sovietica hanno, ad esempio, ampiamente utilizzato i risultati della ricerca fisica nucleare svolta in diversi paesi europei
nei primi decenni del '900. In specifiche cir-costanze storiche, può essere in altri termini più razionale per un determinato paese inve-stire le proprie risorse anzitutto nella forma-zione tecnico-scientifica secondaria e univer-sitaria e stimolare la ricerca scientifica di ba-se solo nella misura in cui quest'ultima possa favorire la prima.
In termini più generali, il fattore causale de-terminante nel favorire la trasformazione di scoperte e invenzioni scientifiche in innovazio-ni dei prodotti e dei processi non è la quanti-tà di risorse dedicate alla ricerca scientifica di base, bensì le capacità imprenditoriali
dispo-nibili, nonché con ogni probabilità la dimen-sione del mercato. La presenza o l'assenza di queste variabili permette di comprendere age-volmente fenomeni altrimenti incomprensibili come l'esistenza di innovazioni non commer-cializzate per mancanza di mercato, i risulta-ti di ricerche applicate che non vengono ap-plicati e l'utilizzazione economica di risultati della ricerca scientifica in paesi diversi da quel-li in cui essa era stata svolta.
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( ' ) 2 8 prodotti che beneficiano delle maggiori spese di ricerca-sviluppo. Secondo Brendan Cardiff in «Economia europea», n. 16, luglio 1983.
JSA-Giappone
Importazioni di prodótti ad alta tecnologia (') (in miliardi di dollari USA)
Scambi CEE USA
|1963 [2231978 11970 ! H1982
Qualunque sia la valutazione da dare a questi problemi, è tuttavia chiaro che i singoli stati membri e la CEE si trovano attualmente di fronte a un insieme di sfide che non possono evitare di raccogliere. Come migliorare la con-correnzialità nelle industrie europee, avanza-te e tradizionali? Come ridurre la dipendenza energetica dai paesi terzi? Come far fronte alle prevedibili modificazioni sociali indotte dal-l'utilizzazione delle nuove tecnologie? Per far fronte a queste sfide, ciascun paese membro e la CEE hanno messo a punto una serie di azioni in diversi settori. Tra queste, partico-lare interesse riveste il rilancio delle attività di ricerca e sviluppo (d'ora in poi R&D), promos-so dai vari governi nazionali, dalle imprese e dalla CEE.
Scopo di questo articolo è presentare le linee principali del Programma quadro 1984/87 del-le attività scientifiche e tecnologiche promos-se dalla Commissione delle Comunità Euro-pee. Particolare attenzione verrà dedicata al-la ricerca nel campo delle tecnologie dell'in-formazione, nonché a una comparazione tra attività di ricerca svolta nei paesi membri della CEE e altri paesi industriali avanzati. Inten-do infine presentare un'analisi dello stato at-tuale di avanzamento del Programma quadro, nonché alcune possibili linee di sviluppo.
2. IL PROGRAMMA QUADRO
DELLE ATTIVITÀ SCIENTIFICHE
E TECNOLOGICHE DELLA CEE
2.1. Punti di partenza
Gran parte dei problemi evocati in preceden-za sono stati accuratamente considerati dalla Commissione delle Comunità Europee nel mettere a punto il primo Programma quadro 1984/1987 delle attività scientifiche e tecno-logiche comunitarie.
Un primo punto partenza del Programma quadro è la constatazione del rilevante poten-ziale di ricerca e sviluppo presente nei dieci paesi membri. Ciò vale anzitutto per il nume-ro complessivo degli scienziati e dei tecnici ad-detti a compiti di ricerca fondamentale e ap-plicata, nonché di sviluppo dei prodotti. Es-so è ali'incirca pari a quello dei ricercatori sta-tunitensi e USA considerati insieme (cfr. tab. 1).
La somma investita in attività di R&D nei pae-si europei è nettamente superiore a quella
de-Tabella 1 - Numero degli scienziati e dei tecnici addetti ad attività di R&D nei paesi della CEE, in USA e in Giappone: 1975/81 Incremento pa e sj 1975 1981 percentuale (1975 = 100) EUR 10 990.776 1.110.571 112,2 USA 533.900 691.400 129,5 Giappone 566.200 648.907 114,6
Tabella 2 - Evoluzione della spesa interna lorda per attività di R&D nei paesi della CEE, in USA e in Giappone, 1975/1982. Milioni di ECU, valore costante 1975
Paesi 1975 1982 Incremento percentuale (1975 = 100) 120,8 132,3 176,6 EUR 10 USA Giappone 20.842 29.586 8.300 25.173 39.137 14.665
Tabella 3 - Rapporto tra spese per attività di R&D e prodotto nazionale lordo nei paesi della CEE, in USA e in Giappone: 1975/1981
Paesi EUR 10 USA Giappone 1975 1981 1,86 1,93 2,39 2,53 1,99 2,40
Tabella 4 - Rapporto tra spesa per attività di R&D e prodotto nazionale lordo nei paesi della CEE, 1975/1981 1975 1,33 1,02 1,80 2,10 0,19 0,85 1,00 2,12 2,40 1981 1,48 1,06 2,02 2,35 0,20 0,80 1,00 1,90 2,70 Paesi Belgio Danimarca Francia Gran Bretagna Grecia Irlanda Italia Olanda
Repubblica Fed. di Germania
stinata dal Giappone a queste attività, anche se ancora distante da quella statunitense (cfr. tab. 2).
In altri termini, l'investimento per addetto in Europa è nettamente inferiore a quello statu-nitense, ma non a quello giapponese. Inoltre, il rapporto tra spese per R&D e prodotto in-terno lordo (tab. n. 3) mostra che l'impegno dei paesi europei è percentualmente più limi-tato di quello esibito da USA e Giappone. Disaggregando questo rapporto per singolo paese europeo, la situazione diviene ancora più chiara (si veda la tab. n. 4). Solo in tre paesi europei (Germania, Gran Bretagna, Francia) il rapporto tra spese per R&D e PIL è supe-riore al 2 % , ovvero di dimensioni compara-bili a quelle statunitensi o giapponesi. In tutti gli altri paesi, il rapporto è inferiore — tal-volta in modo sensibile, come nel caso dell'I-talia.
Un secondo rilievo riguarda la persistente in-sufficienza dell'industria europea a utilizzare i risultati delle attività di R&D. Ciò è in parte dovuto alla scarsa attenzione prestata alla dif-fusione dei risultati delle attività di R&D, non-ché alla frattura esistente tra università e isti-tuti di ricerca, da un lato e mondo della pro-duzione, dall'altro. La critica più diffusa in questo caso riguarda l'organizzazione delle università europee e l'orientamento scarsa-mente applicativo delle ricerche che ivi si con-ducono. Se è certo che l'organizzazione delle università dovrebbe essere ripensata e rinno-vata, un orientamento marcatamente applica-tivo delle ricerche di base potrebbe, come ve-dremo, avere effetti controproducenti. Un altro problema è infine rappresentato dal-l'esistenza di una certa sovrapposizione delle attività di R&D svolte nei paesi membri della CEE. In particolare, in questi paesi sono sta-te (e sono attualmensta-te) finanziasta-te con fondi
pubblici ricerche identiche o analoghe. Anche se talvolta non è il caso, impegni del genere sono per lo più sterili e limitano l'efficacia del-le attività di R&D svolte in Europa.
2.2. Una strategia scientifica e tecnologica per l'Europa
Come orientare le risorse esistenti nella CEE nel campo della R&D al perseguimento di co-muni obiettivi di sviluppo economico e socia-le? Va favorita una maggior europeizzazione delle attività di ricerca scientifica o tecnolo-gica o una strategia progressivamente svilup-pata sul piano comunitario? Quali criteri di scelta degli obiettivi adottare — a livello co-munitario e dei singoli stati membri? Quale priorità assegnare ai diversi obiettivi? Un merito del programma quadro 1984/1987 relativo alle attività scientifiche e tecnologiche comunitarie è di affrontare con chiarezza que-sti problemi e di fornire risposte altrettanto chiare. Ciò facilita la discussione, l'individua-zione di limiti o punti deboli, nonché l'elabo-razione di proposte integrative o alternative. Consideriamo ad esempio i criteri di scelta de-gli obiettivi delle attività comunitarie di R&D. In sintesi, essi sono:
a) l'ampiezza dei mezzi umani e finanziari
ne-cessari. Vanno preferiti, da questo punto di
vista, gli obiettivi scientifici e tecnologici che non possono essere raggiunti — in genere per mancanza di risorse sufficienti — a livello dei singoli stati nazionali. Un buon esempio in proposito è fornito dalla fusione termonuclea-re controllata. Se raggiunta, essa pottermonuclea-rebbe ri-durre in misura notevole la dipendenza degli europei, dato che questa nuova fonte di ener-gia utilizza combustibili praticamente inesau-ribili e facilmente disponibili. Le risorse ne-cessarie per raggiungere questo obiettivo so-no eso-normi (si prevede una spesa complessiva di circa 100 miliardi di ECU nel mondo), in-vestite nell'arco di un lungo periodo di tempo; b) la dimensione del mercato mondiale. L'e-sempio tipico è in questo caso costituito dal-l'industria delle tecnologie dell'informazione. Gli investimenti richiesti dai nuovi prodotti so-no eso-normi e richiedoso-no per essere ammortiz-zati tempi assai brevi. Di qui l'esigenza per le aziende produttrici di disporre di un mercato assai ampio — al minimo di dimensioni eu-ropee. La ristrettezza dei mercato o, che è lo stesso, la presenza di numerosi ostacoli alla concorrenza è, in questo come in altri casi, un potente ostacolo alla ristrutturazione indu-striale, nonché all'innovazione dei prodotti e
dei processi. Da questa situazione inoltre sca-turisce l'esigenza di politiche comuni di ricer-ca che consentano una maggior competitività alle aziende europee del settore. Il program-ma ESPRIT è stato concepito ed elaborato per rispondere a quest'ultima esigenza; c) l'esistenza di bisogni collettivi identici o si-mili negli stati membri della CEE, la cui sod-disfazione giustifichi la ricerca di soluzioni co-muni.
Vanno da questo punto di vista evitate la du-plicazione delle attività di R&D e promosse la cooperazione e l'armonizzazione di metodi e di procedure. Lo sviluppo delle ricerche sulla fusione termonucleare controllata e il miglio-ramento della sicurezza delle centrali nuclea-ri di potenza sono due esempi significativi in proposito.
Sulla base di questi e altri criteri sono stati de-cisi gli obiettivi delle attività comunitarie di R&D per il 1984/1987. Essi sono indicati nel-la tabelnel-la n. 5, insieme agli investimenti stan-ziati per raggiungerli. Tra questi, l'obiettivo più importante riguarda il miglioramento della gestione delle risorse energetiche (n. 4 dell'e-lenco riportato nella tab. 5), che comprende lo sviluppo dell'energia nucleare di fissione (e, in particolare, la sicurezza dei reattori); la fu-sione termonucleare controllata; lo sviluppo di energie rinnovabili come l'energia solare di-retta, la biomassa, l'energia eolica, geotermi-ca e idrauligeotermi-ca, nonché la promozione di tec-niche per l'utilizzazione razionale delle ener-gie. L'insieme di questi obiettivi assorbe cir-ca la metà — il 47,2%, per la precisione — degli investimenti comunitari destinati ad at-tività di R&D.
Al secondo posto, per importanza di risorse allocate, vi sono gli obiettivi intesi a
miglio-rare la competitività dell'industria europea. Essi comprendono:
— il miglioramento dei metodi di misura in campo industriale, nonché la preparazione e la certificazione dei materiali di riferimento in campo nucleare;
— il miglioramento e lo sviluppo di nuove tec-niche e di nuovi prodotti per le industrie con-venzionali: nuovi materiali, nuovi strumenti per il controllo di qualità dei prodotti, miglio-ramento delle tecniche di saldatura dei mate-riali, ecc.;
— la promozione e lo sviluppo delle nuove tecnologie e, in particolare, di quelle dell'in-formazione.
Nell'ambito di quest'ultimo gruppo di obiet-tivi, il programma che ha maggiormente atti-rato l'attenzione degli osservatori esterni è l'European Strategie Programme for Research and Development in Information Technolo-gy — meglio noto come ESPRIT. Scopo del programma è di stimolare la ricerca tecnolo-gica in alcuni settori chiave dell'informatica, in modo da fornire alle industrie europee un insieme di risultati utili a raggiungere uno sta-dio di pre-competitività. Non si tratta cioè di realizzare prodotti veri e propri (il che richie-derà ulteriori investimenti — prevedibilmen-te assai elevati) bensì, con le parole del suo re-sponsabile, «di creare l'atmosfera di coope-razione e di sinergia necessaria a far fronte alla sfida della ricerca in alcuni punti chiave». Il finanziamento di ESPRIT è di circa un mi-liardo e mezzo di ECU (valore 1984), di cui metà a carico della Commissione delle Comu-nità Europee e metà a carico delle aziende, del-le università e dei centri di ricerca che parte-cipano ai 104 progetti in cui si articola il pro-gramma. Questi ultimi vanno dall'elettroni-Tabella 5 - Gli obiettivi scientifici e tecnici della ricerca comunitaria, 1984/1987 e somme stan-ziate per raggiungerli in milioni di ECU, valore costante 1982
Milioni di ECU
Obiettivi (valore costante % 1982)
1. Promozione della competitività agricola e della pesca 130 3,5 2. Promozione della competitività industriale (eliminazione e riduzione degli
ostacoli alla concorrenza; nuove tecniche e nuovi prodotti per le industrie;
nuove tecnologie) 1060 28,2
3. Miglioramento della gestione delle materie prime 80 2,1 4. Miglioramento della gestione delle risorse energetiche (sviluppo
dell'e-nergia nucleare di fissione; fusione termonucleare controllata; sviluppo delle
fonti di energia rinnovabile; utilizzazione razionale dell'energia) 1770 47,2 5. Rafforzamento dell'aiuto ai paesi in via di sviluppo 150 4,0 6. Miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro 385 10,3 7. Miglioramento dell'efficacia del potenziale scientifico e tecnico della Co- 10,3
munità 85 2,3
8. Attività orizzontali (Programma FAST, attività di formazione e valuta- 2,3
zione) 90 2,4
ca avanzata (27 progetti) alla tecnologia del software (una quindicina di progetti) all'ela-borazione avanzata dell'informazione, alla bu-rotica e alla produzione integrata mediante calcolatore. A ESPRIT partecipa il Gotha del-l'industria elettronica europea: AEG-Telefunken, Siemens, Philips, British Tele-com, Bull, Thompson, ecc. Tra i partecipan-ti italiani — oltre all'Olivetpartecipan-ti — vanno segna-lati Comau, Cselt, l'Università di Pisa, ecc. Il carattere strategico del programma, a cui è affidato parte dello sforzo per ridare slan-cio all'industria informatica europea, ha sti-molato vivaci discussioni, qualche polemica e aspettative forse esagerate nei confronti dei risultati ottenibili.
Va anzitutto precisato che la somma stanzia-ta per ESPRIT non è molto elevastanzia-ta, se para-gonata agli investimenti decisi in Giappone o in USA per programmi analoghi o anche a quelli messi a disposizione di programmi rea-lizzati in singoli stati membri della CEE (Ger-mania, Francia, Gran Bretagna).
Un argomento controverso è stata l'esclusio-ne da ESPRIT di aziende non europee. Que-ste ultime — e in particolare l'IBM — non so-no in genere riuscite a soddisfare il requisito di accettazione dei progetti posto dalla Com-missione, di essere cioè presentati da almeno due differenti partners appartenenti a due stati membri. In realtà, come ha notato qualche os-servatore malizioso, nessuna azienda europea intende collaborare con l'IBM o altri giganti dell'informatica mondiale. Sarebbe stato inol-tre difficile convincere i contribuenti europei che le loro imposte sarebbero servite a finan-ziare l'IBM e l'ATT.
Un problema che merita attenzione riguarda la prevalenza accordata da ESPRIT e dagli
al-tri analoghi programmi europei alle imprese informatiche di grandi dimensioni. Questa preferenza non è solo connessa al maggior pe-so contrattuale delle grandi imprese, ma an-che — e forse soprattutto — alla credenza se-condo la quale solo i «grandi campioni na-zionali » possano competere con i giganti sta-tunitensi e giapponesi e che essi debbano quin-di essere anzitutto incoraggiati e sostenuti. Solo dei Golia europei, in altri termini, po-trebbero competere efficacemente contro i Go-lia extra-europei. Il futuro dirà se si tratta di una scelta strategica corretta o errata. Il no-stro sommesso parere è che le conseguenze (at-tuali e probabili) derivanti dalla sua adozio-ne meriterebbero un'analisi accurata e disin-cantata.