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Il primo κιθαρισμός e il rimprovero di Sileno (vv 124 175)

II. Le edizioni critiche principali

2. A NALISI D EI V ERSI 1-

2.5. Il primo κιθαρισμός e il rimprovero di Sileno (vv 124 175)

La prima parte della caccia è interrotta da uno strano suono che provoca nel coro

una reazione di estrema paura. È una melodia mai sentita prima a sconvolgere i satiri

e a indurli a rannicchiarsi a terra con l'orecchio accostato al suolo per intuirne la

provenienza. La nuova posizione assunta viene però fraintesa da Sileno che, non

avendo sentito nulla, si mostra sbalordito dal loro atteggiamento, per lui indicativo

della scoperta di un nuovo modo di cacciare. Le sue domande fitte e incalzanti “τίν'

αὖ τέχνην σὺ τήν[δ' ἄῥ ἐξ]ηῦρες, τίν' αὖ,/ πρόσπαιον ὧδε κεκλιμ[ένος] κυνηγετεῖν/

πρὸς γῇ; τίς ὑμῶν ὁ τρόπος; οὐχὶ μανθάνω·” (vv. 124-27) ne evidenziano il

comportamento distaccato, ma allo stesso tempo incuriosito per quella nuova τέχνη

che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi.

256

In realtà, il coro non sta provando un

nuovo modo di cacciare, ma è così curvato perché intimorito dalla nuova melodia.

L'effetto musicale gioca un ruolo davvero importante negli Ichneutai. Il suono

della lira, in particolare, è il perno attorno a cui ruota l'azione perché determina non

solo il momento di arresto della caccia che vede i satiri colpiti da una sensazione di

straniamento, ma anche la conseguente partizione delle due fasi dell'inseguimento,

motivo scenico caratteristico del dramma. Va sottolineato, a questo proposito, come

l'aspetto sonoro in generale sia predominante in tutta l'opera. Il bando squillante di

Apollo al v. 46, iterato poi da Sileno (vv. 79-86), dà il via alla ricerca del coro in un

clima di voci concitate e tumulto (v. 100 e ss.), spezzato poi dalla percezione del

primo κιθαρισμός (v. 123). Seguono il furioso rimprovero di Sileno (vv. 145-68) che

allude più volte al misterioso ψόφος (vv. 145, 157, 160, 168) e la seconda fase della

caccia, guidata dal σύριγμα di quest'ultimo (v. 173) e condotta in modo chiassoso

fino al secondo κιθαρισμός (v. 203). E ancora, urla e schiamazzi di intensità tale da

provocare la reazione di Cillene che, uscendo dalla grotta, rimprovera i satiri per la

baldoria (v. 221 e ss.).

Il primo κιθαρισμός emesso dal nuovo strumento è avvertito, dunque, dal coro,

256 Il coinvolgimento dei satiri in nuove τέχναι è una caratteristica ricorrente nel dramma satiresco. I loro campi di interesse non si fermano solo alla sfera dionisiaca, ma si estendono anche ad altre attività come la pesca (e.g. Aesch. Dikt.) e l'atletica (Aesch. Isthm. fr. 78a, vv. 30-5). Per approfondimenti cfr. Sutton 1980, 145 e ss.

ma non da Sileno che si limita a giudicare con distacco le azioni dei figli. Il

commento di un personaggio che assiste meravigliato e sbigottito al comportamento

bizzarro dei satiri sulla scena sembra essere un motivo ricorrente nei drammi

satireschi. Negli Ichneutai ritroviamo questo topos per ben due volte. All'inizio,

come abbiamo visto, Sileno confessa di non riuscire a comprendere appieno questo

strano atteggiamento. In seguito lo ammetterà anche Cillene che al v. 223 si

meraviglierà della nuova attività dei satiri (τίς ἥδε τέχνη;) tanto lontana dai costumi

di un tempo. Un altro esempio non sofocleo ci è dato dagli Isthmiastai (fr. 78a) in

cui un personaggio (probabilmente Dioniso) si stupisce dell'inconsueto interesse dei

satiri per l'atletica piuttosto che per la loro tipica danza (vv. 30-5). Una situazione

contraria si presenta invece nel Ciclope in cui prima Sileno e poi Polifemo

richiamano il coro in preda all'estasi dionisiaca ai nuovi compiti loro assegnati (vv.

37-40, 203-11).

La sistematicità con cui ricorre il tema del rimprovero e del disappunto nei

confronti di specifici atteggiamenti assunti dai satiri all'interno dei pochi drammi

satireschi pervenutici può far pensare che il commento contrariato di un personaggio

alle azioni dei satiri sia un Leitmotiv del σατυρικόν, un vero e proprio “dramatic

pattern”.

257

Anche la congruenza del lessico utilizzato nei primi tre esempi riportati

può costituire una prova a favore di questa ipotesi. Sileno e Cillene definiscono

l'attività dei satiri una “τέχνη” ( v. 124: τίν' αὖ τέχνην σὺ τήν[δ' ἄῥ ἐξ]ηῦρες, v. 223:

τίς ἥδε τέχνη;), Sileno e Dioniso alludono al loro nuovo modo di fare con lo stesso

termine “τρόπος” (Ich. v. 126: τίς ὑμῶν ὁ τρόπος;, v. 130: τοῦ τρόπου, Isthm. v. 34:

τρόπους) e tutti e tre i personaggi sono concordi nel considerarlo una novità (Ich. v.

125: πρόσπαιον, v. 229: στροφαὶ νέα̣ι̣, Isthm. v. 34: τρόπους και[νοὺς).

258

Commenti di tal genere si trovano anche nella commedia di Aristofane. È

celebre, ad esempio, nelle Nuvole, la reazione sbalordita di Strepsiade nel vedere gli

allievi di Socrate accovacciati a testa in giù intenti a provare un metodo scientifico

innovativo (vv. 187: ἀτὰρ τί ποτ᾽ ἐς τὴν γῆν βλέπουσιν οὑτοιί;, v. 191: τί γὰρ οἵδε

δρῶσιν οἱ σφόδρ᾽ ἐγκεκυφότες;, v. 193: τί δῆθ᾽ ὁ πρωκτὸς ἐς τὸν οὐρανὸν

βλέπει;).

259

Essi, nell'intenzione di investigare le cose della terra, stanno curvati

257 Cfr. Voelke 2003, 335-6. 258 Cfr. Antonopoulos 2010, 48-50.

259 Cfr. Zagagi (1999, 199-202) che, riportando passi comici caratterizzati da commenti di tal genere (e.g. Aristoph. Pax 54-65, 322-34, Vesp. 1474 e ss.), crede che battuta di Sileno derivi

verso il suolo con il πρωκτὸς rivolto verso l'alto, che in automatico, invece, impara

l'astronomia. Una posizione simile doveva essere assunta dai satiri poiché paragonati

da Sileno ad un riccio raggomitolato in un cespuglio (v. 127: [ἐ]χῖνος ὥς τις ἐν

λόχμῃ κεῖσαι πεσών) e ad una scimmia piegata a testa in giù (v. 128: [ἤ] τ̣ις πίθηκος̣

κύβδ' ἀποθυμαίνεις τινί).

La prima similitudine è un unicum in tutta la letteratura greca antica. Essa

riproduce l'atteggiamento tipico del riccio di rannicchiarsi all'interno del suo nido,

spesso collocato fra gli arbusti e i cespugli.

260

La seconda immagine invece ha

destato più perplessità, non tanto per la posizione della scimmia suggerita

esplicitamente dall'avverbio κύβδα, quanto per il dubbio significato di

ἀποθυμαίνω.

261

Il verbo è considerato un hapax legomenon, ma in realtà presenta

un'altra attestazione molto tarda, anch'essa non definita precisamente dal punto di

vista semantico, individuata da Antonopoulos in Patria Constantinopoleos, Διήγησις

περὶ τῆς Ἁγίας Σοφίας, 29 (IX- XI d.C): Ὅταν δὲ ἔκοψαν τὰς σκαλώσεις τοῦ

τρούλου καὶ ἤθελον καταβιβάζειν τὰ ξύλα, ἐγέμισαν τὴν ἐκκλησίαν ὕδωρ μέχρι

πηχῶν πέντε καὶ ἔρριπτον τὰ ξύλα καὶ ἀπεθύμαινον εἰς τὸ ὕδωρ καὶ οὐκ

ἐσπαράσσοντο οἱ θεμέλιοι.

262

La querelle ha visto Wilamowitz

263

associare ἀποθυμαίνειν ad ἀποθυμιᾶν, per

analogia con ὁρμαίνειν e ὁρμᾶν. A sua volta, ἀποθυμιᾶν è stato inteso come

sinonimo di αποπέρδεσθαι nel significato di “fare aria”. Accogliendo questa

traduzione, Sileno vedrebbe nella strana posa dei satiri l'immagine di una scimmia

accovacciata intenta a αποπέρδεσθαι contro qualcuno. Per Vollgraff

264

invece il

verbo ἀποθυμαίνω avrebbe la stessa valenza di θυμαίνω e andrebbe reso nel senso di

“irritarsi”. In questo modo, Sileno paragonerebbe i suoi figli ad una scimmia

arrabbiata.

dall'influenza che questa tecnica comica ha esercitato sul dramma satiresco.

260 Cfr. il proverbio riportato da Zenobio (5.11): μία λόχμη οὐ τρέφει δύο ἐριθάκους. L'immagine della chiusura del riccio dovuta però alla presenza di minacce esterne ricorre in un frammento probabilmente satiresco (Ion Phoenix fr. 38 Snell).

261 Κύβδα è spesso usato in senso erotico (cfr. Archil. fr. 42.2 West) anche nella commedia di Aristofane (Eq. v. 365, Thesm. v. 489, Pax v. 897), ma in questo caso, al termine viene dato un significato genericamente volgare.

262 Antonopoulos 2010, 222: “I think that the verb here means 'to blow off steam' in a figurative sense: the wood of the scafolding was 'blowing off steam' in the water (i.e. the force of its fall was absorbed by the water), and thus the foundation was not damaged”.

263 Wilamowitz 1912, 458. 264 Vollgraff 1914, 84.

A sostegno della prima interpretazione si può ammettere che il motivo del

flatum emitto è molto ricorrente sia nella commedia (cfr. Aristoph. Ve. 619 e ss.) che

nel dramma satiresco (Eur. Cycl. 328). Inoltre, è stata indicata da Maltese una

rappresentazione vascolare a figura rosse (ARV

2

, 613.6 A) in cui sembra che un

satiro, trasformato in scimmia da una donna, assuma la posizione di chi κύβδα

ἀποπέρδεταί τινι.

265

L'atto in cui è ritratto il satiro-scimmia non è documentato da

altre fonti in tutta la letteratura greca, né sembra che questa caratteristica derivi da

una credenza popolare dei Greci, perciò risulta difficile puntare essenzialmente su

questa testimonianza per favorire la prima traduzione di ἀποθυμαίνω. Ad essere

sospetta non è la posa in cui viene rappresentato il satiro-scimmia, peraltro molto

affine a quella del nostro passo, quanto la vera intenzione di emettere flatulenze.

266

La seconda ipotesi vede nella posizione rannicchiata dell'animale un segno della

sua ira. Questa caratteristica, a primo impatto più verosimile rispetto alla prima, ma

di minore comicità, ha riscontro in un proverbio risalente ai pitagorici (Πιθήκου

ὀργὴν καὶ κόλακος ἀπειλὴν ἐν ἴσῳ θετέον, Sent. Pyth. 140), ma non abbiamo altre

testimonianze che ci forniscano precisi parallelismi con la desueta posizione.

Dal punto di vista linguistico, il tentativo di Wilamowitz di connettere

ἀποθυμαίνειν ad ἀποθυμιᾶν e αποπέρδεσθαι è ingiustificato.

267

Sia il raro ἀποθυμιᾶν

che i verbi a questo affini (ad es. θυμιᾶν) hanno un significato diverso da quello che

è stato loro attribuito. Ad esempio, nella sua unica occorrenza, in Aristotele HA.

580b 23, ἀποθυμιᾶν vuol dire “affumicare/ fare suffumigi”.

Se intendiamo ἀποθυμαίνω come un rafforzativo di θυμαίνω (adirarsi), il

prefisso απο-, associato a verbi che esprimono emozioni, aggiungerebbe una

sfumatura di intensità al significato del composto, come nei casi di ἀπομηνίειν (Il.

IX. 426), ἀποργίζεσθαι (Men. Sam. 683), ἀποσκυδμαίνειν (Il. XXIV. 65),

ἀποστυγεῖν (Soph. OC. 186) oppure indicherebbe un'azione sul punto di cessare

come in ἀπομηνίειν (Phot. α 2568) e ἀπαλγεῖν (Thuc. II. 61. 4).

268

D'altra parte, a

livello sintattico, è più sensato considerare ἀποθυμαίνω un sinonimo di θυμαίνω dal

momento che la costruzione di quest'ultimo verbo con il dativo è testimoniata

265 Maltese 1982, 77.

266 Cfr. Antonopoulos (2010, 223, n. 782) il quale, non vedendo nessuna allusione oscena nella posa del satiro rappresentato, crede che invece esso stia semplicemente camminando a quattro zampe. 267 Cfr. Hunt 1912, 73, Pearson 1917, 244.

ampiamente nel periodo di Sofocle: cfr. e.g. Aristoph. Nub. 610: εἶτα θυμαίνειν

ἔφασκε (sc. Ἀθηναίοισι καὶ τοῖς ξυμμάχοις), v. 1478: ἀλλ᾽ ὦ φίλ᾽ Ἑρμῆ μηδαμῶς

θύμαινέ μοι, Eup. fr. 191: θυμήνας τοῖς στρατιώταις. Significativa, ma non probante

per motivi cronologici è la scelta di Oppiano in Cyn. I. 195, II. 55, II. 477, IV. 416 di

usare il verbo θυμαινείν per indicare l'atteggiamento adirato di alcuni animali.

Metricamente, con ἀποθυμαίνεις si ha un anapesto nel quarto piede per

soluzione della sillaba breve in altre due brevi. Questa situazione è parsa a Hunt così

anomala da spingerlo a rigettare la lezione del papiro per stampare invece κύβδα

θυμαίνεις.

269

In realtà se nel trimetro tragico la presenza di un anapesto è tollerata

esclusivamente nel primo piede (quando non si tratta di un nome proprio), nel

dramma satiresco questa regola non è così rigida poiché l'anapesto si può trovare nel

secondo, terzo, quarto e quinto piede.

270

West cita, come prova ulteriore della

maggiore elasticità metrica del σατυρικόν rispetto a quella della tragedia, altri due

frammenti sofoclei (fr. 671: ἐσθίειν ἐθέλων τὸν δέλφακα, fr. 120: ὡρακιᾶσαι

θλιβομένης τῆς καρδίας) e numerosi passi del Ciclope euripideo, precisamente

diciassette occorrenze.

271

I suddetti paragoni analizzati ci offrono uno spunto interessante per avviare una

breve riflessione sull'atmosfera ferina che contraddistingue gli Ichneutai. Essa non si

esplica solamente all'interno di una trama che pone al centro il furto di buoi e la

nascita della lira dal guscio di tartaruga, ma, oltre ad essere evidenziata dal

comportamento animalesco dei satiri in veste di segugi, si percepisce anche

all'interno del linguaggio utilizzato, ricchissimo di espressioni inerenti l'ambiente

rurale. L'associazione del comportamento del coro chino a terra a quello del riccio e

della scimmia è un elemento riconducibile all'ethos bucolico (vv. 127-28), così come

immagine di vita quotidiana è la scena in cui il coro tenta di indovinare da quale

animale Hermes abbia creato la lira, attraverso una climax di differenti congetture

che vedono la successione di αἰέλουρος, πόρδαλις, ἰχνευτής, καρκίνος, κάνθαρος

Αἰτναῖος (vv. 298 e ss.). E' stato supposto da Maltese che il fattore animalesco sia un

topos tipico del genere, finora non sufficientemente approfondito dalla critica.

272

269 Hunt 1912, 45, 73. 270 Cfr. West 1982, 81-2, 88.

271 Cfr. Seaford 1984, 45: vv. 154, 232, 234, 242, 272, 274, 546, 558, 560, 562, 566, 582, 588, 637, 646, 647, 684.

Egli nota dall'analisi di vari frammenti satireschi che sono frequenti citazioni,

paragoni e accostamenti ad animali, quali il maiale, il topolino di campagna, l'asino,

lo scarafaggio, il riccio, la scimmia e il capro.

273

L'estraneità di Sileno rispetto a quello che gli appare un nuovo modo di cacciare

è ripresa ancora una volta alla fine del suo intervento (vv. 129-30) da espressioni

colloquiali miste a termini tipici di un linguaggio altisonante. La successione fitta di

tre domande all'interno dello stesso verso “[τ]ί̣ ταῦτα; ποῦ γ̣ῆς ἐμάθετ'; ἐν πο̣[ί]ῳ

τόπῳ;”

274

mira ad evidenziare la sua incredulità, mista alla volontà di scoprire dove

mai i satiri avessero appreso tale tecnica. [T]ί̣ ταῦτα;

275

è un colloquialismo che

contrasta nettamente con la frase successiva “ο̣ὐ γ̣ὰρ ἴδρις εἰμὶ τοῦ τρόπου”. La

costruzione insolita ἴδρις εἰμὶ utilizzata al posto del più comune οἶδα innalza non di

poco un livello stilistico che finora è stato basso, costellato di paragoni legati al

sostrato popolare, frasi brevi, ripetizioni e domande. Naturalmente si tratta di una

ricercatezza voluta, un prestito dall'epica e dalla lirica che conclude comicamente la

prima parte del discorso di Sileno.

276

L'esclamazione di paura dei satiri “ὕ̣ [ὗ] ὕ̣ ὗ̣” (v. 131)

277

aumenta la tensione

scenica, ma soprattutto la preoccupazione del padre che rivolge nuovamente

domande incalzanti. Con τί ποτε βακχεύεις ἔχων; (v. 133) si ha una chiara allusione

al culto bacchico. L'uso di βακχεύω non implica che i satiri stessero propriamente

danzando, come vuole Page,

278

o che fossero in preda al furore bacchico. Il verbo

rimanda chiaramente alla sfera dionisiaca, ambiente familiare per i satiri (cfr. Eur.

Cycl. 203-4: τί τάδε; τίς ἡ ῥᾳθυμία;/ τί βακχιάζετ᾽; οὐχὶ Διόνυσος τάδε), ma in

questo caso suggerisce solamente il modo irrequieto e spasmodico in cui essi

dovevano muoversi, spaventati dal suono ignoto. La particolare costruzione di ἔχων

con un verbo all'indicativo presente, oltre ad essere usata spesso in commedia perché

273 Cfr. e.g. Aesch. frr. 227, 233, 307-311, Soph. frr. 167, 393, 820, 838 (Radt). Negli Ichneutai, oltre alle similitudini con il riccio e la scimmia che abbiamo già visto, è presente un'allusione al capro al v. 367 durante il dialogo tra i satiri e Cillene.

274 Tόπῳ; è frutto di una correzione di Wilamowitz universalmente accettata. La lezione del papiro presentava un τρόπῳ; che agli studiosi è sembrato indubbiamente un errore provocato dall'influenza del τρόπου del verso seguente (v. 130).

275 Cfr. il “τί ταῦτα;” di Eur. Cycl. (v. 37) rivolto sempre da Sileno ai satiri. 276 Cfr. ἴδρις in Od. VI. 233, VII. 108, Aesch. Ag. 446, Soph. El. 608.

277 Che ὕ̣ [ὗ] ὕ̣ ὗ̣ sia un'espressione di paura è deducibile dalla domanda di Sileno del verso seguente “τίνα φοβῇ;”. Non è detto però che sia da intendere solamente in questo senso. Cfr. e.g. v. 176, in cui questa espressione è sempre proferita dai satiri nel clima euforico della caccia.

tipicamente colloquiale, conferisce all'espressione un aspetto durativo.

279

Tutti gli editori e i commentatori hanno mostrato numerose perplessità

nell'interpretazione del v. 134. La diatriba ha riguardato nello specifico il significato

di κέρχνος, inteso da Hunt

280

come un “harsh, grating sound” proprio della lira,

281

sulla base della glossa di Gal. 19, 111 (Kühn): ἥ τε τραχύτης ὀνομάζεται τῆς

φάρυγγος καὶ ὁ ἐν τῷ πνεύμονι ψόφος.

282

Delle obiezioni possono essere facilmente

avanzate nei confronti di questa teoria. In primo luogo, il termine κέρχνος mal si

adatta alla melodia dolce e delicata della lira, poiché denota precisamente un suono

rauco.

283

In secondo luogo, ancora più rilevante è il fatto che Sileno ammetta al v.

139 di non aver avvertito nessun rumore (καλ̣ῶς ἀκούσ[ομ' οὐδεν]ὸς φωνὴν κλύων)

e che venga a conoscenza solamente dopo il v. 138 della causa del timore dei figli.

Se poi Sileno avesse capito dalla posizione dei satiri che essi, appoggiando

l'orecchio al suolo, cercassero di intuire la provenienza di qualche suono,

sicuramente non si sarebbe riferito a quest'ultimo con il termine κέρχνος, poiché non

avendolo ancora percepito, non poteva essere a conoscenza della sua natura, ma

avrebbe usato un generico “ψόφος”.

284

Inadeguata anche l'interpretazione di Maltese che attribuisce al termine il

significato di “ruvidità, escrescenza” conformemente alla glossa ad Ippocrate di

Erodiano (48, 12 (Nachmanson): παρὰ τοῖς Ἀττικοῖς κερχνώδη ἀγγεῖα λέγεται τὰ

τραχείας ἀνωμαλίας ἔχοντα).

285

Come Siegmann,

286

anche lui riferisce la durezza

espressa dal sostantivo κέρχνος al “nodoso” bastone di Sileno, usato, a suo parere,

per minacciare i satiri.

287

Tuttavia, questa ipotesi, senza dubbio fantasiosa, non ha

riscontro nel testo dal momento che non c'è traccia in tutta l'opera di nessun

ῥόπαλον.

288

279 Cfr. e.g. Aristoph. Nub 509: τί κυπτάζεις ἔχων περὶ τὴν θύραν;, Pl. Gorg. 490e: φλυαρεῖς ἔχων. 280 Hunt 1912, 73. Così anche Wilamowitz 1912, 458, n.5.

281 Cfr. Siegmann 1941, 62, Maltese 1982, 78, Lloyd-Jones 1994, 138.

282 Hunt integra perciò: ἀ[γχοῦ τις ἤχε]ι κέρχνος· ἱμείρει[ς] μαθεῖν/ τ[ίς ἦν; (v. 134-5).

283 È significativo in tal senso che nella terminologia media κερχνώδης designi la raucedine. Cfr. oltre alla glossa di Galeno sopra riportata, anche Gal. 19, 154: φωνὴ περιπνευμονική: ἡ κερχνώδης.

284 Cfr. Antonopulos 2010, 229-30.

285 Maltese 1982, 78. Per κέρχνος in questo senso cfr. anche Soph. fr. 279: τραχὺς ᾧ χελώνης κέρχνος ἐξανίσταται.

286 Siegmann 1941, 63. 287 Maltese 1982, 78.

288 C'è da aggiungere che la proposta di Siegmann va vista in relazione alla diversa lettura che lo studioso dà del v. 134, sostituendo παθεῖν a μαθεῖν.

Solo nel 1994, grazie al lavoro illuminante di Lloyd-Jones,

289

κέρχνος è stato

considerato da un altro punto di vista semantico, come sinonimo di κέγχρος, nel

significato di “miglio”.

290

Questo cereale, stando alle numerose testimonianze

pervenuteci, veniva conservato in magazzini sotterranei chiamati σιροί.

291

Da qui è

probabile che Sileno, vedendo i satiri chinati verso il suolo, si chiedesse

scherzosamente se questi stessero cercando un σιρός contenente del miglio,

affermazione che ben si adatta al tono altezzoso proprio del personaggio. Questa

interpretazione, la migliore trovata finora, ha un parallelo nel famoso passo delle

Nuvole di Aristofane (vv. 188-89) in cui alla domanda di Strepsiade su cosa stessero

facendo gli allievi di Socrate curvati verso terra, un discepolo risponde: “βολβοὺς

ἄρα ζητοῦσι”. La ricostruzione dell'intero v. 134 non è stata però pienamente

soddisfacente. Prescindendo dalle congetture precedenti i chiarimenti forniti da

Lloyd- Jones che intendono κέρχνος in maniera erronea,

292

non sono state trovate di

recente delle soluzioni adeguate. La stessa ipotesi di Lloyd- Jones “ἆ[ρ’οὗ τίς ἐστ]ι

κέρχν[ο]ς ἱμείρεις μαθεῖν;” pecca nell'accentazione della prima α che nel papiro

presenta invece un accento grave.

293

Secondo Diggle,

294

l' ὰ in questione

apparterrebbe invece ad un ἂ[ν e avrebbe lo scopo di introdurre un'interrogativa

indiretta dipendente dal verbo μαθεῖν.

Lo scambio di battute seguente tra Sileno e i satiri è contraddistinto

dall'alternanza di monometri giambici extra metrum rispetto al trimetro tradizionale,

la cui presenza è desumibile dall' ἐμ[ο]ὶ πιθοῦ del v. 140. Purtroppo non siamo in

grado di ricostruire perfettamente i versi della parte iniziale della sesta colonna,

perché alla lacuna si aggiunge un'errata disposizione del papiro che ne ha

determinato la sovrapposizione parziale dello stesso.

295

A partire dal v. 139 si ha

289 Lloyd-Jones 1994, 137-39.

290 Cfr. e.g. Anaxandr. 42, 27-8 (K-A): κέρχνων τε...σιρὸν (v. Lloyd-Jones 1994, 138), Gal. 18a, 574: (sc. κέρχνος) οὕτως δὲ ὀνομάζουσι τὴν κέγχρον οἱ Ἴωνες.

291 Cfr. oltre al citato fr. 42 di Anassandride, Dem. De Cher. 45, 3-4, Soph. fr. 276, Eur. fr. 827. Per altre occorrenze cfr. Lloyd- Jones 1994, 138-9.

292 Pearson: ἀ[λλ’οὐ τίς ἤχε]ι, Siegmann: ἀ[λλὡς ὁ τοῦδ]ε… … παθεῖν; (cfr. app. ad loc.) 293 Lo studioso si giustifica credendo fermamente nello sbaglio del copista.

294 Diggle 1998, 51.

295 Cfr. Diggle 1996, 7: “The papyrus has been badly mounted under the glass. The part of the papyrus containing the right hand portion of the line […] has been allowed to overlap the part containing the beginning”. Da qui derivano i numerosi problemi riscontrati dagli studiosi relativi al calcolo del numero delle lettere nello spazio lacunoso. Tra i casi filologici difficili da chiarire si può citare quello del primo verso della colonna (v. 139) che divide la critica nella scelta di καὶ πῶς e καλῶς, data l'impossibilità di stabilire se tra la Κ e l'Ω ci siano due o tre lettere.

infatti un dislivello rispetto alla riga di base che continua fino al v. 141,

affievolendosi man mano e scomparendo completamente al v. 144. In questi ultimi

versi i satiri cercano di spiegare il motivo della loro paura, legato alla percezione di

un suono che nessun mortale ha mai sentito prima.

296

La risposta di Sileno è furibonda. Non credendo a ciò che gli hanno appena

rivelato i suoi figli, li accusa subito di eccessiva vigliaccheria, rinfacciando il divario

fra questi e il loro padre al contrario coraggioso e rifulgente di gloria fin dalla

gioventù. Sprona quindi i satiri a continuare la ricerca soprattutto in vista della

ricompensa finale promessa da Apollo.

Nello specifico, l'intervento di Sileno può essere suddiviso in più sezioni: la

prima parte introduttiva (vv. 145-52) è distinta da un linguaggio volgare e molto

basso, pieno di insulti nei confronti dei satiri perché spaventati da un semplice

ψόφος; nella seconda (vv. 153-60) Sileno evoca le sue imprese giovanili ed esalta il

suo coraggio e la sua spavalderia che contrastano, a suo vedere, con l'atteggiamento

dei figli; con i vv. 161-65 emergono altre caratteristiche proprie del personaggio,

ossia opportunismo ed egoismo, evidenti nella volontà di proseguire la ricerca

solamente per l'oro e la libertà promessi da Apollo; l'ultima sezione (vv. 166-68), più

breve, è costituita dalla pura minaccia “κλαίοντες αὐτῇ δειλίᾳ ψοφή[σ]ετε” qualora i

satiri decidessero di non proseguire la ricerca.

Il lungo intervento di Sileno, come ha sottolineato Maltese,

297

risponde alla

duplice funzione di sbloccare l'azione, adesso in una situazione di stallo, al fine di

promuovere la seconda fase della caccia e delineare più precisamente le

caratteristiche di un personaggio, prima solamente egoista, opportunista e spavaldo,

adesso anche vigliacco e pauroso. Nonostante egli si vanti della sua temerarietà

testimoniata dalle imprese giovanili, poco dopo fuggirà via a causa del secondo

κιθαρισμός perché terrorizzato da quel suono mai udito prima.

Oggetto del suo turpiloquio iniziale sono i satiri che subiscono il flusso di

pesanti accuse e insulti che si avvicinano alle scene più pittoresche della commedia,

296 Cfr. τὸν οὐδε[ὶ]ς π̣[ώπο]τ' ἤκουσεν βροτῶν (Soph. Ich. 144) con θαυμασίην γὰρ τήνδε νεήφατον ὄσσαν ἀκούω/ ἣν οὐ πώ ποτέ φημι δαήμεναι οὔτε τιν᾽ ἀνδρῶν/ οὔτε τιν᾽ ἀθανάτων (H. Herm. 443-45). Il tema dell' εὕρημα è uno dei motivi caratteristici del dramma satiresco che coinvolge principalmente i satiri, visti come i primi ad aver avuto esperienza di un'invenzione all'interno di un ambiente primitivo e non civilizzato.

senza tuttavia superarle in scurrilità.

298

La massa di offese sembra essere proferita da

Sileno tutta ad un fiato per effetto dell'asindeto che vede una continua successione di

espressioni volgari, senza pause.

299

Il primo insulto “μάλθης ἄναγνα σώ[μα]τ̣' ἐκμεμαγμένα”

300

(v.146), è piuttosto

singolare, anzi con molta probabilità costituisce un unicum in tutta la letteratura

greca. Immagine straordinariamente efficace, essa racchiude in sé una molteplicità

di significati che rispecchiano il carattere dei satiri dal punto di vista di Sileno.

Probabilmente non è un caso che un'espressione così pregnante apra la lunga sfilza

di accuse, dal momento che ingloba al suo interno tutti i difetti attribuiti ai satiri dal

loro padre. Con questo primo accostamento alla cera duttile (μάλθα), Sileno vuole

mettere in luce il mutismo che ha colto improvvisamente i suoi figli, abbastanza

insolito rispetto ai loro chiassosi e rumorosi modi di fare,

301

la loro essenza