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Gli elementi costitutivi: i cinque punti della teoria del Regionalismo Critico

Nel documento Regionalismo Critico - Il caso giapponese (pagine 43-99)

di salvaguardia della specificità dei luoghi;

5) la dialettica tra progetto e luogo, la topografia, il contesto, il clima, la luce e la tettonica;

6) la dicotomica tra visuale e tattile, intesa come smarrimento della dimensione esperienziale nell’ar- chitettura.

In questa prima versione gli aspetti che si vanno a coinvolgere sono molteplici, anche distanti tra loro, come la filosofia e la sociologia, l’economia e la tecno- logia dell’architettura.

Nel corso degli anni ‘80 Frampton ha raffinato la sua trattazione, arrivando ad una nuova versione del 1987 presente nell’articolo intitolato Ten points of an

architecture of Regionalim, nel quale, sempre secondo

una schematizzazione per punti, parla di:

1) la distinzione tra Regionalismo Critico e architet- tura vernacolare;

2) l’eredità del movimento moderno;

3) le relazioni con l’architettura postmoderna. 4) la dicotomia tra informazione ed esperienza; 5) la definizione di regione;

6) la definizione di spazio/luogo;

7) la dicotomia tra topologico e tipologico; 8) la dicotomia tra tettonico e scenografico; 9) la dicotomia tra artificiale e naturale; 10) la dicotomia tra visuale e tattile;

Da questo elenco possiamo dedurre due famiglie di questioni sollevate: una a carattere prevalentemente storico (1-6), che vuole giustificare il Regionalismo Critico come una strategia culturale inserita in un contesto temporale, e una seconda a carattere proget- tuale (7-10), nella quale sono descritte le ragioni che sottendono le scelte dei progettisti che appartengono al Regionalismo Critico.

La versione più completa della teoria, e anche quella più conosciuta, viene pubblicata come nuovo capitolo della sua Storia dell’architettura Moderna, intitolato

culturale. In questo capitolo Frampton, dopo una

collocazione storica della teoria più concisa rispetto agli articoli precedentemente pubblicati, si dilunga nella descrizione di numerosi progetti paradigmati- ci, molti dei quali inediti, attraverso una trattazione che si sofferma su cinque punti ben scanditi, quattro dei quali già esplicitati nell’articolo del 1987 (topo- logia,tettonica,natura e tattilità), e uno nuovo, già presente nella versione del 1983 quando parlava del rapporto tra economia locale e cultura mondiale, ma adesso enunciato sotto la parola artigianalità.

Durante i venti anni successivi Frampton si dedica con minor interesse alla trattazione complessiva della teoria, seppur continuando a sostenerla attraverso numerose conferenze tenute in varie università, e intraprende due principali traiettorie di produzione letteraria con la quale porta avanti i temi del Regiona- lismo Critico: una prima, nella quale approfondisce i cinque punti separatamente, con particolare atten- zione al tema della tettonica, di cui pubblica anche il celebre volume Studies in tectonic culture, The Poetics

of Construction in Nineteenth and Twentieth Century Architecture, e una seconda direzione, quella della

pubblicazione di monografie e articoli di progettisti appartenenti alla teoria (Alvaro Siza, Tadao Ando, Steven Holl, Kengo Kuma, ..).

L’aver esplicitato i cinque punti del Regionalismo Critico che riguardano aspetti progettuali ci permette di impugnarli come fil rouge dello studio della tesi: descritti inizialmente attraverso gli esempi di Framp- ton, verranno poi utilizzati come strumento di analisi all’interno del contesto della cultura architettonica giapponese, per poi discuterne nuovamente in un’ap- plicazione progettuale.

Oggi la componente artigianale in architettura si manifesta principalmente nelle realtà rurali e trova sempre meno spazio nei processi edilizi industrializza- ti per ragioni economico-produttive.

Il dibattito internazionale sul tema dell’industrializ- zazione del settore edilizio negli anni successivi alla conclusione del secondo conflitto mondiale è stato piuttosto complesso. Si è rivelato inevitabile che la grande commercializzazione di nuovi materiali da costruzione abbia portato allo sradicamento delle architetture dalle peculiarità del proprio territorio: di- sponendo di materiali costruttivi come il calcestruzzo e i profili laminati metallici, risulta difficile immagi- nare di costruire ancora con i lenti processi artigianali impiegati fino al primo Novecento per la produzione dei laterizi e della calce, per quanto essi possono essere ancora prodotti in loco. La teoria del Regionalismo Critico propone quindi, per le nuove costruzioni, un processo che sappia integrare l’universalità degli stili 2.2 L’approccio artigianale

architettonici e dei materiali da costruzione contem- poranei con le caratteristiche geografiche, climatiche, sociali tipiche di ogni luogo. La scelta del materiale, nonché del suo utilizzo, deve rivestire quindi una fase di riflessione delicata e cruciale. La conoscenza delle proprietà del materiale e delle sue soluzioni appli- cative diventa una priorità, secondo una mentalità artigianale. Risulta esemplare questo detto da Louis Kahn.

“Se lavori con il mattone, non usarlo come un mate- riale di ripiego o perché è più economico. No, devi innalzarlo alla gloria, perché questo è quanto gli spetta. Se lavori con il calcestruzzo, devi conoscere l’ordine della sua natura e ciò che il calcestruzzo si sforza di diventare. In realtà, il calcestruzzo vorrebbe essere granito, ma non ci riesce. L’armatura è opera di un prodigioso, anonimo operaio, che rivela la forza di questo materiale, che si ritiene simile a una pietra modellata; è un risultato dello spirito. L’acciaio vuole comunicare di essere forte nonostante possa avere le dimensioni di un insetto, e un ponte di pietra vuole dire di essere stato costruito massiccio come un ele- fante; ma tu conosci la bellezza di entrambi, l’armonia che deriva dall’uso del materiale al massimo della sua potenzialità. Se rivesti di pietra un muro, senti di aver fatto qualcosa di meschino, e questo vale anche per il migliore di noi.”1

(L. Kahn, 2005)

La seconda considerazione da fare è quella di spostare l’artigianalità dalla produzione alla sua disposizione spaziale, al saper controllare ogni componente del progetto, utilizzandola senza schemi prefissati, anche utilizzandola complementarmente alle artigianali- tà locali vere e proprie. La tensione tra tradizione e innovazione è risolta elegantemente nella chiesa di Basvaerd, di Jørn Utzon2, completata nel 1976, dove

“pannelli prefabbricati in cemento di dimensioni standard sono combinati, in modo particolarmente articolato, con superfici a volta in cemento armato costruite in situ, che contengono gli spazi comunitari più importanti”3 Mentre l’assemblaggio dei moduli

prefabbricati rispecchia i valori della civiltà universale, denunciando anche la capacità di applicazione nor- mativa, la superficie a volta costruita in situ rappresen- ta una progettazione e applicazione strutturale conce- pita appositamente per un singolo luogo. Sul piano di lettura tecnico si può asserire che se da un lato vengo- no accettati i modelli proposti dalla civiltà universale, dall’altro si integra l’organismo con elementi espres- sivi di una cultura idiosincratica. Sul piano formale questa contrapposizione può interpretare come la dicotomia tra la razionalità della tecnica normativa e l’irrazionalità di una struttura simbolica.

La scelta di una volta ottenuta con un processo “arti- gianale” si giustifica con l’associazione dell’elemento architettonico con la sua caratura simbolica nell’ambi- to della spiritualità occidentale. La traiettoria dise- gnata in sezione ricorda le curve di una pagoda cinese lignea, come d’altronde le finestrate in lega e i divisori steccati trovano riferimento sia nella tradizione verna- 2

colare nordica delle chiese in doghe di legno, sia nella tradizione di incastri giapponesi. La conformazione della fabbrica a un fienile, invece, esprime la volontà sociale di attribuire un’espressione pubblica ad un edi- ficio sacro. Questa metafora richiama l’origine rurale dell’architettura nordica, dove gli alberi circostanti, crescendo, contribuiranno a proseguire la metafora attribuendo all’edificio un’aura templare. L’intenzione che Frampton attribuisce a Utzon in questo processo di decomposizione e sintesi di tecnica e elementi così distanti geograficamente, temporalmente e socialmen- te, è in primo luogo quella della rivitalizzazione di al- cuni stilemi occidentali desueti attraverso un linguag- gio orientale della loro natura intrinseca, e in secondo luogo la celebrazione della stratificazione storica dell’i- stituzione rappresentata. Se ciò fosse veritiero, Utzon avrebbe utilizzato un atteggiamento critico-regionale nella progettazione di uno spazio sacro.

Un secondo esempio molto caro a Frampton è quello di Carlo Scarpa4.

“Carlo Scarpa realizza in gran parte interventi su architetture già realizzate, effettua trasformazioni; in questo senso la sua opera è anche esemplare per il futuro. Vale a dire che come architetto è capace di prendere un oggetto trovato, per certi versi un rea-

dy-made, e di dargli un significato nuovo senza per

questo che cessi di essere un’opera assolutamente nuova e al tempo stesso di mantenersi esente da estra- neità all’antico. Credo che in ciò stia una delle grandi capacità di Scarpa, che faccia sicuramente parte della sua genialità [...], perché egli fa sempre riferimento a un’architettura immanente.”5

(A.Scandurra, 2011)

L’artigianalità nelle opere di Scarpa è riscontrabile nell’unicità dei dettagli delle sue opere e nelle confi- gurazioni spaziali che egli crea modellando il cemento

3. Carlo Scarpa, Museo di Castelvecchio, Verona, 1974.

al millimetro. Il giunto diventa il fulcro d’intensità dei suoi lavori, sia quando esso va a legare due materiali diversi, o lo stesso materiale utilizzato in modo diver- so, sia quando esso serve come elemento intermedio tra un corpo storico e una nuova annessione. Ma non solo il modo in cui Scarpa disegna i dettagli e il successivo coinvolgimento delle maestranze nella loro realizzazione costituisce un processo artigianale, anche le costruzioni e gli spazi nuovi che egli progetta, con masse discontinue e frammentate, corpi centrifughi e sospesi, derivano da un concepimento manuale del progetto, l’intaglio piuttosto che la modellazione, la ruvidezza e l’imperfezione dei materiali manipolati piuttosto che la levigatezza delle componenti create dalle macchine.

4. Carlo Scarpa, Tomba Brion, Treviso, 1969.

Il nodo tra tipologia e topografia si può manifestare sotto molteplici aspetti e riguarda l’integrazione all’in- terno di un contesto naturale che in uno antropizzato, ma ha anche una valenza ecologica e climatica. Il Regionalismo Critico richiede una non eliminabile dialettica col contesto in cui si va a inserire una nuova architettura. Molto spesso accade di assistere alla cosi detta metodologia tabula rasa applicata nei peggiori processi di modernizzazione delle configurazioni ur- bane, che ha tra le ragioni che la sottendono il model- lo del trasporto terrestre; in funzione di una viabilità più semplice si applica una matrice spaziale come principio di razionalizzazione costruttiva.

Rendere un sito pianeggiante al fine di addomesti- carlo in base alla viabilità è, secondo Frampton, un gesto tecnocratico che determina una condizione di

placelessness.6

Un argomentazione persuasiva della perdita dell’ap- proccio topografico resta quella di Gregotti, che nel 2.3 La dialettica topologia

1983 scrive che il peggior nemico dell’architettura moderna è il concepire lo spazio principalmente in termini di economicità ed esigenze tecniche, a disca- pito del genius loci del sito.7

La storia del luogo invece, intesa sia nel senso ge- ologico che agricolo, dovrebbe invece entrare a far parte della metodologia di lavoro, come Mario Botta riassume nell’espressione “costruire il sito”.8 Il luogo

dovrebbe essere concepito come una stratificazione di gesti, da quello geologico di deposizione/erosione a quelli antropizzanti, dagli insediamenti preistorici alle opere di ingegneria civile del mondo moderno. L’ap- proccio a livelli permette di poter dedurre lo sviluppo di un luogo idiosincratico senza cadere in sentimen- talismi superficiali, quasi come un metodo scientifico guidato dalla sensibilità umana.

“La Svizzera con i suoi complessi confini linguisti- ci e con la sua tradizione cosmopolita, ha sempre dimostrato forti tendenze regionalistiche. Il principio cantonale di ammissione ed esclusione ha sempre favorito forme espressive estremamente dense: il Cantone infatti privilegia la cultura locale, mentre la Federazione facilita la penetrazione e l’assimilazione di idee esterne.”9

(K. Frampton, 2008)

Il regionalismo ticinese prende le sue origini dai pro- tagonisti del movimento italiano in Svizzera nell’ante- guerra, tra questi Alberto Sartoris, che circa la compa- tibilità tra razionalismo e cultura locale scrive:

“L’architettura rurale, con le sue caratteristiche essen- zialmente regionali, si trova perfettamente a suo agio col razionalismo di oggi. Infatti essa assume in pratica tutti quei criteri funzionali su cui si basano i metodi costruttivi moderni.”10

Riferimenti identificativi della cultura del paesaggio ticinese sono evocati da Botta anche a livello tipo- logico, ad esempio nella casa a Riva San Vitale, che si rifà indirettamente alle tradizionali dimore estive di campagna a forma di torre o ai “roccoli” che un tempo esistevano in gran numero nella regione. Le case di Botta funzionano come segnali nel paesaggio, segnaluogo di confini e limiti, forme primarie che si contrappongono al cielo e alla terra, legandosi al terri- torio attraverso i dettagli che richiamano la tradizione agricola.

La figura di Botta aiuta a comprendere come il Regio- nalismo Critico trattato da Frampton, pur opponen- dosi alla chiusura ermetica rappresentata dal verna- colare locale, possa inserire nella sua opera anche la reinterpretazione di elementi vernacolari. La tendenza del Regionalismo critico è quella di coltivare una cultura architettonica legata al luogo e proietta, allo stesso tempo, nella dimensione globale comprensiva di tutte le singole espressioni locali. Si permette in questo modo il progresso della civiltà, che può opera- re architettonicamente in modo regionale inserendosi però in un clima internazionale.

Uno spirito progettuale legato al luogo, di cui si può apprezzare un’alta sensibilità topologica, è quello avuto da Dimitris Pikionis11 per la collina di Philo-

pappus, vicino all’Acropoli di Atene, dove l’architetto greco consegue un lavoro di architettura costituito da oggetti completamente nudi e quasi smaterializzati, una sistemazione di luoghi attorno ad una collina per contemplazioni solitarie, dialoghi privati, pic- coli raduni. In questo intreccio di nicchie, passaggi, situazioni, Pikionis individua gli elementi peculiari di una costruzioni di un luogo dove l’architettura si vede appena e svolge la funzione principale di essere intermediaria tra l’uomo e il paesaggio.

L’approccio topologico può essere apprezzato anche nelle opere di Alvar Aalto, in particolare nel muni-

1. Mario Botta, casa a Riva San Vitale, Riva San Vitale, 1972.

2. Mario Botta, casa Rotonda, Stabio, 1980.

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cipio di Säynätsalo. Il progetto si presenta coma una serie di corpi legati tra di loro da una serie di percorsi che seguono la morfologia del terreno, sia in pianta che in elevazione, come se l’edificio fosse andato ad adattarsi sul sito e quest’ultimo ne abbia determinato la configurazione. La lettura del sito come opportuni- tà e non come ostacolo caratterizza questo progetto che va ad inserirsi in un contesto naturale e ne da prospettive di osservazione diversa, dallo spazio della corte interna fino alle aperture che si ripropongono ad altezze diverse. La sensazione che si prova vivendo quegli spazi è quella di una passeggiata continua, dove l’esperienza del luogo è percettibile e di importanza primaria.

3. Dimitris Pikionis, Collina di Philopappus, Atene, 1957.

La tettonica è una delle principali questioni affrontate da Frampton nel corso dei suoi studi. La parola tetto- nica ha in sé un significato complesso, che coinvolge sia l’espressione artistica che la caratteristica tecnologi- ca di un edificio. Se si considera arbitrariamente l’ar- chitettura come lo scaturirsi di tre vettori convergenti, il topos, il typos e la tectonic, la tettonica, sebbene non favorisca nessuno stile particolare, assume la funzione di esprimere la tecnologia con la quale l’uomo vuole porre una ragione (typos) in un determinato luogo (topos).

Senza cercare di negare il carattere volumetrico delle forme, lo scopo della tettonica è quello di arricchire il significato di spazio attraverso lo studio delle compo- nenti strutturali, considerate come elementi dotati di forza espressiva che si elevano a forma d’arte reale. La parola greca tekton allude etimologicamente al mestiere del carpentiere, quindi non solo al creatore del tempio greco quanto ancor prima al creatore dei 2.4 La poetica tettonica

giunti nella genesi del costruire. Il termine archi-

tekton si riferisce invece al capo costruttore. Il termine

architettonico vuole quindi riferirsi non solo all’am- bito costruttivo che supporta un edificio, ma anche all’origine mitica di questa conquista tecnologica. Dovrebbe contenere non solo il modo in cui l’oggetto si relaziona al suolo in termini di gravità, ma anche in termini di durabilità nei confronti del clima e del tempo. Questo sia che ci riferisca ad una componente tettonica, sia che ci si riferisca ad un volume stereoto- mico. Con il termine tettonico ci si riferisce al modo in cui la forma sintattica delle struttura resiste esplici- tamente all’azione della gravità.

Che la parola tettonica aspiri maggiormente ad una categoria estetica piuttosto che tecnologica è confer- mato da Adolf Heinrich Borbein che nel 1982 scrive: “La tettonica è diventata l’arte dei giunti. “Arte” qui è considerata come un assemblaggio non solo di com- ponenti costruttive ma anche di oggetti, con attenzio- ne all’antica accezione di oggetti artigianali.”12

L’essenza del tettonico è così definita, in modo esem- plare, da Karl Botticher nel 1846:

“Tettonico si riferisce non solo all’attività del produrre il requisito materiale della costruzione, quanto piut- tosto all’attività che eleva questa costruzione ad una forma d’arte. La forma adeguata funzionalmente deve essere adattata a dare un’espressione alla sua funzione. L’esempio migliore è l’entasi della colonna greca.”13

La ricerca nel campo della tettonica trova le sue radici in Gottfried Semper e nei sui Quattro Elementi

per l’Architettura14, pubblicato nel 1851, dove sono

individuati le quattro principali componenti che caratterizzano un intervento di architettura: lo scavo, la terra, il tetto e la struttura, le membrane leggere in-

terne. Sulla base di questa tassonomia Semper divide in due principali categorie il processo costruttivo: la tettonica, ovvero l’assemblaggio di componenti lineari in una matrice spaziale, e la stereometria, ovvero l’ap- proccio volumetrico rispetto al terreno. Questa lettura è ripresa da Frampton quando, per comprendere a fondo la questione della tettonica, muove la propria riflessione su un’altra questione fondamentale, quella della definizione del confine tra la scultura e architet- tura.

Frampton cita due architetti contemporanei le cui opere sono esplicative per definire questa differenza. Se si considera le architetture di Frank Ghery15, l’ef-

fetto provocato, intenzionale, è quello che vede la sua espressione paradigmatica nel Guggenheim di Bilbao, ovvero la plasticità, e in questi casi la struttura è fun- zionale all’espressione di una determinata forma; se si considerano invece le opere di Enric Miralles, sebbene si possano trovare volumetrie assonanti con quelle di Ghery, ci si accorge che è la struttura stessa che svolge la funzione scultorea. Nell’unità scultorea delle archi- tetture di Ghery non si riesce a comprendere quale sia stato il processo costruttivo e il risultato è puramente scenografico, mentre osservando il Mercato rionale di Santa Caterina a Barcellona, di Miralles-Tagliabue, una grande copertura praticabile, ad altezze variabili, che si vede da tutti i terrazzi che circondano la piazza: proprio in questo fatto si deve interpretare la tasselliz- zazione della superficie, di sessantasette diversi colori, un tappeto copertura che trasmette energia a tutto il quartiere.

Il fenomeno contrario alla tettonica è quindi la scenografia. Essa deriva dalla parola latina scena che costituisce frons scenae, riferita alla rappresentatività in natura. Nel contesto contemporaneo si può notare come anche il ridurre esclusivamente l’edificio ad un immagine, iconica o monumentale che sia, comporti una ricezione e percezione scenografica dello stesso.

1. Frank O. Ghery, Guggenheim Museum, Bilbao, 1997.

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Come sostiene Marco Frascari, la soppressione del- la struttura architettonica o il mascheramento delle giunzioni priva l’architettura della sua espressività al punto che il significato architettonico diventa offusca- to e muto; l’atto di interpretare presuppone come la sua etimologia suggerisce, l’atto di costruire.16

Nel regionalismo critico si potrebbe parlare di una presentazione di una poetica strutturale invece che nella rappresentazione di una facciata.

Mies van der Rohe, nella Neue Nationalgalerie offre una grande interpretazione della traiettoria tettonica individuata da Frampton nella storia dell’Architettura.

Nel documento Regionalismo Critico - Il caso giapponese (pagine 43-99)