8. Jorge Guillén e la lettura di Góngora
11.1 Luce ed ombra: il sogno nel Cántico guilleniano
Da sempre la dimensione del sogno ha influenzato il mondo della letteratura. Il suo fascino ha sedotto anche Jorge Guillén che ne ha fatto un
leitmotiv della sua opera in versi. Alla luce delle precedenti considerazioni
analizziamo pertanto alcuni componimenti di Cántico.
137 CHIARINI, Giorgio, La crítica literaria de Jorge Guillén, cit., p 177. 138 GUILLÉN, Jorge, Lenguaje y poesía, cit., p. 159.
139 Ibidem. pp. 164-165.
140 Guillén cita Becquer dalle Obras completas (Aguilar, Madrid, 1949). In questo caso il testo tra virgolette è tratto da Tres fechas.
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In Quiero dormir141 don Jorge invoca il sonno come una musa capace di
conferire al suo spirito una condizione di benessere e purezza. Il secondo verso, si noterà, ruota attorno ai due verbi da cui è composto; il futuro seré ci informa paradossalmente di un ritorno verso un tempo passato: un lucido ricordo.
Más fuerte, más claro, más puro Seré quien fui142.
Il viaggio atteso dal poeta si prospetta come un fluttuante vagare dell’anima. Tuttavia l’io manifesta la volontà di rimanere ancorato al mondo, senza smarrimenti. La perdita, solo temporanea, di ogni turbamento del pensiero razionale (ignorancia) gli permetterà di riscoprire l’armonia tra l’anima, il corpo ed il cosmo:
[…] Abandónandome a la cómplice Barca
Llegaré por mis ondas y nieblas Al alba.
[…] Goce yo así de tanta armonía Gracias a la ignorancia De este ser tan seguro que se finge
Su nada.
[…] Con sus gravitaciones más umbrías Reténgame la tierra,
Húndase mi ser con ser: Duerma duerma.
Guillén immagina la dimensione del sogno come fatta di impalpabili
nieblas. Egli potrà muoversi tra queste soltanto con lo spirito, la cui leggerezza
sfugge alle gravitaciones del mondo. È necessario confrontare questo modo di concepire il sogno in Cántico con quanto detto a proposito delle Rimas becqueriane:
Téngase presente la rima LXXXV: el espíritu huye de su cárcel, se desnuda de la forma umana, rompe los lazos terrenales y, «huésped de las nieblas», sube a la región vacía, al mundo silencioso de la idea […] 143144.
141 GUILLÉN, Jorge, Aquí mismo, C., cit., pp. 446-447. 142 Nel verso si può scorgere un’eco quevediana. 143 GUILLÉN, Jorge, Lenguaje y poesía, cit., p. 164.
144 Guillén cita Bécquer dalla rima LXXV. L’immagine dello huésped de las nieblas viene anche ripresa dall’Alberti in Sobre los ángeles.
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Di nuovo, in Amistad de la noche, Guillén esalta il concetto di ignorancia, temporaneo abbandono del pensiero razionale, come una possibilità per entrare in contatto con l’eternità. A consentirlo sono le stelle:
[…] Ellas, por sí solas ellas Son trasunto,
Aunque brillen hoy muy poco, De la eternidad en acto
Suficiente. Yo la veo, yo la toco Sin tortura de la mente Ni agravación de actitud […]145
Con un breve excursus riflettiamo adesso sul fenomeno della luce; alla base della poetica guilleniana. Essa, nei componimenti di Cántico relativi alla sfera del sogno, sembra affermarsi anche grazie ai suoi opposti: l’ombra e l’oscurità. L’esaltazione della vita e la speranza in un bene superiore sono rappresentati anche da questo contrasto. Leggiamo i restanti versi di Amistad de la
noche:
Luz por la sombra resbala. Siempre de la luz que implores
Hay vestigios.
[…] ¡Con qué tímido esplendor Se aviene ese extraordinario
Descendimiento a la escala Fatal del contemplador […]146.
Bisogna notare che don Jorge, nell’ultimo verso, si definisce contemplador. La luce di cui si parla inoltre è quella degli astri. Questo conduce all’idea che quello del poeta non è che un sogno ad occhi aperti.
Ora, la maggior parte dei testi che troviamo in Cántico incentrati su questo affascinante stato della mente e dell’anima dell’uomo lasciano intendere che don Jorge, proprio come lui stesso ha notato in Bécquer, era affascinato da quella raya
fronteriza tra luce ed ombra, da un limbo tra il sonno e la veglia in cui tutto
145 GUILLÉN, Jorge, Aquí mismo, C., cit., pp. 448-451 146 Ivi.
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sarebbe apparso più chiaro. Il sottile confine è quantomai evidente in Sintiéndose dormir:
Sueño matinal por la frente Divaga todavía un poco. […] El alma entonces me consiente
Que a intervalos consiga cierta Comprobación del proprio sueño […] 147
Come già evidenziato l’appiglio alla realtà del mondo per il Guillén dormiente non deve mai mancare. Anche in El hondo sueño, contro la minaccia di un incubo, il poeta si appella ad essa:
[…] Gozaré de apariciones Que atajarán el vergonzante empeño De henchir tu ausencia con mi desvarío.
¡Realidad, realidad, no me abandones Para soñar mejor el hondo sueño!148
Il momento della notte che Guillén predilige è l’alba. Questo è un espediente per rappresentare il sonno e le impressioni derivanti da esso come in procinto di finire; un esempio di ciò sono i pochi versi Casi al amanecer149 ed il risveglio in essi raccontato. Nella poesia guilleniana si constata una generale tendenza a parlare del risveglio, della positività di esso come di una rinascita.
Dormido Soñador
[…] ¡Ay!
Emergí. ¡ Qué dicha sobre el nivel del mar!150
Il dormire è quindi per Guillén un’esaltazione della vita ma solo in relazione al risveglio. Il corpo addormentato, così si evince in Despertar, nega la sua estistenza fino al prodigioso ritorno dello spirito.
147 GUILLÉN, Jorge, Maremágnum, Cl. cit., p. 101. 148 Ibidem, El pajaro en la mano, C., p. 284. 149 Ibidem, Según las horas, H., p. 551. 150 Ibidem, El pajaro en la mano, C., p. 267.
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Nada. Tinieblas muelles Y de un golpe…¿Qué, quién?
Restauración por vertigo, […] Brusca restauración en aquel bulto
Que estaba así negándose, Dulcemente dormido. […] Yo. Yo ahora. Yo aquí.
Despertar, ser, estar: Otra vez el ajuste prodigioso151.
Mentre il corpo del poeta sembra avvolto invano nel buio, la sua mente è guidata in un viaggio tra i ricordi da una luce di rivelazione:
El mundo cabe en un recuerdo
Oscuridad, vacía falsamente. Inmerso todo en tácita sustancia, A la tiniebla invade nuestra mente,
Y el negror se reduce a resonancia De una memoria bajo luz sapiente152.
È molto difficile, a giudicare dai testi, descrivere i sogni raccontati da Guillén. Il loro contenuto, forse perché ineffabile, rimane nascosto. Al lettore non rimane che la descrizione dell’atto stesso di sognare. Talvolta è l’ultima intensa visione ad occhi aperti che precede la notte, talaltra è la prima sensazione, pura ed indefinita, di chi si desta al mattino.
L’opera di Bécquer, sostiene don Jorge, regala ai lettori l’ebbrezza del confine tra l’essere e il non essere proprio come quel momento che intercorre tra il sonno e la veglia. In questo sembra consistere la caratteristica essenziale del poeta sivigliano:
El poeta será, por lo tanto, el soñador, y doblemente: porque sueña despierto, y en ese duermevela vigilante reside su función propia, y porque sueña dormido, y el
151 GUILLÉN, Jorge, Aquí mismo, C., cit., p. 343. 152 Ibidem, Según las horas, H., p. 550.
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mundo así representado favorece al otro, sirviéndole de referencia continua y modelo sumo153.
Le osservazioni guilleniane sul sogno nella poesia di Bécquer portano a concludere che il suo valore è di tipo spirituale. Grazie ad esso l’anima ha la possibilità di levarsi in alto, di liberarsi solo temporaneamente del corpo e degli affanni della vita terrena. Un distacco definitivo sarebbe invece negativo poiché coinciderebbe con la morte. Nelle poesie di Cántico, la regione luminosa dei sogni, sembra avere la stessa funzione, cioè quella di mettere in contatto l’anima con un mondo superiore fatto d’amore universale.
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12 Gabriel Miró e Guillén
«Hacia la forma el hombre tiende. […] Tanto a los gestos se entrega
que la expresión es su omega»154
L’ultimo autore preso in esame in Lenguaje y poesía è Gabriel Miró; il caso è quello che Guillén definisce Lenguaje suficiente. Lo scrittore alicantino è l’unico dei cinque del saggio di cui si analizzano le novelas e l’unico ad aver vissuto come don Jorge parte del novecento.
L’opera da cui attinge Guillén per cogliere i segreti dell’autore della
generación de 1914 è principalmente il Libro de Sigüenza. All’interno del corpus
di Miró il romanzo sembra avere una particolare rilevanza per via del suo protagonista; lo spessore di questa figura è dovuto al fatto che essa costituisce una trasposizione letteraria della personalità e della psicologia del suo creatore. Per via di questa identificazione Vicente Ramos ha definito Sigüenza come il «más definido y excelente»155 dei personaggi di Miró.
[…] Sigüenza, no poseyendo otra personalidad que la del propio Miró, queda reducido a un pseudónimo, a un nombre sin contenido individualizador ni mátiz diferencial […] 156
Anche López Landeira conferma che Sigüenza è l’alter ego dello scrittore, spiegandone però il processo creativo:
[…] El novelista no inventa a su agonista, sino que lo va conociendo poco a poco, descubriendo, según sobre él escribe lo que ya era. […] en primer lugar el autor desencadena su pensamiento para vivificar al personaje, proyectandose en él; el lector, en segundo lugar, experimenta asimismo una sensación de descubrimiento semejante a la del propio novelista, en su tarea de infundir vida al héroe y su circunstancia; y en último lugar, la autodiagnosis del propio Sigúenza que antecede y trasciende esta, término de su existencia157.
154 GUILLÉN, Jorge, (1989), Final, edición introducción y notas de Antonio Piedra, Editorial Castalia, Madrid, p. 120.
155 RAMOS, Vicente, (1970), El mundo de Gabriel Miró, Editorial Gredos, Madrid, p. 137. 156 Ibidem, p. 138.
157 LÓPEZ LANDEIRA, Richard, (1972), Gabriel Miró: trilogía de Sigüenza, Castalia, Madrid, p. 63.
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Dal breve passo appena trascritto è possibile estrapolare delle considerazioni molto importanti sul sottile confine tra creazione letteraria e vita. Miró avrebbe conosciuto il suo personaggio poco a poco scoprendone e non decidendone le azioni. Se è vera pertanto l’identificazione di Sigüenza nella persona reale di Gabriel Miró allora l’opera letteraria si dà come un modo per scoprirsi, per ottenere una maggiore consapevolezza di sé. Infine, López Landeira accenava ad una autodiagnosis. Anche Alfred Becker insiste sull’attitudine del personaggio di Sigüenza all’autoanalisi: « Este estudio de sí mismo […] viene a ser la razón vital de Sigüenza»158.
Lo scrittore avrebbe quindi cercato di infondere la vita nel suo personaggio e dunque di vivificare sé stesso: ciò che lega queste considerazioni alla lettura guilleniana di Miró è un concetto che chiameremo “autoaffermazione” tramite la scrittura. Ora, ad una prima lettura il saggio di Guillén sembra meramente compendiare il carattere di Sigüenza per confermarne il ruolo di alter ego di Miró. Ci si chiede allora quale sia il vero motivo della presenza di un novelista in un’opera sul linguaggio e la poesia. Per trovare una risposta bisognerà, con un procedimento inverso, partire dalla poesia di Guillén e risalire successivamente alla critica.
Si annovera tra le pagine di En tiempo fechado (una delle cinque parti di
Final del 1981) un componimento dall’emblematico titolo Gabriel Miró. La
prima delle tre parti del testo affronta genericamente il rapporto tra le emozioni del poeta e la poesia. Una sequenza di domande incalzanti fa da espediente per sviluppare il ragionamento. Il primo verso rimanda chiaramente al saggio del 1962 ed introduce ex abrupto il dibattito degli artisti del novecento con i romantici. Le idee di questi ultimi, come si evince dal verbo pensaban (l’unico al passato nella prima sezione), sembrano definitivamente superate.
Poesía, lenguaje. ¿No se aúnan? El poeta persigue lo absoluto, lo absoluto del ser. ¿Y dónde, cómo? Las sensaciones nunca nos conducen a esenciales valores. ¿Y qué es eso?
158 BECKER, Alfred, (1958), El hombre y su circunstancia en las obras de Gabriel Miró, Revista de Occidente, Madrid, p. 24.
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Esencia es abstracción, también idea. Idea, pura lógica aparente.
Así pensaban
Exquisitos artistas melancólicos. Torpes los sueños de una decadencia159.
Il tema della creazione poetica passa nella seconda sezione attaverso l’opera di Miró. L’autore di romanzi alicantino è a tutti gli effetti, per Guillén, un poeta in prosa. Egli, con il suo lirismo, dà prova di un uso efficacissimo della parola per alludere con lucidità ad una realtà interiore:
Gabriel Miró, sensible criatura, de previas negaciones ignorante, siente que se le tienden sus palabras,
activas cazadoras,
hacia esas realidades, que ya intuye, no ilusión de la mente.
La sua forza espressiva sta proprio in quel linguaggio suficiente che, non a caso, è il più vicino nel tempo a Guillén e l’ultimo da lui analizzato. Nel componimento detto linguaggio è bastevole a rappresentare, a rendere concreto il mondo e la profondità delle sensazioni al di là degli eventi narrati. I termini come nella poesia guilleniana sono attentamente observados (sebbene, si dimostrerà, sono più complessi in Miró) ed inseriti in una sintassi flexible. Si delinea così un primo punto in comune tra i due autori:
[…] Su lenguaje es poder y el mundo existe. Términos observados, matizados
Exigen una frase muy flexible. Más allá de costumbres coloquiales Sin rigor de poema, porque es prosa […]
Le parole di Miró sono come per i primi uomini l’unico vero mezzo per il pieno possesso e la coscienza delle cose:
Con móvil de lirismo Es él quién tanto inventa. Las palabras renacen con frescura
de Génesis,
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Proprio l’osservazione attenta delle cose, lo spirito di Miró che Guillén definisce acechante, permette il raggiungimento della pienezza dell’essere. Questo è l’argomento affrontato nella terza ed ultima parte della poesia Gabriel
Miró in Final.
¿Hay juego? Mucho más. Todo parte de espíritu, acechante,
de un alma conmovida, que desde su interior descubre mundo.
Sensación agudísima se incrusta, lo sólido remueve
sin jamás diluirse hacia algún caos. Las cosas en su atmósfera, paisajes, poblaciones, ciudades, sociedad. Ironía, sarcasmo bien resaltan […].
Se i principi appena esposti possono essere utilizzati per sostenere un certo parallelismo tra gli autori lo stesso non vale per il modo di esprimere i concetti. La contrarietà di Guillén per il linguaggio complesso di Gabriel Miró è palesata in una delle 32 brevi composizioni di La expresión, sempre in Final. Sei ottonari, legati da rime secondo lo schema ABBACC rendono inequivocabile il sentimento di don Jorge:
La expresión
- ¿Escribe usted “empero”? - No lo necesito.
Hablando con Gabriel Miró. Yo no quiero ser tan rico
según cualquier diccionario. Con este mundo tan vario
Jamás compite mi pico. ¿Qué palabras? Las vividas. Son el oro. No soy Midas160.
Il breve componimento serve a Guillén per esprimere il proprio modo di concepire il linguaggio poetico agli antipodi di quello di Miró; un linguaggio non troppo articolato e soprattutto privo di vocaboli desueti.
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Indipendentemente dagli stili elaborati dai due autori che non presentano tratti comuni particolarmente rilevanti si registra in entrambi una grande fede nella parola. Se è vero come afferma Guillén che «Los nombres son principio de las cosas»161 allora il suo linguaggio, come per Miró, è suficiente:
[…] Entre el lector y autor no hay más que idioma, palabras y palabras y palabras
que siempre se trascienden a sí mismas: Transportan nuestra mente, nuestro mundo, Lo que somos, tenemos y queremos […]162.
Ancora, in Noticias de la lengua española:
“[…] quedan los nombres. Están sobre la pátina
de las cosas. Triunfa, por fin la plenitud del ser
en la fiel plenitud de las palabras163.
Per cercare un ulteriore riscontro torniamo dunque alla quinta lezione di
Lenguaje y poesía. Sin dall’inizio di questa viene quasi ribadito al lettore il vero
argomento della critica; ovvero lo studio di diversi modi di concepire ed elaborare il linguaggio letterario.
Una obra literaria se define tanto por la actitud del escritor ante el mundo como por su manera de sentir y entender el lenguaje164.
Solo in un secondo momento Guillén introduce Miró elogiandolo insieme a Unamuno, Valle-Inclán, Azorín per il suo linguaggio. Questo ha il privilegio di porsi come completamento, cioè come parte integrante di un’emozione o un’esperienza vissuta. La suficiencia della parola di Miró non è quindi la sua mera bastevolezza di rappresentare gli eventi, ma il suo esserne parte:
161 GUILLÉN, Jorge, De la expresión (III), Final, cit., p. 256. 162 Ibidem, p. 121.
163 Ibidem, p. 131.
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[…] el acto contemplativo se realiza del todo gracias al acto verbal. Entonces se cumple el ciclo de la experiencia. Hasta que no se pronuncia esa experiencia no acaba de vivirse. La poesía no es un ornamento que se superpone a la existencia sino su culminación165.
La piena realizzazione dell’uomo coincide con il suo esprimersi. Il suo completamento, questa concezione cioè del linguaggio dal carattere definitorio è identica a quella espressa nei versi guilleniani con cui si apre il presente capitolo. Dell’uomo si diceva infatti: la expresión es su omega. Sempre lì, nella stessa breve poesia, Guillén sostiene che l’uomo (in particolare il poeta) “tiende hacia la forma” cioè ricerca costantemente il modo migliore per raccontare le sue emozioni, la forma giusta per la sua creazione.
La poesia che, come già dimostrato, Guillén considerava una vera e propria creazione è una conquista spirituale: «Vida con espíritu más forma dentro de una realidad indivisible: ¿no será eso la poesía?»166.
A proposito della “forma” e del ricco lessico di Miró, Guillén utilizza tanto in poesia quanto nel suo saggio il topos della “fonte di parole”. Nel componimento dedicato all’autore di Años y leguas le parole erano già contentas
de surgir en manantial167. Anche in Lenguaje y poesía vi è un riferimento alla freschezza quasi primigenia della parola di Miró. Dice ancora Guillén: a menudo
nos hace asistir a ese nacimiento del vocablo en ese instante de manantial168. Se tale caratteristica può suggerire una certa analogia con la purezza guilleniana non meno distanti sembrano le idee dei due artisti relative alla precisione terminologica:
«Sigüenza- entonces Miró, el literato- principia a sentirse receloso de la oratoria de su pensamiento… Es menester el ahinco de la precisión para que este hombre se acepte a sí mismo. Se afanará por las exactidudes.» […] Y nacerá de una experiencia agudísima la expresión, inseparable de esa experiencia hasta el extremo de que la experiencia no sería lo que es de verdad, vitalmente, sin su expresión169
165 GUILLÉN, Jorge, Lenguaje y poesía, cit., p. 186. 166 Ibidem, p. 187.
167 GUILLÉN, Jorge, Final, cit., p. 275.
168GUILLÉN, Jorge, Lenguaje y poesía, cit., p. 190. 169 Ibidem, p. 193.
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La purezza e la perfettibilità del linguaggio sono quindi i principi fondamentali per la creazione delle opere che Guillén ha scorto in Miró e che ha condiviso con la sua stessa esperienza poetica. Con il termine perfettibilità si intende qui escludere ogni ideale raggiungimento di un’espressione perfetta. Guillén, come appena visto, parla infatti di ahinco de la precisión, di afán por las
exactitudes proprio come dirà di sé stesso nei suoi versi:
No aludo a “perfección”, a meta conquistada, a calidad de objeto: una fanfarronada. ¡No! “perfección” sugiere mi esfuerzo mano a mano,
la más tensa conducta y basta: soy artesano170.
L’espressione poetica per Guillén non può mai essere perfetta. Tuttavia come riscontrato nei suoi saggi essa è sempre superiore, autonoma e più ricca dell’esperienza emotiva da cui trae origine. Ciò è teorizzato in maniera molto simile nella sua analisi delle opere di Miró:
Si el origen de la expresión, - la experiencia vivida- establece el fundamento de la obra, en que su autor se afana por prender las realidades con toda exactitud, la expresión plena asciende hasta el nivel de la creación, más rica que su manantial. […] La creación instituye una totalidad que no estaba en la experiencia, cuyos materiales se trasforman, superados171.
I ricordi (l’elaborazione de lo vivido) influenzano solo in certa misura la prosa di Gabriel Miró. In Lenguaje y poesía Guillén sottolinea più volte questo aspetto sostenendo che nello scrittore levantino vi è una resistenza all’eccessivo influsso della memoria.
I ricordi infatti, intesi alla maniera di Miró e come si vedrà anche di Guillén, non sono esclusivamente l’oggetto razionale della memoria bensì una