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Le Soledades del Novecento

8. Jorge Guillén e la lettura di Góngora

8.2 Le Soledades del Novecento

La prima delle tre riscritture, quella che con il suo il titolo sembra imporsi come continuazione dell’opera gongorina, è la Soledad tercera dell’Alberti. L’opera di Alberti fa parte di Cal y canto del 1929. Tuttavia apparve per la prima volta su La gaceta literaria nel 1927. Nel testo è possibile rintracciare diversi elementi, tanto a livello metrico (la silva) quanto tematico, derivate direttamente dalle Soledades.

Il numero più ricorrente nel testo di Alberti è il tre. Tante sono le sequenze che formano la struttura della Soledad tercera. Lo stesso vale per i protagonisti della scena: un giovane di bell’aspetto, un vento antropomorfico e delle ninfe. Al di là del numero, indice di una precisa rigorosa organizzazione, è evidente la coincidenza del protagonista nelle Soledades e nell’opera novecentesca. Anche l’ambientazione, la selva, segue il progetto originale gongorino ed il tempo dell’azione sembra aderire e continuare quanto già narrato nelle Soledades. Tra le due opere vi è una comune funzione strutturale così come comuni sono alcuni aspetti tematici. Ciononostante nella Soledad tercera Alberti rivela una certa autonomia. La componente mitologica nel poeta del novecento, seppur presente, è meno accentuata che in Góngora e vi è una personificazione degli elementi della natura del tutto nuova. Rafael Alberti dunque ha realizzato una Soledad in parte moderna e personalizzata dove tuttavia resta fondamentale il modello gongorino.

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Altrettanto importante è la realizzazione di una nuova “soledad” da parte dell’altro importante membro della generación del’27: Federico García Lorca. Si tratta della Soledad insegura. La prima sostanziale differenza di questa con le opere di Góngora e di Alberti è nel metro adottato: Lorca utilizza l’endecasillabo sciolto. Vi sono comunque diversi elementi di chiara ascendenza gongorina, primo fra tutti l’utilizzo del mito della nascita di Venere.

Anche le scelte lessicali sono mirate a creare immagini e concetti alla maniera di don Luis; nella Soledad insegura si legge ad esempio di palabras de

cristal o di figure costruite come ossimori: los peces mudos hablan. È dunque

evidente, come nel passo che segue, l’intenzione di Lorca di riproporre quello stile gongorino da lui studiato in La imagen poética de Luis de Góngora.

Noche de flor cerrada y vena oculta Almendra sin cuajar de verde tacto Noche cortada demasiado pronto,

agitaba las hojas y las almas. Pez mudo por el agua de ancho ruido,

lascivo se bañaba en el temblante, luminoso marfil, recién cortado al cuerno adolescente de la luna96.

La libertà sul piano formale rispetto alla Soledad di Rafael Alberti si accompagna comunque ad una costante insicurezza (cui allude il titolo) verso la riuscita dell’opera. Ciò trova conferma nella corrispondenza di Lorca con Jorge Guillén; lì il poeta esprime con fermezza il suo disappunto verso la propria

soledad:

Ahora estoy haciendo una Soledad que ya empecé hace mucho tiempo. Es lo que envío al homenaje de Góngora…si me sale bien. Mira algunos versos. Dime qué te parecen. […] Este es un fragmento. Todavía tengo que trabajarlo mucho. O quizá lo tire al cesto de los papeles. ¡Es tan dificil acertar! Si te parece puedo mandar otra cosa más mía. ¡No creas! Lo digo en el sentido que sea más flexible97.

96 GUILLÉN, Jorge, (1960), Federico in persona: carteggio, All'insegna del pesce d'oro, Milano, pp. 173-174.

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Nella lettera, datata 14 febbraio 1927, si avverte la tendenza di Lorca ad abbandonare l’iniziale progetto, relativamente manierista, per sostuirlo con una poesia più personale. È importante notare a proposito della difficile gestazione della soledad lorchiana il ruolo di don Jorge. Egli è infatti chiamato a valutare il componimento dell’amico:

Dime qué te parecen estos versos. Y dímelo pronto. Trabajo mucho y creo que quizá no consiga terminar esta Soledad. Por otra parte me parece una irreverencia el que yo me ponga a hacer este homenaje. No sé.98

Nel mettere per iscritto il proprio parere sulla Soledad insegura di Lorca, Guillén sembra riflettere indirettamente, come vedremo, sulle sue Soledades

interrumpidas.

En cuanto a tu «Soledad» - también Alberti está haciendo la suya- conocía ya algunos fragmentos. […] El otro fragmento «Soledad insegura» no ha llegado […] a su momento cristalizado. Pero lo que más me gusta es el punto de gongorismo en que lo detienes: punto en sazón –con ecos y analogías- pero sin imitación formal demasiado estrecha, sin incurrir en un «à la manière de». Haz esta Soledad, tiene que resultar preciosa […]99.

Se da un lato don Jorge preferisce non demolire i frammenti di versi già poco apprezzati e vacillanti dell’amico (l’opera di Lorca non venne comunque completata) dall’altro con il suo componimento tradisce un’idea delle nuove

soledades totalmente divergente.

Atipiche, rinnovate sotto ogni aspetto sono infatti le Soledades interrumpidas di Jorge Guillén:

Hay robles, hay nogales, Olmos también, castaños.

Entre las muchas frondas El tiempo aísla prados. Troncos ya no. Son tablas.

Renacen las maderas. […] Casas, al fin, despuntan

Por entre unos verdores Sujetos a un dibujo

98 Ibidem. p. 176.

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Sumiso. Quiere el hombre. Las calles-rectilíneas Y tan silvestres- quedan

Acogiendo aquel ansia De historia con su selva. […] De un tren que allí, tan próximo,

Precipita al futuro. Fluyan, fluyan las horas:

Gran carretera. Van Manando ya las fuentes

De la velocidad. Los follajes divisan

A los atareados, En su esfuerzo perdidos,

Oscuros bajo el árbol. Un rumor. Son las hojas Gratas, profusas, cómplices.

Los tejados contemplan Tiernamente su bosque100

La poesia di Guillén è interamente costituita da settenari. Ai versi brevi si accompagna una sintassi poco articolata e qualche assonanza. Nel testo si susseguono le immagini: dapprima una presentazione di alcuni elementi del paesaggio (alberi, prati) senza descrizioni poi a partire dalla seconda quartina questo è “interrotto” come dice il titolo da un borgo, dai segni della civiltà. Un’innovazione rispetto alle Soledades auree sembra però l’assenza di azioni umane poiché di queste non vediamo che il risultato: Troncos ya no. Son tablas./

Renacen las maderas

.

L’amenità del luogo presentato è poi spezzata (interrumpida) per un breve lasso di tempo dal fumoso passaggio di una rapida locomotiva. Nelle Soledades interrumpidas dunque non si ravvisano gli elementi caratteristici dell’opera di Góngora, non vi è ad esempio un ricorso alla mitologia né latinismo alcuno.

L’interpretazione guilleniana si contraddistingue per la totale rottura con il passato. Della tradizione infatti non rimane provocatoriamente che un illuminante accenno nel titolo. Così facendo, don Jorge, si schierava contro ogni tentativo di imitare o portare a termine l’opera di don Luis.

In conclusione, dall’analisi della poesia non è dato stabilire con certezza se Guillén volesse omaggiare il maestro del siglo de oro. Tuttavia la sua Soledad gli

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avrebbe consentito, anni dopo, di inserirla perfettamente nel grande progetto architettonico di Cántico.

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9. Guillén,San Giovanni della Croce e l’ineffabile

Che ciò ch'i' dico è un semplice lume Dante Alighieri, Paradiso, XXXIII, v.90 Protagonista di una delle cinque lezioni di Lenguaje y poesía è Juan de Yepes, più noto con il nome che il mistico scelse abbracciando la vita monastica: Juan de la Cruz. Il santo e poeta del siglo de oro nacque in Castiglia nel 1542101. Le difficoltà economiche dovute alla morte prematura del padre costrinsero il giovane Juan e la sua famiglia a continui spostamenti fino a Medina del Campo. Lì, accolto in un collegio, ebbe modo di svolgere svariati mestieri e di conoscere le miserie degli ultimi lavorando come infermiere. Alle attività manuali affiancò tuttavia un costante studio dei classici della letteratura latina e della teologia nel prestigioso ateneo di Salamanca. Un anno cruciale nella vita del poeta è il 1567 durante il quale oltre a prendere i voti conobbe una delle figure più importanti del misticismo spagnolo: Santa Teresa d’Avila. Grazie a spiccate capacità di apprendimento e ad una predisposizione per una vita rigorosa Juan de la Cruz si distinse negli ambienti clericali.

La difficile riforma dei carmelitani era stata affidata a Teresa cui ben presto si affiancò l’austero Juan. Il poeta, affascinato da un ideale di vita ascetica e dalla ricerca di un rapporto diretto con Dio, si inimicò i carmelitani più conservatori. Il nascente ordine dei carmelitani scalzi venne duramente attaccato. Per le sue idee di riforma Teresa d’Avila fu condannata alla clausura per diversi anni. Stessa sorte toccò a Juan de la Cruz che rimase vittima di una dura prigionia a Toledo per mesi. La tradizione vuole che il santo sia riuscito a salvarsi grazie ad una rocambolesca fuga con il supporto di Santa Teresa. Dopo l’estenuante esperienza vissuta a Toledo godette della protezione di alcuni superiori spostandosi frequentemente per l’Andalusia. Durante gli incarichi ricevuti in quegli anni diede sfogo alla sua vena poetica realizzando alcune delle opere più importanti della letteratura spagnola. Papa Gregorio XIII cominciò a sostenere la riforma degli Scalzi ma la salute ormai compromessa di Juan de la Cruz lo

101 Cfr. L’introduzione di Norbert von Prellwitz in Juan de la Cruz, (1998), Cantico Spirituale, Giovanni della Croce, Rizzoli, Milano, pp. 7-16.

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costrinse ad abbandonare i compiti assegnatigli. Trascorse gli ultimi mesi di vita in preghiera, commentando e revisionando il ridotto ma intenso corpus delle sue poesie fino alla morte nel 1591. È di particolare interesse per la nostra analisi dell’approccio guilleniano all’opera del mistico proprio l’insolita premura del religioso nel chiosare dettagliatamente parte dei propri versi.

Durante la prigionia e negli anni a seguire San Juan de la Cruz compose la maggior parte dei suoi scritti. Le opere in questione ammontano a poche migliaia di versi divisi tra una dozzina di canciones, dieci romances e quattro opere in prosa. Queste non ci sono pervenute che in trascrizioni spesso contaminate. Per quanto concerne la tematica tutti i versi trattano esclusivamente la materia mistica nell’ottica della ricerca, sempre perfettibile, di avvicinare l’anima a Dio. La virtù dimostrata e l’interesse religioso della sua testimonianza gli valsero il titolo di Dottore della Chiesa nel 1926. Bisogna tuttavia ricordare che l’interesse per Juan de la Cruz è diviso in due tipi di studio: uno prettamente teologico-dottrinale e uno poetico. Possiamo affermare che il primo si è sviluppato contemporaneamente alla prima circolazione dei manoscritti ad opera della temuta Inquisizione. Le affermazioni del frate e le vicende di cui fu protagonista destarono infatti ben presto il sospetto di eresia.

Il delicato argomento della spiritualità mistica, esperienza trascendente per definizione, implicava un’elevata difficoltà di narrazione. San Juan volle raccontare l’imperscrutabile servendosi dell’insufficiente linguaggio degli uomini; l’unica possibilità per avvicinarsi al suo scopo era quella di sfruttare il linguaggio della poesia. Ciò basta a spiegare il titolo della breve critica guilleniana: Lenguaje

insuficiente-San Juan de la Cruz o lo inefable místico.

Nell’elogio introduttivo alla lezione su San Juan, Guillén affronta la figura del santo in tre aspetti: vida, doctrina, poesía. Le vicende biografiche e il valore dottrinale degli scritti del frate sono stati ampiamenti esaminati durante l’attento processo di beatificazione. Guillén, attenendosi ai propositi della sua raccolta, si concentra sul valore letterario riducendo le opere degne di nota ad appena sette unità. Tra queste le uniche ad essere nominate ed analizzate sono le emblematiche

Noche oscura del alma, Cántico espiritual e Llama de amor viva. La divisione

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metodo utilizzato e suggerito da Guillén per meglio apprezzarne i versi. Il critico propone una lettura in cui si cerchi di evitare qualunque condizionamento dalla santità dell’autore. Persino i titoli, i primi ad indirizzare e condizionare la lettura, vengono tralasciati. Lo sguardo tendenzialmente oggettivo di don Jorge ci permette di vedere i componimenti nella loro più evidente sostanza: essi non sono altro che poesie di argomento amoroso. Tutto inizia con l’incontro notturno di due innamorati. L’uscita furtiva, le paure ed il buio della notte mettono in scena una situazione quasi reale, possibile. Lo snodo della vicenda viene seguito alla lettera da Guillén come per evidenziare il carattere di semplicità ed intuitività degli elementi, come appunto la notte. Ben presto però Guillén avverte i lettori dicendo

« Todo es símbolo, todo es lo que es y algo más102». Ora, l’esempio della notte è particolarmente eloquente per la caratteristica genuinità con cui rimanda all’inquietudine interiore dell’uomo. L’oscurità simbolica della poesia di San Juan segna l’inizio del difficile percorso che l’anima deve compiere per il suo felice sposalizio con Dio. Nella “notte oscura dell’anima” è possibile scorgere inoltre una rappresentazione della dura prigionia vissuta dal poeta.

Nella critica di Guillén leggiamo invece dell’elemento opposto: la luce. Con il suo assodato metodo, sempre basato sui testi, don Jorge evidenzia come il lessico di San Juan sia spesso “luminoso”. Tutto il rifulgere dei sentimenti degli amanti nel buio, spiega, non è che un tentativo di rappresentare artisticamente la folgorante esperienza dell’anima del mistico. Ma se i brevi versi della Noche

oscura, presi alla lettera come suggerisce Guillén, sono soltanto il racconto

(anch’esso insuficiente) di un amore come potranno mai rappresentare quello tra due spiriti?

Guillén nel tentativo di desumere a posteriori una dichiarazione di poetica (San Juan non usa mai il termine poesía né poema) giunge ad una conclusione basata sulla necessità di un linguaggio figurato. Il ragionamento di don Jorge parte dunque dalla costatazione del vero argomento dei componimenti: l’amore. Ma il primo ad ammettere l’impossibilità di comunicare le esperienze amorose è lo stesso San Juan nel glossare la sua opera. Ciò sembra dovuto all’eccessiva razionalità del linguaggio in netto contrasto con l’istintività del sentimento.

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De esta inevitable inequivalencia se deduce la necesidad de la poesía. A la expresión del amor se le escapa su objeto. Pero una tentativa parcial sí puede alcanzársele. ¿Como? Apelando al rodeo poético, y así, con «figuras, comparaciones y semejanzas» se sugiere [corsivo mio] algo de los «secretos y misterios»103

Ci serviamo del corsivo per enfatizzare un concetto importante per il quale tuttavia Guillén non spende che poche parole. Riflettendo sulla poesia, quasi in termini generici, egli asserisce che il simbolismo consente al linguaggio di superare i suoi “limiti intellettuali”. La componente irrazionale delle associazioni, delle “figure” create libera la parola dal peso logico del suo significato. Se la poesia non è dunque un «dicho puesto a razón»104 essa sarà allora, anche solo in parte, inintelligibile. Quale caratteristica migliore per San Juan de la Cruz per avvicinarsi all’inintelligibilità della sua esperienza?

In Lenguaje y poesía viene brevemente ripercorsa la trafila dell’anima (cioè i suoi vari stadi verso l’unione con Dio) che il Santo ebbe a spiegare nella celebre Subida del Monte Carmelo. Il discorso di Guillén serve a sottolineare il valore simbolico della notte per poi giungere all’altrettanto topico sposalizio, metafora della divina unione. Limitandosi a citare la prosa di San Juan, dove il livello figurativo era già stato illustrato, don Jorge parla delle diverse “notti” o fasi purificatorie. Il faticoso processo di crescita spirituale prevede che all’inizio l’individuo sia costantemente assalito dai dubbi. Quest’idea è espressa dalla non meglio identificata amada nel secondo verso di Noche oscura del alma; ella procede infatti con ansias ovvero con il timore di non raggiungere il suo amato:

En una noche escura, con ansias en amores inflamada,

¡oh dichosa ventura!, salí sin ser notada105

Aggiungiamo che l’unico verbo della strofa, il perfetto salí, indica che ad intraprendere il cammino è l’uomo con la sua volontà e cioè disponendo del suo

103 GUILLÉN, Jorge, Lenguaje y poesía, cit., p. 109. 104 Ibidem, p. 110.

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libero arbitrio. In una fase successiva Juan de la Cruz spiega che la comunicazione tra Dio e l’anima è totalmente diversa da quella umana. Essa non avviene né per parole né per immagini. Ciò che è interessante notare è il fatto che la sfera riguardante lo spirito, inenarrabile di per sé, venga rappresentata in San Juan da un’intensa luce. L’anima è illuminata dalla luce della fede che, come un canale di comunicazione, le permette di innalzarsi a mondi superiori. Ricordiamo a questo punto che ad includere Juan de la Cruz tra i soli cinque poeti di Lenguaje y poesía è il professor Jorge Guillén, acclamato poeta di luce. Approfondiamo questo aspetto comune ai due autori riportando il testo di Mas allá dal Cántico guilleniano.

(El alma vuelve al cuerpo, se dirige a los ojos y choca.) --¡Luz! Me invade

todo mi ser. ¡Asombro! intacto aún, enorme, rodea el tiempo…ruidos

irrumpen. ¡Cómo saltan sobre los amarillos

todavía no agudos de un sol hecho ternura

de rayo alboreado para estancia difusa, mientras van presentándose

todas las consistencias que al disponerse en cosas

me limitan, me centran! ¿Hubo un caos? Muy lejos

de su origen, me brinda por entre hervor de luz frescura en chispas. ¡Día!

una seguridad se extiende, cunde, manda.

el esplendor aploma la insinuada mañana.

Y la mañana pesa, vibra sobre mis ojos,

que volverán a ver lo extraordinario: todo.

Todo está concentrado por siglos de raíz dentro de este minuto,

eterno y para mí. [...] Soy, más: estoy. Respiro.

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La realidad me inventa, Soy su leyenda. ¡Salve!106

Lo scenario con cui Guillén apre la sua poesia è quello di un luminoso risveglio al termine di una notte. Qui l’anima torna a fondersi con il corpo dopo aver vagato nel buio; il movimento dunque è opposto a quello di astrazione cui tende lo spirito in San Juan.

La luce guilleniana si posa sulle cose permettendo ad esse di esistere. Con la visione del mondo circostante, vivificato dalla luce solare, il soggetto sente la piena realizzazione del suo essere. All’immagine serena dell’albeggiare, dove le cose sembrano dischiudersi come fiori, Guillén contrappone un indefinito ed oscuro caos. Ma esso sembra già concluso, superato; il verbo haber al perfetto mette quasi in dubbio con una domanda la necessità di approfondirlo. Ciò che conta per don Jorge è infatti l’esaltazione della vita, del presente. La lotta dell’uomo con l’oscurità, probabile metafora della morte come l’emblematico

Mas allá del titolo, appartiene già al passato. L’estasi per il poeta del novecento

consiste nella possibilità tutta umana di vivere un nuovo giorno. I primi versi del componimento -sospesi dalla parentesi che li raccoglie- ci informano come un canovaccio del valore simbolico della scena. Il ritorno quasi discendente dell’anima al corpo iscrive l’opera in una sorta misticismo laico. Grazie ad esso deduciamo la preferenza del poeta per la dimensione terrena.

Per quanto riguarda la parte conclusiva del percorso dell’anima, quella rappresentata nella breve Llama de amor viva, vediamo don Jorge limitarsi a spiegare con tono didattico le concezioni pre-poetiche di Juan de la Cruz. A differenza di quanto leggiamo nella lezione su Góngora, critica coerentemente incentrata solo sugli autonomi objetos poéticos, qui don Jorge è obbligato ad analizzare anche i principi di fede del mistico. Il critico illustra brevemente: dopo innumerevoli difficoltà e la virtuosa lotta contro le tentazioni, l’anima giunge alla contemplazione (mai ad una vera conoscenza) del Creatore. Essa purificata si libera dai limiti delle immagini e dei concetti entrando in comunicazione con Dio fino a divenirne parte. Nel fatidico dulce encuentro della prima strofa di Llama

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l’anima si fonde con Cristo in un grande impeto e si abbandona a lui in maniera così profonda da raggiungere la beatitudine celeste.

Per sopperire alla mancanza di una riflessione guilleniana riportiamo alcune importanti considerazioni di Hatzfeld che, all’interno del misticismo