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Ichneutai e Inno ad Hermes a confronto: somiglianze e differenze

II. Le edizioni critiche principali

3. C ONSIDERAZIONI FINALI

3.2. Ichneutai e Inno ad Hermes a confronto: somiglianze e differenze

Una delle versioni più dettagliate del mito della creazione della lira si trova

nell'Inno omerico ad Hermes.. Si tratta di un componimento in esametri datato nel

VI secolo a.C.,

539

facente parte di una raccolta di poemi giunti a noi sotto il nome

complessivo di Inni omerici.

540

Questi carmi erano cantati dagli aedi all'interno degli

agoni rapsodici, ne costituivano, nello specifico, la fase proemiale, in cui i cantori

auspicavano la protezione di una determinata divinità.

541

Si potrebbe pensare che,

data la loro funzione introduttiva, la loro lunghezza fosse limitata a pochi versi,

sufficienti per fornire una breve genealogia del dio in questione ed esaltarne la

potenza, ma alcuni inni (II-V, VII, IX) tra cui il nostro Inno ad Hermes (IV), hanno

un'estensione che supera il centinaio di versi, poiché contengono una sezione che

narra la nascita o una particolare impresa della divinità.

542

Nato dall'unione di Zeus e Maia, nell'Inno, il piccolo Hermes rivela subito la sua

natura fraudolenta decidendo di rubare le vacche di Apollo a poche ore dalla sua

nascita. Uscito dalla grotta ombrosa del monte Cillene in cui era nato, si imbatte

all'improvviso in una tartaruga intenta a brucare l'erba, il cui guscio poco dopo gli

sarebbe servito per la creazione del nuovo strumento musicale.

Il procedimento è ben descritto: Hermes dopo aver estratto la polpa dal guscio e

539 L'Inno ad Hermes è il più recente degli inni maggiori. Si è provato a posporre la datazione dell'inno al V secolo a.C. in base a degli studi linguistici: la terminologia tecnicamente legale utilizzata in alcune scene in cui Hermes fa sfoggio di retorica sarebbe da ricondurre al linguaggio forense della Grecia classica. Questa, però, resta pur sempre un'ipotesi poiché non abbiamo modo di conoscere in modo approfondito l'arte oratoria del periodo precedente al V secolo a.C., anche se, un'analisi attenta dello stile dell'inno supporta l'idea di una datazione post-omerica.

540 Gli inni omerici sono 33 componimenti in esametri attribuiti ad Omero e datati, su base linguistica, in un periodo che oscilla tra l'VIII e il V secolo a.C. In base a una pittura vascolare attica del 470 a.C che raffigura un uomo con in mano un rotolo di papiro contenente i primi due versi dell'inno XVIII, è stato ipotizzato che già in questo periodo il testo degli inni circolasse ampiamente e fosse usato in ambito scolastico. Un'altra testimonianza esplicita, per altro la più antica, si ritrova in Tucidide (III.104.4-5)in cui vengono citati due passi dell'Inno ad Apollo(vv. 146-50 e 165-72)e vengono attribuiti ad Omero.

541 Questo è quello che si deduce dall'opera di Tucidide in cui l'Inno ad Apollo viene definito προοίμιον Ἀπόλλωνος. La formula tradizionale “αὐτὰρ ἐγὼ καὶ σεῖο καὶ ἄλλης μνήσομ᾽ἀοιδῆς”, frequente chiusa di alcuni inni (H.Dem. 495, H.Ap. 546, H.Herm. 580 ecc.) sembra dar ragione allo storico, così come il verso finale dell'Inno ad Afrodite “σεῦ δ᾽ ἐγὼ ἀρξάμενος μεταβήσομαι ἄλλον ἐς ὕμνον” (v. 293). Non è escluso che gli inni fossero eseguiti anche in dei contesti privati e simposiali (cfr. Od.8.266-366).

aver inserito due canne nei fori di esso, vi stende attorno una pelle di bue e, uniti i

manici attraverso un giogo, tende sette corde che fa risuonare con un plettro. Il suo

pensiero però, nonostante avesse iniziato a cantare la sua nobile stirpe, era rivolto

alla carne e proprio per il desiderio di questa, decide di recarsi verso i monti della

Pieria dove pascolavano i buoi degli dei. Dopo aver sottratto dalla mandria

cinquanta vacche, mentre le conduceva a ritroso per confondere le tracce anche con

l'ausilio di sandali fatti di rame e fogliame, vede un vecchio contadino della piana di

Onchesto e gli intima di non svelare a nessuno quello che aveva appena visto.

Hermes e gli armenti arrivano così in una stalla vicino al fiume Alfeo, luogo in cui il

piccolo dio uccide due vacche e ne arrostisce le carni, dividendole poi in dodici

parti. Lasciando queste nella stalla insieme alle pelli poggiate su una roccia, si dirige

verso la grotta del monte Cillene entrandovi attraverso il foro della serratura, sotto

forma di venticello autunnale. Erroneamente Hermes pensava di aver agito

indisturbato; giunge infatti Maia che, conscia dei fatti, lo rimprovera aspramente,

minacciando il castigo di Apollo. La risposta del fanciullo però non manca di

acutezza: egli dichiara di aver agito a causa dell'ingiustizia secondo la quale egli

stesso e la madre erano gli unici esseri divini privi di privilegi. Nel frattempo

Apollo, accorgendosi del furto, inizia la ricerca del bestiame, fin quando si imbatte

nel vecchio di Onchesto. Quest'ultimo, interrogato dal dio, rivela di aver visto una

mandria di vacche guidata da un fanciullo che procedeva a ritroso e in modo

confuso; così subito Apollo capisce, grazie anche alla sua arte mantica, che si tratta

di Hermes. Si reca quindi alla grotta del monte Cillene e, non convinto delle parole

di discolpa del fanciullo, decide di portarlo di fronte a Zeus per sottoporlo alla

bilancia della giustizia. Fin dall'inizio la vicenda risulta chiara al padre degli dei che,

compiaciuto e meravigliato dell'eloquenza del bambino e della sua abilità retorica,

gli ordina di condurre Apollo dalle sue vacche, presso Pilo sull'Alfeo.

543

E nel momento in cui Apollo ritrova i suoi armenti, si ha la riconciliazione finale

tra le due divinità, sancita da uno scambio di doni: Hermes dà ad Apollo la cetra,

mentre quest'ultimo gli concede la sferza lucente e la guardia dei buoi. I due

543 Nel testo dell'Inno al v. 398 si intende chiaramente Pilo come una città posta presso l'Alfeo. In realtà la città non sembra essere collocata vicino al fiume. È noto che gli antichi non sapessero ben distinguere tra Pilo in Trifilia, Pilo in Messenia e Pilo nell'Elide. In ogni caso si può pensare che i due partendo dall'Olimpo in Tessaglia avrebbero dovuto attraversare il fiume Alfeo per poi recarsi a Pilo.

stringono così un patto di fedeltà reciproca secondo cui il piccolo dio, truffatore per

eccellenza, si impegna a non rubargli la faretra e l'arco ricurvo e l'altro invece gli

dona il caduceo d'oro e un'arte minore rispetto alla divinazione, sua prerogativa,

ossia la facoltà di interpretare il pensiero delle Trie che annunziano la verità se si

cibano di miele. Alla fine Apollo rende Hermes signore di greggi, dio dei pastori e

messaggero di Ade. Così si chiude l'inno, con la classica formula di congedo che dà

il via ad un altro canto.

La somiglianza tematica tra l'Inno e gli Ichneutai è evidente e motivata dal fatto

che entrambe le opere affrontano la stessa materia. Le parole di disperazione di

Apollo e il suo viaggio attraverso la Tessaglia e la Beozia si ritrovano a grandi linee

in entrambi i testi così come la descrizione delle tracce lasciate dai buoi e il racconto

sulla nascita segreta del dio. Anche l'apologia di Cillene riecheggia quella fatta da

Hermes davanti a Zeus. Inoltre, nel discorso della ninfa sulla creazione della lira si

possono osservare delle corrispondenze lessicali con le parole di Hermes (Ich. 299-

300: καὶ πῶς πίθωμαι τοῦ θανόντος φθέγμα τοιοῦτον βρέμειν;/ πιθοῦ: θανὼν γὰρ

ἔσχε φωνήν, ζῶν δ᾽ ἄναυδος ἦν ὁ θήρ; Ich. v. 328: οὕτως ὁ παῖς θανόντι θηρὶ φθέγμ᾽

ἐμηχανήσατ[ο]; H.Herm. v. 38: ἢν δὲ θάνῃς, τότε κεν μάλα καλὸν ἀείδοις) e il

riferimento al gradevole suono della lira capace di procurare piacere e scacciare

l'infelicità che occupa un numero notevole di versi dell'opera omerica (vv. 419-55) si

riscontra anche negli Ichneutai ai vv. 325-327.

Ancora, in quest'ultima opera ai vv. 118-23, il procedimento che ha eseguito

Hermes nel confondere le tracce è ben spiegato dalle parole dei satiri che si

mostrano sbalorditi di come alcune di esse procedano in avanti e altre indietro (ἔα

μάλα: / παλινστραφῆ τοι ναὶ μὰ Δία τὰ βήματα / εἰς τοὔμπαλιν δέδορκεν αὐ: τάδ᾽

εἴσιδε. / τί ἐστὶ τουτί; τίς ὁ τρόχος τοῦ τάγματ[ος; / εἰς τοὐπίσω τὰ πρόσθεν

ἤλλακται, τὰ δ᾽ αὖ / ἐναντί᾽ ἀλλήλοισι συμπ[επλεγ]μένα: / δεινὸς κυκησμὸς εἶχ[ε τὸν

βοη]λάτην). Il modo in cui viene narrato questo stratagemma suggerisce una

presunta corrispondenza tra i due testi: “εἰς τοὐπίσω τὰ πρόσθεν ἤλλακται” (Ich. v.

121) riprenderebbe “ἀντία ποιήσας ὁπλάς, τὰς πρόσθεν ὄπισθεν/ τὰς δ᾽ ὄπιθεν

πρόσθεν” (H.Herm. vv. 77-78) ed ἐναντί᾽ ἀλλήλοισι” (Ich. v. 122) corrisponderebbe

all' “ἀντία” dell'Inno (v. 77). A queste ultime somiglianze lessicali, a mio parere

piuttosto esigue per azzardare l'ipotesi di una stretta relazione tra i due testi,

Pearson,

544

sicuro della dipendenza degli Ichneutai dall'opera omerica, aggiunge

altre congruenze linguistiche che, in realtà, si rivelano piuttosto vaghe. Infatti, come

afferma Previale,

545

“l'identità della materia trattata può suggerire affini

atteggiamenti mentali e perciò simili e talora identici vocaboli o giri di frasi”. Molte

parole o espressioni rilevate dal Pearson (ad es. “ὄστρακον” Ich. v. 310 e H.Herm. v.

33; “πως τὸ χρῆμα τοῦτό σοι κυνηγ[έ]σω” Ich. v. 50 e “τὰ χρήματα” H.Herm. v.

400) sono abbastanza frequenti nella letteratura greca e non costituiscono il

patrimonio linguistico privilegiato di uno scrittore, perciò che Sofocle se ne sia

servito non prova affatto che le abbia estrapolate dall'opera omerica. Da qui se ne

potrebbe dedurre che l'elemento lessicale non può essere probante al fine di stabilire

una relazione tra i nostri due testi.

Ciò che invece sembra evidente è la comicità intrinseca dell'Inno ad Hermes,

caratteristica riscontrabile a livello tematico e linguistico e che la accomuna al

nostro dramma satiresco. Secondo la classificazione quatripartita di Vergados

546

alla

parodia di motivi e di specifici passaggi epici, si aggiunge uno “humour situational”

che vede i protagonisti immersi in contesti inappropriati al loro standard divino e

che genera inevitabilmente un effetto comico. Nell'Inno, Apollo ed Hermes, infatti,

non sono impegnati in un conflitto serio alla maniera della Teogonia esiodea, ma in

un semplice litigio che li presenta come divinità umanizzate, aventi una naturalezza

lontana dall'atmosfera olimpica. Stupisce, infatti, vedere il piccolo Hermes che, pur

avendo delle abilità sovrumane, costruisce la lira usando il guscio di una tartaruga

oppure nasconde le sue tracce con rami e fogliame, riuscendo a sviare Apollo, il dio

della profezia che, paradossalmente, necessita dell'aiuto di un semplice mortale per

ritrovare il ladro dei suoi buoi. Sempre umano è il desiderio di carne che spinge

Hermes alla ricerca del bestiame (κρειῶν ἐρατίζων, v. 64)

547

e anche il suo

οἰωνὸν...τλήμονα γαστρὸς ἔριθον (vv. 295-96) a cui segue uno starnuto che fa

sobbalzare Apollo. Questa comicità scenica è supportata, come anticipato poc'anzi,

da un linguaggio che, a volte, risulta essere fuori luogo rispetto alla serietà tipica del

544 Pearson 1917, 228.

545 Previale 1926, 176. 546 Vergados 2013, 27.

547 L'interesse che prova Hermes per la carne sembra essere un'anticipazione della sua caratterizzazione nella commedia antica che vede il dio particolarmente interessato al cibo. Cfr. Ar. Pl. 1120 e ss.

genere dell'inno. Ad esempio, il riso spesso è suscitato dall'interpretazione letterale

di espressioni formulari che non trovano riscontro nel comportamento dei

personaggi: l'Hermes conosciuto e definito nell'Inno come κρατύς è quello che

sfugge allo sguardo di Apollo nascondendosi sotto le coperte e l'epiteto

’Αργειφόντης mal si adatta ad un dio che uccide solo una tartaruga e due buoi.

548

Se le coincidenze tra le due opere, come abbiamo visto, sono numerose, anche le

divergenze non sono da meno, sia nei dettagli, sia nello sviluppo dell'azione. Prima

di esaminarle nello specifico, è bene sottolineare come spesso i generi letterari

condizionino la narrazione dell'opera stessa. La maggior parte delle modifiche

apportate da Sofocle, infatti, sono da ricondurre a delle esigenze di tecnica teatrale

che lo obbligano ad attuare una trasposizione del mito tradizionale all'interno del

genere del dramma satiresco. In questo senso va vista la scelta dell'inserimento dei

satiri come personaggi principali al posto dell'Hermes omerico

549

e la conseguente

focalizzazione sul tema della “ricerca” del bestiame di Apollo, argomento che

nell'Inno viene trattato con superficialità. Anche la doppia ambientazione dell'opera

omerica che vede la presenza di due grotte, una posta presso Pilo sull'Alfeo dove

Hermes nasconde i buoi e compie un sacrificio in onore dei dodici dei e l'altra sul

monte Cillene in cui Apollo scova il piccolo ladro, non poteva essere accettata da

Sofocle nel rispetto di quell'unità di luogo che costituiva un'implicita regola teatrale.

Egli sceglie, quindi, una sola grotta, quella del monte Cillene. A esigenze di tecnica

drammatica può essere ricondotta anche la decisione del tragediografo di presentare

Hermes come un bambino dalla crescita prodigiosa, diventato in pochi giorni

adolescente (Ich. 277-82). In questo modo sarebbe stato più semplice mettere in

scena un attore adulto durante la riconciliazione finale con Apollo piuttosto che un

bambino, a fronte della versione dell'Inno in cui Hermes rimane tale fino alla fine.

L'influenza del genere di appartenenza vale anche per l'Inno ad Hermes in cui la

ricchezza di dettagli e la narrazione approfondita del racconto si spiegano con la sua

funzione proemiale all'interno degli agoni rapsodici che, attraverso l'esecuzione

orale, mirava all'esaltazione del dio. E' evidente, infatti, una descrizione accurata dei

luoghi, una rilevanza particolare data all'astuzia ingannatrice del piccolo Hermes, un

racconto minuzioso della costruzione della lira e in generale, una maggiore

548 Per approfondire cfr. Vergados, 2013, 35-36.

attenzione nei confronti della narrazione mitologica rispetto a quanto avviene negli

Ichneutai.

Ritornando alle divergenze contenutistiche, Sofocle si discosta dall'Inno omerico

nel rendere il furto del bestiame e la costruzione della lira degli eventi

consequenziali, legati da un rapporto di causa-effetto per cui la pelle dei buoi rapiti

viene utilizzata per avvolgere il guscio della tartaruga. Nell'Inno omerico, invece,

mancando questa relazione, viene enfatizzata l'indole furbesca di Hermes che

costruisce la lira prima di aver compiuto il furto, servendosi allo stesso modo di una

pelle di bue, ma di provenienza non specificata.

550

Egli ruba i buoi per fare uno

sgarbo agli dei, ma soprattutto ad Apollo, un dio che, rispetto a lui, possedeva i

dovuti privilegi.

Un'altra differenza riscontrabile tra i due componimenti riguarda i personaggi.

Maia, la madre di Hermes, nel dramma satiresco è sostituita dalla ninfa e nutrice

Cillene, mentre il vecchio della piana di Onchesto che dà ad Apollo preziose

informazioni per il ritrovamento del suo bestiame, negli Ichneutai non è presente.

551

Per il primo caso, la scelta di Sofocle potrebbe giustificarsi o attraverso la ripresa di

una fonte a noi ignota oppure con la sua volontà autonoma di rappresentare i satiri

comicamente attratti dalle ninfe, situazione non di rado presente nella letteratura e

nelle rappresentazioni vascolari.

552

Per il secondo caso, nel dramma satiresco la mancanza del contadino di

Onchesto in veste di aiutante di Apollo va letta in parallelo con una potenza del dio

che risulta essere parziale tale da suscitare un effetto comico funzionale

all'inserimento dei satiri come suoi collaboratori: nel prologo, infatti, Apollo affida

al coro il compito di rintracciare i suoi armenti, dopo aver ammesso di aver cercato

disperatamente e invano. Nell'Inno, invece, la sua autorità divina si esplica

550 Anche lo pseudo- Apollodoro (Biblioth. III,10, 2) concorda con Sofocle nell'anteporre il furto dei buoi alla costruzione della lira, ma per il resto la sua versione è uguale a quella omerica. Proprio per questo motivo, Terzaghi (1913, 56) azzarda l'ipotesi che gli Ichneutai siano la fonte intermedia tra l'Inno e lo pseudo- Apollodoro.

551 Il personaggio del vecchio di Onchesto si ritrova anche nelle Metamorfosi di Ovidio (II, 683-707) con il nome di Batto, ma non ha la stessa funzione che è tramandata nel mito tradizionale. Egli non incontra Apollo, anzi è messo alla prova dallo stesso Hermes che ne scopre la corruttibilità a fronte della sua promessa di non rivelare a nessuno il luogo in cui si trovavano i buoi appena rubati.

552 Le testimonianze vascolari che ritraggono figure satiresche sono state collezionata da Trendall- Webster (1971). Tra le più importanti ricordiamo il cratere attico a figure rosse, opera del cosiddetto Pittore dei Satiri Lanosi, databile al 460-450 a.C. che mostra una ninfa in compagnia di un satiro in atteggiamento spudorato.

attraverso l'ornitomanzia, sebbene essa risulti il completamento delle informazioni

ricevute dal vecchio contadino.

Inoltre, il metodo usato da Hermes per confondere le tracce dei buoi è più

complicato nel dramma sofocleo: nell'opera omerica infatti le vacche sembrano

essere condotte a ritroso fin dalla loro partenza, negli Ichneutai, invece, le impronte

vengono confuse solo in prossimità della grotta di Maia.

Degni di menzione sono infine delle differenze che riguardano il momento in cui

Hermes compie le sue imprese, nello stesso giorno della sua nascita per l'Inno e sei

giorni dopo per gli Ichneutai e il comportamento di Maia e Cillene, la prima di

madre premurosa ritratta nell'atto di rimproverare il figlio per il furto commesso e la

seconda di nutrice, ignara dei fatti e pronta a difendere il bambino ad ogni costo.

Considerate, quindi, le divergenze tra le due opere, è stata avanzata l'ipotesi per

cui il tragediografo si sia servito non solo dell'Inno ad Hermes, ma anche di altre

fonti a noi ignote. In questa direzione va considerata la testimonianza dello pseudo-

Apollodoro che, trattando il mito di Hermes nella sua Biblioteca (III.10.2), mostra di

avere un importante punto di contatto con gli Ichneutai, ponendo il furto dei buoi

prima dell'invenzione della lira e riprendendo quindi quel rapporto consequenziale

che nell'Inno andava perso. Si potrebbe pensare che il racconto pseudo-apollodoreo

abbia risentito della fonte del dramma sofocleo o di questo stesso per l'inserimento

di alcune modifiche rispetto al mito tradizionale, mentre per il resto della narrazione

si fosse basato sull'Inno? Non è da escludere.

Sarebbe incauto tracciare con decisione delle singole linee di derivazione a causa

della complessa tradizione del mito, pertanto è anche immaginabile che l'autore della

Biblioteca avesse sotto mano altre versioni mitiche a noi sconosciute, così come

potè aver fatto Sofocle per la creazione degli Ichneutai.

Se il tragediografo abbia quindi fatto ricorso all'Inno ad Hermes è un problema

affascinante quanto irrisolvibile perchè non si sa in che forma egli possa averlo

conosciuto e non si ha una precisa datazione delle due opere. Per di più, la parziale

mitografia pervenutaci che verosimilmente doveva essere molto ampia, non ci

permette di formulare nessuna considerazione puntuale sulle possibili altre fonti

utilizzate. Dunque, non necessariamente bisogna pensare ad una stretta dipendenza

tra gli Ichneutai e l'Inno ad Hermes, cosa che, data l'esiguità di prove, non possiamo

dimostrare con certezza. È più probabile che Sofocle sia l'espressione di un

panorama culturale che vedeva una diffusione del mito così vasta da permettere la

creazione di opere indipendenti le une dalle altre.