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LE ELEZIONI DEL 1946 3.1 Si vota!

Il 2 giugno del 1946, finalmente, si vota. Le ultime elezioni democratiche si erano svolte, più o meno in tutta la penisola, nel 1920, per il rinnovo delle amministrazioni comunali. In quella occasione, ancora una volta, votarono solamente i maschi che avevano compiuto la maggiore età, nonostante da più parti e da tempo si fosse levata la richiesta di estendere il voto anche alle donne1.

Trascorsi più di venticinque anni – un quarto di secolo – da quando le urne furono chiuse ermeticamente, l’intera popolazione del Paese, senza distinzione di sesso, solamente con il limite dei ventuno anni, fu più che pronta a recarsi a votare, soprattutto per operare una scelta importante: repubblica o monarchia. Il nord, com’è noto, diede una risposta differente da quella del meridione monarchico e delle isole, e alla fine dei conti ebbe la meglio l’istituto repubblicano, con uno scarto non così eccessivo di voti che fece gridare al broglio da parte dei monarchici sconfitti2. Ma in democrazia si vince anche con un voto di differenza. Contemporaneamente, quello stesso 2 giugno del 1946, gli italiani, sempre uomini e donne, votarono anche per la composizione dell’Assemblea Costituente che avrebbe dovuto disegnare il nuovo modello di Stato in relazione al risultato referendario. In questo contesto la situazione fu diversa perché i partiti politici democratici e non fascisti,

1 La proposta del fascismo di estendere il diritto di voto alle donne non si concretizzò. Passò, invece, la legge

18 novembre 1923 n. 2444. Estensore materiale fu Giacomo Acerbo, sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei Ministri. Il disegno di legge fu approvato dal Consiglio dei Ministri del 4 giugno 1923 e successivamente dalla Camera dei Deputati il 21 luglio dello stesso anno. Essa "sancisce il passaggio dal proporzionale al maggioritario. Con il nuovo dispositivo, la lista vincente, che raggiunge un quorum del 25% dei voti, ottiene i due terzi dei seggi e l’elezione in blocco di tutti i suoi candidati." (G. Astuto, L’Amministrazione italiana. Dal centralismo napoleonico al federalismo amministrativo, Roma 2009, p. 196).

2 Il Paese si spaccò drammaticamente in due: mentre il centro-nord votò quasi compatto per la repubblica, il

sud e le isole appoggiarono la monarchia. La differenza di voto fu dovuta sostanzialmente al persistere in meridione del regno monarchico, mentre al nord si combatteva la Resistenza in P.Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi, Torino 1989, p. 129. L’affluenza alle urne fu circa del 90%, i voti per la repubblica furono 12.717.923 (54,2%), i voti per la monarchia 10.719.248 (45,8%).

che nel frattempo si erano ricostituiti e riorganizzati, portarono avanti una battaglia ognuno pro domo sua, vista in una dimensione più individuale di quella referendaria, perché si trattò di eleggere dei candidati, anche se le due consultazioni furono comunque sempre politiche e così interconnesse da non potere fare distinzione, in campagna elettorale, nella richiesta di voto rivolta ai cittadini. Questa differente espressione di suffragi in contemporanea, ma disgiunti tra partito e sistema istituzionale, non poté che essere sin da subito letta come il segnale della maturità politica del popolo italiano che, nonostante per oltre venti anni fosse stato emarginato proprio dalla politica da un sistema autoritario e repressivo, dimostrò di avere percepito chiaramente la differenza esistente fra le due scelte che era stato chiamato ad operare, non confondendo lo Stato istituzione con lo Stato soggetto politico, economico e sociale.

In quella occasione vinse veramente la democrazia. Ottennero più voti la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista, il Partito Comunista, e meno di quanto ci si aspettasse l’ Unione Democratica Nazionale nonostante annoverasse tra le sue fila gli esponenti della tradizione liberale. Altri voti contabilizzabili significatamene, anche se in minore percentuale, andarono al Fronte dell’Uomo Qualunque, al Partito Repubblicano, al Blocco Nazionale della Libertà e al Partito d’Azione3.

I risultati del voto espresso per l’Assemblea Costituente erano stati precedentemente testati soprattutto dalla DC di De Gasperi, presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, che tra la fine di marzo e l’inizio di aprile aveva fatto precedere le elezioni nazionali da una tornata di amministrative4, consigliato dagli alleati con cui aveva instaurato un rapporto preferenziale, al fine di avere un quadro attendibile della situazione politica che sarebbe venuta a concretizzarsi nel Paese. Infatti il primo congresso nazionale dei DC, che si svolse poi dal 24 al 27 aprile di

3 Fonte Ministero dell’Interno. Risultati del voto per l’Assemblea Costituente e distribuzione dei seggi: DC

(35,18%): 207 seggi; PSIUP (20,72%): 115 seggi; PCI (18,97%): 104 seggi; UDN (6,76%): 41 seggi; UQ (5,28%): 30 seggi; PRI (4,37%): 23 seggi; BNL (2,77%): 16 seggi; PdA (1,46%): 7 seggi; liste minori: 13 seggi. (Cfr. A. Lepre, Storia della prima repubblica. L’Italia dal 1942 al 1992, Bologna, 1999, pp. 72-73). Fra le liste minori è compreso il MIS che conquistò 4 seggi.

quello stesso anno, definì le linee guida con cui il partito avrebbe dovuto incisivamente affrontare la campagna elettorale sperando – essendo l’unico partito ″cattolico″ – di conquistare il consenso dei credenti di tutti i ceti e categorie sociali che, ostili al comunismo e al socialismo, condividevano il rispetto della proprietà privata e della morale cattolica5. Catania, in attesa di essere chiamata alle urne per eleggere il nuovo sindaco dopo le dimissioni di Ardizzoni, affrontò le consultazioni nazionali con l’entusiasmo del caso e con una attiva partecipazione alla vita politica. Il prefetto già, nella sua relazione del primo trimestre del 1945, aveva scritto:

‹‹La partecipazione della popolazione alla vita politica dei partiti era più intensa che non nel precedente trimestre del decorso anno. Il vecchio sistema politico, che imbavagliava ed intontiva lo spirito pubblico, lasciava perplessi, sfiduciati, confusi e disorientati i cittadini, i quali, anche nel nuovo clima della riconquistata libertà, temevano di essere allettati dai partiti per gli interessi di una ristretta cerchia di persona. Le masse sentivano sempre più l’importanza del ruolo che la nuova realtà sociale ad esse assegnava nella ricostruzione del grande ufficio della nazione italiana. Provare fu la loro maggiore partecipazione alle manifestazioni dei partiti, i quali, specialmente negli ultimi tempi, avevano serrato la fila per potenziare e sviluppare la rispettiva organizzazione››6.

La Chiesa, che non aveva particolari interessi sul voto del referendum istituzionale non esercitò alcuna influenza, come invece fece in seguito, alla vigilia delle elezioni regionali del 1947 e politiche del 1948, per mezzo di una lettera pastorale dell’arcivescovo, mons. Carmelo Patanè, indirizzata al Clero e al popolo dell’Arcidiocesi, lasciando trasparire nei confronti della Democrazia Cristiana una certa ″raccomandazione″ che suscitò la reazione degli altri partiti politici7. Nella circoscrizione della Sicilia orientale che faceva riferimento alla Corte d’Appello di Catania furono presentate per la Costituente ben

5 G. Poidomani, Lezioni di Storia dell’Italia repubblicana, Ragusa 2007, p. 26.

6 ACS, Roma, MI, Gabinetto, Partiti politici, 1944-46, b. 200, Catania, Il prefetto di Catania Vitelli al

ministero dell’Interno gabinetto, 7 maggio 1945.

7 Il titolo della pastorale era “Il dovere del voto nell’ora presente”. Cfr. Bollettino ecclesiastico, n. 1, marzo

dodici liste di candidati. La campagna elettorale si svolse in quei due mesi, con scambio di battute polemiche ma civili, in un clima sereno e non vide la presenza di molti oratori di grido, tranne che di Giannini dell’Uomo Qualunque, del liberale Vittorio Emanuele Orlando presentato in piazza Università dal rettore Dante Majorana e, in un cinema cittadino, del presidente del Consiglio De Gasperi presentato ovviamente dal ministro Scelba. Quasi alla vigilia delle votazioni, il 29 maggio, arrivò in visita re Umberto II che percorse le vie della città applaudito dalla folla e che, dal balcone della prefettura, indirizzò un saluto alla popolazione 8. In quello stesso pomeriggio gli risposero i repubblicani Lo Presti e Sapienza che tennero un affollato comizio in piazza Carlo Alberto.

La stampa locale, in occasione di quelle elezioni, non mancò di prendere posizioni esplicite a favore dei partiti, e un po’ meno per i singoli candidati. Il vecchio ″Corriere di Sicilia″ diede il proprio appoggio ai demolaburisti, mentre ″La Sicilia″ sostenne i candidati liberali presenti nella lista dell’Unione Democratica Nazionale (UDN). Il nuovo quotidiano monarchico ″La voce dell’isola″9 naturalmente portò avanti la causa del Blocco Nazionale della Libertà e il settimanale ″Il combattente″, diretto dall’avv. Carmelo Villarà, vice commissario nazionale dell’ANCR10, si diede da fare per portare allo scranno parlamentare il suo direttore. Delle due votazioni del 2 giugno, anche a Catania, come nel resto del Paese, il risultato più atteso fu quello del referendum: 99.668 voti furono per la monarchia, 22.565 per la repubblica. La visita di Umberto a ridosso del voto e la presenza di molte famiglie nobili in città fecero risultare Catania come la seconda città più monarchica d’Italia, preceduta solamente da Napoli. I risultati definitivi del referendum furono diffusi dalle competenti fonti governative solamente nel tardo pomeriggio del 5 giugno; ancora i giornali non

8 La prefettura in quel periodo aveva sede presso Palazzo della Borsa, zona Tribunali, prospiciente su via

Sant’Euplio, piazza Stesicoro e la Salita dei Cappuccini.

9 Quotidiano politico del mattino, dichiaratamente monarchico, il cui primo numero era uscito il 14 aprile

1945, nato dalla riorganizzazione editoriale del settimanale ″Giornale dell’isola″, diretto da Gaetano Tedeschi.

potevano pubblicare proiezioni, ma solo pronostici, non avendo a supporto metodologie scientifiche di calcolo. La mattina del 6 invece, insieme a numeri e percentuali, ″La Sicilia″ – da buon quotidiano liberale – titolò in prima pagina ‹‹Nella via del Risorgimento››, mentre il ″Corriere di Sicilia" si limitò ad un più sobrio ‹‹Viva l’Italia!››, sintesi di quel sentimento coinvolgente che contemporaneamente contempla la dedizione per la libertà e per la democrazia. Di opposto tenore il filo- monarchico ″La voce dell’isola″ il cui articolo di fondo di quel 6 giugno 1946 così concludeva: ‹‹Nel 1919 il Settentrione impose il fascismo: il Mezzogiorno lo subì. Nel 1940 il Settentrione impose la guerra: il Mezzogiorno la subì. Nel 1945 il settentrione si immerse in un bagno di sangue: il Mezzogiorno se ne astenne inorridito. Ora, il Settentrione impone la repubblica: il Mezzogiorno non ne ha colpa: Iddio protegga la patria!››11.

I risultati per la composizione dell’Assemblea Costituente non si lasciarono attendere: la provincia di Catania risultò essere la più democristiana di tutta la Sicilia con 141.701 voti e nella città capoluogo la Democrazia Cristiana fece anche un lauto bottino con più del 40% di consensi. Nell’intera circoscrizione della Sicilia orientale, comprendente le province di Catania, Messina, Siracusa, Catania ed Enna, furono eletti con il sistema proporzionale ventitre parlamentari: dieci andarono alla DC, quattro all’UDN, tre al PSIUP, due al MIS, due all’UQ, due al MIS, ed uno ciascuno al PCI e al BNL12.

11 Cfr. S. Nicolosi, Uno splendido ventennio, Catania 1984, pp. 162-165. 12 Vedasi la tabella riportata nelle pagine successive.

ELEZIONIPERL’ASSEMBLEACOSTITUENTE*