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PRESENTATI DAGLI AUTORI

Nel documento Cronache Economiche. N.002, Anno 1985 (pagine 91-97)

ECONOMIA TOR NES

PRESENTATI DAGLI AUTORI

P. BIANCHI, Divisione del lavoro e ristrutturazione industriale - Voi di cm. 14,5 x 21, pp. 1 26 - Il Mulino, Bologna, 1984 - L. 12.000.

Questo libro intende proporre alcune riflessioni su quel processo di riorganizzazione produttiva che ha investi-t o i seinvesti-tinvesti-tori indusinvesti-triali dopo la meinvesti-tà degli Anni Seinvesti-tinvesti-taninvesti-ta; in particolare si analizzeranno i mutamenti del ciclo di produzione dell'automobile, le cui catene di montaggio erano divenute simbolo stesso della maturità capitali-stica. Si intende tuttavia affrontare questo tema — la riorganizzazione dei cicli produttivi al mutare delle con-dizioni del mercato — riacquisendo alcuni concetti pro-pri dell'economia politica classica.

Si ritiene infatti che l'analisi di un fenomeno cosi intrin-secamente dinamico, come appunto per la sua natura è il mutamento dei caratteri strutturali della produzio-ne, richieda strumenti più adeguati di quanto non siano quelli statici, di estrazione essenzialmente neoclassica, derivati dalla tradizione dell'economia industriale risa-lente a Mason, Bain e per altro verso Andrews. Invero, la motivazione ultima di questo lavoro è proprio la veri-fica dei nessi possibili fra l'economia industriale, cioè fra quel «settore» della scienza economica neoclassica che si pone il problema della produzione industriale, e quell'economia politica classica che riconosceva nella «produzione» il baricentro della propria analisi. Nel primo capitolo verrà cosi ricordato come, nell'am-bito dello schema marshalliano di equilibrio di concor-renza, l'analisi dei processi produttivi abbia perso rilie-vo a farilie-vore di una legge dell'offerta ottenuta per sim-metria rispetto alla legge della domanda; verranno poi introdotti, seguendo Smith, i concetti di «produzione fatta» e «produzione da farsi», a noi essenziali per giun-gere alla definizione di «produzione flessibile»; infine verrà puntualizzato il significato di «estensione del mer-cato», termine posto nella Ricchezza delle Nazioni in di-retta connessione con la divisione interna del lavoro. Nel secondo capitolo verrà ripreso e approfondito il con-cetto «Smithiano» di «divisione interna del lavoro»; l'a-nalisi marxiana del ciclo di produzione verrà introdotta per cogliere come sia possibile organizzare una stessa produzione in modi diversi. Fulcro dei primi due capitoli resta comunque la discussione del postulato di Smith, per il quale «la divisione del lavoro è limitata dall'esten-sione del mercato». Nel secondo capitolo verranno inol-tre riesaminati i concetti di «integrazione verticale» ed «economie di scala». Quest'analisi si riferirà a quel mu-tamento nella struttura produttiva, caratterizzato dal transito dall'artigianato preindustriale alla manifattura dell'età del vapore, conosciuto come Prima Rivoluzio-ne Industriale.

Nel terzo capitolo gli strumenti concettuali fin qui intro-dotti verranno utilizzati nell'analisi dei recenti mutamenti verificatisi nell'organizzazione del processo produttivo dell'automobile, affermatasi in questo secolo come pro-duzione di massa «fordista» (cioè vincolata in una se-quenza obbligata di fasi produttive rigide). Questa ana-lisi verrà introdotta da un excursus sulla produzione di grande serie e su quella «Organizzazione scientifica del lavoro» divenuta immagine e mito della Seconda Rivo-luzione Industriale.

Nel quarto capitolo queste considerazioni sulla produ-zione flessibile saranno ampliate ed estese all'intera pro-duzione meccanica; particolare attenzione verrà riposta nell'analisi dei processi di automazione; con l'aiuto del-le pagine di Marx dedicate al rapporto fra macchine e grande industria si definiranno infine gli elementi effet-tivamente innovativi nell'organizzazione interna della produzione, realizzati in questi ultimi anni, — innova-zione tale da indurre a pensare ad una Terza Rivoluzio-ne Industriale.

La tesi qui sostenuta è che, essendo mutata l'estensio-ne del mercato, cioè l'ampiezza e la natura del conflit-t o di concorrenza, le imprese negli ulconflit-timi anni Seconflit-tconflit-tanconflit-ta hanno avviato un processo di ristrutturazione dei

pro-pri assetti produttivi per poter disporre di un sistema di produzione flessibile, tale cioè da permettere variazioni nel prodotto finale senza perdere i vantaggi di efficien-za connessi con la grande dimensione produttiva. L'innovazione «epocale» è stata l'introduzione di siste-mi flessibili di produzione, poiché questa ha richiesto l'individuazione di un nuovo elemento «autocrate» del processo, cioè dell'elemento che svolge funzioni unifi-canti e conformanti dei flussi produttivi; tale elemento, identificabile un tempo con la forza motrice (il vapore dell'epoca di Smith e di Marx) ed in seguito con la tra-sferta rigida (la catena di montaggio fordista), è oggi identificabile con il sistema di gestione ed elaborazione delle informazioni necessarie per trasformare una «pro-duzione da farsi» in diverse possibili «produzioni fatte». Il materiale empirico del terzo e quarto capitolo è stato tratto da alcune ricerche sul settore dell'auto, sul set-tore meccanico, sul setset-tore delle macchine di produzio-ne, e più in generale sulle tendenze della ristrutturazio-ne del sistema industriale, condotte in questi anni.

J. C. VAN HORNE, Teoria e tecnica della finan-za di impresa, - Voi. di cm. 14,5 x 21, pp. 1091 - Il Mulino, Bologna, 1984 - L. 50.000.

L'opera di Van Home è arrivata, per effetto di succes-sivi ampliamenti dalla prima edizione del 1968, a costi-tuire una specie di summa della teoria finanziaria d'im-presa e specificamente dell'impostazione neoclassica assunta dalla disciplina dopo che questa, nata con i con-notati prevalentemente tecnici ed empirici si è arricchi-ta dei contributi della teoria microeconomica e della teo-ria finanziateo-ria generale.

Questo connubio è in qualche modo comune a t u t t e le discipline aziendali nel momento in cui compiono il sal-t o decisivo di qualisal-tà rispesal-tsal-to allo ssal-tadio sal- tecnico-descrittivo iniziale. Il problema è che in questo passag-gio esse devono mantenere il riferimento con la realtà concreta. La finanza, come ogni altra materia d'azien-da, deve trovare il fondamento delle sue deduzioni nel-l'esperienza e deve essere in grado di fornire tesi che spieghino ed interpretino i fatti concreti della vita finan-ziaria, nei suoi aspetti aziendali e generali. L'impostazione anglosassone della teoria finanziaria non sembra rispettare sempre questi canoni e muove talvol-ta da ipotesi estremamente rarefatte che poco hanno in comune con la realtà quotidiana. Va subito detto che il manuale di Van Home è, fra t u t t i , quello meno assog-gettabile a questa critica.

Tuttavia, il problema è riferibile non solo ai meriti dei singoli autori, ma anche all'impostazione generale del-la disciplina nei paesi anglosassoni, ed è quindi oppor-tuno dare al lettore italiano qualche chiarimento in pro-posito.

I postulati microeconomici della finanza sono tipicamen-te quelli della tipicamen-teoria neoclassica dell'impresa e dell'e-quilibrio generale; tre in particolare meritano di essere segnalati:

a) la funzione obiettivo dell'impresa viene identificata nella massimizzazione del profitto e, per quanto riguar-da le decisioni propriamente finanziarie, nella massimiz-zazione del valore dell'impresa per gli azionisti. Funzio-ni obiettivo di tipo diverso vengono prese in considera-zione in forma puramente qualitativa, ma non vengono formalizzati all'interno dei modelli di analisi proposti; b) si assume che ciascun individuo abbia una funzione di utilità relativa alle scelte finanziarie, che sia avverso al rischio e che sappia valutare razionalmente in ogni istante i due parametri fondamentali relativi al rendimen-to atteso dei diversi investimenti possibili: la media e la varianza. Le probabilità soggettive vengono cosi ri-dotte a probabilità oggettive e le scelte finanziarie pos-sono essere basate su modelli squisitamente statistici. Non è superfluo a questo proposito ricordare come sia cruciale all'interno di questo approccio l'ipotesi che la funzione di distribuzione dei rendimenti attesi sia nor-male.

Più in generale, la distinzione keynesiana fra incertezza e rischio viene in questo m o d o annullata e ricondotta a variabili razionalmente valutabili ex ante da ciascun operatore;

c) si assume che non esistano (o siano minimi) i costi di informazione e di transazione all'interno dei mercati e che vi sia perfetta mobilità dei singoli individui non solo da un mercato all'altro, ma addirittura dalla condizione di creditore finale a quella di debitore finale. Come nel mercato ideale di Walras, t u t t i gli operatori sono uguali e solo nella posizione finale di equilibrio si identificano le scelte compiute. Per questo, in vari modelli finanzia-ri, non esistono vincoli di alcun tipo e ciascun investi-tore può liberamente riprodurre la qualità e la struttura di passività e attività ritenuta ottimale.

Gli elementi di astrattezza che potrebbero derivare da questi postulati fondamentali sono, come si è già det-to, notevolmente attenuati nell'opera di Van Home. Innanzitutto, per un merito soggettivo dell'autore, che con grande senso pragmatico rimuove di volta in volta le ipotesi più astratte per riportare gradualmente la trat-tazione su livelli più vicini a quelli della realtà operativa. In secondo luogo, il rischio di astrattezza è ridotto og-gettivamente da una caratteristica dei sistemi finanzia-ri anglosassoni e di quello statunitense in particolare. In quella realtà, i mercati finanziari, pur non potendosi dire perfetti da uno stretto punto di vista tecnico pre-sentano indubbiamente connotati tali di ampiezza, spes-sore ed elasticità da avvicinarsi ai requisiti dei modelli di concorrenza perfetta. In tali condizioni, i postulati in-dicati, soprattutto se passano attraverso il filtro indi-spensabile del buon senso, forniscono non solo un qua-dro logico complessivo, ma anche riferimenti per le de-cisioni finanziarie degli investitori e delle imprese. Che questo sia vero è dimostrato dal fatto che l'opera del Van Home, insieme ad altre analoghe, ha costituito il testo fondamentale per corsi universitari e postuniver-sitari e per seminari di formazione rivolti a operatori e dirigenti finanziari. Essa può quindi essere considerata come tipica espressione della cultura finanziaria preva-lente negli Stati Uniti.

Il lettore può chiedersi a questo punto che relazione vi sia fra questa cultura e la nostra. Non vi è dubbio che da noi si possono ancora constatare elementi di arre-tratezza tanto nel mondo operativo quanto in quello ac-cademico. Se guardiamo innanzitutto alle scelte com-piute dai nostri operatori in campo aziendale e in cam-po bancario, cam-possiamo dire che la storia finanziaria del nostro paese è costellata di non pochi «errori», cioè di palesi violazioni dei canoni fondamentali dell'equilibrio finanziario. Ovviamente, è ingenuo imputare quegli epi-sodi solo ad uno scarso livello culturale; tuttavia, si può dire che una maggior conoscenza delle tecniche di ana-lisi, delle interpretazioni teoriche e degli schemi quanti-tativi avrebbe forse evitato di realizzare così frequen-temente investimenti privi di prospettive, strutture fi-nanziarie squilibrate, acquisizioni aziendali a prezzi proi-bitivi.

Specularmente anche la nostra tradizione accademica si è sviluppata con qualche ritardo, tanto è vero che solo negli ultimi venti anni e soprattutto dagli anni Settanta studi teorici ed empirici in materia finanziaria hanno co-minciato ad occupare una posizione di rilievo all'inter-no delle discipline aziendali.

Si può peraltro dire senza eccessivo ottimismo che og-gi è in atto un forte processo di rinnovamento tanto sul piano delle tecniche, degli strumenti e dei mercati quan-to su quello della forma mentis degli operaquan-tori finanziari. Sotto il primo profilo va apertamente riconosciuto che nel nostro paese è in corso un processo di innovazione finanziaria piuttosto rapido ed esteso, che ha portato all'introduzione e all'utilizzo sistematico di strumenti e di tecniche di gestione finanziaria più sofisticati ed arti-colati. Ciò che nel lavoro di Van Home — o in altri con-simili — il lettore italiano solo qualche anno fa era legit-timato a considerare oggetto di mera curiosità intellet-tuale, f r u t t o di una sperimentazione irripetibile nel no-stro contesto ovvero materiale esclusivamente idoneo a qualche interessante esercitazione scolastica, sta ve-locemente entrando nella cultura degli operatori: ed an-che di un pubblico più vasto, se è lecito misurare la

dis-seminazione di informazioni dallo spazio che pubblica-zioni non specializzate dedicano ad argomenti di tecni-ca finanziaria.

Alle origini di questo processo troviamo una pluralità di fattori che è opportuno brevemente ricordare. Anzitutto, la crescente apertura ai mercati internazio-nali sia delle nostre imprese sia delle nostre istituzioni finanziarie ha dato luogo ad una storia di fertilizzazione incrociata che ha favorito il trapianto di strumenti origi-nariamente nati o maggiormente sviluppatisi in altri con-testi: si pensi, per fare qualche esempio, alle azioni pri-ve di diritto di v o t o e caratterizzate da privilegio cumu-lativo nel riparto degli utili, ai warrants, ai prestiti in pool, al factoring e al leasing nelle loro diverse forme tecniche. In secondo luogo, il passaggio, avvenuto sul finire de-gli anni Settanta, da una situazione in cui i flussi di cre-dito erano, specie per le maggiori imprese, piuttosto ab-bondanti ed a buon mercato ad una politica di controllo molto stretto sulla liquidità del sistema e di sistematico mantenimento di tassi positivi in termini reali ha indot-t o molindot-te imprese a dedicare maggiore impegno ed aindot-t- at-tenzione alle scelte di gestione finanziaria. Né va tra-scurato, quale fonte di innovazioni finanziarie, il com-portamento delle aziende di credito, un tempo preoc-cupate di arginare le conseguenze del massimale sul vo-lume dell'intermediazione svolta e sulla propria quota di mercato, oggi sospinte da condizioni di più accentua-ta concorrenzialità ad adataccentua-tare le forme del loro inter-vento alle esigenze della clientela sia affidata, sia de-positante.

L'affermazione di nuove tecniche e di nuovi strumenti di finanziamento è infine il naturale portato del proces-so di specializzazione e di articolazione istituzionale degli intermediari che anche nel nostro paese comincia a ma-nifestarsi, ancorché faticosamente e con una dipenden-za forse eccessiva dal patrimonio di esperienze e di tra-dizioni operative proprio delle aziende di credito. Ancora qualche elemento di arretratezza, soprattutto con riferimento allo schema interpretativo del Van Hor-ne si può ravvisare Hor-nella situazioHor-ne concreta delle no-stre imprese per quanto concerne l'impostazione della loro gestione finanziaria. A tale stregua non può non ap-parire per qualche aspetto astratta l'insistenza con la quale l'autore — che invero si muove su un piano di or-todossia largamente condiviso dalla nostra dottrina aziendalistica — sottolinea la necessità per l'impresa di mantenere l'equilibrio temporale tra impieghi e fonti di mezzi finanziari nonché una struttura di capitale non troppo sbilanciata sul lato dell'indebitamento. Occorre infatti riconoscere che per molte aziende italiane — con-trassegnate, come è noto, da insufficienza di mezzi pro-pri e da squilibri della gestione economica — il maggior problema è pur sempre quello del reperimento di mezzi finanziari quantitativamente adeguati, mentre passa di norma in secondo piano la ricerca del mix di finanzia-menti ottimale sotto il profilo della forma tecnica e del-le scadenze. Né, dall'altra parte, del-le istituzioni creditizie hanno dato e danno sufficiente ed e f f e t t i v o peso, qua-le criterio guida delqua-le proprie decisioni di affidamento, al f a t t o che l'impresa richiedente sia o meno caratteriz-zata da strutture finanziarie equilibrate, da prospettive di reddito soddisfacenti e da cash flow attesi capaci di assicurare il servizio del debito.

Passando all'altro gruppo di considerazion, due sono gli aspetti in relazione ai quali la situazione delle imprese italiane si discosta alquanto da quella cui Van Home im-plicitamente o esim-plicitamente fa riferimento nella sua trattazione.

Da un lato, la stragrande maggioranza delle imprese in-dustriali italiane — e non solo quelle di minori dimen-sioni o costituite su base familiare — presenta una strut-tura proprietaria chiusa e mostra una notevole riluttan-za ad aprirsi al capitale di terzi. Tale circostanriluttan-za limita evidentemente la tastiera degli strumenti effettivamente disponibili per il finanziamento oppure finisce con il su-bordinare la scelta e l'entità relativa alla preoccupazio-ne per l'eventuale perdita del controllo, che talora as-sume un rilievo assolutamente sproporzionato. Da questo punto di vista, comunque, non è certo puro esercizio di wishful thinking il ritenere che i princìpi fon-damentali di gestione finanziaria illustrati in questo

la-voro possano ottenere col t e m p o maggiore attenzione e più estese probabilità di applicazione pratica a mano a mano che si realizzerà la strategia di interventi coor-dinati e complementari che legislatore ed autorità mo-netarie hanno messo a punto nel corso del 1983; stra-tegia che tende a rendere più articolata ed efficiente quella parte della nostra struttura finanziaria chiamata a facilitare il reperimento di capitale di rischio da parte delle imprese.

Oltre che l'entrata in funzione dei fondi comuni di inve-stimento regolati dalla legge 23 marzo 1983, n.77, van-no qui ricordati due aspetti per la loro capacità di far realizzare al nostro mercato dei capitali l'atteso salto qualitativo e dimensionale. Da un lato, l'atteggiamento delle autorità monetarie favorevole al sistematico svol-gimento di attività di merchant banking; dall'altro, le di-sposizioni della legge 4 maggio 1983, n. 169, finaliz-zate a promuovere l'irrobustimento dei listini di borsa attraverso l'incentivazione fiscale accordata alle socie-tà che intendono procedere ad offerte pubbliche di ven-dita di azioni. A giudicare dal netto aumento, a partire dall'autunno del 1983, dal numero di società che han-no deciso di far ricorso a questa tecnica di allargamen-to della compagine azionaria, il provvedimenallargamen-to in que-stione sta rivelandosi piuttosto efficace e da esso po-trebbe effettivamente scaturire uno sviluppo non tran-sitorio del mercato del capitale di rischio.

Siamo del resto ad un punto cruciale dell'evoluzione fi-nanziaria delle imprese italiane. Queste sono riuscite, come è noto, ad assorbire lo shock determinato dalle condizioni perturbate degli anni Settanta attraverso due vie: da un lato gli incrementi patrimoniali collegati al-l'inflazione, dall'altro una riduzione del fabbisogno re-lativo di credito. Quest'ultimo è indicato, ad esempio, dalla riduzione del rapporto fra mezzi finanziari totali e fatturato e, in termini di contabilità nazionale, dalla ri-duzione del rapporto fra finanziamenti complessivi al settore e valore aggiunto.

Con una generalizzazione forse eccessiva si può allora dire che il riaggiustamento degli elementi di squilibrio accumulati da una parte delle imprese italiane si ricol-lega fondamentalmente a benefici per così dire ecce-zionali [windfalls) e a processi di raecce-zionalizzazione so-prattutto dal lato dell'attivo, quindi ad un miglioramen-to della gestione finanziaria che si è realizzamiglioramen-to in una più attenta gestione del capitale circolante ed in una più oculata scelta di investimento all'interno comunque di un processo di accumulazione più lento rispetto al pas-sato.

In futuro occorrerà realizzare un deciso miglioramento anche nelle strategie e nelle tecniche di gestione del pas-sivo. Lo scenario finanziario che si prospetta è infatti caratterizzato da forti esigenze di fondi provenienti dai settori emergenti e da tassi di interesse elevati, anche in termini reali. Ciò metterà a dura prova le abilità finan-ziarie delle imprese e le responsabilità allocative degli intermediari.

L'individuazione di corrette soluzioni finanziarie costi-tuirà un importante fattore di successo. Le imprese po-tranno mantenersi in condizioni di competitività con l'e-stero e potranno cogliere le opportunità della sfida tec-nologica solo se saranno in grado di reperire adeguati mezzi finanziari e di realizzare condizioni di equilibrio economico e patrimoniale.

L'opera di Van Home fruò dare in questa prospettiva un contributo decisivo alla formazione di una classe pre-parata di operatori e, in generale, all'ulteriore sviluppo della cultura finanziaria del nostro paese.

(dalla Presentazione di Francesco Cesarini e Marco Onado)

AUTORI VARI, Organizzazione e cultura dell'in-novazione in impresa (a cura di M. Decastri) - Voi. di cm 15 x 23, pp. 580 - Giuffrè, 1984 - L. 38.000.

Questo libro può essere letto in differenti modi. Molti degli articoli possono essere considerati relativamente autonomi: i vari temi trattati dai diversi autori (la creati-vità, l'ambiguità decisionale, la cultura, i ruoli e le car-riere, le strutture organizzative, ecc.) possono essere letti come contributi indipendenti allo sviluppo delle co-noscenze nel campo dell'innovazione e della Ricerca e Sviluppo. Coloro che hanno interessi particolari e spe-cilistici potrebbero così trovare valide risposte a tali pro-blemi.

L'obiettivo principale di questa antologia è altresì quel-lo di affrontare le tematiche relative all'organizzazione e alla cultura dell'innovazione in modo complessivo e

Nel documento Cronache Economiche. N.002, Anno 1985 (pagine 91-97)

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