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Mentre ancora dura il rapporto con “La Nuova Sardegna”, promuove altre iniziative editoriali Nel 1977 contribuisce a fondare

il mensile “Altair” (di cui è stato anche direttore responsabile) che vive fino al 1981. Il periodico si occupa di turismo e tempo libero e su questi argomenti Atzeni si cimenta, non rinunciando, però, agli interessi culturali e al mestiere di recensore. Pubblica, nello stesso 1977, un articolo dal titolo Identità di popolo o nazione sarda? in

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cui esplicitamente dichiara di condividere le tesi di Umberto Cardia, sia per quanto riguarda la ricostruzione storica12, sia per quanto ri- guarda il problema linguistico: «In parallelo con questo processo si svolse quello della lingua: la mancata unificazione politica, il non essere divenuti nazione, impedì l’unificazione della lingua: il sardo non divenne lingua nazionale; anzi, da allora, cominciò lentamente a deperire, e non essere più adeguato alle novità scientifiche e tec- niche che il mondo circostante elaborava, e che i sardi si limitavano a subire (quand’anche ne venissero, con secoli di ritardo, a cono- scenza). Senza nazione unitaria, senza lingua unitaria, la tesi dell’esistenza di una minoranza linguistica diventa difficile da di- mostrare: diventa affermazione di principio, teoria senza gambe. Allora, la strada che resta da percorrere è quella già indicata da An- tonio Gramsci: la strada di un’autonomia regionale molto forte e ra- dicale, nell’ambito dello stato italiano e della moderna nazionalità italiana; autonomia fondata sulla coscienza dei connotati distinti e peculiari del popolo sardo»13.

Sono concetti che daranno frutto negli anni avvenire, fino al 1995 di Passavamo sulla terra leggeri. Nel frattempo, su “Altair”, ancora attenzione alle tradizioni popolari e alle fiabe sarde, ancora musica e fumetti. Oltre alle recensioni librarie dedicate agli autori preferiti, che pure ritornano nel “periodico di attualità culturale e di informazione bibliografica” “Nuove pagine”, dalla vita effimera (e- scono pochi numeri tra il 1981 e il 1982) ma comunque utile per ri- badire gli interessi di Atzeni che anche di questa rivista era direttore responsabile e ne delineava la fisionomia.

Siamo ormai alla conclusione di una prima fase dell’attività giornalistica (la seconda comincerà nel 1986, quando avrà pubblica- to il primo romanzo, e arriverà al 1995): restano soltanto da segna- 12

«Il popolo sardo (non popolazioni disgregate che solo casualmente convivono assieme in un determinato territorio, ma entità etnica ben precisa e distinta, che per un lunghissimo ordine di secoli ha avuto una vita in comune, tradizioni comuni, etc.) non è diventato né nazione né stato unitario nel periodo storico in cui poteva, al pari di altri popoli europei, diventarlo».

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lare due articoli comparsi nel 1984, su “La Nuova Sardegna” l’uno, su “Ippografo” l’altro. Il primo è dedicato all’immagine di Cagliari nell’opera di D. H. Lawrence: «Ma la Cagliari di Lawrence è Ca- gliari per modo di dire: che per ventitré ore ha osservato gli uomini e le case, senza parlare con nessuno, senza conoscere la storia di quelle pietre, e con la testa zeppa di pensieri preparatori per il suo romanzo maggiore. Questa descrizione di Cagliari è amata da molti intellettuali cittadini, che ne citano brani in libri e articoli, compia- cendosene. Ma è proprio vero, ad esempio, che i bambini della no- biltà cagliaritana, mascherati, mostravano «la vera, fredda superbia dell’antica noblesse»? Erano «fragili farfalle invernali» prive del «minimo dubbio sul fatto di rappresentare la classe più alta dell’umanità» e capaci di procedere alteri e regali? Possono essere nati bambini così da una nobiltà come quella ispano-karalitana, qua- si sempre pezzente, trafficona e priva di stile?»14.

Siamo anni luce lontani dalle rudimentali, e grevi, polemiche contro i podatari che ricorrevano sulle colonne de “L’Unità”; l’interpretazione politica ha perduto importanza e allo scrittore non è più richiesto un atteggiamento realistico: Atzeni difende il diritto del «delirio creativo e visionario» perché, prossimo al pro- getto e alla stesura dell’Apologo del giudice bandito, capisce, per esperienza personale, come Lawrence abbia potuto guardare il mondo che aveva sotto gli occhi con la mente rivolta alle figure dei suoi romanzi.

Il secondo articolo, una recensione a La cultura spirituale di Ba- bilonia di Hugo Winkler, merita almeno un cenno perché in esso si parla di un’opera che descrive «la visione del mondo di una civiltà arcaica e grandiosa», una cultura spirituale basata sui principi della matematica e dell’astrologia, sull’«abitudine alla trasmissione della conoscenza». Il recensore mostra un profondo interesse per l’intreccio di religiosità e vita sociale che si esprimeva nell’antica Babilonia: «Gli Dei erano molti, e nuovi Dei prendevano il posto di quelli vecchi, ma una sola e ben più grande era la causa

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dell’esistenza del mondo: il grande universo stellato che mostrava le sue leggi, ogni notte, ai sacerdoti che lo studiavano dalla cima delle ziggurat. In quella cultura la religione e la dottrina dominavano tut- ta la vita sociale. I sacerdoti leggevano l’universo per trarne il cal- colo matematico, ma anche per profetare sul futuro, per dirigere la guerra e la pace, l’amministrazione e la rendita, la tradizione e la storia»15.

È il segno di un’attenzione, il primo manifestarsi di un’idea che arriverà a maturazione, e assumerà forma narrativa, nel romanzo Passavamo sulla terra leggeri. L’attività giornalistica sempre più appare legata all’elaborazione narrativa che sta per cominciare, quando, addirittura, non ne rappresenti una necessaria premessa.

7. Se si eccettua un dibattito sulla narrativa sarda che compare