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Il Regionalismo Critico di Tadao Ando

Nel documento Regionalismo Critico - Il caso giapponese (pagine 120-135)

di Ando si percepiva l’inclinazione di un’architettura alla ricerca di un ritorno alle origini seppur attraverso un linguaggio moderno.

Questo disinteresse nei confronti del dibattito di incompatibilità tra tradizione e innovazione si può giustificare con il fatto che Ando non abbia ricevuto un’educazione istituzionale, ma si sia formato autodi- datticamente attraverso un’esperienza priva di pregiu- dizi.

Frampton, classificando Ando come parte del Japa-

nese New Wave, che emerse anche come incarnazione

dell’ostilità al declinante movimento metabolista3

in Giappone, definisce il suo lavoro ‘critico’ perché assume un’opposizione di carattere culturale verso la strumentalità dello sviluppo delle megalopoli e resiste al crescente consumo della città moderna.

Il microcosmo interiore di Ando va ad opporsi al caos urbano secondo un meccanismo diametralmente opposto a quello dei metabolisti, l’idea della stabilità contro il dinamismo, la fuga dalla vaghezza e dalla relatività del paesaggio urbano attraverso la ricerca di spazi che se ne distacchino fisicamente e psicologica- mente.

Proprio all’interno di questo spazio purificato Ando cerca di introdurre un ordine per connettere le vite dei suoi abitanti, chiamando questo ordine shintai, che significa l’unione del corpo con lo spirito, e rap- presenta l’armonia del corpo attraverso l’esperienza architettonica. I muri sono margini che delimitano lo spazio shintai dal resto della città. Questa articola- zione territoriale è esemplificata perfettamente in una delle sue prima opere, la Casa Sumiyoshi, dove i muri dell’abitazione incartano il perimetro del sito lascian- do all’esterno soltanto una superficie continua con un solo ingresso, mentre all’interno una corte dona luce a tutti gli spazi.

Non è una caso che Ando viva a Osaka piuttosto che a Tokyo. I precetti che l’architetto si autoimpone 1

denotano la tensione che egli avverte nell’incontro tra il processo di modernizzazione e il carattere idiosin- cratico della cultura tradizionale.

“Nato e cresciuto in Giappone, esercito il mio lavoro di architetto qui. Credo sia possibile affermare che il metodo che ho scelto è quello di applicare il vocabo- lario e le tecniche sviluppate da un mondo aperto e universalista in un regno chiuso di stili di vita indivi- duali e di differenziazione regionale. Ma il cercare di esprimere la sensibilità, i costumi, la consapevolezza estetica, la cultura distintiva e le tradizioni sociali di una certa razza per mezzo del vocabolario internazio- nalista del moderno mi sembra difficile.”4

(T. Ando, 1992)

Con la celebre espressione enclosed modern architectu-

re5 Ando intende la creazione letterale di zone protette

in virtù delle quali l’uomo è in grado di conservare, tra tracce umane e naturali, i passi della sua intimità passata. Si tratta di ripristinare la connessione intima tra la cultura dell’abitare e la natura, che la densità crescente delle città asta andando cancellando. Ecco che Ando utilizza la tipologia della casa a corte dove come materiale principale emerge il calcestruzzo che risalta la rigida omogeneità della texture, per realiz- zare superfici create dai raggi del sole (..) dove i muri diventano astratti, vengono negati, e si avvicinano al limite ultimo dello spazio. La loro realtà viene meno, e solo lo spazio che essi rinchiudono dà la sensazione di esistere realmente. Ando rileva che il paradosso della trasparenza spaziale derivata dalla luce vibra allo stesso ritmo della sensibilità giapponese, esplicitando il concetto di auto delimitazione del moderno: “Gli spazi di questo tipo vengono trascurati e rara- mente vengono riconosciuti. Tuttavia essi sono in grado di suscitare i ricordi intimi e di stimolare nuove 2

2. Tadao Ando, Casa Sumiyoshi, Osaka, 1976.

scoperte. Questo è lo scopo di quella che io chiamo architettura moderna ‘delimitata’. L’architettura di questo tipo sembra modificarsi secondo la regione in cui mette le sue radici e sembra crescere in vari modi individuali e distintivi. Anche se è delimitata, sono convinto che, in quando a metodologia, essa è aperta nella direzione dell’università.”6

(T. Ando, 1992)

La maggior parte dei primi lavori riguarda costruzioni in lotti infinitesimi. Proprio qui si determina la scelta di seguire una strategia metaforica piuttosto che lavo- rare per similitudini.

Nel dilemma postmoderno tra universale e vernaco- lare, piuttosto che elaborare un linguaggio contiguo al contesto locale, la scelta di Ando diventa quella di preservare lo spirito nascosto dietro le forme traman- date, piuttosto che adattare la sintassi costruttiva. Comincia così a considerare primariamente il caratte- re interno degli spazi, impiegando materiali contem- poranei ma con un’attenzione forte alle proporzioni. Un tentativo di riabilitare l’estetica del less is more attraverso spazi raccontati dalla luce.

Il sistema della scatola chiusa nasce con la Row House a Sumiyoshi per proseguire con i progetti successivi nei quali Ando va esplorando la virtuosità espressiva del tema. Si pensi a tre abitazioni di Ando, Sumiyoshi ad Osaka (1976), Noda a Kobe (1993) e l’abitazio- ne nel parco Utsuba ad Osaka (2010). Tutte e tre le abitazioni si presentano come volumi introversi, dove all’esterno si percepisce l’intaglio preciso attraverso la scansione dei moduli tatami in c.a. e della punteggiata serie di fori dei tiranti delle casseforme. Le planime- trie vanno spiegandosi come sistema di inspirazioni ed espirazioni, pieni e vuoti, come un esercizio di respirazione.

La scelta del cemento armato, emblema della tecno- logia universale è giustificato con “il materiale che si

3. Tadao Ando, Casa Noda, Kobe, 1993.

4. Tadao Ando, Casa nel parco Utsuba, Osaka, 2010.

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adatta maggiormente a realizzare spazi creati dai raggi del sole”7, formando superfici che sono luminose ed

omogenee. La distinzione forte che Ando sottolinea è quella che non necessariamente un materiale univer- sale deve creare delle forme universali.

I volumi di cemento di Ando hanno spesso una superficie levigata come se raffinate artigianalmente, e attraverso questo significato abbracciano un’astrazione silenziosa e contemplativa, che riconnette l’umani- tà con la natura e richiama il senso monastico della semplicità.

La strategia progettuale di Ando è quella della con- tinuità. Per comprendere a fondo la singolarità di ogni suo progetto occorre distaccarsi dalla concezione occidentale di modellazione per approcciare quella orientale di intaglio.

Mentre nell’architettura occidentale si cerca di fissare uno zeitgeist, un preciso istante di un flusso tempora- le, nell’architettura orientale si ha invece lo scopo di rappresentare il continuum.

In Ando si percepisce il superamento del timore della ripetizione. Estraniandosi dal concetto occidentale di stile, per cui esiste un linguaggio o degli stilemi che portano alla riproduzione di oggetti similari, in Ando ciò che resta costante è la ricerca della continuità. Si pensi al sempre presente annullamento della dicoto- mia struttura-rivestimento.

Uno dei punti della teoria del Regionalismo Critico di Frampton è la relazione dialettica con la natura, un dialogo con il paesaggio che le architetture di Ando incarnano nell’articolazione della struttura attraverso gli impatti diversi di luce e terreno.

Evitando l’approccio tabula rasa, Ando sceglie spesso di disporre i volumi dei suoi edifici su altezze diverse per creare, in generale, un insieme di spazi quieti che si appoggiano delicatamente sulla natura, preservando la morfologia tettonica dei siti.

modificazione del luogo in architettura e lo considera un fondamento dello spazio:

“Il mio obiettivo è di comprendere per prima cosa il luogo e successivamente darne, attraverso l’architettu- ra, un’accezione distinta.”8

Questo approccio al luogo e alla terra è descritto per- fettamente nel concetto di genius loci, lo spirito di un luogo. Ando descrive questo spirito come in continua mutazione:

“Il genius loci non rimane mai lo stesso. Cambia co- stantemente nel tempo, ed è un’entità in movimento. Il modo in cui si muove caratterizza in modo unico un luogo.

Per fissare questa entità in un luogo si ricorre all’archi- tettura.”9

Si pensi al progetto del Benesse House a Naoshima. In questo caso si assiste ad una struttura con standard tecnologici altissimi che va a sposarsi magnificamente in un contesto geografico. Lo spazio funziona come un museo moderno e un hotel permeati completa- mente da luce naturale. La semplicità e la calma che questi spazi evocano derivano dall’aspetto culturale dell’isola stessa, percepita nella storia come luogo di silenzio e distensione.

Il Tempio sull’Acqua nell’isola Awaki è un altro grande esempio di approccio critico. Ando decide di usare i fiori di loto nello stagno come simbolo per il tempio. All’interno di un’enorme vasca d’acqua ci sono delle scale che conducono all’interno del tem- pio, situato sotto l’acqua, come un cammino sacro. Al contrasto forte di luci ed ombre, che trascende le esperienze quotidiane, fa corrispondere un’esperienza che affonda le proprie radici in una religione nata nel sesto secolo a.C., che fino a quel momento era 5

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5. Tadao Ando, Benesse House, Naoshi- ma, 1992.

6. Tadao Ando, Tempio dell’Acqua, Awari, 1991.

stata rappresentata sempre secondo lo stesso modello templare ligneo.

Con la chiesa dell’acqua in Hokkaido, come quella della luce a Osaka, si cerca di realizzare un’architettura la cui unicità si basa sulla relazione tra edificio e na- tura, dove si percepisce maggiormente la componente spirituale del luogo. Dopo queste esperienze Ando decide di concentrarsi maggiormente sui temi di com- mittenza pubblica, quali musei e altri spazi, facendo della propria professione una ricerca sul tema della creazione di un contesto all’interno di un’architettu- ra. Nel processo progettuale riferito ad un contesto, Ando cerca di estrarre da esso tutte le sue potenzialità cercando continui dialoghi di giaciture e compenetra- zioni con la morfologia, si mette in scena una lotta tra l’uomo e la natura.

“Camminando attorno ad Okinawa ho imparato la preziosità delle sfumature d’ombra e dell’importanza del vento. Ad Okinawa le persone si rifugiano sotto gli alberi o sostano sotto qualsiasi ombra del paesag- gio.”9

(T. Ando, 1992) E ancora :

“Uno spazio non è soltanto una cosa sola. Esso è un luogo che si appresta ad essere vissuto sotto il punto di vista di molti sensi: la vista, l’udito, il tatto e tutte le cose vi accadono nel mezzo.”10

Infatti egli pone attenzione a tutti i sensi fin dalla prima fase di progettazione. In corrispondenza delle superfici dove la mano o il piede possono interagire, si predilige l’utilizzo di materiali naturali per provo- care una reazione tattile. Per esempio nel padiglione giapponese a Siviglia l’intenzione principale era quella di rendere le persone consapevoli della rugosità del legno, del suono che esso fa quando viene calpestato, fatti che la società contemporanea sta dimenticando in seguito al processo di digitalizzazione.

Per quanto l’architettura di Ando possa essere distante da quella vernacolare, essa tende a evocare sentimen- talmente lo stesso senso d’identità. L’interpretazione che Ando dà all’estetica tradizionale giapponese evoca un sentimento nostalgico per un passato familiare. Questo sentimento romantico può essere percepito quando Ando descrive il luogo o i suoi stessi edifici, specialmente verso quasi ultimi ai quali si riferisce come un contesto urbano cruento e illogico. All’in- terno del suo perimetro la ricerca diventa quella di instaurare un rapporto simil-shintoista tra le persone, i materiali da costruzione e la natura. Questi edifici vanno vissuti nel corpo e nello spirito. Ando parla dello “spirito e dei suoi contenuti emozionali”11, che

7. Osaka.

8. Tadao Ando, Padiglione giapponese, Siviglia, 1992.

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ha recuperato dal vernacolare giapponese, e della ricchezza formale della sukiya, che va perdendosi nel caos urbano governato dalla crescita economica. Infat- ti, la sua architettura è in gran parte influenzato dalla nostalgia dei suoi ricordi d’infanzia:

“Tutti noi abbiamo avuto alcune esperienze nella nostra infanzia,che sono rimaste con noi per tutta la vita. La casa in cui sono cresciuto è stata molto importante per me ... Era molto lunga, e quando si arrivava dalla strada a piedi si attraversava un corrido- io, poi un piccolo cortile, e poi un altro spazio stretto che porta più in profondità nella casa. Il cortile è molto importante perché la casa è stretta e lunga, e la quantità di luce limitata. La luce è molto preziosa ... Vivere in uno spazio del genere, dove la luce e l’oscu- rità costantemente interagiscono, è stata un’esperienza cruciale per me.”12

L’uso da parte di Ando di lunghi corridoi e passaggi intermedi, ad esempio, si può far risalire agli spazi stretti dei vicoli tra case a schiera in Giappone. Ando spiega così il significato di questi vicoli:

“In passato i vicoli delle case a schiena venivano utiliz- zati come spazi comuni per il quartiere. In Giappone non ci sono stati luoghi di aggregazione centrali come le piazze d’Europa; questi spazi comuni rimasero una costante tra edifici ed erano intimamente connessi con la vita di tutti i giorni.”13

In Rokko Housing questi passaggi sono stati destinati ad essere creati dalla compenetrazione di ambien- ti pubblici e privati. Frampton osserva che l’uso di questi corridoi deriva anche dall’utilizzo dei pannelli

shoji e delle recensioni della sukiya, mentre elementi

vernacolari sono stati riprodotti attraverso l’uso del calcestruzzo. Questa azione di interpretare un elemen-

9. Tadao Ando, Rokko Housing, Kobe, 1981-98.

to tradizionale, lasciandone invariato il significato ma manifestandolo con materiali contemporanei porta alla mente gli scritti di Gottfried Semper13, precursore

della traiettoria tettonica.

Risulta esplicativo questo passaggio di Ando sui pic- coli spazi:

“Questo spazio può fornire un punto speciale di energia ... per recuperare e nutrire lo spirito e l’anima. Vedo lo spazio ideale come se fosse sacro e profano al contempo... sto parlando dell’avvicinamento allo spazio del cosmo. Anche se lo spazio è piccolo, ci può essere il potenziale del cosmo.”14

Anche il metabolismo di Kurokawa sembra aver avuto una qualche influenza sul lavoro di Ando, in particolare nel suo concetto di engawa, la veranda che circonda le case tradizionali giapponesi, e se ne può apprezzare un esempio nel Museo d’Arte Moderna di Fort Worth. Qui Ando ha inteso la galleria all’in- terno del corridoio tra vetro e cemento come spazio di mediazione intesi come l’engawa delle residenze giapponesi.

Ando sostiene che in un mondo che sta diventando sempre più tecnologico e basato sui computer, ciò che sta accadendo è che gli esseri umani si stiano riducen- do a masse, l’estrema attrazione verso l’universalità commerciale elimina differenziazioni tra le varie cul- ture e intende portare ad una sorta di standardizzazio- ne che va escludendo l’individualità culturale. Inoltre, riflette sul fatto che l’universalizzazione possa essere utile alle civiltà, ma senza che ciò metta in pericolo la specificità delle culture. In questa situazione ciò che è di vitale importanza per l’architettura sta prestan- do attenzione alla cultura piuttosto che ai desideri istantanei della civiltà globale, perché l’architettura è profondamente radicata nella cultura e non può getta- re le proprie radici nella globalizzazione per mancanza

10. Tadao Ando, Moder Art Museum, Fort Worth, 2002.

di tempo e profondità. Per cultura, Ando intende “uno sfondo di storia, tradizione, clima e altri fattori naturali e antropologici”15.

Ando sostiene che il suo compito è quello di creare luoghi che esprimono peculiarità regionali e culturali che mettono in risalto il rapporto dell’uomo con la natura e le altre persone.

Ritiene, inoltre, che vi sia una sorta di spiritualità e lo sfondo rituale che è universale per qualsiasi tipo di cultura e afferma anche che vi è un livello astratto e universale nella sua architettura con la quale intende essere in grado di fare le sue opere regionali e univer- sali allo stesso tempo.16

Werner Blaser fa riferimento al termine techne greco in riferimento alle opere di Tadao Ando, che implica sia l’arte che l’artigianato, e afferma inoltre che Tadao Ando, il costruttore dell’architettura meditativa, crea edifici secondo questo principio, la cui bellezza e la contemporaneità sono convincenti.16

La luce è l’origine di tutto nei lavori di Ando. Essa dà profondità alle cose e quindi aiuta la lettura dello spazio. Il principale funzionamento della luce è stret- tamente legato alla funzione del buio. Come sostiene Ando, “ci devono essere delle tenebre nella luce per diventare effettivamente luce”17.

L’oscurità permette alla luce di essere vista e di essere manifestata. La luce eccessiva uccide la luce, il buio eccessivo uccide le tenebre. Per percepire il mondo, sia la luce che le tenebre devono essere contemporane- amente presenti secondo un ventaglio di proporzioni determinati dalla sensibilità dell’occhio umano. Ando crede nella forza delle tenebre e afferma che nella moderna cultura giapponese il senso della profondità e la ricchezza delle tenebre stia andando perdendosi. Ecco perché l’architetto cerca di esprimere il vigore della luce nella sua Architettura. Ad esempio, nel caso della Chiesa della Luce a Ibaraki, l’adoratore diventa consapevole non delle pareti stesse, ma della luce e 11

del suo movimento durante il giorno all’interno delle pareti.

Questo entusiasmo per le questioni illuminotecni- che rende Ando sensibile alla tecnologia. Lui resiste all’impulso della tecnologia fine a sé stessa e la adope- ra a proprio favore nel mettere in evidenza gli aspetti spirituali e poetici di un edificio:

“Quello che ho sempre in mente non è una vita di abbondanza resa possibile dalla tecnologia, ma una vita di abbondanza che trascende la tecnologia.”18

1. K. Frampton, A New Wave of Japanese Architecture, The insitute for Architecture and Urban Studies, New York, 1978. La mostra itinerante ha avuto luogo negli Stati Uniti, e includeva l’esposizione di progetti di Itsuko hasegawa, Toyo Ito, Takefumi Aida, Tadao Ando, Kiko Mozuno, Hiromi Fuji e Kazunari Saka

moto.

2. Tadao Ando (1931) è un architetto giapponese. Dopo aver lavorato come pugile e camionista, si dedica all’architettura come autodidatta, progettando sia in Giappone che all’estero. Nel 1995 vince il premio Pritzker.

3. Il movimento metabolista è stato un gruppo utopista costituitosi agli inizi degli anni sessanta del XX seco- lo in Giappone. Per approfondimenti si rimanda a K. Kurokawa, P. C. Schmal, Kisho Kurokawa: Meta-

bolism And Symbiosis / Metabolismus und Symbiosis, 2005.

4. T. Ando, From Self Enclosed Modern Architecture Towards

Universality,1992.y

5. T. Ando, From Self Enclosed Modern Architecture Towards

Universality,1992.

6. T. Ando, From Self Enclosed Modern Architecture Towards

Universality,1992.

7. T. Ando, From Self Enclosed Modern Architecture Towards

Universality,1992.

8. T. Ando, From Self Enclosed Modern Architecture Towards

Universality,1992.

9. T. Ando, From Self Enclosed Modern Architecture Towards

Universality,1992.

10. T. Ando, From Self Enclosed Modern Architecture Towards

Universality,1992.

11. T. Ando, From Self Enclosed Modern Architecture Towards

Universality,1992.

12. H. Quitzsch, G. Semper, La visione estetica di Semper. I

quattro elementi dell’architettura,1991.

13. T. Ando, From Self Enclosed Modern Architecture Towards

Universality,1992.

Universality,1992.

15. W. Blaser, Tadao Ando – Museum der Weltkulturen im

Rhein, 1999.

16. T. Ando, From Self Enclosed Modern Architecture Towards

Universality,1992.

17. T. Ando, From Self Enclosed Modern Architecture Towards

6

Il Regionalismo Critico nel contesto giapponese:

Nel documento Regionalismo Critico - Il caso giapponese (pagine 120-135)