Con la caratteristica brevità e con uno stile descrittivo a tratti informale Guillén affronta anche il rapporto che intercorre tra lo splendido oggetto creato ex
novo e le cose del mondo empirico. In Góngora il mondo materiale è presente con
la sua dura legge di gravità. Il peso, la corporeità delle cose sono trasferiti con grande ingegno su tutto ciò che nei versi viene di fatto soltanto nominato. Quasi tangibili diventano poi anche le entità immateriali e i fenomeni come la luce. Persino l’evanescente morte, sottolinea Guillén come già nelle Notas, lascia il posto a tutto il suo corredo più materiale. Ecco quindi ceneri, urne dorate, sepolcri e marmorea monumentalità. La concretezza di tutti gli elementi che contribuisce a rendere solidi gli edificios gongorini è coadiuvata poi dalla costante sensazione di staticità; al movimento degli oggetti si preferisce spesso il loro stato di quiete. Guillén, la cui poesia è ispirata proprio dalla contemplazione di oggetti statici, fornisce l’esempio del verbo pisar nelle Soledades e nel Polifemo. Una breve rassegna di occorrenze del verbo ci mostra la genialità di Góngora nel farne l’azione di soggetti come luz, crepúsculo e altri termini astratti come pensamiento o tranquilidad. In questo singolare utilizzo del verbo ed altri simili espedienti don Jorge scorge una poetica energía objetivadora. È qui, si noti, uno dei punti più importanti della critica guilleniana in quanto simbolo della straordinaria sintonia
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tra i due poeti. L’energia in questione, scaturita da astuti giochi semantici, serve a conferire solidità e compattezza a tutti gli elementi assumendo quindi una funzione cuantificadora. L’artista andaluso avrebbe dunque prestato attenzione alla quantità, cioè al volume delle cose e dei protagonisti, così tanto da fare della sua intera opera un’opera di cantidad. Polifemo (LI, vv.405-407) dice di sé:
Polifemo te llama, no te escondas, que tanto esposo admira la ribera cual otro no vio Febo más robusto
Con la breve citazione Guillén coglie l’occasione per giustificare le sue affermazioni. Il gigantesco ciclope nel tentativo di sedurre Galatea espone le sue qualità. Nei versi appena citati Guillén56 nota che, subito dopo aver vantato la sua
discendenza da Giove, il personaggio si riferisce a sé stesso con l’avverbio di quantità tanto e si definisce robusto. Aggiungiamo che l’ingombro del mostro viene sottolineato anche dalla descrizione della sua vastissima ombra dove trova riparo persino un gregge intero. La proiezione di quell’ombra sulla terra infatti non serve che a rimarcare la corporeità del mostro proprio come avviene con l’eccezionale ombra di Dante rispetto al diafano Virgilio. Don Luis con tale maestria è riuscito a far percepire la consistenza degli oggetti all’interno della poesia conferendole la plasticità delle cose reali.
Guillén continua spiegando come il quid della poesia gongorina risieda poi nella rete di relazioni creata ad hoc tra gli oggetti. Nella realtà che vediamo i nostri sensi (inteligencia con los sentidos) ci permettono di scorgere ed elaborare relazioni puramente razionali tra le cose. Góngora nei suoi poemi ha creato dei complessi accostamenti proponendone la decifrazione ai lettori più volenterosi. Nell’ottava XXIV (vv. 189-192) del Polifemo Galatea distesa vicino ad un corso d’acqua viene presentata come un cristal mudo accanto ad uno sonoro. La mitologica Nereide ed il fiume sono interamente sostituiti dai due cristalli:
llegó Acis; y de ambas luces bellas dulce occidente viendo al sueño blando,
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su boca dio, y sus ojos, cuanto pudo, al sonoro cristal, al cristal mudo57.
La metafora è costituita soltanto dalla statica immagine della superficie dei due corpi. Per don Jorge il semplice accostamento della pelle della ninfa e dell’acqua nella forma di due cristalli regala ai lettori in grado di vederla l’autentica affinità tra i due elementi: è pura immagine.
Si noti come ancora una volta, seguendo un ragionamento guilleniano sull’opera del maestro del siglo de oro, si giunga ad un concetto affine alla sua novecentesca poetica.
A prevalere nella materia gongorina è in assoluto la staticità. Tuttavia Guillén non rinuncia ad analizzare anche le immagini più dinamiche come quelle in cui la scena è interamente occupata da personaggi, da agenti in piena azione. Tra gli ultimi versi (964-977) della Soledad primera, all’ombra di un anfiteatro naturale, ha luogo una scena di lotta tra contadini. La movimentata situazione viene così rappresentata da don Luis:
[…] feroz, ardiente muestra hicieron dos robustos luchadores de sus músculos, menos defendidos del blanco lino que del vello obscuro.
Abrazáronse, pues, los dos, y luego, humo anhelando el que no suda fuego,
de recíprocos nudos impedidos, cual duros olmos de implicantes vides,
yedra el uno es tenaz del otro, muro: mañosos, al fin, hijos de la tierra,
cuando fuertes no Alcides, procuran derribarse y, derribados, cual pinos se levantan arraigados en los profundos senos de la sierra58
La presentazione dei personaggi inizia con un’iperbole degna degli eroi dell’antica Grecia. Il torso nudo degli atletici lottatori è interamente ricoperto di peli; questo simbolo di virilità è più forte del lino che indossano. Una volta introdotta l’immagine Góngora affronta la difficile narrazione di una sequenza di
57 Ibidem, p. 61.
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agitati movimenti. Vediamo i due protagonisti stringersi in una morsa cercando rispettivamente di atterrare il nemico. Così fusi essi si fanno agli occhi del lettore dapprima viti legate ad olmi e dunque edera avvinghiata ad un muro. Gli aitanti lottatori infine si ritrovano al suolo e quindi di nuovo in piedi radicandosi nelle viscere della terra come robusti pini. Nella scena appena descritta troviamo un esempio utilissimo per una corretta interpretazione dell’objeto poético teorizzato da Guillén. Góngora concepisce la scena di lotta come una sequenza di immagini. Ogni frammento mostra i due personaggi intenti a combattere ma con l’immobilità di una statua. Essi sono infatti impedidos cioè legati l’uno all’altro neutralizzando di fatto ogni sorta di movimento. Li ritroviamo nell’immagine successiva già al suolo quando l’azione del cadere, taciuta, ha già prodotto il suo risultato. Alla scena descritta attraverso immagini di immobilità aggiungiamo la presenza di una terminologia che conferisce ai versi la solidità e la concretezza di un oggetto: robustos, músculos, muro, tenaz, pinos, sierra, olmos, vides. Nella monumentale poesia di Góngora, in cui si contempla tutto il mondo materiale, rientra così anche lo scompiglio del movimento umano:
No se puede eludir la expresión de movimiento, y Góngora no la elude.[…] Lo que prevalece en la visión […] es la inmovilidad: suspensión y concentración latente del movimiento que ha de suceder59.
Il poema è concepito come una giustapposizione di quadri di immobile plasticità nelle quali il movimento è ridotto ad una sequenza di immagini proprio come nella novecentesca Soledad tercera composta dall’Alberti. È interessante notare come questo concetto sia molto vicino all’idea di base del cinematografo che tanto ha affascinato i giovani della generación del’27.
Le osservazioni di Lenguaje y poesía porta don Jorge a ribadire uno dei punti più importanti delle sue Notas para una edición comentada de Góngora. Nella sua tesi di dottorato il poeta asseriva, senza pretesa di originalità, che in Góngora non vi era nessuna introspezione. L’io storico, e le sue passioni erano quasi totalmente aboliti salvo rare eccezioni nelle liriche di argomento burlesco.
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Ciò che rimane del grande poeta barocco sono i suoi oggetti artistici. Della contemplazione del mondo non resta che il solido prodotto finale, non già l’osservatore. L’enigmatico fascino delle opere risiede proprio nel ricco linguaggio:
El poeta se para a contemplar… su lenguaje, magnífico, resistente, objeto entre los objetos, el más amado60.