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La poesia pura: differenza tra simbolo e allegoria

8. Jorge Guillén e la lettura di Góngora

9.2 La poesia pura: differenza tra simbolo e allegoria

L’analisi dei suddetti simboli utilizzati da San Juan serve a Guillén come premessa per un’acuta osservazione. Il vero intento del critico è quello di esaltare il valore letterario di Juan de la Cruz tramite la riscoperta della programmaticità del suo poetare. Il lettore di Lenguaje y poesía è innanzitutto tenuto a rammentare la sottile differenza tra simbolo e allegoria. Se il primo emana direttamente da una

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particolare qualità di un elemento (come una montagna è per tutti simbolo d’altezza) ed è quindi in certa misura naturale ciò non vale per l’allegoria. Questa è infatti artificiale, ragionata e necessita di un’attenzione diversa per essere dedotta. Ora, proprio per il suo carattere ricercato, il significato dell’allegoria si presta a diverse letture ed è suscettibile di fraintendimenti.Una volta chiarita tale differenza è più facile capire perché la critica guilleniana faccia una netta distinzione tra simbolo e allegoria a proposito di San Juan. Secondo don Jorge il mistico ha davvero vissuto la sua personale “notte oscura” così come ha provato l’ardore innocuo della “fiamma d’amore”. Tali esperienze, non più riconoscibili come dati biografici, costituiscono il valore simbolico delle opere. Vi è poi il piano dell’allegoria. Questa è da intendersi come espressione della volontà dell’autore. È significativa a riguardo una breve frase di don Jorge: «San Juan de la Cruz compone el poema109» [corsivo mio]. I testi di San Juan sono costruiti

sistematicamente e con premeditazione e a confermarlo sarebbe la prosa esplicativa da lui realizzata a posteriori. Pur non ammettendo una lettura separata delle poesie e delle glosse del santo, Giovanni Caravaggi ritiene imprescindibili queste ultime per la comprensione del testo letterario

[...] Prescindendo da ogni rischioso processo alle intenzioni per comprendere pienamente la personalità di un mistico come S. Juan de la Cruz si rende indubbiamente opportuna una lettura globale delle sue opere che integri le due “lezioni”, senza isolare il testo poetico rispetto ai commenti dottrinali. Tale integrazione risulta talora indispensabile all’interpretazione di alcune immagini poetiche oscure […]110.

Come da definizione l’allegoria può aver bisogno di un chiarimento. Juan de la Cruz offre saggiamente anche la ragione delle sue allegorie ma questa, ricorda Guillén, rimane comunque esterna a lo poético esistendo solo prima e dopo di esso. L’interesse del critico dunque sembra rivolgersi costantemente al grado di “purezza” e di astrazione della materia poetica. Nelle prime pagine della lezione sul lenguaje inefable si sottolinea con compiacimento l’anonimato degli indefiniti amanti della Noche Oscura. Successivamente una considerazione simile

109 GUILLÉN, Jorge, Lenguaje y poesía, cit., p. 125. 110 JUAN DE LA CRUZ, Poesia, cit., p. 42.

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è rivolta anche al piccolo universo, cioè alla realtà autonoma creata dal santo dove gli amanti si muovono. Nel cercare di ricostruire il legame tra il pensiero critico di don Jorge e il suo ideale di poesia pura, sottolineiamo una sorta di apprezzamento nei confronti di Juan de la Cruz per non aver contaminato la sua poesia con il didascalismo: «el fondo didáctico no entorpece la lectura111».

L’iniziale divisione tra vita, dottrina e poesia serviva dunque a Guillén per indirizzare il lettore verso la tesi di fondo dell’intero saggio. Proviamo schematicamente a riassumerla così: l’esperienza mistica della breve vita di San Juan, di fatto estranea ai suoi versi, sarà oggetto di studio degli agiografi. Per quanto riguarda la dottrina del cristianesimo essa è abilmente trasferita direttamente dal pensiero alla prosa aclaratoria. Questo sistema ben congegnato e premeditato (Guillén parla infatti di máquina teórica) conferisce alla poesia la sua autonomia, la sua purezza.

Se siente cada palabra en toda su cristalinidad, infinitamente depurada al cabo de un empuje que viene de no se sabe qué profundidades112.

Senza alcuna contraddizione, dopo aver esposto le ragioni della sua lettura, Guillén riunisce l’opera omnia di Juan de la Cruz proponendo invece una lettura sintetica. Solo dopo aver considerato come un tutt’uno la vita e gli insegnamenti morali del santo i suoi versi si riveleranno mistici. Le allegorie prima impercettibili sveleranno il loro mistero e le immagini dei componimenti, prima soltanto terrestri, si vedranno proiettate in una dimensione divina. In questa calcolata distribuzione o dosaggio (San Juan viene definito químico113) don Jorge

vede un trionfo del linguaggio umano. Nella conclusione del saggio, subito dopo aver citato il canto XXXIII del Paradiso dantesco (il canto dell’ineffabile), con un involontario endecasillabo dice: «El nombre de Dios no revela a Dios114».

111 GUILLÉN, Jorge, Lenguaje y poesía, cit., p. 125. 112 Ibidem, p. 106.

113 Ibidem, p. 141.

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10. Jorge Guillén e Gonzalo de Berceo: i poeti e il mondo

Per chi vuol cogliere dei punti di contatto tra l’opera critica e i versi del poeta-professore risulta particolarmente eloquente lo studio su Gonzalo de Berceo inserito nella raccolta Lenguaje y poesía. Oltre alle considerazioni sul primo poeta ad utilizzare la lingua castigliana è importante, ai fini di questa tesi, estrapolare dalla lezione guilleniana le seguenti significative parole: elementos, mundo,

conjunto armónico, esencial armonía, plenitud e pleno ser. I termini appena

elencati sono tutti utilizzati a proposito della poesia e la weltanschauung del chierico del XII secolo. Tuttavia essi sembrano suggerire al lettore alcuni importanti spunti per un corretto approccio alla poesia dello stesso don Jorge. Ripercorriamo pertanto, attraverso i suoi versi, lo sviluppo dello sguardo guilleniano sul mondo

Il rapporto del poeta con il mondo circostante ha subito nell’arco di circa tre decenni degli inevitabili cambiamenti, delle oscillazioni. Tuttavia ogni odierna analisi di questo rapporto dovrà necessariamente concludersi con la formulazione di un globale rapporto positivo, ma non disincantato, di Guillén con il mondo proprio come suggerito da Aire Nuestro.

Sin dal primo nucleo di Cántico il poeta di Valladolid sembra aver riflettutto filosoficamente sul suo ruolo nel mondo e sullo straordinario dono della vita. Nell’ampliare il numero dei componimenti della raccolta questa consapevolezza sembra aver portato al sottotitolo Fe de vida. L’opera dunque è caratterizzata da un vitalismo giovanile destinato naturalmente ed umanamente a evolversi fino a Final. A differenza di quanto si possa pensare scorrendo i titoli delle varie edizioni di Cántico quello che Guillén vuole offrire ai suoi lettori non è un’evasione in un mondo esente dal male. La luz salvifica, ottimista del poeta è soltanto una speranza, una totale fiducia in un bene cosmico che, molto lucidamente, tollera anche la presenza del male. Intendendo in questi termini il concetto di luz o claridad guillenano riportiamo proprio da Cántico due brevi testi facenti parte di quella minoranza dove la luce è a tratti offuscata e il trambusto caotico del mondo si fa sentire:

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A pesar de todo

Sordos al atropello del voces y altavoces En una batahola de pregón y cartel, Extraños a la masa continua del bullicio -Montones que se ignoran entre el calor y el polvo-

A pesar de las redes invisibles del aire, -Tanto crimen difuso, tanto cómplice ardid-

Se abrían paso a pie despejaban su ruta, Oyendo alrededor la algarabía amiga,

Gozando- sin mirar al cielo- del azul Seguros implacables, lo dos enamorados115

Da questo testo si evince come gli individui, mostrati dal poeta soltanto nell’ultimo verso, possano superare tutti gli ostacoli del mondo con la capacità di amare con cui sono identificati. A seguire invece si può notare che l’universo di Guillén contemplasse la presenza del male, della negatività al di là della presenza dell’uomo:

Los balcones de oriente

Mas apenas comenzó a descubrirse el día por los balcones del Oriente...

«Quijote», I, 13 Madrugada.

Emerge contra la nada Luchando el ser- de mal ceño.

Se embrollan entre dos luces Torpes cruces Del amancer y el sueño.

Amanece Turbio.

¿ Todo resurge en suburbio, En un martes, en un trece?

[…] Con una luz casi fea, El sol- triste De afrontar una jornada

Tan burlada- Principia mal su tarea116.

L’evidente atmosfera negativa del componimento è anche suggerita dalla citazione del Quijote del Cervantes. Le parole in questione sono quelle con cui ha

115 GUILLÉN, Jorge, El pajaro en la mano, C., cit., p. 326. 116 Ibidem, Aquí mismo, pp. 339-340.

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inizio il racconto del triste risveglio del protagonista per assistere ai funerali di

Grisóstomo, protagonista di un’amore non corrisposto.

Nella poesia di Guillén c’è posto per il male, per il dolore e a togliere ogni dubbio è lo stesso poeta nell’opera autoesegetica El argumento de la obra. Lì egli fa notare come nella raccolta siano presenti, senza illusioni, la guerra ed il frastuono di un mondo tutt’altro che ameno. Don Jorge, già accusato di leggerezza nei confronti degli scenari di guerra dell’Europa dei tempi di Cántico, ripercorre i suoi versi ribadendo e spiegando il valore dei termini amenaza, pelea, ruidos,

algarabía, fragor de hombres117. Sotto l’apparente disincanto del Cántico c’è anche un mondo agitato, un confuso brulicare di uomini.

Tutti gli elementi negativi sono però costantemente neutralizzati da una restistenza altrettanto forte. Il male non prevale:

Claro que el dolor informa y forma, esclarece y fortifica. No hay vida sin ese componente. Pero el hombre de veras normal nunca se abandona a tal negación del ser. La coherencia de Cántico nunca permite otra conducta118.

Nella visione del mondo guilleniana il male è consustanziale al creato proprio come lo è, vedremo, nella poesia di Gonzalo de Berceo. Se il poeta del XII secolo attribuisce l’equilibrio del mondo e la speranza per gli uomini alla volontà divina questo però non avviene nell’opera guilleniana. Sarà la luz, simbolo di una fede cosmica, a garantire il trionfo del bene. Il mondo interiorizzato da Guillén dunque non tollera nessuna ipocrita rappresentazione: esso ha i difetti del mondo reale.

Jamás, jamás engaños elegantes. No se disocian los valores positivos y negativos en esa visión unitaria. Cántico insiste en este apego a la realidad tal cual es119.

Francisco J. Díez de Revenga, uno dei più autorevoli studiosi di Guillén, sostiene che il poeta abbia dato spazio ad ogni sorta di «malignos»120. Il lettore di

117 GUILLÉN, Jorge, El argumento de la obra, cit., pp. 71-76. 118 Ibidem, p. 77.

119 Ibidem, p. 88.

120 DÍEZ DE REVENGA, Francisco Javier, (1993), Jorge Guillén: el poeta y nuestro mundo, Anthropos, Barcelona, p. 26.

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Lenguaje y poesía, noterà a questo punto la somiglianza con una delle prime

riflessioni di don Jorge su Gonzalo de Berceo:

Claro que el bien y el mal se disputan la Creación, y el demonio irrumpe con su rebeldía. La obra de Berceo albergará naturalmente más pecadores que santos. […] Para la fe de Berceo todo parece incurso dentro de una sola realidad nunca interrumpida, que va de los hombres a los serafines […]121.

È emblematico un verso, di seguito evidenziato in corsivo, di una celebre décima di Cántico. Il componimento in questione ha come titolo Beato sillón:

¡Beato sillón! La casa corrobora su presencia con la vaga intermitencia de su invocación en masa a la memoria. No pasa nada. Los ojos no ven, saben. El mundo está bien

hecho. El instante lo exalta

a marea, de tan alta, de tan alta, sin vaivén122.

Nel verso evidenziato el mundo è da leggersi come creación. Il creato per Guillén è perfetto ed equilibrato. Tra le sue qualità c’è quella di essere redondo cioè strutturalmente preciso ed inoltre, per la sua circolarità, infinito. Questa visione del mondo sembra garantire un futuro di sopravvivenza all’umanità ma Guillén, lungi dallo scagionare l’uomo con la passività di una predestinazione divina, gli attribuisce le sue colpe ed i suoi errori. Nella prosa autocritica de El

argumento de la obra il poeta rammenta come in Cántico non si debbano mai

confondere creación e sociedad123. Il creato è «bien hecho», organizzato e pianificato con armonia. La società invece, massima espressione delle azioni dell’uomo è caotica, confusa. Questo concetto si ritrova racchiuso in un due versi, calcati sul modello del precente. Il primo, sempre da Cántico, lo troviamo in Las

121 GUILLÉN, Jorge, Lenguaje y poesía, cit., p. 18. 122 GUILLÉN, Jorge, El pajaro en la mano, C., cit., p. 245. 123 GUILLÉN, Jorge, El argumento de la obra, cit., p. 92.

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cuatro calles: Este mundo del hombre está mal hecho124. Il secondo ribadisce la stessa idea quasi con le medesime parole in Homenaje del 1967:

Del contacto al acto

¿ «Conformismo»? Jamás conforme estuve Con esa imposición desordenada Que es siempre el Orden. ¡Ah, la sociedad! Nunca estarà bien hecho el mundo humano. […]125

Nonostante la nota pessimistica che abbiamo appena visto gravare sull’umanità la definitiva edizione di Cántico si chiude con i versi di Cara a cara; faccia a faccia si trovano la realtà e l’indomito don Jorge:

[…] Imperen mal y dolor En mi semblante un sonrojo

De ineptitud se colore No cedo, no me abandono126

L’atteggiamento sereno di Guillén, lo ricordiamo, viene messo a dura prova dalla guerra e così la seconda grande raccolta Clamor avrà come sottotitolo e come oggetto il Tiempo de Historia. La buia storia degli uomini, mai trascurata da Guillén, è però assorbita da un più grande e luminoso sistema cosmico dove tutto procede con armonia. Quest’ultimo termine, come è noto, costituisce una delle chiavi di interpretazione dell’intera opera in versi del poeta-professore. Se le azioni dell’uomo sono inevitabilmente condizionate dalla storia e dalla società questo non gli preclude una possibilità di salvezza, di serenità. Il pieno godimento dell’esistenza, il pleno ser consiste proprio nel ritrovare il rapporto tra l’anima e l’armonia del tutto. Una lettura integrale di Aire Nuestro prova come don Jorge si sia mosso sempre nella ricerca di tale appagante armonia.

La costanza di Guillén nel perseguire lo stesso obbiettivo gli permise di riunire la poesia di più decenni sotto un unico titolo. Ma la straordinaria coerenza

124 GUILLÉN, Jorge, Aquí mismo, C., cit., p. 423.

125 GUILLÉN, Jorge, Tiempo de leer, tiempo de escribir, p. 494. 126GUILLÉN, Jorge, Pleno ser, C., p. 527.

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del suo pensiero sembra essere andata oltre, permettendoci di stabilire dei contatti anche con la sua opera critica.

Tornando al saggio più esteso concepito da don Jorge, Lenguaje y poesía, proviamo ora ad incrociare i dati appena raccolti con la sua lezione d’apertura. Sebbene i cinque autori oggetto di studio non siano disposti secondo un ordine cronologico, il primo di essi è anche il primo autore ad utilizzare la lingua castigliana di cui si abbia notizia: Gonzalo de Berceo. Sappiamo che il poeta o come puntualizza Guillén il versificador visse a cavallo tra il XII

ed il

XIII secolo. Le notizie sulla sua vita sono scarse e per lo più costituite da sparute annotazioni di carattere burocratico.

La paternità delle opere non è comunque problematica. Contrariamente all’oralità della letteratura popolare (Mester de juglaría) o al timorato anonimato di molti scritti religiosi (Mester de clerecía) dell’alto medioevo, il devoto Gonzalo inserì tra i suoi versi il suo nome.

La presenza di Berceo nei suoi stessi versi è però soltanto un espediente per iniziare a trattare delle vite dei santi e dei loro miracoli. Il lettore, come in un gioco di specchi, può scorgere Gonzalo poetare anche se egli non è mai veramente al centro delle sue opere.

Tra le lezioni da raccogliere in Lenguaje y poesía, la scelta di Guillén è ricaduta su quella di Gonzalo de Berceo per via di alcune osservazioni come la seguente:

[…] el clerigo de La Rioja no aparece ante sí, no es tema de su poesía. Aunque estas historias de pecadores y de santos […] comprenden un mundo de radio enorme, en él no hay lugar para la persona de Berceo […]. Pero todos los elementos de ese mundo se vinculan con tanta coherencia que el versificador, siempre en su sitio, también resalta ligado al conjunto, siempre armónico. […] Historiadores […] y poetas […] consideraron informe una obra que no dice sino armonía, la absoluta armonía de la tierra y el cielo, del hombre y Dios, y todo merced al justo lenguaje en que esa armonía se descubre127.

Continuiamo quindi la comparazione tra il modo di percepire il mondo e sé stessi in don Jorge e in Gonzalo soffermandoci sul concetto di plenitud. Nella

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critica guilleniana, come evidenziato all’inizio del presente capitolo, si ricorre spesso al termine plenitud così come all’aggettivo pleno. Ciò in riferimento all’idea di fondo delle opere di Berceo per cui esisterebbe un’unica realtà, senza interruzioni, costuita da ogni singola cosa ed ogni spirito. Per comodità d’esposizione e per non sconfinare nella filosofia, possiamo intendere la questione pensando a tutte le cose viste sotto ad una scala nell’Aleph borgesiano o a quell’insieme che il sommo poeta definì «ciò che per l’universo si squaderna». Dice Guillén:

Para la fe de Berceo todo parece incurso dentro de una sola realidad nunca interrumpida, que va de los hombres a los serafines, […] porque todos son unos: obras de Dios, altas o bajas. […] En definitiva, nada es sobrenatural, todo es orgánicamente divino128.

A corroborare l’idea della sintonia di don Jorge con Gonzalo c’è anche quello che Guillén chiama, non nascondendo un certo apprezzamento, modo

cotidiano. L’ambientazione quotidiana, la familiarità e riconoscibilità delle cose

sono frutto di un criterio adottato da Berceo per rivolgersi alle anime dei più umili fedeli (non mancano in proposito accuse di proselitismo in funzione di un beneficio economico per i monasteri) direttamente in un linguaggio volgare. La materia, le cose e i personaggi in Berceo «son lo que son»129 e proprio in virtù

della loro semplice e “robusta” rappresentazione essi rifulgono, partecipi della

plenitud armonica dell’universo. In epigrafe alla sezione Atenciones

dell’Homenaje guilleniano si trovano le seguenti parole:

[…] obsequios a las cosas Y gentes, con más luz más realizadas130

Il modo cotidiano è congeniale ad entrambi i poeti; esso permette la contemplazione del trascendente ed un’espressione chiara al contempo. Il más

allá risulta così ravvicinato e la sua perfezione accessibile a tutti:

128 Ibidem, pp. 18-19.

129 GUILLÉN, Jorge, Lenguaje y poesía, cit., p. 19. 130 GUILLÉN, Jorge, Atenciones, H., p. 30.

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Mundo en claro

[…] Amorosa perfección De la vida cotidiana:

Aquí estás131.

In Lenguaje y poesía la sensazione di immediatezza e tangibilità delle cose riscontrata nei versi di Gonzalo viene però prontamente dissociata dall’idea di

bodegón che ne potrebbe derivare. Il poeta di Berceo non rappresenta alcuna

statica natura morta: tutto, sostiene Guillén, solo con l’essere menzionato entra a far parte di una amplitud fatta di cose in connessione e in continuo movimento.

L’idea guilleniana che gli oggetti del mondo, anche i più comuni, siano fatti di una materia vibrante ed evocativa rimanda anche agli oggetti quotidiani dipinti da Van Gogh. È dimostrabile che don Jorge ebbe modo di ammirare gli umili oggetti che l’artista olandese rese universali grazie ai suoi caratteristici toni di giallo. Forse una luz reveladora stava negli occhi di Van Gogh come in quelli di Guillén:

Van gogh

[…] Este frenético Van Gogh Procede con tal maestría Que, bajo una furia de sol, Todo a su Dios uno se alía […] 132.

La coerenza del pensiero guilleniano permette di approfondire un qualunque aspetto di esso passando con disinvoltura dalle poesie del primo

Cántico o Final all’opera critica sui poeti del passato. Qualsiasi intuizione,

bisogna ammetterlo, è stata anche agevolata dallo stesso don Jorge attraverso innumerevoli rimandi e citazioni di poeti di ogni letteratura europea. Non di rado, in esergo ai componimenti, il lettore di Aire Nuestro trova un illuminante distico di un altro poeta. È questo il caso della terza poesia di Aire Nuestro, posta ancor prima di Cántico: El pan nuestro. Prima delle cinque quartine di don Jorge

131 GUILLÉN, jorge, Pleno ser, C., p. 457. 132 GUILLÉN, Jorge, Convivencia, H., cit., p. 575.

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troviamo un verso da El sacrificio de la misa di Gonzalo de Berceo: Cuando el

pan ementamos, todo lo al complimos. Il pan dello stesso verso, nel saggio di Lenguaje y poesía, veniva già citato e visto come un punto di irradiazione