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L’efficienza logistico-organizzativa

L’efficienza logistico-organizzativa rappresenta la dimensione fondamentale, che è alla base della nascita e del consolidamento del modello basato su grande scala, filiera lunga e delocalizzazione. I sistemi produzione-distribuzione-consumo performano un insieme vario di servizi e di funzioni, il cui numero è fortemente cre- sciuto con l’aumento del grado di specializzazione delle aziende agricole nelle fasi più strettamente legate alla coltivazione e/o allevamento, con l’aumento delle esi- genze di servizio dei consumatori legate sia alla maggiore distanza fisica tra aree di produzione e bacini di consumo sia alla destagionalizzazione dei consumi e alla richiesta di una maggiore conservazione ed elaborazione incorporate al prodotto.

Il modello di grande scala, filiera lunga e delocalizzazione è risultato vin- cente rispetto ai modelli preesistenti di organizzazione distributiva e questo ne spiega la sua attuale grande diffusione.

Allo stesso tempo, l’accorciamento della filiera di per sé non annulla la ne- cessità dello svolgimento di determinati servizi e funzioni, ma piuttosto li redistri- buisce tra i diversi soggetti, in alcuni casi eliminando alcune tipologie di operatori (ad esempio intermediari commerciali o autotrasportatori) a “vantaggio” di altri che se ne devono fare carico o che invece consapevolmente rinunciano al servizio offerto da una particolare funzione (ad esempio, la destagionalizzazione garantita dalla frigoconservazione e/o da acquisti in emisferi diversi).

Si tratta, dunque, di comprendere quali sono le modalità più efficienti nel garantire questi servizi e se queste hanno effetti indotti sull’organizzazione degli scambi e della produzione.

Una prima modalità si basa sulla ricerca di economie di scala, legate alla realizzazione di grandi volumi nella stessa unità tecnica di produzione che si spe- cializza nello svolgimento di una sola funzione; ciò consente un vantaggio econo- mico più forte laddove la componente dei costi fissi è molto rilevante rispetto ai costi totali.

Una modalità alternativa mira invece al raggiungimento di economie di sco- po (o di varietà), raggiungibili non attraverso la specializzazione in una sola fun- zione ma utilizzando un determinato fattore produttivo in una pluralità di attività diverse (ad esempio, per un agricoltore, l’utilizzo del proprio lavoro non solo per la produzione in senso stretto ma anche per attività di preparazione alla vendita del prodotto o di vendita), in modo da raggiungerne un’utilizzazione completa.

In assoluto non è possibile affermare che una delle due modalità – econo- mie di scala oppure di scopo – sia superiore all’altra; ciò dipende invece dal tipo di impresa e dalle sue concrete caratteristiche, nonché dalla facilità con cui le tran- sazioni tra le imprese possono funzionare (costi di transazione più bassi facilitano infatti la specializzazione delle imprese in una o poche fasi, potendo esse ricorrere più facilmente al mercato per scambiare semilavorati e servizi).

Queste due differenti modalità di ricerca dell’efficienza si applicano sia alla competizione inter-tipo – ovvero tra formule distributive diverse e dunque alla competizione tra canale lungo e canale corto –, che alla competizione intra-tipo – ovvero tra modalità diverse all’interno di una medesima formula distributiva, come le diverse tipologie di filiera corta.

La transizione dai sistemi produzione-distribuzione-consumo convenziona- li ai modelli ispirati alla filiera corta richiede, dunque, una riallocazione di fun- zioni dei soggetti che vengono espulsi dalla filiera (ad es. intermediari o grande distribuzione), le quali devono almeno essere in parte assunte dai soggetti che si trovano agli estremi della filiera stessa, agricoltori e consumatori. A questi nuovi

ruoli corrisponderanno anche nuovi costi che possono essere talmente elevati da pregiudicare la sostenibilità economica delle nuove forme di organizzazione.

I produttori agricoli vanno incontro al sostenimento di costi di riconversione resi necessari dal passaggio verso un nuovo modello di organizzazione, che può richiedere investimenti materiali e immateriali, i quali si aggiungono ai costi di produzione del servizio distributivo. Per i produttori agricoli si tratta molto spesso di (Brunori et al., 2010):

- aumentare il numero dei processi attivati, il che implica il sostenimento di costi di apprendimento, di realizzazione di nuove strutture, di riorganizza- zione delle attività aziendali. Sono possibili perdite di efficienza dovute alla de-specializzazione e alle minori economie di scala conseguibili;

- reincorporare fasi e attività prima abbandonate: trasporto, conservazione, presenza fisica sui mercati per la vendita;

- attivare funzioni di trasformazione del prodotto, per renderlo più conserva- bile o effettivamente vendibile sul mercato finale;

- diversificare verso attività non strettamente agricole ma utili come supporto della vendita (ad es. attività didattiche, agriturismo).

L’entità e la tipologia dei costi effettivamente sostenuti dall’agricoltore va- riano a seconda delle caratteristiche dell’iniziativa e dell’intensità del rapporto con i consumatori.

Anche i consumatori sostengono nuovi costi, connessi alla modifica di com- portamenti e di routines di acquisto consolidate, e all’assolvimento di funzioni e oneri che su altri canali sono delegati a terzi (ad es. attività di pulitura o prepara- zione degli ortaggi) (Briamonte e Giuca, 2010; Brunori et al., 2012).

Non sempre l’internalizzazione da parte di agricoltori e consumatori delle funzioni distributive svolte nel modello della «filiera lunga» è quindi più economica di altre forme distributive, a causa della perdita di economie di scala non adegua- tamente compensate da economie di scopo.

Per ovviare in parte a questi problemi possono però essere elaborate rispo- ste a livello organizzativo che passano dall’abbandono di un approccio individua- listico e richiedono lo sviluppo di iniziative di tipo intersoggettivo che si basano sullo svolgimento in comune di alcune fasi e attività distributive e logistiche. Molte espressioni della filiera corta hanno una dimensione collettiva, dal lato della pro- duzione e/o da quello del consumo. La ricerca di una dimensione collettiva trova la sua motivazione non solo nella ricerca di socialità ma anche nella ricerca di ef- ficienza logistico-organizzativa, conseguibile attraverso una più razionale organiz- zazione di talune attività caratterizzate dalla presenza di vincoli di scala minima.

In base alla distinzione tra logica individuale e logica collettiva è possibile operare una mappatura delle forme di filiera corta che evidenzia una direttrice da forme bilaterali private (rappresentate dalla vendita diretta aziendale) a forme bilaterali collettive (rappresentate ad esempio dai Gruppi organizzati di domanda e offerta - GODO) (Figura 2).

Figura 2 – Mappatura delle forme di filiera corta rispetto alla logica individuale o collettiva che le caratterizza

Il livello della competizione inter-tipo all’interno del mondo della filiera cor- ta è in forte crescita, rafforzato dal fatto che sono sempre più numerosi i soggetti del mondo dell’industria e della distribuzione tradizionale che, visto il richiamo che le idee alla base della filiera corta esercitano sui consumatori, cercano di fare propri alcuni meccanismi operativi ed alcuni valori propri della logica dell’accor- ciamento della filiera, introducendo quindi a loro volta innovazioni di tipo logistico- organizzativo.

Si assiste così a un’enfatizzazione del “locale” all’interno della grande di- stribuzione organizzata, la quale (quando è mossa da intenti di autenticità) offre spazi e visibilità alle aziende del territorio dove è ubicato il punto vendita e ai pro- dotti che da questo provengono. In alcuni casi la Grande distribuzione ha stipulato accordi con i «mercati contadini» offrendo loro spazi presso le proprie strutture

Farmers’ shop Farmers’ market Box schemes GAS CSA GODO Produttori CoLL ind Produttori ind Co LL Vendita diretta

di vendita dove tenere periodicamente le proprie manifestazioni, con l’intento di rivitalizzare la propria immagine; mentre alcune catene distributive stanno valu- tando la possibilità di fornire alcuni servizi logistici ai Gruppi di acquisto solidale del proprio territorio. Allo stesso tempo, anche un numero crescente di operatori del dettaglio tradizionale e della ristorazione privata e pubblica (Brunori e Galli, 2012) stanno riterritorializzando i propri sistemi di approvvigionamento in modo da poter proporre un servizio migliore (e un’immagine rinnovata) al consumatore. Questo incremento nella competizione di un’offerta di una relazione più di- retta tra produttore e consumatore assume caratteri e sottolineature molto diversi da caso a caso, così come molto differenziato (e talvolta quasi del tutto assente) è il coinvolgimento effettivo dei produttori agricoli. Si aprono, dunque, opportunità molto significative per la promozione dei valori della filiera corta, ma allo stesso tempo si delineano anche rischi legati alla presenza di vere e proprie forme di concorrenza sleale (dove cioè la filiera corta “falsa” scaccia dal mercato quella più “autentica”) e più in generale alla diluizione dei valori ideali che hanno animato la prima fase di sviluppo di questa innovazione.