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Louvre Lens, Lens, 2012.6.5 L’esperienza tattile

Nel documento Regionalismo Critico - Il caso giapponese (pagine 184-200)

Il tempio Tsunyuji è stato costruito in qualche mo- mento imprecisato tra il 1603 e il 1868, ma fu di- strutto durante gli attacchi aerei della seconda guerra mondiale e ricostruito nel 1949 utilizzando solo le limitate risorse disponibili.

Nel corso degli ultimi 60 anni il tempio è stato tra- scurato e alcune parti sono diventate inaccessibili, così i monaci hanno deciso di intervenire per ripristinare la posizione culturale e sacrale della sua gloria passata. Così è stato chiesto all’architetto locale Satoru Hiro- ta18 di ristrutturare il tempio, in particolare di creare

una nuova struttura di accoglienza e anche di organiz- zare l’ingresso centrale e il giardino.

Satoru, il cui nome significa per coincidenza “illu- minazione” in giapponese, ha proposto una combi- nazione di cemento a vista e cedro carbonizzato che interpreta elegantemente l’esperienza tattile dei templi tradizionali in un modo nuovo.

Hirota ha scelto una tavolozza di texture ruvide e lisce, 6.5.1 Satoru Hirota Architects - Tsunyu-ji

alternandole con sensibilità quando esse si vanno ad accostare al legno antico del tempio, alla ghiaia del giardino o carta degli shoji.

In contrasto con l’esterno, che vede l’utilizzo di cemento armato e vetro colorato di bronzo, lo spa- zio interno, con un piano a forma di L, è sviluppato attorno al cortile riempito di luce naturale.

Questa architettura esplora al massimo delle sua potenzialità il tema della luce indiretta che si espande negli ambienti con almeno una riflessione alle spalle su superfici lisce di cemento, andando a depositarsi sugli spazi interni in modo da rivelare le texture in modo singolare.

Infatti tutte le camere si affacciano verso il cortile, anche in considerazione della tutela della privacy, mentre esternamente il progetto si manifesta come un volume chiuso.

Nonostante l’illuminazione interna possa essere insuf- ficiente in termini illuminotecnici, essa richiama di- rettamente per intensità quella delle case tradizionali. L’idea del progettista19 è stata quella di far assomiglia-

re questo spazio di vita ad un piccolo museo di arte, e 6.5.2 Apollo Architects - Grigio

per i residenti che lo abitano funziona anche come un sistema per viaggiare avanti e indietro tra l’ordinarietà e la straordinarietà, dove l’unico albero del cortile funziona come termometro del tempo e dalle sue interazioni con le stagioni se ne percepisce lo scorrere.

Il Tempio dell’Acqua, più che un edificio, consiste in una esperienza sensoriale che rappresenta un cambia- mento radicale nella tradizione secolare della tipologia templare. Ando si avvale di una serie di diversi spazi architettonici concepiti come una successione di teatri per l’iniziazione. Passeggiando tra i fiori di loto, si vuole trasmettere l’idea di un luogo che trascende la vita, un luogo in cui la combinazione di architettura e natura favorisce la meditazione e l’ascesi.

Dopo la discesa della stretta scala fiancheggiata da pareti di cemento, il visitatore raggiunge finalmente lo spazio sacro, dove tutto è avvolto in un vermiglio caldo.

L’accesso al santuario non è immediato: gli elementi geometrici di base obbligano il visitatore a prendere una strada che porta solo gradualmente al luogo di culto. Il santuario è delimitato da due muri semicirco- lari che racchiudono una struttura in legno costruita sul modello tradizionale dei templi shingon, con una 6.5.3 Tadao Ando - Tempio dell’Acqua

statua di Budda Amida nel centro. La sacralità della sala è accentuata dall’uso del colore e della luce: la luce naturale da una singola fonte filtra attraverso una grata dietro la statua del Buddha e inonda la navata, scaldata dal rosso con cui la stanza è dipinta.

La prima impressione in questa architettura di Tadao è la sua materialità, la sua dimensione tattile. Le sue pareti dure sembrano morbido al tatto, come se impa- state dalla luce e dal vento.

Casa in Mt. Fuji è una casa estiva posta sulle pendici settentrionali dell’omonimo monte, 1200m sul livello del mare. Il sito, modellato da sedimenti di sabbia di lava nera e ciottoli, risalenti a molti secoli fa, ondeggia in gran parte in direzione est-ovest, inclinando deli- catamente da sud-ovest a nord-est, con una pendenza media di circa 1/10. A causa delle leggi dei parchi nazionali, le attività di costruzione sono strettamente limitate; ad esempio, gli edifici devono essere costru- iti senza toccare i vecchi alberi. Procedendo secondo questa esclusione è risultato un solo luogo idoneo a ricevere l’ingombro dell’edificio, vale a dire uno spiaz- zo parzialmente a cielo aperto. Il progettista, che ben conosceva i luoghi, ha osservato per intere stagioni il sito, fino a comprendere come il colore dell’estate fosse stato il nero a causa dell’ombra profonda sotto il fogliame lussureggiante.

L’intuizione di Okada è stata semplice e chiara: creare un edificio perso nell’ombra.

Gli architetti Kazuyo Sejima e Ryue Nishizawa hanno voluto evitare di creare un landmark, optando invece per una struttura bassa, facilmente accessibile, che si integrasse nel sito senza imporsi su di esso con la sua presenza. La struttura è composta da cinque corpi di acciaio e vetro. Ci sono quattro rettangoli e una grande piazza con le pareti leggermente curve in corri- spondenza degli angoli.

La luce naturale è controllata per mezzo di un dispo- sitivo di occultamento nel tetto che forma il soffitto. Progettata come una risposta al soffitto a volta, la superficie conserva nella sua luce il cambiamento delle stagioni e delle ore.

Le facciate in alluminio anodizzato riflettono il parco, garantendo la continuità tra il museo e il paesaggio circostante.

Per aprire visivamente e fisicamente il sito, la princi- pale area vetrata presenta un incavo nel cuore dell’e- dificio. Questa delicata scatola di vetro serve come 6.5.5 SANAA - Louvre Lens

ingresso al museo e si presenta come un vero e pro- prio spazio pubblico per la città di Lens.

Il principale elemento che suggerisce un’esperienza tattile di questo edificio è costituito dal modo in cui si relaziona al paesaggio: molti spazi sono contenuti da una facciata di alluminio anodizzato lucidato che fa corrispondere un’immagine indefinita e sfuocata del paesaggio attorno al sito, riflessioni che cambiano a seconda delle stagioni e dei visitatori.

1. Yoshiji Takehara (1952) è un architetto giapponese. Per approfondimenti si rimanda a Y. Takehara, Resi-

dential Architecture, 2008.

2. Kengo Kuma (1954) è un architetto giapponese. Per approfondimenti si rimanda a K. Frampton, Kengo Kuma: complete works, 2013.

3. Takaharu Tezuka (1964) e Yui Tezuka (1968) sono due architetti giapponesi, fondatori dello studio Te- zuka Architects. Per approfondimenti si rimanda a T. Tezuka, Takaharu + Yui: Tezuka Architecture Catalogue, 2008.

4. Satoshi Okada (1964) è un architetto giapponese. Per approfondimenti si rimanda a F. Dal Co, Satoshi

Okada, I miei progetti, la mia Architettura, 2009

5. Ryue Nishizawa (1966) e Kazuyo Seijima (1956) sono due architetti giapponesi, fondatori dello studio SANAA. Per approfondimenti si rimanda a R. Nishi zawa, SANAA 1987-2006, 2005

6. Hiroshi Nakamura (1974) è un architetto giapponese. 7. Yoshio Taniguchi (1937) è un architetto giapponese. Per approfondimento Y. Taniguchi, The Architecture of

Yoshio Taniguchi, 1999.

8. Sou Fujimoto (1971) è un architetto giapponese. Per approfondimenti si rimanda a N. Pollock, Sou

Fujimoto, 2016.

9. Waro Kishi (1950) è un architetto giapponese. Per approfondimenti si rimanda a W.Kishi, Home away

from home, 2016.

10. V. P. Mosco, Nuda Architettura, 2012. 11. V. P. Mosco, Nuda Architettura, 2012.

12. Hiroshi Naito (1950) è un architetto giapponese. 13. Shigeru Ban (1957) è un architetto giapponese. Per approfondimenti si rimanda a P. Jodidio, Shigeru Ban:

complete works, 2015.

14. Takeshi Osaka (1975) è un architetto giapponese.

15. Hiroshi Sambuichi (1958) è un achitetto giapponese. 16. Kazumi Kudo (1960) e Hiroshi Horiba (1960) sono due architetti giapponesi che hanno fondato lo studio Coelecanth Architects.

17. Riken Yamamoto (1945) è un architetto giapponese. Per approfondimenti si rimanda a R.Yamamoto, Riken Yamamoto, 2012.

18. Satoru Hirota (1963) è un architetto giapponese. 19. Satoshi Kurosaki (1970) è un architetto giapponese, fondatore dello studio Apollo Architects.

Il progetto si configura come un caso applicativo, liberamente ispirato ai temi sollevati nella teoria del Regionalismo Critico di Kenneth Frampton, e con- siste nello studio di due unità abitative appartenenti ad un unico cliente ipotetico, una principale per il nucleo familiare del committente e una per gli ospiti, localizzate a Shizuoka presso la prefettura di Atami. La tipologia residenziale è stata scelta in funzione del- lo studio svolto riguardo la cultura dell’abitare tradi- zionale: proprio nell’ambito residenziale si è ritenuto più efficace poter sviluppare un progetto che potesse dare la possibilità di confrontarsi con i cinque punti della teoria.

Il sito si presenta fortemente caratterizzato: i due luoghi scelti per le abitazioni sono una vetta scoperta totalmente bagnata dal sole e un versante boscoso, dalla pendenza accentuata, immerso nell’ombra. Entrambe le posizioni sono a favore di una vista privi- legiata sull’oceano pacifico.

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Questi luoghi, così specificamente caratterizzati, han- no costituiscono due occasioni di riflessione diverse, in particolare riguardo la morfologia del terreno e il carattere della luce che vi si manifesta.

Nell’ottica di un approccio topologico, si è deciso di sviluppare la main house come un edificio orizzontale, assecondando lo sviluppo planare del terreno.

Sul pendio antistante la main house si possono di- stinguere due discese più ripide che procedono in direzioni approssimativamente ortogonali tra di loro; nel progetto si è cercato di proiettare gli affacci dei volumi secondo questa giacitura, prima facendo affacciare il piano terra verso la discesa che scende più velocemente verso il mare, poi con l’orientamento del primo piano, ortogonale al primo e rivolto al secondo versante ripido.

La guest house si struttura invece secondo una fram- mentazione verticale accentuata dalla forte pendenza del terreno, dove, attraverso uno sfalsamento di piani, si vuole invitare a percorrere l’edificio vivendo l’espe- rienza di una scoperta continua.

Questa disposizione ‘a gradoni’ dei volumi è stata sottolineata da una serie di doppi ingressi, sia interni che esterni, i quali rendono l’edificio molteplicemente connesso con sé stesso e con il contesto naturale: si è chiamati ad affrontare l’esperienza della foresta a più livelli, nella porzione più bassa le due camere, che si immergono quasi completamente dentro il terreno, quindi salendo verso l’ingresso e la cucina, poi una terrazza sopra elevata, dopodiché il salotto e infine il tetto giardino.

Riguardo lo schema planimetrico si è ascoltata l’in- terpretazione che Wright ha dato della villa Katsura a proposito della fluidità spaziale con la quale i volumi si intersecano con l’ambiente.

In entrambe le abitazioni il rapporto interno ed ester- no è stato dedotto dalla cultura giapponese: il vento, la luce, la vista del paesaggio sono espansi e nascosti

in modo alternato attraverso le aperture a tutta altezza che incorniciano il paesaggio, quasi sempre costitu- ite da pannelli scorrevoli che, nel caso specifico del soggiorno della main house, recupera la tradizionale strategia della ventilazione naturale.

Riguarda il percorso d‘ingresso si è seguito uno schema planimetrico dettato da due movimenti: sia per l’ambiente principale, ovvero la zona giorno, così come per la stanza da tè della main house e l’ingresso alla guest house, si segue il tema della compressione e dell’espansione dello spazio derivata dalla disposizione tradizionale del teatro no: c’è uno spazio introduttivo laterale, stretto e lungo, che dopo almeno una devia- zione brusca conduce all’ambiente principale. In entrambe le residenze si è cercato anche di offrire un’interpretazione contemporanea degli elementi spe- cifici dell’architettura tradizionale giapponese descritti nei capitoli precedenti.

Nella main house ogni ambiente è delimitato da uno spazio intermedio richiamando il tema dell’engawa, che, oltre a cercare di appartenere contemporanea- mente all’interno e all’esterno dell’abitazione grazie all’utilizzo di vetrate scorrevoli che ricordano gli shoji, crea una zona d’ombra intermedia data la corrispon- denza dell’aggetto di gronda superiore, contribuendo così ad addensare così quella interna.

Sempre nella main house è stato studiato un giardino zen, disposto a nord come da tradizione, avvolto tra l’engawa e da uno sfondo uniforme.

L’engawa attorno al giardino roccioso si configura come un luogo di sintesi tra il portico orientale e quello occidentale: lo spazio è scandito in campate quadrate, come in alcune costruzioni geometriche rinascimentali, il cui modulo corrisponde alla giustap- posizione di due tatami.

La costruzione geometrica di questo spazio è stata sottolineata dall’utilizzo dalla struttura in acciaio, tettonicamente concepita, formata da travi e sostegni

verticali, cromaticamente distinti rispetto allo sfondo. Il profilo dei pilastri è stato disegnato con un approc- cio artigianale: un piccolo plinto in c.a. su cui si pog- giano due profili a ‘c’ in acciaio, distaccati tra di loro, le cui ali si rivolgono in direzioni opposte che corrono parallele per interrompersi in prossimità dell’estremità superiore.

Il pilastro rappresenta anch’esso un tentativo di sintesi tra le due culture. Il pilastro giapponese, hashira, tradizionalmente monolitico, è stato partito come una colonna occidentale, secondo la successione di piede-fusto-testa, pur mantenendo una complessiva unitarietà visiva e cromatica.

Il giardino zen, costituito da rocce disposte su un letto di ghiaia, a differenza di quelli tradizionali, possiede un centro visivo, costituito da una rocca principale disposta al centro geometrico del rettangolo, come nei pozzi delle corti italiane. Questo centro, inelimi- nabile, è stato sigillato dalla presenza di un piccolo piedistallo che vuole identificarlo come il centro di qualsiasi composizione delle pietre limitrofe.

Attorno a questo perno visivo vanno dispiegandosi le altre rocce, nello specifico della configurazione proget- tuale che vuole essere soltanto un caso esemplificativo di molti, che si distanziano secondo un movimen- to che segue la traiettoria di una spirale aurea, così determinando uno spazio allo stesso tempo istintivo e visivamente bilanciato, come nella tradizione giappo- nese, e sotteso da una logica matematica, come in una ipotesi di concezione italiana, nello specifico quella rinascimentale.

Compreso il fatto che cultura giapponese sia vietato calpestare la ghiaia, al piano superiore, per distaccare i terrazzi e mantenere la privacy delle due camere si è ricordo ad un cambio di pavimentazione, frap- ponendo un sottile strato di ghiaia interposto tra le due aperture. Su questa piccola superficie di ghiaia si affaccia la stanza dove è presente la vasca da bagno.

Nel documento Regionalismo Critico - Il caso giapponese (pagine 184-200)