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Quando la libertà costa la vita: “fine pena:ora” (la storia di Salvatore M.)

In conclusione di questa prima parte, ho deciso di “partecipare”, a mio modo, alla divulgazione di testimonianze dirette di ergastolani senza scampo, o uomini ombra, a noi la scelta.

In particolare, si tratta di un detenuto ergastolano ostativo, Salvatore M., il quale, in uno scambio epistolare con lo stesso giudice che lo condannò all’ergastolo, ma che poi gli fu difensore ed amico, il prof. Elvio Fassone, ci proietta all’interno del carcere, facendoci vivere la vita di un condannato ad espiare la pena di morte da vivo.

La storia di Salvatore è una storia particolare: un cammino di redenzione, una rieducazione resa possibile dal contatto con un giudice che lo tratta da uomo, la voglia di riscatto, di vivere una seconda vita.

Ma ad ogni passo in avanti, un avvenimento, un imprevisto, la burocrazia, lo risucchiano ad altrettanti cento passi indietro, rendendo inutile ogni progresso trattamentale conseguito.

Partiamo dall’inizio: Salvatore si trova a Catania, a vivere nel bronx: come in ogni luogo in cui la criminalità organizzata è la promessa di una vita migliore, Salvatore si trova ad essere proiettato in un mondo in cui vige l’istinto di sopravvivenza, e lui decide di sopravvivere.

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Comincia la scalata ai vertici della criminalità, una scalata dettata dal riscatto per la morte del fratello, ammazzato, che lui decide di personificare e, forse, vendicare, assumendone prima il nome, poi il ruolo. La differenza tra i due fratelli sta nella tomba: a lui tocca quella dei vivi, al fratello è toccata quella dei morti312. D’altronde, Salvatore avrebbe potuto avere solo la vita che ha avuto perché “se

nascevo dov’è nato suo figlio, magari ora facevo l’avvocato, ed ero pure bravo”,ma purtroppo è nato nel bronx e come chi nasce nella “Terra de fuochi”, o

a Scampìa, o nei luoghi “malfamati” in cui la mafia decide di insediarsi per poi espandersi, le possibilità non sono altre: si comincia con gli scippi, poi con la prima pistola, per entrare in un circolo vizioso da cui non esci più.

Nel 1986 Salvatore è coimputato in un maxi processo, conclusosi con la condanna all’ergastolo.

Da lì comincia la via crucis, il cammino verso l’espiazione: parla di speranza, sa cos’è, ma scopre anche di avere una dignità, e vuole riprendersela.

Costruisce un castello, ponendo un mattone alla volta: dapprima il diploma di quinta elementare, poi il diploma di giardinaggio, poi lo studio per il diploma di terza media, ma comincia anche il pellegrinaggio da un istituto penitenziario ad un altro, perché richiede un supplemento di sorveglianza, fa confusione. Viene sottoposto ad osservazione per tre mesi, ma “che osservazione è questa se nessuno

mi osserva?”

Poi entra in vigore l’art. 4 bis, la necessità di una collaborazione per dimostrare l’emenda, e i progressi di Salvatore svaniscono nel nulla, il castello che aveva costruito si è rivelato di sabbia: viene trasferito in un carcere di massima sicurezza, ha diritto ad un’ora d’aria a colloquio con i muri, è costretto a rinunciare ai corsi di formazione, non ha più a professoressa che lo segue nei corsi di grammatica, non è più abituato a stare solo.

Salvatore espia i primi venti anni di pena, matura novanta giorni di liberazione anticipata, e dunque può chiedere il permesso premio, ma c’è sempre un ma: il suo era divenuto un delitto ostativo e, sulla base dell’orientamento della Corte di Cassazione, prima doveva essere espiata integralmente la pena per il delitto ostativo e poi il decorso del termine prescritto per gli ergastolani richiedenti il permesso premio, per cui la domanda venne rigettata dal tribunale di sorveglianza.

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Salvatore propone reclamo313, e riesce ad ottenere il suo permesso.

Nelle pagine dedicate al “Primo sorso di libertà” bevuto grazie al primo permesso premio, Salvatore ci fa assaporare la freschezza della sua prima libertà: l’immagine di un uomo che si ritrova, dopo anni murato vivo, a ritornare tra gli uomini, nella vita caotica, il disagio e la frenesia, lo stupore di pagare con l’euro, perché Salvatore ancora l’euro non l’aveva visto.

Salvatore ha bevuto il suo primo sorso di libertà dopo ventuno anni: si può avere un graduale reinserimento nella società se il primo permesso premio viene concesso dopo un’attesa così lunga?

Salvatore continua a costruire il suo castello, granello dopo granello: comincia a cercare lavoro per poter accedere alla semilibertà, ma ecco un altro impedimento: un detenuto viene accoltellato e, come in questi casi, si verifica il trasferimento in massa del reparto, Salvatore compreso.

La prospettiva della semilibertà così si allontana, come anche la prospettiva di un permesso premio, anche perché lui è servito per primo314: questo fa presumere

degli elementi che lo indicherebbero come soggetto che voglia assumere posizione preminente rispetto agli altri, e questo basta a renderlo colpevole. Passano i mesi, Salvatore trova un lavoro per accedere al regime della semilibertà, ha già trascorso ventitre anni in carcere, inoltra la domanda di permesso, ma cambia il direttore: è necessario un ulteriore periodo di osservazione, e la procedura rimane bloccata.

Inesorabilmente, il tempo passa: Salvatore viene ammesso all’art. 21 o.p., fruisce del permesso premio, ma ha saputo che dei suoi parenti sono entrati a far parte di

alcuni gruppi, e Salvatore decide di mettersi in mezzo per non fare succedere nulla: una semplice mediazione potrebbero dire i più, ma per la magistratura di

sorveglianza è elemento idoneo per distruggere nuovamente il suo castello, ma lui

ormai non ci soffre più, sono più di 29 anni, se uscirà bene, se resterà lì accetterà il suo destino, la cosa che più conta è la salute.

313 L’istanza di reclamo faceva leva sull’orientamento della Cassazione riguardante la scindibilità

del cumulo. Nell’istanza proposta, Salvatore, per mezzo del suo avvocato, fa notare l’iniquità derivante dalla situazione verificatasi, ossia il giudizio con due diversi processi, rispetto a quello che sarebbe successo se fosse stato giudicato con un unico processo. Da ciò derivava: la necessità di espiare ventisei anni, in luogo di dieci, per chiedere il primo permesso. Fassone E., op. cit., p. 106.

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Il riferimento è ad un episodio: il portavitto detenuto distribuisce il cibo per primo a Salvatore, nonostante questo non fosse nella cella da servire per prima. Fassone E., op. cit., p. 129.

Il tribunale di sorveglianza respinge l’istanza di semilibertà, perché i reati commessi un quarto di secolo di prima sono gravi, viene revocato l’art. 21 a causa di un’indagine su larga scala nell’ambiente catanese, che coinvolge anche Salvatore.

Poi un’altra istanza di concessione del lavoro all’esterno, rigettata perché il direttore aveva dato la semilibertà a uno, che appena uscito ha violentato una

ragazza, e bisognava placare l’attenzione mediatica.

È tutto un susseguirsi di provvedimenti di massa, Salvatore che si trova coinvolto ma che non ha fatto nulla, la partecipazione al teatro, a spiagge pulite, ma tutto questo non è mai sufficiente: padroneggia la sensazione che “per conseguire qualche cosa occorre ottenere sempre prima qualche altra cosa, un gioco dell’oca dove non basta osservare le regole, perché un getto di dado ti può sempre rimandare alla casella di partenza315.”

Ma una goccia fa traboccare il vaso, rompe l’equilibrio precario: una perquisizione improvvisa consente di far rinvenire un telefono cellulare nella cella in cui è detenuto Salvatore, per cui viene trasferito al 14 bis in blocco con gli altri detenuti: gli viene preclusa ogni cosa. Sarebbe facile analizzare la scheda e vedere se le chiamate ricevute o inoltrate rientrano tra i contatti del protagonista, ma nulla di tutto questo venne fatto.

La burocrazia si mette nuovamente in mezzo: il provvedimento ha durata, rinnovabile, di sei mesi, il difensore propone reclamo, ma l’udienza viene fissata quasi allo scadere dei sei mesi: Salvatore dà in escandescenze, viene trasferito al reparto psichiatrico, dove non si può dormire né di notte né di giorno perché

urlano.

Un tentativo di impiccagione, il salvataggio: Salvatore decide di evadere, con la morte, perché solo da morto sarebbe uscito da quella cella. Ha deciso di comprarsi la libertà a modo suo.

Libertà và cercando, sì cara come sa chi per lei vita rifiuta.

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