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Un monarchico liberale

Reduci * Elaborazione dei dati ricavati dalle delibere comunali consultate presso l’Archivio Comunale di Catania.

3.5 Un monarchico liberale

Le manovre democristiane si rivelarono subito fallimentari perché, pur provocando le dimissioni della giunta Pittari, non riuscirono a produrre l’effetto desiderato. Tutti gli altri partiti presenti in consiglio comunale si coalizzarono impedendone lo scioglimento e le conseguenti elezioni. Ancora una volta fu determinante l’intervento del prefetto Biancorosso, abile mediatore, che favorì il raggiungimento di un accordo in tempi molto brevi e la formazione di una nuova giunta con l’adesione del Fronte demo-liberal-qualunquista, della Democrazia Cristiana, del Movimento indipendentista e del PSLI.

Il consiglio comunale che si riunì il 7 luglio accettò quindi prima le dimissioni di Pittari e poi elesse il sindaco. Con 29 voti favorevoli, come concordato qualche giorno prima alla presenza del prefetto, risultò primo cittadino di Catania Giovanni Perni, un avvocato civilista, monarchico liberale, appartenente al Fronte demo-liberal-qualunquista30. Dopo soli cinque giorni furono eletti anche gli assessori: Condorelli, Fischetti, Francalanza e Majorana del Fronte dlq; Agnini, Carciotto, Cavallaro e D’Urso della DC; Galli, Gallo Poggi e Paternò Castello del MIS e Florio del PSLI.

Sindaco e giunta si misero immediatamente al lavoro, mentre ovunque si coglievano segni di ripresa, e la città reagiva non solamente per sganciarsi dalla tragica eredità della guerra, ma per assicurarsi una prospettiva che interessava non solamente i vari settori della vita economica e sociale, ma anche culturale e, perché no!, ludica. Era un aspetto questo, in relazione al momento in cui si viveva, da non sottovalutare perché esprimeva parte di quella capacità di proiettarsi nel futuro che avevano le generazioni più giovani, quella gente nuova che si lanciò nella ricostruzione come se avesse ricevuto dalla guerra e dalle sue conseguenze una frustata elettrizzante per rimettere in moto la società

catanese31. L’assetto del trasporto pubblico tranviario, la costruzione di un grande albergo a piazza Verga, la sistemazione di via Pacini, l’individuazione dell’area di Pantano d’Arci, di proprietà del demanio comunale, per la realizzazione della zona industriale, l’ampliamento dell’ospedale Garibaldi, la nomina di una commissione per lo studio e l’aggiornamento del piano regolatore del 1934, sono una sintesi veloce di tutta una serie di attività intraprese, fino ad arrivare al progetto di risanamento del quartiere San Berillo, compreso nei sette piani di ricostruzione che riguardavano la città.

Sembra che l’accordo politico che abbia consentito a Perni di essere eletto sindaco avesse alle spalle proprio la ricostruzione e i lavori pubblici da finanziare con il Fondo regionale di solidarietà nazionale, nonostante la città non aveva poi subito per la guerra danni rilevanti al patrimonio edilizio. ‹‹Sicché la 'ricostruzione' è un pretesto per rilanciare gli antichi progetti di risanamento: sette i quartieri interessati, San Berillo, Consolazione, Zia Lisa, Idria-Antico Corso, Civita, Teatro Greco e San Cristoforo››32. Fu significativo in proposito l’intervento dell’allora presidente della Regione Siciliana, Restivo, che parlando ai catanesi assicurò la realizzazione di quella che sarebbe stata l’arteria tanto auspicata di corso Sicilia, per collegare piazza Stesicoro con la stazione ferroviaria, abbattendo tutto quell’agglomerato di case e casupole fatiscenti e maleodoranti, attraversato da viuzze e vicoli non pavimentati, privo dei più elementari servizi.

Nel frattempo la geografia del consiglio comunale cambiò assetto, soprattutto per una migrazione di consiglieri da uno schieramento all’altro: la DC acquisì ben sei unità, passando da 8 a 14 consiglieri, il MIS ne perdette 5 e il Fronte Popolare ne guadagnò 2, contandone complessivamente 11. Scomparvero i gruppi dei combattenti e del PSLI e se ne costituirono due nuovi: quello del MSI e quello degli indipendenti

31 A. Recupero, Catania tra nostalgia sottile e vitalità irrefrenabile, Messina 2005, p. 28. 32 G. Giarrizzo, Catania, Bari 1986, p. 276.

cui aderirono rispettivamente 5 e 10 consiglieri. Da questa operazione ne uscì ridimensionato il gruppo demo-liberal-qualunquista che rimase solamente con una decina consiglieri dai 18 iniziali. Il partito di maggioranza relativa diventò quindi la Democrazia Cristiana che, senza mezzi termini, tentò di sviluppare un meccanismo perverso per arrivare alla poltrona di sindaco, forse con la complicità di quello stesso prefetto che si era sempre adoperato per fare superare le incomprensioni fra i rappresentanti dei partiti per l’elezione del sindaco. Infatti, oltre a un evento casuale e fortuito che provocò morti e feriti e che per i funerali dei primi diede adito a incomprensioni poi superate, furono alcune ispezioni ordinate dal prefetto su presunte irregolarità amministrative a provocare le dimissioni del sindaco, non ultima quella ″ispezione generale″ affidata allo stesso funzionario, Salvatore Pepe, che dal mese di settembre del 1945 a quello di gennaio del 1947, cioè nel periodo tra le dimissioni del sindaco Ardizzoni e l’elezione di Guarnaccia, era stato commissario prefettizio al comune.

Il sindaco e la giunta, anche se gli assessori DC non ne erano tanto convinti, il 23 agosto presentarono le dimissioni al consiglio che accettò quelle della giunta, ma respinse quelle di Perni che, pur avendo avuta confermata la fiducia, le dichiarò irrevocabili. Catania pertanto rimase ancora una volta senza sindaco in un clima di perplessità e di incertezze politiche, soprattutto in considerazione della tangibile e riscontrabile attività intrapresa e portata avanti dal sindaco uscente. Gli eventi non poterono che suscitare un clima ampiamente polemico, oltre che confermare i sospetti dell’avvenuto intervento governativo, mentre era in carica il sesto Governo De Gasperi con ministro dell’Interno Mario Scelba, democristiano, calatino, punta di diamante della Democrazia Cristiana catanese. In quell’occasione fu particolarmente polemico il botta e risposta fra il prefetto e uno dei ben cinque quotidiani che in quel periodo si stampavano a Catania. ‹‹Comunque – si leggeva in un quotidiano catanese – la situazione è questa: il sindaco Perni deve andar

via. Non per voto di sfiducia, ma per provvedimenti dall’alto. […] I sistemi sbrigativi ed antiliberali del partito al governo rimangono purtroppo a testimoniare che altro è parlare di democrazia altro è professarla con dignità e rispetto delle altrui libertà. […] Invocare serenità dal prefetto è inutile. Il prefetto, in casi di questo genere, non si chiama Biancorosso: si chiama Scelba […] costretto a turbare, per ″superiori esigenze″, le tranquille coscienze dei cittadini, nel suo stesso collegio elettorale››33.