II. Le edizioni critiche principali
2. A NALISI D EI V ERSI 1-
2.2. L'entrata in scena di Sileno e il patteggiamento della ricompensa ( vv 45 63)
L'appello di Apollo trova ascolto in Sileno che si mostra pronto ad offrire il suo
aiuto. Il momento dell'entrata in scena del nuovo personaggio che avrebbe dato il
via, insieme al coro, allo sviluppo dell'azione, dopo una simpatica sticomitia con
Apollo, non è del tutto chiaro, ma possiamo dedurlo dalle sue parole iniziali.
Nei vv. 45-54 Sileno dice di essere arrivato frettolosamente, per quanto sia
possibile ad un vecchio, dopo aver sentito la richiesta di aiuto del dio e di essere
disponibile a risolvere il suo problema purché sia garantito il premio d'oro in palio.
Non ci sarebbero incertezze sull'effettivo momento del suo ingresso in scena se non
fosse che le sue parole riecheggiano in maniera palese quelle della ῤῆσις di Apollo.
Il bando è definito κηρύγμασ[ιν (v. 46), il verbo utilizzato per indicare la velocità
della sua venuta è ἐπεσσύθην (v. 49), il problema da risolvere χρῆμα (v. 50), l'azione
del cacciare κυνηγ̣[έ]σω (v. 50) e il participio con cui si fa riferimento alla
ricompensa κείμενον (v. 51).
86Alla luce di tali corrispondenze, viene da pensare che Sileno fosse stato presente
fin dall'inizio del proclama, cosa che gli avrebbe permesso di sentire direttamente le
parole di Apollo. Rimane tuttavia improbabile che quest'ultimo, pur vedendo un
altro personaggio in scena, continui impassibile il suo discorso, senza fare alcun
accenno ad esso, a meno che non si ammetta che Sileno fosse rimasto inosservato
dal dio per tutta la durata della sua ῥῆσις e solamente alla fine si fosse deciso a
parlare.
La situazione più verosimile vedrebbe Sileno prendere la parola nel momento
del suo ingresso, cioè in prossimità del v. 45, alla fine del discorso del dio. Come si
spiega però la ripresa delle stesse parole che Apollo aveva usato poco prima, se
durante la loro enunciazione Sileno non era presente? Nelle rappresentazioni
drammatiche esisteva una particolare convenzione per cui le voci prodotte all'interno
della σκηνή potevano essere udite anche al di fuori di essa da altri personaggi in
86 Cfr. rispettivamente v. 19: κηρύγμ', v. 4: ἐ]πεσσύθ[ην, v. 44: χρῆμα, v. 21: κυνηγετῶ, v. 44:procinto di fare il loro ingresso.
87Questo potrebbe essere il caso di Sileno che,
trovandosi nelle vicinanze, avrebbe udito gli “ὄρθια κηρύγματα” (v. 46) di Apollo e
sarebbe accorso proprio in quel momento (ἐπεσσύθην, v. 49) con goffa rapidità
([σ]πουδῇ, v. 47).
88Sulla diretta apostrofe al dio “[ὦ Φοῖβε]” (v. 45) che avrebbe dato il via al
discorso di Sileno, ci sono state molte incertezze non solo da parte di Hunt, autore
della stessa congettura che ammette come l'espressione sia in realtà troppo lunga per
colmare lo spazio lacunoso,
89ma anche da Diggle,
90titubante per l'inutile
ridondanza di tale apostrofe, già presente al v. 48 (Φοῖβ᾽ Ἄπολλον).
91Curiosa la
decisione dell'editore dell'editio princeps di stampare φώνημαθ᾽ ὡς al posto del
φώνημα τὼς (v. 45) generalmente adottato. Il termine φώνημα al plurale, come è
stato notato da Diehl, è inusuale nel lessico sofocleo,
92ma servirebbe ad evitare il
τὼς di dubbia valenza. In genere l'avverbio, equivalente al più comune ὡς, assume il
significato di “così”
93e più raramente quello di “come”,
94ma in questo caso l'unico
modo in cui può essere inteso è quello di “quando/non appena”, traduzione di cui
però non si hanno paralleli.
La solennità del linguaggio sfoggiato da Sileno trova espressione nell'uso di
termini epici e di stampo tragico. Il primo tra questi è ἐπέκλυον (v. 45), la cui
occorrenza esclusiva (prima di Sofocle) in passi omerici (Il. XXIII. 652: ἐπεὶ πάντ'
87 Allo stesso modo anche i rumori prodotti fuori dalla scena potevano essere percepiti da personaggi all'interno della σκηνή. È il caso del suono della lira la cui ricorrenza triplice spaventerà in seguito i satiri poiché non riescono ad intuirne la provenienza.88 Il caso degli Ichneutai non è l'unico. Anche in tragedia ci sono esempi di ingressi di nuovi personaggi derivati da invocazioni di aiuto e chiamate dirette. Nelle Baccanti di Euripide Cadmo entra in scena dicendo di aver udito la voce di Tiresia e di essere stato fino a quel momento nel palazzo (ὦ φίλταθ᾽, ὡς σὴν γῆρυν ᾐσθόμην κλύων/ σοφὴν σοφοῦ παρ᾽ ἀνδρός, ἐν δόμοισιν ὤν, vv. 178-80), nell'Ippolito di Euripide l'entrata di Ippolito è successiva alle maledizioni lanciategli del padre (κραυγῆς ἀκούσας σῆς ἀφικόμην, πάτερ/ σπουδῇ, vv. 902-03). Per altri casi di ingressi derivati da rumori prodotti in scena come pianti, urla di gioia e di angoscia cfr. Taplin 1977, 220. 89 Hunt (1912, 69): “Perhaps an epithet of φώνημαθ᾽ stood here”.
90 Diggle, 1996, 4.
91 Al momento non è stata trovata nessuna congettura convincente poiché quelle proposte sembrano essere o troppo lunghe o improbabili. Cfr. app. ad loc.: ἔνδηλα ἔυσημα Bucherer, δίκαια Terzaghi, ἔα· τὰ Meckler.
92 Diehl (1913, 5): “pluralis huius vocis usus a Sophocle alienus esse videtur”. Per il termine φώνημα in Sofocle cfr. Aj. 16, Phil. 234, 1295, OT. 324. Per una discussione più ampia sull'uso del singolare e del plurale nel lessico sofocleo cfr. Moorhouse 1982, 4-7.
93 Cfr. e.g. Il. III. 415: τὼς δέ σ᾽ ἀπεχθήρω ὡς νῦν ἔκπαγλ᾽ ἐφίλησα, Od. XIX. 234: τὼς μὲν ἔην μαλακός, Aesch. Sept. 484-85: τώς νιν/ Ζεὺς νεμέτωρ ἐπίδοι κοταίνων, Hes. Th. 892: τὼς γάρ οἱ φρασάτην.
94 Cfr. e.g. Aristoph. Ach. 762: τὼς ἀρωραῖοι μύες, Soph. Ich. 303: ὡς αἰέλουρος εἰκάσαι πέφυκεν ἢ τὼς πόρδαλις. Per ulteriori esempi cfr. Diggle 1996, 3-17.
αἶνον ἐπέκλυε Νηλεΐδαο, Od. V. 149: ἐπεὶ δὴ Ζηνὸς ἐπέκλυεν ἀγγελιάων) suggerisce
una notevole ricercatezza, riscontrabile anche nell'espressione “ὀρθίοισι σὺν
κηρύγμασ[ιν” (v. 46) che, riferita al grido dell'araldo, ha significativi paralleli
tragici.
95La ripresa di Sileno della parola κήρυγμα precedentemente utilizzata da
Apollo, sottolinea inoltre la predilezione di Sofocle per i sostantivi in -σις e -μα,
96la
cui frequenza negli Ichneutai è notevole.
97Dopo questo esordio altisonante, Sileno, al v. 47, puntualizza davanti ad Apollo
che, nonostante l'età avanzata, è accorso con tutta la velocità possibile. Molto
probabilmente nelle parole “[σ]π̣ουδῇ [...] ἣ πάρεστι πρεσβύτη[ι [...] ἐπεσσύθην
δρ̣[ό]μ̣ω̣[ι” (vv. 47-49) vanno ravvisate delle indicazioni di mimica scenica che si
tradurrebbero in una comica entrata di Sileno che facilmente avrebbe suscitato il
riso. Il suo ingresso esilarante, d'altra parte, non farebbe che confermare l'orizzonte
d'attesa degli spettatori, i quali, ancora prima del suo arrivo, si prefiguravano un
Sileno buffo e divertente, in conformità con la sua natura ferina che ben si esplica
nel mondo satiresco.
98L'amore per il cibo, il vino e le donne per cui si era
contraddistinto in altri drammi,
99negli Ichneutai lasciano spazio ad altre sue
caratteristiche peculiari ossia spavalderia, codardia ed opportunismo di fronte a
nuovi vantaggi.
L'incidentale “ἣ πάρεστι πρεσβύτῃ” connessa al dativo [σ]πουδῇ, il quale a sua
volta dipende, come di norma, dal verbo di moto ἐπεσσύθην (v. 49),
100ci fornisce
un'immagine visivamente ossimorica e per questo buffa, di un vecchio Sileno che
avanza a piccoli passi veloci, ma con la difficoltà derivata dal peso dei suoi anni.
101Possiamo immaginare, con un po' di fantasia, influenzata sicuramente dalla messa in
scena del teatro moderno, il suo tono di voce non rilassato, ma concitato, a causa
dell'affanno per la pseudo-corsa. Ugualmente stimolante è la visione che offre
95 Cfr. Soph. El. 683-84: ὅτ᾽ ᾔσθετ᾽ ἀνδρὸς ὀρθίων κηρυγμάτων/ δρόμον προκηρύξαντος, Eur. IA.94-5: ὅτ᾽ ᾔσθετ᾽ ἀνδρὸς ὀρθίων κηρυγμάτων/ δρόμον προκηρύξαντος. 96 Per approfondimenti cfr. Long 1968, 27 e ss.
97 Cfr. e.g. φώνημα (v. 45), χρῆμα (v. 50), κλέμματα (v. 73), πα[ρ]αδείγματα (v. 78), δράμημα (v. 80), σύλησ̣ιν (v. 81), φθ̣[έγ]ματ̣ος (v. 114), σύριγμα (v. 173), π̣[η]δήμ̣ασιν e λακτίσμασιν (v. 219), ecc.
98 Sulla figura di Sileno nel panorama satiresco cfr. Sutton 1980, 139 e ss. 99 Cfr. e.g. Aesch. Dikt. 786 e ss.
100 Per altri casi di σπουδῇ con verbi di moto cfr. Aesch. Sept. 371: σπουδῇ διώκων, Soph. Phil. 1222: κέλευθον ἕρπεις ὧδε σὺν σπουδῇ ταχύς;, Eur. Hipp. 902-3: κραυγῆς ἀκούσας σῆς ἀφικόμην, πάτερ/ σπουδῆι.
Zagagi,
102per cui Sileno avrebbe fatto il suo ingresso camminando lentamente ed
enfatizzando in maniera eccessiva la velocità del suo arrivo per semplice
spavalderia. In entrambi i casi sembra comunque che l'intenzione del vecchio satiro
sia quella di far notare ad Apollo il suo impegno, nonostante l'età avanzata, avendo
in realtà come obiettivo quello di entrare nelle grazie del dio e poter aspirare alla
ricompensa finale.
La fretta e la frenesia mostrate da Sileno, quindi, non vanno considerate
nell'estrema preoccupazione per le sorti del bestiame perduto di Apollo, ma in vista
del suo interesse personale. Non è un caso che il suo ingresso avvenga subito dopo
l'ultima frase del discorso di Apollo “μισθός ἐσθ᾽ ὁ κε[ίμενος” (v. 44), come se fosse
stata la menzione del premio ad incentivare, se non addirittura a causare il suo
arrivo.
103Questa scena, dunque, ha tutti i connotati per essere considerata ad alto
sfondo comico: un nuovo personaggio, già di per sé buffo, si mostra al pubblico,
precipitandosi davanti ad Apollo quasi zoppicando, in vista di una prospettiva
vantaggiosa, la cui natura si sarebbe scoperta poco dopo. Insomma, niente di diverso
rispetto alle scene proprie della comicità aristofanesca e plautina (cfr. e.g. Aristoph.
Ach. 208 e ss., Vesp. 230 e ss., Plut. 257 e ss., Plaut. Men. 735 e ss.).
Il v. 47, utile, come abbiamo visto, per la ricostruzione della modalità dell'entrata
in scena di Sileno, presenta delle problematiche legate alla mancanza della parte
finale che hanno portato alla formulazione di due congetture principali che
purtroppo non sono pienamente soddisfacenti. Dal momento che è stato calcolato
che la lacuna corrisponderebbe ad una parola di due sillabe, a cui farebbe
riferimento il “τάδ'” finora rimasto isolato, sono state proposte da un lato il μαθών di
Hunt
104e dall'altro il μωλών di Steffen.
105Entrambe le ipotesi sembrano essere
inappropriate. Con μαθών (da connettere a “τάδ'”) si avrebbe infatti una ripetizione
del concetto già espresso al v. 45 (φώνημα τὼς ἐπέκλυον) e in più una sintassi
tortuosa per la presenza di un iperbato.
106Μωλών invece, sarebbe sì un verbo di
moto che ben si lega a [σ]πουδῇ ἣ πάρεστι πρεσβύτη[ι, ma obbliga a considerare
102 Zagagi 1999, 180-1.103 Le sue uniche priorità ossia denaro e libertà emergono bene durante la scena della caccia in cui i satiri vengono spronati alla ricerca in vista del premio finale (cfr. vv. 161 e ss.)
104 Hunt 1912, 39. 105 Steffen 1960, 24.
106 Pearson (1917, 237) giustifica l'iperbato riportando un passo simile dell'Edipo re: χὤπως μὲν ἐκ τῶνδ᾽ οὐκέτ᾽ οἶδ᾽ ἀπόλλυται (v. 1251).
“τάδ'” un avverbio di luogo, forzatura eccessiva per Radt
107e, come μαθών,
anticiperebbe l'ἐπεσσύθην δρ[ό]μω[ι di due versi successivo. Una congettura, non
riportata nell'edizione di Maltese perché di poco posteriore, ma che invece si
adatterebbe bene al nostro contesto è quella di Diggle.
108Quest'ultimo propone il
verbo al futuro τελῶν, in grado di rievocare facilmente il παντελὲς κήρυγμα
precedente. In questo modo, Sileno sarebbe accorso “τελῶν τάδε” ossia “per
compiere queste cose”, gli ordini, cioè, che Apollo aveva disposto durante
l'enunciazione del proclama.
La sezione successiva al v. 50 è gravemente danneggiata. Nonostante ciò,
riusciamo a scorgere nelle ultime parole di Sileno precedenti alla sticomitia con
Apollo, un riferimento al “γε[ρα]ς” curiosamente definito “χρ[υ]σο[σ]τεφές” (v. 51).
Questo aggettivo composto da χρυσός + στεφεῖν e proposto per la prima volta da
Pearson,
109ricorre altre due volte nel P. Lond. 3. 1243. 5. del III a. C. (περιοδονίκῃ
῾Ρομαίῳ χρυσοστεφεῖ) e nel P. Mag. 4. 2266-7 (ἐπήκοε […] χρυσοστεφή, πρέσβειρα)
sempre nello stesso significato di “incoronato d'oro”. Anche negli Ichneutai, quindi,
il premio a cui Apollo fa riferimento sarebbe “incoronato d'oro”, ma ciò ha
provocato negli studiosi grandi perplessità sull'identità reale della ricompensa. Si
trattava veramente di una corona d'oro oppure di denaro in genere, considerando la
seconda parte del termine χρυσοστεφές in senso figurato, in conformità con il tono
altisonante assunto da Sileno? Pearson, a favore dell'ultima ipotesi, è convinto che
“the satyrs looked for some reward more solid than a wreath”,
110e allo stesso modo,
Maltese crede che la seconda parte del composto abbia valore accessorio, derivata
dal tono elevato del contesto.
111Pensare, d'altra parte, ad una corona d'oro come
ricompensa per i satiri è molto affascinante soprattutto se tale atto viene connesso
alla vita politica ateniese in cui vigeva la consuetudine di consegnare una corona
d'oro a chi si fosse distinto per particolari meriti nei confronti della città o per chi
avesse vinto i giochi olimpici.
112Nonostante ciò, considerare il premio promesso da
107 Radt (1999, 278) in app. ad loc.: “μωλών probabilius Steffen, nisi insolitus esset vocis τάδε usus adverbialis vel localis”.
108 Cfr. Diggle 1996, 5. 109 Pearson 1917, 237.
110 Ibidem.
111 Maltese 1982, 71.
112 Cfr. Antonopoulos (2000, 135-7) che vede nelle parole εὐεργέτης e χρυσοστεφές un chiaro riferimento alla vita sociale di Atene in cui i benefattori della città venivano incoronati con una corona d'oro.
Apollo una corona d'oro senza l'ausilio di altri elementi testuali, è un azzardo.
Nell'episodio della caccia, Sileno ricorda ai suoi figli la ricompensa a cui aspirano,
ma nel farlo non menziona nessuna corona, anzi dice esplicitamente che Apollo
aveva mostrato loro i segni del suo oro (προφήνας ἀρίζηλα/ χρυσοῦ παραδείγματα,
vv. 77-8). Inoltre, la sua brama di denaro è un motivo ricorrente all'interno
dell'ambiente satiresco, per cui sarebbe più immediato pensare a un Sileno più
soddisfatto nel ricevere in premio dell'oro, rispetto ad una vera e propria corona
d'oro.
Con la speranza che il dio mantenga la sua promessa (εἴπερ ἐκτε[λ]εῖς ἅπε[ρ]
λέγεις, v. 54) e con un accenno ai παῖδας che avrebbero aiutato il padre nella ricerca
dei buoi, si chiude la presentazione del nuovo personaggio che darà ora inizio alla
singolare sticomitia con Apollo (vv. 55-63). Anche questa sezione è estremamente
frammentaria e se non è possibile colmare interamente le lacune presenti, siamo in
grado, tuttavia, di ricostruirne il senso.
Alla ricompensa d'oro appena pattuita, alla fine del dialogo tra i due personaggi,
viene aggiunto un altro premio, cioè la libertà di Sileno e dei suoi figli. Il tutto
avviene in un clima esilarante che vede Apollo perdere sempre di più i connotati di
una divinità e Sileno entrare in piena confidenza con lui, tanto da riuscire a
contrattare letteralmente l'intera ricompensa. Il fare affari non è un atto estraneo alla
personalità esuberante del vecchio satiro, che nei drammi satireschi mostra
chiaramente una propensione per azioni di tal genere.
113Un esempio tra tutti, il
Ciclope, in cui cerca avidamente di trarre profitto dalle offerte alimentari che porge
ad Odisseo, che si rivelano in realtà essere di proprietà del suo padrone Polifemo.
114Ciò che va evidenziato all'interno della “scena della contrattazione” non è tanto
il comportamento di Sileno, che in realtà, data la sua natura giocosa, non stupisce
più di tanto, ma quello di Apollo che, pur essendo una divinità, scende a patti con
quest'ultimo, utilizzando un linguaggio non consono alla sua statura. Il mutamento
stilistico a cui si assiste è derivato dall'abbassamento del registro del dio che si
adatta alla colloquialità di Sileno, fino ad una perfetta congiunzione. Tale sincronia
si esplica chiaramente all'inizio della sticomitia, in cui, nell'immediatezza derivata
113 Per approfondienti cfr. Sutton 1980, 139.114 Il v. 138 (Eur. Cycl.) è particolarmente esemplificativo: “σὺ δ᾽ ἀντιδώσεις, εἰπέ μοι, χρυσὸν πόσον;”.
dalla botta e risposta dei due protagonisti, viene utilizzato in due battute consecutive
lo stesso verbo ἐμπεδόω, tecnicismo tipico della ratifica di un accordo.
115Come vediamo di seguito, nella prima battuta, Apollo, dopo aver dato
probabilmente la sua parola sul premio posto in palio,
116vuole a sua volta conferma
sull'impegno che Sileno metterà nella ricerca e per questo dice: μοῦνον ἐμπ[έδου
τ]άδε̣. La risposta di quest'ultimo rispecchia la sintassi usata da Apollo, con la
ripresa dello stesso verbo accompagnato però dal complemento oggetto [δόσι]ν.
117<AΠ.> [ …….. ].σ̣ω· μοῦνον ἐμπ[έδου τ]άδε̣.
<ΣΙ.> τα̣[……….]οι· σὺ δ᾽ ἐμπέδου̣ [δόσι]ν.
<AΠ.>[ ca. 12 ll. ]ρων̣ ὅστι[ς] ἔ[σ]θ’· ἑτ̣[οῖμ]α δ̣[έ.
È lo scetticismo e la mancanza di fiducia nell'altro a determinare l'effetto comico
di questo primo scambio di battute che fa emergere, ancora una volta, la
preoccupazione di Apollo, disposto addirittura a garantire ad un Sileno sempre più
sfacciato e petulante il dono tanto desiderato.
I frustuli superstiti della parte finale della seconda colonna del papiro che
ospitavano il cuore della sticomitia, non offrono nessun altro indizio sull'andamento
del dialogo, ma è illuminante l'incipit della terza colonna in cui si trova la parola-
chiave che ci permette di capire che oltre all'oro, Sileno e i suoi figli, avrebbero
ricevuto da Apollo anche l'affrancamento dalla schiavitù.
118Il termine in questione è
ἐλεύθερος (v. 63) posto in posizione enfatica all'inizio del verso, come risposta alla
precedente domanda di Sileno τί τοῦτο; (v. 62). L'oggetto non può che essere il
μισθός, per cui si può supporre che nei versi frammentari Apollo avesse alluso ad
un'aggiunta all'oro già pattuito e che quindi Sileno volesse dei chiarimenti.
La doppia ricompensa di denaro e affrancamento era una procedura usuale nei
115 Cfr. Maltese 1982, 71. Cfr. e.g. Pl. Phaedr. 241a: ὁρκωμόσιά τε καὶ ὑποσχέσεις ἐμπεδώσῃ, Eur. IT. 790: τὸν δ᾽ ὅρκον ὃν κατώμοσ᾽ ἐμπεδώσομεν, Aristoph. Lys. 211: ὑμεῖς δ᾽ ἐπομεῖσθε ταὐτὰκἀμπεδώσετε.
116 Questo è quello che si evince dalla probabile integrazione di Siegmann (1941,9) δ]ώσω, accettata anche da Radt (1999, 279) e da Lloyd- Jones (2003, 146).Le immagini del papiro mostrano due piccolissimi segni d'inchiostro che verosimilmente possono essere ricondotti il primo in alto ad un accento acuto e il secondo in basso ad un Σ.
117 Integrazione di Hunt 1912, 39.
118 Che anche i satiri avrebbero ricevuto il beneficio della libertà è confermato dai vv. 164-65: καὶ τὴν ἐλευθέρωσιν ἣν κατῄνεσεν/ ὑμῖν τε κἀμοί.
confronti di uno schiavo che si era distinto per qualche azione meritevole, come
dimostra, ad esempio, un'iscrizione di Taso del 411-409 a. C. di un decreto per
informatori politici: ἄν δὲ δõλος κατείπηι, τό τε χρῆμα ἰσχέτο καὶ ἐλεύθερος ἔστο.
119Se questa rappresenta una testimonianza di una procedura giuridica specifica non
ci è dato saperlo per mancanza di ulteriori precisazioni. Ciò che invece risulta
problematico è stabilire l'identità del δεσπότης dei satiri, di cui non si fa nessuna
menzione specifica in tutta l'opera.
La servitù e la successiva liberazione dei satiri è un motivo frequente all'interno
dei drammi satireschi. Spesso la loro posizione è chiara fin da subito, come nel
Ciclope in cui essi sono soggetti all'autorità di Polifemo e nei frammenti dello
Skiron, ma negli Ichneutai il problema rimane aperto, dal momento che non è stato
trovato all'interno dell'opera nessun accenno che potesse allontanare ogni dubbio.
120In più, essi non vengono rappresentati come servi intenti ad eseguire un ordine
imposto dal loro padrone, ma offrono volontariamente il loro aiuto ad Apollo.
Molte ipotesi sono state formulate alla ricerca di una soluzione a questo dilemma
ed escludendo la possibilità che il padrone dei satiri sia Sileno, la cui condizione è
palesemente uguale a quella dei figli, come emerge dai vv. 164 e ss., mi accingerò ad
esaminare la posizione di Apollo.
Tratterò il problema del δεσπότης dei satiri in modo parziale, soffermandomi
solo sul personaggio di Apollo e tralasciando volutamente le teorie su Pan e Dioniso
di cui parlerò di seguito, perché attualmente mancano gli elementi per un confronto
esaustivo.
121Solo le conclusioni che possiamo trarre su Apollo possono essere
considerate definitive, dal momento che non non si avrà più una sua apparizione in
scena, se non nella parte finale a noi non pervenuta e non ci saranno altri riferimenti
espliciti al suo personaggio.
Che il dio sia il δεσπότης dei satiri appare molto improbabile. Egli infatti non
avrebbe avuto motivo di appellarsi pubblicamente all'aiuto di chiunque se i satiri
fossero stati a sua disposizione e inoltre non avrebbe dovuto pattuire con Sileno una
119 Cfr. Maltese 1982, 70.120 Ironia della sorte, il papiro è frammentario nella parte in cui Sileno e Apollo discutono della liberazione e si interrompe nel momento dell'entrata in scena di Apollo che avrebbe riscattato i satiri dalla loro schiavitù. Inoltre, la sistemazione dei versi in cui Cillene si stupisce del comportamento dei satiri, facendo riferimento alle loro precedenti occupazioni, se è stata utile a livello testuale, non ci aiuta a chiarire l'identità del δεσπότης (vv. 221 e ss.).