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Le elezioni del 15 giugno

Nel documento Catania e i Sindaci del secondo dopoguerra (pagine 161-167)

Reduci * Elaborazione dei dati ricavati dalle delibere comunali consultate presso l’Archivio Comunale di Catania.

I SINDACI DI DRAGO 6.1 Giuseppe Gull

6.4 Le elezioni del 15 giugno

Dopo il 1968 il nostro Paese visse l’epoca più travagliata della storia del suo secondo dopoguerra. L’esplodere della contestazione studentesca e delle lotte di massa, la perdita di credibilità delle istituzioni e l’instabilità dei governi, le trame per una involuzione autoritaria e il terrorismo organizzato furono considerati i sintomi di una svolta cosi radicale che fece pensare più volte al crollo del sistema su cui era stata costituita la Repubblica.

L’intero sistema partitico subì le conseguenze dovute a questa tipologia di crisi e nel mezzo di essa, come del resto anche del sistema, vi fu soprattutto quella stessa Democrazia Cristiana che era stata l’artefice della politica italiana dei primi anni del secondo dopoguerra continuando

a gestire i meccanismi di potere, soprattutto come partito di maggioranza relativa, non solamente al centro, ma anche nella maggior parte della periferia. Impotente e ambigua di fronte alle sfide della società civile, la DC fu percorsa al suo interno da un processo di disgregazione che non ebbe precedenti e, nonostante queste tensioni di rilevante entità, arrivò alle elezioni amministrative del 15 giugno 1975 con la pretesa di esprimere il nuovo sindaco.

Le problematiche che Catania dovette affrontare, in quel particolare momento, furono enormi come del resto altrettante furono quelle della stessa Democrazia Cristiana per la profondità del logoramento della situazione politico-amministrativa. Inoltre gli uomini presenti in quel frangente, nel panorama democratico cristiano catanese, da proporre agli elettori come potenziali nuovi sindaci erano solamente personaggi di ″seconda o terza fila″29 e Drago, al fine di evitare una rilevante sconfitta che senza dubbio sarebbe stata addebitata alla sua gestione oltre che a lui personalmente, ‹‹considerò la necessità di una brusca sterzata all’andazzo politico-amministrativo della DC catanese e, soprattutto, alla guida dell’amministrazione. E così, come spesso avviene nei momenti di crisi, nei quali si devono sovvertire i comportamenti che fino ad allora non hanno avuto successo, pensò ad un uomo fuori dalla

routine ordinaria, dotato di grande prestigio e di sicura autorità››30 e

decise di ″ripescare″ il personaggio Magrì

La candidatura di Domenico Magrì a sindaco di Catania in quelle elezioni rappresentò da parte di Drago l’occasione per tentare di vincere una partita, anche se a carte scoperte, ma sempre con un asso nella manica, considerando che in quel momento egli aveva in città le redini della gestione del partito, e in generale di tutto l’entourage democristiano, e che era necessario, se non addirittura indispensabile, raddrizzare a qualunque costo le sorti della Democrazia Cristiana

29 G. Azzaro, La deriva oligarchica, cit., p. 165. 30 S. Nicolosi, Il caso Catania, cit., p. 324.

catanese. Il quotidiano locale del pomeriggio non mancò, ancora una volta, di proporre ai suoi lettori un’analisi concreta, anche se superficiale, non solo di quanto stava accadendo nel panorama politico cittadino, ma anche delle illusioni degli anni precedenti ‹‹[…] Catania sembrava lanciata verso un avvenire di grande metropoli, nel settore dell’industria soprattutto e del commercio. Purtroppo, ora in prospettiva si deve riconoscere che anche in quegli anni apparentemente felici non tutto andava sempre per il giusto verso: c’era miseria, il tasso di disoccupazione era certo più alto di quello odierno, il tenore di vita era molto più basso. Catania viveva i sogni e le illusioni della metropoli […]››31.

Si trattò, in quella occasione, di giocare una partita molto difficile su uno scacchiere altrettanto articolato che non consentiva la possibilità di sbagliare e che permetteva solamente mosse strategiche. E la sola mossa strategica che si poteva tentare, come abbiamo detto, fu la candidatura a sindaco di Magrì, personaggio di primo piano che, grazie anche alla sua prima esperienza di sindaco oltre che al suo passato di politico nazionale, poteva ancora godere non solamente di una certa autorità sulla DC catanese, ma soprattutto di credibilità nei confronti degli elettori. ‹‹[…] Drago considerò la necessità di una brusca sterzata all’andazzo politico-amministrativo della DC catanese e, soprattutto, alla guida dell’amministrazione. E cosi, come spesso avviene nei momenti di crisi, nei quali si devono sovvertire i comportamenti che fino ad allora non hanno avuto successo, pensò ad un uomo fuori dalla routine ordinaria, dotato di grande prestigio e di sicura autorità››32.

Al momento della candidatura a nuovo sindaco, il senatore Magrì aveva ben 72 anni e quindi era lontano dalla logica e dall’interesse dal voler ricavare dalla sua nuova attività amministrativa favoritismi di alcun tipo. Inoltre, avendo già guidato egregiamente Catania per un anno e

31 ‹‹Domenico Magrì: l’asso nella manica della DC››, in Espresso Sera, Catania 24/25 aprile 1975. 32 S. Nicolosi, Il caso Catania, cit., p. 324.

mezzo tra il 1952 e il 1953, nei suoi confronti si nutrivano aspettative concrete. Gli accadimenti degli anni successivi dimostrarono però che una semplice mossa vincente e un personaggio carismatico non furono sufficienti per risolvere tutti i problemi che da tempo, purtroppo, attanagliavano la città, soprattutto considerando che ormai Magrì non poteva più esercitare quella stessa influenza che gli aveva permesso di rimanere al vertice della politica catanese, e ciò era dovuto soprattutto alla sua protratta lontananza dal Consiglio comunale cittadino, in riferimento agli impegni governativi.

Domenico Magrì condusse comunque una campagna elettorale coerente alla sua personalità, improntata ai principi etici del buon governo e dell’interesse della città, sbandierando a tutto campo i tre capisaldi fondamentali che avrebbero dovuto poi condurre, quasi di conseguenza, a quella che sarebbe dovuta essere la condotta per una buona amministrazione. Essi erano intraprendenza, amor civico e lotta al clientelismo. Soprattutto su quest’ultimo punto – guarda caso il clientelismo che era stato l’elemento principale della stagione fortunata della DC catanese – il candidato sindaco cercò di concentrare il massimo delle sue forze affermando a malincuore che il clientelismo, in ogni caso, è un male che non si può sconfiggere subito ed in toto, cioè andando alla radice, ma che per avere dei risultati reali necessita di un costante e continuo impegno della collettività perchè ‹‹la battaglia contro il clientelismo va combattuta puntando contro gli abusi più gravi, più dannosi e più individuabili››33. E per ottenere ciò, il candidato sindaco sosteneva che era necessario ‹‹1. contenere il personale degli enti pubblici ai livelli indispensabili; 2. non consentire che, per favoritismo, dipendenti pubblici non facciano quello per cui riscuotono uno stipendio; 3. non disanimare, con sperequazioni e ingiustizie, i benintenzionati››34. Egli così intese pertanto mettere al primo posto l’interesse generale a

33 ‹‹Intraprendenza, amor civico e lotta al clientelismo – Risponde l’on. Domenico Magrì, ex sindaco di

Catania››, in La Sicilia, Catania 13 aprile 1975.

quello particolare, convinto che in questa maniera l’attività politica avrebbe potuto riprendere quel tono necessario per rinvigorirsi, portando, di conseguenza, quella efficienza amministrativa che a Catania mancava da troppo tempo.

Purtroppo le sue buone intenzioni si andarono a scontrare con quelle di quei personaggi che erano stati non solo i portatori ma anche i dispensatori di quegli ″interessi particolari″, e che pertanto riuscirono a rendere più che vane le sue parole. Egli si rese subito ben conto che la DC non era nelle condizioni di potere confermare i risultati delle precedenti elezioni amministrative, soprattutto in considerazione dell’inefficienza della macchina elettorale dello stesso partito che ormai, fra l’altro, non poteva contare come prima su quella tipologia di appoggi esterni che avevano dato l’ossigeno necessario per marcare le precedenti affermazioni. La sua speranza rimaneva quella che al conto dei voti il partito non perdesse troppi seggi in consiglio comunale, rimanendo largamente il partito di maggioranza. Ma il 15 giugno 1975 di seggi la DC ne perse molti, ben sei. Il partito passò così dai 30 consiglieri che aveva ottenuto nel 1964, ai 29 del 1970, e addirittura ai 23 di quell’anno, registrando solo il 36% dei suffragi, contro il quasi 45% delle elezioni del 1970.

A rafforzarsi furono soprattutto i suoi diretti avversari: il PCI si portò con il 18.2% dei voti da 10 a 11 seggi, mentre il MSI-DN raggiunse addirittura il 17.7% dei consensi aumentando i suoi consiglieri a 11, conquistando addirittura ben sei seggi in più. Gli altri risultati videro il PSDI guadagnare un seggio, passando da 3 a 4, con 6,4% dei voti; il PRI col 7.87% guadagnarne 2, ottenendo quindi 5 consiglieri comunali; il PSI con l’ 8.55% di consensi rimanere sulle stesse posizioni delle precedenti elezioni, conservando quindi 5 seggi e il PLI subire una batosta, in proporzione simile a quella democristiana, infatti con il 2.37% dei voti perdette due consiglieri e si assestò su un solo seggio.

L’analisi politica del momento riscontrò in questo risultato elettorale un evidente voto di protesta che la città aveva espresso, anche se in sintonia con il risultato elettorale del Paese, nei confronti dei vecchi amministratori, sempre democristiani, che non avevano perseguito gli interessi dei catanesi in funzione di una saggia e razionale amministrazione cittadina. Domenico Magrì comunque risultò, come dalle aspettative che erano state alla base della sua candidatura, il candidato democristiano che ottenne il maggior numero di preferenze con 11.071 voti, non nella città ma nel partito, mentre Domenico Sudano si piazzò al secondo posto con 8.235 voti, e la solita Agata Carruba al terzo posto con 7.456 voti. Il più votato in assoluto della città, a prescindere dal partito politico di appartenenza, fu invece il candidato del MSI-DN Biagio Pecorino che ottenne 20.710 preferenze personali, riportando quindi quasi dieci mila voti in più del futuro sindaco. Il candidato che registrò più voti nel PCI fu il solito funzionario del partito, Giulio Quercini, che reggeva la federazione catanese.

Si ebbe un risultato quindi pesante per la Democrazia Cristiana che venne così, giustamente, punita dalla popolazione catanese, sicuramente per le molte inadempienze relative soprattutto al tanto auspicato decollo della città che da più parti era stato reclamato, oltre che per una evidente disfunzione amministrativa che era da addebitare esclusivamente alla metodologia gestionale. ‹‹Questo risultato elettorale fu malinconicamente denominato, dalla DC, la lezione del 15 giugno: una punizione cioè per gli errori, le omissioni e i comportamenti fin allora tenuti dal Consiglio comunale e, più ancora, dalle Giunte via via succedutesi››35. Anche alle elezioni per il rinnovo dell’Amministrazione provinciale la Democrazia Cristiana perse due importanti seggi, ottenendone solamente 15, e passando dal 42.89% dei voti delle precedenti elezioni provinciali, al 36.7%. Il PSI, il PCI, invece ne guadagnarono uno ciascuno mentre il MSI-DN aumentò di ben tre

consiglieri. Venne eletto, dopo quasi due mesi di trattative, Presidente della Provincia il repubblicano Stefano Scandurra.

Con il risultato elettorale del 15 giugno 1975, a prescindere da tutte le posizioni che si erano assunte e dalle belle parole che furono spese, si aprì a Catania ‹‹un’altra fase della vita politica caratterizzata da una nuova figura di dirigente politico e dalla inaugurazione di un nuovo modo di ″fare politica″ e di amministrare la città [che] provocherà fratture insanabili nelle forze politiche catanesi e determinerà la formazione di quello che è stato definito ″il Superpartito″ preposto essenzialmente alla gestione degli affari, da cui la definizione di ″Comitato d’Affari″ […] abbandonando le vecchie logiche dello scambio attuato a diversi livelli, per impegnarsi nella distribuzione di risorse […] la ″politica″ è l’elemento assente››36.

Nel documento Catania e i Sindaci del secondo dopoguerra (pagine 161-167)