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L’educazione del minore: esigenze diverse per una personalità in fieri, la sentenza

Il minore, in quanto personalità in fieri, trova sempre una tutela che si adatti alla sua facile vulnerabilità. L’ordinamento penale in generale pone a presidio di tale tutela degli strumenti, che garantiscano la “protezione” del minore, sia come vittima che come autore del reato.

Prendendo in considerazione, per quello di cui necessitiamo in questa sede, l’aspetto relativo al minore quale autore del reato, è evidente come la pena si presti più ad un’opera educativa che rieducativa.

Questa peculiarità, connessa alle specifiche esigenze che vengono alla luce in queste circostanze, hanno indotto il legislatore a prevedere un processo penale fabbricato appositamente per il minore, e che trova la sua fonte in un “codice” estraneo a quello per gli adulti, ossia il dpr 448/1988, il quale esordisce con il principio di adeguatezza ed una pena che si adatti alle specifiche esigenze del minore.

Per l’esecuzione della pena, invece, la questione è leggermente diversa, con esclusione dell’ergastolo, dichiarato incostituzionale per i minorenni con sentenza n.168/1994, in quanto in contrasto con l’art. 31 Cost.

Per quanto concerne la disposizione in esame, l’art. 4 bis, questa risulta applicabile nei confronti del minorenne, a maggior ragione nel caso in cui venga rilevata la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata.

La pronuncia in esame però, la sentenza 450/1998 riporta alla luce quelle esigenze del minore, non equiparabili alle condizioni in cui versano i condannati adulti. In particolare, la questione riguardava l’impossibilità di concedere il permesso premio a causa dell’assenza della condotta collaborativa da parte del minore, per cui il giudice a quo ha ritenuto di dover sollevare la questione di legittimità costituzionale per violazione degli artt. 3 e 31 Cost.

Il giudice rimettente ritiene che ciò sia conseguenza dell’inerzia del legislatore, il quale non si è preoccupato di dettare una disciplina specifica sull’esecuzione penale dei minori, realizzando un sistema più compatibile alla loro personalità. Richiamando la giurisprudenza della Corte, in base alla quale la parificazione della disciplina dell’esecuzione penale tra adulti e minorenni contrasti con l’esigenza di flessibilità della pena nei confronti del minore, di cui l’art. 30 ter comma 4 rappresenta una delle violazioni, ritiene come questo fattore impedisca al giudice di operare una valutazione che abbia come parametro la sola personalità del minore e la sua condotta, in modo tale da realizzare un trattamento penitenziario più conforme possibili alle finalità educative della pena.

Nel caso di specie, il divieto di concessione dei permessi premio per un periodo prolungato, osterebbe a questa finalità, impedendo al minore di iniziare quel cammino risocializzante che gli permetta di iniziare un percorso educativo tale da renderlo “maturo”.

Ad essere violato sarebbe non solo il principio educativo della pena, ma il diritto all’affettività del minore, il diritto coltivare i propri interessi e le proprie inclinazioni, verrebbe inibita una sana crescita e verrebbe meno la protezione dell’infanzia e della gioventù.

Nella decisione di incostituzionalità della norma, la Corte condanna i rigidi automatismi previsti dal legislatore, condannati anche in altre occasioni, in quanto incompatibili con valutazioni che rispondano ai criteri di flessibilità ed individualità, inibendo la finalità (ri)educativa, “che deve essere assolutamente preminente nell’esecuzione penale minorile266.”

Viene dunque affidata alla discrezionalità della magistratura di sorveglianza la valutazione sui presupposti idonei alla concessione della misura, sulla base anche di un giudizio che riguardi la pericolosità sociale e il pericolo di commissione di ulteriori reati.

6.1. (segue) La liberazione anticipata speciale per i minorenni

condannati ex art. 4 bis: sentenza n.32/2016

Una diversa posizione viene presa dalla Corte in seguito alla questione di legittimità sollevata dal tribunale di sorveglianza di Milano riguardante il divieto di concessione della liberazione anticipata speciale nei confronti dei condannati ex art. 4 bis, con riguardo ai minorenni.

Secondo il giudice rimettente, l’esclusione a priori dei minorenni condannati per reati ostativi sarebbe in contrasto con gli artt. 3 e 31 della Costituzione, e con il principio (ri)educativo della pena, in quanto non si terrebbe conto del fatto che si tratta di una personalità in fieri.

La Corte Costituzionale dichiara inammissibile la questione, facendo soprattutto leva sulla ratio della liberazione anticipata speciale: essa è stata introdotta nel nostro ordinamento a seguito delle condanne da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (in particolare a seguito della sentenza Torreggiani) in merito al sovraffollamento carcerario. Risponde, dunque, ad esigenze deflattive. Altra ragione per cui la Corte ha dichiarato inammissibile la questione è riconducibile alla formulazione stessa dell’ordinanza, in quanto poco chiari risultano sia la norma illegittima sia le ragioni delle doglianze, per cui il petitum risulterebbe “contraddittorio rispetto alle premesse, ambiguo ed alla fine oscuro267.”

Prima di analizzare la pronuncia, bisogna fare una premessa: tale istituto, autonomo rispetto alla liberazione anticipata ordinaria, nel decreto legge prevedeva la concessione automatica della decurtazione del quantum di pena di settantacinque giorni, non più quarantacinque, per ogni semestre di pena scontata, e un’ipotesi di liberazione anticipata speciale integrativa nei confronti di chi avesse già beneficiato della liberazione anticipata ordinaria, con efficacia retroattiva.

Tra i destinatari, vi erano anche i condannati ex art. 4 bis, nei confronti dei quali doveva però essere fatta una valutazione riguardante “un concreto recupero

267

Caraceni L., Liberazione anticipata speciale e condannato minorenne per reati ostativi:

l’irragionevole divieto di concedere lo sconto di pena più ampio supera un primo scrutinio di costituzionalità, in Giur. Cost., f. I, 2016, p. 197 ss.

sociale, desumibile da comportamenti rivelatori del positivo evolversi della personalità”.

In sede di conversione, tuttavia, il legislatore decise di precludere tale misura ai condannati ex art. 4 bis, per il timore che “criminali” di un certo spessore tornassero in libertà, destando un allarme sociale di non poco conto.

È da qui che muove la questione di legittimità sollevata dal giudice a quo, il quale ritiene che l’operatività di tale divieto assoluto risulti già poco conciliabile con i principi costituzionali riconducibili all’esecuzione penale per gli adulti, ma ancor meno conciliabile con l’interesse del minore.

La Corte Costituzionale rileva, innanzitutto, un vizio formale nella presentazione della questione di legittimità, in quanto il giudice remittente indirizza le sue censure verso un “generico” art. 4 del d.l. 146/2013, senza considerare che il comma I riguarda l’applicazione della misura de futuro, mentre quella inserita al secondo capoverso riguarda l’applicazione retroattiva della misura.

Tuttavia, la Corte supera questo difetto, dal momento che solo l’art. 1 risulta riferibile ai condannati per i delitti di cui all’art. 4 bis.

La Corte dichiara la questione inammissibile proprio sulla doglianza riguardante la presunzione di pericolosità, basata sul titolo di reato, che avrebbe reso impossibile per il giudice concedere il maggior scoto di pena previsto, nonostante l’esito positivo della risposta del condannato alla rieducazione.

L’iter logico seguito è questo: l’impossibilità di concedere la maggior detrazione di pena nei confronti dei condannati ex art. 4 bis non violerebbe i principi di individualità e flessibilità della pena, in quanto ad operare automaticamente sarebbe lo sconto di favore se il detenuto accedesse alla liberazione anticipata. Quindi, secondo la Corte, ne deriverebbe un’applicazione automatica ed indiscriminata nei confronti di tutti i minorenni268.

Questo approccio della Corte risulta poco condivisibile269: viene annientata la discrezionalità del giudice di sorveglianza nella valutazione della condizioni per la concessione della misura, dichiarata dalla stessa corte premiale e deflattiva, con la conseguente “legalizzazione” dell’automatismo della misura nei confronti dei condannati per taluni delitti, soprattutto nei confronti dei minorenni che si siano

268

Caraceni L., op. cit.

mostrati partecipativi alla rieducazione, contravvenendo al principio della minor offensività e della residualità della detenzione, a presidio della personalità del minore.

Secondo parere di parte della dottrina, le motivazioni addotte dalla Corte risultano deboli, soprattutto perché, seguendo il percorso giurisprudenziale della stessa, è stata sempre condannata la tipizzazione per titoli di reato, poco compatibili con i principi di proporzione ed individualizzazione della pena, fondamentali per il raggiungimento della finalità rieducativa.

Nel caso di specie soprattutto, la Corte sarebbe andata contro un principio dichiarato nelle varie pronunce, cioè quello secondo cui la regressione del trattamento deve essere riconducibile alla sola responsabilità del condannato.

7.

Un mutamento di rotta per la tutela del rapporto genitore –