II. Le edizioni critiche principali
2. A NALISI D EI V ERSI 1-
2.4. Le istruzioni (vv 91-99) e l'inizio della caccia (vv 100-123)
Del breve canto astrofico che segue una probabile promessa di remunerazione da
parte di Sileno,
178non si è in grado di dire granchè a causa di una lacuna papiracea
che si allarga nella seconda metà del verso. Che il canto sia conciso e composto da
appena tre versi (vv. 88-90) non è completamente anomalo.
179Il coro di satiri, come suppone Hunt,
180avrebbe probabilmente incoraggiato gli
informatori a palesarsi attraverso l'uso dell'interiezione “ἰὼ ω̣” del v. 88.
181All'apparente mancanza di proposte
182supplisce Sileno che incoraggia i satiri a dare
inizio alla caccia. L' ἄγ᾽ εἷα (v. 93) a scopo esortativo è indizio del passaggio ad
un'atmosfera che gradualmente sarebbe diventata molto concitata, culminando, alla
fine, con i movimenti acrobatici del coro che avrebbero animato la scena. Le
istruzioni che Sileno dà ai suoi figli riguardano le modalità con cui doveva essere
condotta la ricerca delle vacche. I satiri avrebbero dovuto fiutare come segugi
(ῥινηλατῶν, v. 94), individuare il luogo di provenienza degli odori (αὔρας ἐάν πῃ, v.
95) stando rannicchiati e piegati in due (διπλοῦς ὀκλάζω[ν, v. 96), con le narici a
terra (ὕποσμος ἐν χρῷ, v. 97).
Questi versi, il cui lessico è pieno di riferimenti a movenze canine, sono
un'anticipazione delle posizioni bizzarre che avrebbe in seguito assunto il coro.
Ῥινηλατῶν è un composto da ῥίς + ἐλαύνειν e indica l'atteggiamento caratteristico
dei segugi di lasciarsi guidare dal fiuto
183e διπλοῦς ὀκλάζω[ν offre ulteriori
precisazioni sulla loro postura accovacciata. Per Wilamowitz, la posa suggerita da
questi due elementi rifletterebbe quella dei cani seduti con le gambe posteriori
178 Il “μηνυ[” del v. 87 è stato ricostruito da Hunt (1912, 71) come μήνυ[τρα e da Bignone (1912-13,781) come μήνυ[τρον. 179 Cfr. vv. 64-78, 213-16. 180 Hunt 1912, 71.
181 Esclamazioni di questo genere sono tipiche dei canti corali. Cfr. e.g. vv. 176, 213.
182 Che nessun altro (a parte i satiri) si faccia avanti per aiutare Apollo è desumibile da ἔοικεν ἤδη κ[ del v. 92 integrato da Hunt (1912, 71) con κ[αὶ πρὸς ἔργ’ὁρμᾶν με δεῖν che rifletterebbe l'ipocrisia e la pigrizia di Sileno pronto invece a dare ordini ai suoi figli.
183 Il verbo ῥινελατέω si trova anche nell' Agamennone di Eschilo (μαρτυρεῖτε συνδρόμως ἴχνος κακῶν/ ῥινηλατούσῃ τῶν πάλαι πεπραγμένων, vv. 1184-85) per designare la capacità di Cassandra di essere εὔρις... κυνὸς δίκην (v. 1093) per la sua dote profetica.
piegate,
184ma se così fosse, i satiri sarebbero molto limitati nei loro movimenti,
poiché, stando in questa posizione così statica non potrebbero lasciarsi andare alla
caccia frenetica
185e alla loro caratteristica danza acrobatica.
186Sebbene alcuni passi
in cui compare il termine ὀκλάζω alludano ad una postura che implica una generica
flessione delle gambe e l'atto del sedersi,
187in questo caso non si può prescindere dal
considerare tale posizione, in particolare la seconda, inconciliabile con la σίκιννις.
Sarebbe più verosimile che i satiri assumessero una posa con le braccia flesse in
avanti, atteggiamento peraltro ammesso dal verbo ὀκλάζω
188e confermato dal
διπλοῦς successivo, inteso, in questo caso, come “piegato in avanti”.
189Ulteriore prova di ciò è l'espressione ὕποσμος ἐν χρῷ secondo la quale il coro
avrebbe dovuto fiutare le tracce delle vacche con le narici rivolte verso terra. Se il
significato di ὕποσμος “guidato dall'olfatto” è confermato dalla glossa di Esichio
190che, secondo Wilamowitz e Pearson,
191è riferita proprio a questo passo degli
Ichneutai, a ἐν χρῷ deve essere dato il senso metaforico di “vicino” (come in Thuc.
II, 84, 1: ἐν χρῷ παραπλέοντες)
192immaginando un “τῆς γῆς” sottinteso.
193La prima scena della caccia (vv. 100-123) è senza dubbio una delle più colorite e
movimentate di tutto il dramma. A giudicare dal cospicuo numero di paragraphoi,
sembra, infatti, che il coro si divida in gruppi, due o più probabilmente tre; stabilirne
il numero preciso è piuttosto difficile perché il papiro non ci fornisce ulteriori
informazioni a riguardo. Per questa ragione è nata una querelle tra gli studiosi che
sostengono la divisione del coro in tre parti e quelli che difendono invece l'idea di
una bipartizione.
194La prima opzione è generalmente seguita dalla critica più recente. Nel 1941
184 Wilamowitz 1912, 456, n.2. Per questo motivo corregge διπλοῦς in δίπους.185 Cfr. Pearson 1917, 240-41. 186 Cfr. Maltese 1982, 74.
187 Cfr. e.g. Xen. Anab. VI, 1,10 in cui ὤκλαζε si riferisce ad un particolare passo della danza persiana (cfr. Poll. 4. 100: περσικὸν ὂρχημα) e Soph. OC. 196 in cui ὀκλάσας, unica occorrenza tragica del verbo, indica l'azione del mettersi seduti.
188 Cfr. Aelian. NA. VII, 4: ὀκλάσαντας τοὺς προσθίους.
189 Cfr. Eur. El. 492: διπλῆν ἄκανθαν, in riferimento alla spina dorsale curvata di un vecchio. 190 Hsch. υ 741: ὕποσμος· ὀσφραινόμενος.
191 Wilamowitz 1912, 456, n.2., Pearson 1917, 241. 192 Cfr. schol. ad loc. “ἐν χρῷ: ἀντὶ τοῦ πλησίον”.
193 Cfr. Maltese (1982, 74) che riporta il passo di Luc. Herm. 5: ἐν χρῷ τῆς γῆς. 194 Cfr. app. ad loc.
Siegmann
195mostrò come la tripartizione dei satiri sia suggerita dall'espressione
“τοῖ̣σ̣[ι] ταύτῃ πῶς δοκεῖ;” del v. 105, rivolta dal primo coro al secondo gruppo, in
riferimento al terzo.
A complicare ulteriormente la situazione è la discutibile divisione delle
paragraphoi che fornisce il papiro. Ad esempio, il blocco di versi che va dal v. 114 al
v. 123, corrispondente all'ultima parte della prima fase della caccia, viene attribuito
ad un unico gruppo di satiri. Nonostante ciò, dopo il v. 119 sarebbe opportuno un
cambio di interlocutore poiché l'invito dei satiri a guardare bene le impronte di
direzione confusa (παλινστραφῆ τοι ν̣α̣ὶ̣ μὰ Δ̣ί̣α̣ τ̣ὰ̣ β̣ή̣μ̣α̣τ̣α̣/ εἰς τοὔμπαλιν δέδορκεν·
αὐτὰ δ' εἴσιδε, vv. 118-19) è seguito, nel verso successivo, da un “τί ἐστὶ τουτί; τίς ὁ
τρόχ̣ος τοῦ τάγματ[ος;”, che, esprimendo incredulità e sorpresa, andrebbe attribuito
ad un altro gruppo.
196Altra difficoltà è stabilire con certezza l'attribuzione delle singole battute. In base
alla tripartizione del coro, i versi sono stati così suddivisi da Maltese: A vv. 100-1,
103, 105a, 111-3; B vv. 102, 104, 110; C vv. 105b-109, 114-23.
197Secondo questo
schema, sarebbero i primi due gruppi (A e B) ad iniziare un dialogo sulle impronte
appena trovate. Il terzo gruppo C verrebbe interpellato al v. 105 e da lì si inserirebbe
nella conversazione animata fino all'intervento di Sileno.
La suddivisione dei satiri ricorda molto da vicino quella dei marinai dell'Aiace,
la cui bipartizione è dettata dalla necessità di trovare l'eroe scomparso. La loro
ricerca, a differenza degli Ichneutai, avviene fuori dalla scena e non avrà successo;
non saranno infatti i marinai a trovare il corpo di Aiace, ma Tecmessa.
198Anche nel
Ciclope di Euripide (vv. 635-42) e nell'Inaco di Sofocle (fr. 269c, vv. 21-4)
199il coro
è smistato in gruppi. Questa, più che una semplice analogia con gli Ichneutai,
sembra proprio una prassi tipica del σατυρικόν, confermata anche da alcune
rappresentazioni vascolari che, nel riprodurre scene di drammi satireschi, raffigurano
i satiri con movimenti diversi, quasi a suggerire una loro divisione in più parti.
200La scoperta delle tracce dei buoi provoca nei satiri grande eccitazione e sorpresa.
195 Siegmann 1941, 55-6.196 Cfr. Diehl 1913, 7-8.
197 Così anche Siegmann 1941,56 e Radt 1977, 282. Cfr. app. ad vv. 100-123.
198 Per lo smembramento del coro cfr. Soph. Aj. 814 e ss., per il ritrovamento del cadavere cfr. vv. 891 e ss.
199 Cfr. Carden 1974, 73, 85-6.
Il θεός ripetuto per quattro volte è chiaro segno dell'euforia che doveva averli
pervasi al momento del ritrovamento, anche se non è molto chiaro a chi possa essere
riferito. Robert
201crede che i satiri abbiano subito individuato le orme di un dio,
cosa alquanto improbabile e peraltro non desumibile dal testo. A partire dal v. 102
con ταῦτ' ἔστ' ἐκεῖνα· τῶν βοῶν τ[ὰ] β̣ήματα si hanno espliciti riferimenti a tracce di
buoi (cfr. v. 108: καὶ τοὐπίσημον αὐτὸ τῶν ὁπλῶν π̣άλ̣ι[ν, vv. 115-16: ἀλλ' αὐτὰ μὴν
ἴχ̣[νη τε] χὠ σ̣τίβος τάδε/ κείνων ἐναργῆ τ̣ῶν β[ο]ῶν μαθεῖν πάρα), per cui l'ipotesi
avanzata sembra fuori luogo. Inoltre, bisogna anche considerare che, secondo l'Inno
ad Hermes da cui il dramma satiresco prende molti spunti, Hermes durante il furto
avrebbe confuso non solo le tracce dei buoi facendoli camminare all'indietro da un
certo punto in poi, ma anche le sue orme, costruendosi dei sandali da ramoscelli e
fogliame.
202Se Sofocle si fosse discostato dal mito tradizionale sicuramente ne
avrebbe fatto esplicita menzione, cosa che invece non accade.
Diversa invece è l'interpretazione che ne dà Wilamowitz
203il quale, citando
come parallelo ὦ θεοί· θεὸς γὰρ καὶ τὸ γιγνώσκειν φίλους di Eur. Hel. v. 560, crede
che l'iterazione di θεός sia da ricondurre a un'esclamazione generica che implichi la
consapevolezza dell'esistenza di qualcosa di sovrumano in determinate situazioni.
204I satiri, al v. 100, avrebbero riconosciuto nella scoperta delle impronte la presenza
del divino e avrebbero reagito con un'espressione equivalente a θεῖόν τι, θεῖόν τι
ενταῦθα· ἰδού. D'altra parte potremmo anche ammettere che il θεός più volte
ripetuto sia un'invocazione ad una divinità generica, non meglio specificata e che
insieme all'espressione “ἔα”, esprima semplicemente eccitazione e smania.
Quest'ultima, infatti, si trova spesso extra metrum, iterata e prima di una domanda
205ed indica genericamente un sentimento di sorpresa di fronte ad una nuova
situazione, non sempre positiva.
206201 Robert 1912, 543. Così anche Münscher 1914, 175 e Steffen 1952, 100. 202 Cfr. H.Herm. v. 79 e ss.
203 Wilamowitz 1912, 458, n.1. Così anche Pearson 1917, 241.
204 Dello stesso avviso è Maltese (1982, 75) secondo cui “l'anafora di θεός ha la funzione di esprimere il divino insito in certe mirabili combinazioni (qui il rinvenimento immediato delle peste bovine)”.
205 Per ἔα in extra metrum cfr. e.g. Eur. Hec. 1116, Med. 1005; per forma iterata cfr. e.g. Aesch. Prom. 688: ἔα ἔα, ἄπεχε, φεῦ, Soph. OC. 1477: ἔα ἔα, ἰδοὺ, per ἔα prima di una domanda cfr. e.g.
Aesch. Prom. 300: ἔα·τί χρῆμα λεύσσω;, Eur. Hec. 501: ἔα· τίς οὗτος…;, Aristoph. Plut. 824: ἔα τίς ἔσθ᾽ ὁ προσιὼν οὑτοσί;. Per approfondimenti cfr. Fraenkel 1950, vol. 3, 580, n.4.
206 Cfr. e.g. v. 205 in cui l'esclamazione ἔα detta da Sileno rispecchia un'atmosfera tesa derivata dalla percezione del suono ignoto provocato dalla lira.
Il clima concitato ha effetti visibili anche sulla sintassi e sul lessico. Al v. 102 la
disposizione delle parole poco lineare è caratterizzata da un iperbato che, non
tollerato da alcuni editori, viene evitato attraverso l'inserzione di un punto in alto che
divide la frase in due parti.
207Il ταῦτ' ἔστ' ἐκεῖνα, trovandosi isolato, sarebbe un
esempio di espressione colloquiale sulla scia del τοῦτο (τοδ’) ἐκείνο esaminato da
Stevens.
208La concentrazione di pronomi va vista come una particolare forma di ellissi
impiegata nella lingua parlata per esigenze di brevità e concisione. In questo caso
specifico, ταῦτ' ἔστ' ἐκεῖνα· τῶν βοῶν τ[ὰ] β̣ήματα potrebbe anche essere tradotto
con un “eccole! le tracce dei buoi!”. La scelta di collocare un segno di punteggiatura
dopo ἐκεῖνα per conferire alla frase maggiore intensità, non è inevitabile, dal
momento che la frase ταῦτ' ἔστ' ἐκεῖνα τῶν βοῶν τ[ὰ] β̣ήματα esente da modifiche,
avrebbe un senso. Anzi, proprio la mancata compostezza della sintassi rispecchia
pienamente il sentimento irrazionale dei satiri di fronte a tanto stupore. Essi
direbbero dunque: “Queste sono quelle tracce dei buoi (di cui avevamo parlato)!”.
Il verso successivo (v. 103) è stato parecchio discusso perché si ha difficoltà a
capirne il significato. Al σίγ[α] iniziale che interrompe la frenesia del momento, con
il quale i satiri sembrano aver necessità di fare chiarezza, segue θεός τις τὴν
ἀποι[κία]ν̣ ἄγει, frase che letteralmente significa “un dio guida la colonia” e che in
questo contesto sembra essere fuori luogo.
Münsher e Steffen
209rimangono dell'idea che il dio in questione sia Hermes, già
invocato al v. 100 con il ripetuto θεός e ora nuovamente citato come capo dell'
ἀποικία di buoi. Superfluo ribadire come nel testo non si abbia nessun accenno alle
orme di Hermes e come sia difficile per i satiri capire, solamente da semplici
impronte nel terreno, che ad essere coinvolto nel furto sia proprio un dio. È più
immediato pensare invece ad una divinità generica che conduce il coro nella ricerca,
piuttosto che, come vuole Pearson,
210ad un Apollo “dio delle colonizzazioni”. I
satiri non si sarebbero riferiti a lui con un generico θεός τις, ma sarebbe stato per
loro più naturale designarlo in maniera più definita, chiamandolo per nome o usando
un altro appellativo come ὁ θεός/ ὁ Φοῖβος.
207 Blumenthal 1942, 91, n.1. 208 Stevens (1976, 31-2).
209 Münsher 1914, 174-5, Steffen 1952, 100. 210 Pearson 1917, 241.
Essi dunque, avrebbero attribuito la fortuna della loro scoperta all'aiuto di una
divinità imprecisata.
211Come passi paralleli possono essere citati quelli di Aesch.
Ag. 661-63: ἡμᾶς γε μὲν δὴ ναῦν τ᾽ ἀκήρατον σκάφος/ ἤτοι τις ἐξέκλεψεν ἢ
'ξῃτήσατο/ θεός τις, οὐκ ἄνθρωπος, οἴακος θιγών, Od. IX. 141 e X. 141: τις θεὸς
ἡγεμόνευεν, Eur. El. 590-92: θεὸς αὖ θεὸς ἁμετέραν τις ἄγει/ νίκαν, ὦ φίλα, in cui
emerge l'idea dell'intervento di un dio non ben specificato all'interno degli
accadimenti umani. Così avviene anche in questa scena degli Ichneutai in cui “la
colonia” guidata sarebbe concretamente il gruppo di satiri. L'espressione ἀποικίαν
ἄγειν, da Maltese riconosciuta erroneamente come inconsueta e alternativa a εἰς
ἀποικίαν ἄγειν,
212è invece comunemente usata, come dimostrano i seguenti passi:
Thuc. VI.4.1.: Λάμις ἐκ Μεγάρων ἀποικίαν ἄγων ἐς Σικελίαν ἀφίκετο, Dion. Hal.
Ant. Rom. II.2.3: οἱ δὲ ἀγαγόντες τὴν ἀποικίαν ἀδελφοὶ δίδυμοι τοῦ βασιλείου
γένους ἦσαν, Paus. X.37.2: τῇ δὲ γῇ τῇ Φωκίδι ἐστὶν ὅμορος ἥ ὀνομάζεται μὲν ἀπὸ
Βούλωνος ἀγαγόντος τὴν ἀποικίαν ἀνδρός. Nel nostro θεός τις τὴν ἀποι[κία]ν̣ ἄγει
potrebbe anche nascondersi o un riferimento a qualche avvenimento contemporaneo
a noi ignoto che però il pubblico di Atene era in grado di cogliere, come la
fondazione di una colonia,
213oppure, più semplicemente, una sorta di proverbio
derivato da modi di dire di coloni che associavano le situazioni favorevoli in cui si
imbattevano all'intervento di qualche divinità.
Del terzo gruppo di satiri, come già anticipato, si ha notizia al v. 105 con τοῖ̣σ̣[ι]
ταύτῃ πῶς δοκεῖ;. I due cori, finora unici protagonisti della caccia, interpellano
l'altra fazione di satiri che sembra essere stata localizzata in un punto più lontano
dell'orchestra, espresso genericamente dal ταύτῃ con valore avverbiale. Quest'ultimo
gruppo, chiamato in causa sulla natura delle tracce, risponde che dovevano essere
proprio quelle le orme che stavano cercando.
Il colloquialismo δοκεῖ π̣άνυ, posto in antilabè, trasmette l'eccitazione del
momento, concretamente realizzato non solo con un botta e riposta serrato e con la
ricorrenza di termini tipici della lingua parlata, ma anche con una sintassi
particolarmente viva e articolata che vede il succedersi, all'interno dello stesso verso,
di numerosi pronomi. Come al v. 102 con ταῦτ᾽ ἔστ᾽ ἐκεῖνα, anche al v. 106 si hanno
211 La stessa indefinitezza si ha al v. 79 con l'invocazione di Sileno al δαίμων ἰθυντήριος.212 Maltese 1982, 76. 213 Cfr. Maltese 1982, 76.
tre pronomi, ossia αὔθ' ἕκαστα […] τά̣δ̣ε̣,
214che, all'interno della frase σαφῶ̣[ς γ]ὰρ
αὔθ' ἕκαστα σημαίνει τά̣δ̣ε̣ offrono due possibilità sintattiche.
215La prima opzione
vede τάδε come soggetto e αὔθ' ἕκαστα come oggetto di σημαίνει, la seconda
possibilità ammette invece che il verbo σημαίνει sia usato con valore intransitivo e
che i tre pronomi costituiscano un unico soggetto. Quest'ultima soluzione,
nonostante l'iperbato che vede l'interposizione del verbo principale tra i tre pronomi,
sembra preferibile alla tortuosità sintattica della prima. Anzi, è proprio lo stesso
iperbato, presente anche ai vv. 102 e 115-16 (ἀλλ' αὐτὰ μὴν ἴχ[νη τε] χὠ σ̣τίβος
τάδε/ κείνων ἐναργῆ τ̣ῶν β[ο]ῶν μαθεῖν πάρα) a corroborare ancora di più la
seconda ipotesi, poiché è l'elemento che, insieme alle espressioni di meraviglia e di
stupore che scandiscono la ricerca, sottolinea la carica emotiva e la mancanza di
raziocinio dei satiri espresse attraverso una sintassi poco lineare e confusa. Segno
evidente di questo stato d'animo agitato sono altresì le esclamazioni e le interiezioni
a scansione giambica poste extra metrum, come ἰδοὺ ἰδού (v. 107), ἄθρει μάλα (v.
109), ἔα μάλα (v. 117) e, più avanti, ὕ̣ [ὗ] ὕ̣ ὗ̣ (v. 131) ed ἐμ[ο]ὶ πιθοῦ (v. 140).
216Una serie di impronte vengono di nuovo individuate e designate con il sostantivo
ἐπίσημον, che, in base al suo significato generico di marchio/ distintivo connesso a
scudi, navi, monete,
217è stato interpretato da Robert
218come un segno di
riconoscimento che Apollo avrebbe inciso sugli zoccoli delle sue vacche, come
aveva fatto Sisifo per sventare i ripetuti furti di Autolico.
219Tuttavia, non c'è motivo
di ricorrere a questo paragone mitologico per sostenere una tesi che non ha riscontro
nè nel testo degli Ichneutai, nè nel mito tradizionale.
220Inoltre, se Sisifo marchia gli
zoccoli del suo bestiame è perché ne viene ripetutamente derubato da Autolico, al
contrario di Apollo che non si aspetta di esserne privato da un momento all'altro.
221Il termine ἐπίσημον va dunque inteso genericamente come traccia impressa nel
214 Cfr. e.g. Aesch. Prom. 949-50: καὶ ταῦτα μέντοι μηδὲν αἰνικτηρίως/ ἀλλ' αὔθ' ἕκαστα φράζε; Eur. Or. 1393: σαφῶς λέγ᾽ ἡμῖν αὔθ᾽ ἕκαστα τἀν δόμοις, Phoen. 494-95: ταῦτ' αὔθ' ἕκαστα, μῆτερ,οὐχὶ περιπλοκὰς/ λόγων ἀθροίσας εἶπον. 215 Cfr. Carden 1971, 41-2.
216 Per la combinazioni di elementi giambici extra metrum con i trimetri giambici nella tragedia e nel dramma satiresco cfr. Fraenkel 1950, III, 559.
217 Cfr. e.g. Hdt. IX, 74, VIII, 88, Plut. Thes. 6. 218 Robert 1912, 540.
219 Cfr. Suda σ 490, Polyaen. Strat. VI, 52.1.
220 Robert suppone che nella parte lacunosa del dialogo tra Apollo e Sileno (vv. 52-63) ci sia stata traccia di questo dettaglio.
terreno che le vacche hanno lasciato al loro passaggio.
Una delle questioni più dibattute dell'intero dramma è se i satiri avessero già al v.
113 avuto la prima percezione del suono della lira. Il dubbio è sorto a causa di
ῥοίβδημα, la prima parola che inaugura la quinta colonna del papiro. Tale forma è il
risultato finale di alcune correzioni operate dal revisore P
2che ha corretto il
ῥοιβδειάντιτων della prima mano P
1nel ῥοίβδημ’ ἐάν τι τῶν attuale. La seconda
mano apporta le seguenti modifiche: cancella il dittongo -ει-, aggiunge supra lineam
un -ημε- e annota al margine destro ]οιβδεμ’εᾱν.
222Il risultato di queste rettifiche è
dunque ῥοίβδημ' ἐάν, riconosciuto da Hunt anche nell'appunto marginale
223e per
questo adottato da tutti gli editori successivi.
L'unanimità raggiunta su questo fronte non è però ottenuta a livello semantico,
poiché se si è concordi nel riconoscere al termine il significato generico di
“rumore/suono”, non ne è chiara la tipologia specifica.
Sicuramente onomatopeico, ῥοίβδημα è un hapax legomenon, imparentato per la
radice comune con ῥοῖζος
224con cui condivide lo stesso significato di “fischio”
225e
usato da Sofocle forse per la sua predilezione nei confronti dei sostantivi aventi la
terminazione in -μα. Da quanto si evince ai vv. 114-16 (οὐκ εἰσακούω̣ … [….]στου
φθ̣[έγ]ματ̣ος,/ ἀλλ' αὐτὰ μὴν ἴχ[νη τε] χὠ σ̣τίβος τάδε/ κείνων ἐναργῆ τ̣ῶν β[ο]ῶν
μαθεῖν πάρα) si tratterebbe di un suono funzionale alla localizzazione delle vacche,
ma la frammentarietà del v. 113 (ῥοίβδημ' ἐάν τι τῶν [...].οῦς[) non ci lascia capire
chiaramente se esso è stato già percepito solo da un gruppo di satiri che chiede
conferma alle diverse fazioni oppure se in realtà una parte del coro esorti l'altra a
stare all'erta qualora si manifestasse un qualsiasi rumore in grado di identificare la
posizione del bestiame. Hunt,
226crede che proprio in questo momento si abbia la
prima percezione del suono della lira, mentre Robert e Steffen associano ῥοίβδημα
al muggito delle vacche.
227Queste interpretazioni, tuttavia, non sembrano tener
conto dell'effettivo significato del sostantivo che non può essere associato né al
222 Forse anche la prima E è frutto di emendamento di P2 in luogo di O.223 Hunt (1912, 42) integra ῥ]οίβδημ' ἐάν. 224 Cfr. Chantraine 1977, 977.
225 Cfr. Hsch. Lex. ρ 417: ῥοιβδεῖ· ῥοιζεῖ. 226 Hunt 1912, 72.
227 Robert 1912, 547, Steffen 1952, 101. Di questa opinione anche Siegmann 1941, 59. Kaimio (1979, 48) sostiene invece che se Sofocle avesse voluto alludere con ῥοίβδημα al verso dei buoi non avrebbe fatto uso di questo termine generico, quanto piuttosto del più specifico“μύκημα”.
suono armonioso di uno strumento, né al verso fragoroso dei buoi.
Le radici ῥοιζ-/ῥοιβδ-, infatti, sono proprie di rumori sottili e sibilanti, come il
suono del vento (Aristoph. Nub. 407: ὑπὸ τοῦ ῥοίβδου καὶ τῆς ῥύμης [sc. τοῦ
ἀνέμου]), delle ali degli uccelli (Aristoph. Av. 1182: ῥύμῃ τε καὶ πτεροῖσι καὶ
ῥοιζήμασιν), delle frecce scagliate nell'aria (Il. XVI. 361: ὀϊστῶν τε ῥοῖζον), del
fruscio dell'acqua corrente (Aelian. NA. XVII.17: τῶν ποταμῶν τῶν ἀενάων σὺν
πολλῷ τῷ ῥοίζῳ φερομένων), dell'egida di Atena scagliata per l'etere (Aesch. Eum.
404: πτερῶν ἄτερ ῥοιβδοῦσα κόλπον αἰγίδος). Appartengono a questa categoria
anche alcuni versi animali come il sibilo dei serpenti (Apoll. Rh. IV. 138: ῥοίζῳ
παλλομένοις χεῖρας βάλον ἀσχαλόωσαι), il ronzio delle vespe (Luc. Musc. 2: οἱ
σφῆκες, μετὰ ῥοιζήματος) e il cinguettio degli uccelli (Soph. Ant. 1021: οὐδ᾽ ὄρνις
εὐσήμους ἀπορροιβδεῖ βοάς).
228L'immagine che maggiormente è associata al
termine ῥοίβδημα è, in realtà, quella del fischio umano, visto, ad esempio, nel
segnale che Odisseo rivolge a Diomede in Il. X. 502 (ῥοίζησεν δ᾽ ἄρα πιφαύσκων
Διομήδεϊ δίῳ), nel comando generico rivolto a un animale (Poll. I. 209: καὶ κλωγμῷ
μὲν ἐξεγείρειν τὸν ἵππον ἐρεῖς καὶ ῥοίζῳ) e, più specificamente, nel richiamo che i
pastori rivolgono al loro bestiame (Eur. IA. 1086: ἐν ῥοιβδήσεσι βουκόλων, Long.
Soph II.10.2: καὶ ῥοίζῳ τὰς ἀγέλας κατήλαυνον, III. 28.1.: ἤλαυνε ῥοίζῳ πολλῷ τὰς
αἶγας εἰς τὴν νομήν). Ulteriore conferma ci è data da un passo dell'Odissea in cui si
narra che il Ciclope fischi per guidare il suo gregge lungo le montagne (IX. 315:
πολλῇ δὲ ῥοίζῳ πρὸς ὄρος τρέπε πίονα μῆλα). Il nostro ῥοίβδημα può essere
interpretato, quindi, come un vero e proprio fischio di un pastore, utilizzato per
condurre le bestie sottratte ad Apollo (Hsch. ρ 419: ῥοιβδώδει· [μετὰ ἤχου ἀείδει, ὡς
οἱ ποιμένες).
229Se diamo al termine questo significato che sembra piuttosto adeguato al nostro
contesto, dobbiamo per forza rigettare la ricostruzione del v. 113 di Hunt “ῥοίβδημ'
ἐάν τις τῶν [βοῶν δ]ι’οὖς [λάβῃ”
230che fa riferimento al muggito delle vacche e
anche quella di Pearson “ῥοίβδημ' ἐάν τι τῶν [ἕσω πρό]ς οὖς [μόλῃ”,
231che
228 Cfr. Maltese (1980, 165-66), il quale riporta, a sostegno di questa ipotesi, la testimonianza di Eliano (N.A. V, 51) in cui, nella rassegna dei vari suoni prodotti dagli animali, si fa una netta distinzione tra “τὸ μὲν γὰρ βρυχᾶται, μυκᾶται δὲ ἄλλο” e “κλαγγαὶ δὲ καὶ ῥοῖζοι καὶ κριγμοὶ καὶ ᾠδαὶ καὶ μελῳδίαι καὶ τραυλισμοὶ”.
229 Cfr. Pearson 1917, 242. 230 Ηunt 1912, 43.