• Non ci sono risultati.

Se si eccettua un dibattito sulla narrativa sarda che compare nelle pagine della rivista “Ippografo”, allo stato delle ricerche non

risulta che Atzeni abbia scritto per la stampa periodica nel corso del 1985.

Forse non senza motivo. Siamo, infatti, nella fase di stesura dell’Apologo del giudice bandito che verrà pubblicato nel 1986. Nello stesso anno Atzeni avvia un rapporto di collaborazione con “L’Unione Sarda” che durerà fino al 1989. Ora è, per così dire, in una posizione di forza, il suo nome reso illustre dal successo ottenu- to, lo stile apprezzato oltre misura dalla direzione del giornale. Gli viene assegnato uno spazio libero, una rubrica intitolata Tondo e corsivo della quale può disporre senza limitazioni, ma la sua firma compare anche al di fuori di tale spazio. Difficile, in questa fase, in- dividuare un criterio sotteso alla sequenza degli articoli (non molti, invero).

Ancora recensioni di libri, naturalmente, con molto più spazio per la personale visione del recensore, finché il libro diventa un me- ro pretesto per divagazioni sul tema; ancora descrizioni di quartieri popolari, ma staccate dalla cronaca e orientate verso il racconto. Compone brevissimi racconti, interviene su temi generali (ad esem- 15

pio polemizzando a distanza con l’idea di futuro proposta da Ray Bradbury su “Il Corriere della sera”); non dimentica le fiabe, quelle raccolte da Afanasjev o Calvino, quelle che, partendo dalle più di- verse tradizioni, arrivano nelle pagine dei Grimm, di Perrault, di Andersen, quelle che da tempo immemorabile si raccontano in Sar- degna; non gli sfugge un romanzo di Peter Handke, Il cinese del do- lore, il cui protagonista compie un breve soggiorno nei dintorni di Alghero. È l’occasione per ribadire i diritti della fantasia. «La Sar- degna è un sogno degli europei, l’Europa è un sogno dei sardi; i confini fra realtà e fantasia sono labili, la soglia è sparita; ognuno ha bisogno di un altrove in cui vivere i suoi incubi, come ha fatto An- dreas Loser, archeologo assassino. Il romanzo di Handke è bello, merita d’esser letto»16.

Nel complesso un insieme di articoli che non convincono appie- no, quasi la rivincita di chi torna al proprio paese dopo essersi al- lontanato povero e sconosciuto e mostra con soddisfazione il nuovo status.

Più sobrie e significative le recensioni che continua a inviare a “Ippografo”, periodico stampato dalla Cuec, piccola casa editrice alla quale sarà sempre legato (va almeno segnalata la nota del 1986, relativa a La scoperta della lentezza di Sten Nadolny).

Nel frattempo scrive per “Linea d’ombra” (tra l’altro, una doppia recensione dei romanzi L’oro di Fraus di Giulio Angioni e Proce- dura di Salvatore Mannuzzu) e per “Il Giorno”.

La collaborazione con “Il Giorno” si sviluppa nel 1989 e nel 1990 e non produce molti articoli. Ma è comunque interessante per il tono maturo con cui Atzeni si propone ai lettori di quel giornale, per la scelta dei libri da recensire (tra gli altri, la Storia notturna di Carlo Ginzburg, L’arte di tacere di Joseph Antoine Toussaint Di- nouart, La saggezza del deserto di Thomas Merton, Knulp, Il bic- chiere scrivente, Francesco d’Assisi di Hermann Hesse) e per l’attenzione che dedica a un romanzo di Cristoph Hein. Di Hein, te- 16

S. ATZENI, Anche la Sardegna negli incubi di Peter Handke, “L’Unione Sarda”, 21 otto- bre 1988.

desco dell’ex DDR, le Edizioni e/o pubblicano, nel 1989, La fine di Horn. Il libro non ha un grande successo, ma non sfugge all’occhio attento di Atzeni che ne parla in termini elogiativi. Apprezza l’impostazione strutturale del racconto, l’alternarsi di cinque voci narranti che offrono le diverse sfaccettature di un’impossibile veri- tà, la scrittura «lucida, asciutta, priva di svolazzi e narcisismi, opa- ca, magistrale» e conclude: «Un capolavoro. Che non avrà succes- so: non è facile, né fluviale, né divertente, né avventuroso, né con- solatorio, né erotico. Ma non può mancare nella libreria di chi creda che la letteratura debba parlare. Parlare dell’uomo, del mondo, di Dio, in spirito di verità, a occhi aperti, con cuore sanguinante»17.

Siamo nel 1990. Nel 1991 Atzeni pubblica Il figlio di Bakunìn. Presentando a Cagliari questo romanzo dichiara: «Il trucco de Il fi- glio di Bakunìn (che ho usato per motivi di carattere economico, nel senso che se non avessi usato quel trucco avrei dovuto scrivere cin- quecento pagine e per scrivere cinquecento pagine avrei impiegato quindici anni... e non esiste), l’ho preso da uno scrittore tedesco»18.

Nessuno può dire chi sia questo scrittore tedesco. Forse proprio Cristoph Hein; o forse quell’affermazione Atzeni l’ha pronunciata solo per depistare l’attenzione di quanti lo incalzavano con doman- de troppo insistenti sulle sue ascendenze letterarie. Quel che testi- monianze inoppugnabili sostengono è che, quando il romanzo di Hein è apparso in Italia, Il figlio di Bakunìn era già in lettura presso la casa editrice Sellerio e che i successivi rimaneggiamenti interve- nuti prima della pubblicazione non hanno riguardato la struttura del racconto. In tal caso dovremmo concludere che le parole della re- censione dedicata a La fine di Horn sono una dichiarazione di poe- tica riferibile a Il figlio di Bakunìn, quasi che Atzeni avesse trovato ne La fine di Horn un’impostazione non molto dissimile da quella che aveva appena adoperato per la costruzione del suo secondo ro- manzo e salutasse, quindi, con compiacimento il lavoro di Hein.

17

S. ATZENI, Un suicidio secco «made in Rdt», “Il Giorno”, 27 maggio 1990.

18

Certo è, comunque, che ancora una volta l’attività del giornalista si intreccia, e quanto strettamente, con quella dello scrittore.

8. Gli anni che vanno dal 1991 al 1995 coincidono con la terza e