II. Le edizioni critiche principali
2. A NALISI D EI V ERSI 1-
2.6. La seconda fase della caccia (vv 176-202)
Grazie alla guida di Sileno che si mostra molto sicuro di sè, i satiri sono più
motivati a riprendere la ricerca, contando soprattutto sull'appoggio del padre. Essi,
spronati e incoraggiati, danno vita, in un tripudio di danze e movimenti acrobatici, a
una delle scene più spettacolari degli Ichneutai che li vede coinvolti nella
caratteristica danza satiresca, la σίκιννις. Il canto astrofico con cui si inaugura la
seconda fase della caccia consta di una trentina di versi che non ci sono pervenuti
integri. Il papiro, infatti, alla fine della VII e all'inizio dell'VIII colonna presenta una
grave lacuna corrispondente alla seconda metà dei versi in questione. Da qui deriva
la difficoltà di una ricostruzione contenutistica, linguistica, metrica e scenica che
però, possiamo tentare di dare grazie agli elementi superstiti.
Lo scriba attribuisce l'intera porzione di testo al coro, non curandosi di inserire
nessuna paragraphos. La scelta sembra discutibile dal momento che questo canto
astrofico è costituito da effervescenti προκελεύσματα alla ricerca, che prevedono
necessariamente due o più interlocutori. Per questo motivo, la critica si è divisa tra
coloro i quali pensano ad uno scambio di battute tra singoli coreuti o gruppi di cori,
formatisi in seguito alle disposizioni di Sileno (v. 174) e chi invece vede, grazie al
numero consistente di sollecitazioni e richiami, un serrato dialogo tra i satiri e il
padre, il quale assolverebbe il ruolo di guida promesso poco prima (vv. 172, 175).
Esponenti della prima corrente sono Münscher
368e Maltese.
369Entrambi
focalizzano la loro argomentazione sui vv. 172-3 (ἐγὼ πα[ρ]ὼν αὐτός σε προσ̣βιβῶ
λόγῳ,/ κυν̣ο̣ρ̣τικὸ̣ν σύριγμα διακαλούμεν[ος) in cui Sileno afferma di voler
contribuire alla ricerca solo tramite fischi di caccia. Il coro sarebbe in toto il
protagonista della scena, lasciando al padre un ruolo marginale che metterebbe
maggiormente in luce la sua pigrizia.
Secondo Robert, Pearson, Masqueray e Diggle,
370invece, Sileno avrebbe svolto
una parte attiva all'interno del dialogo lirico, incitando la ricerca dei satiri non solo
368 Münscher 1914, 182-3.369 Maltese 1982, 81.
con il caratteristico σύριγμα, ma anche esortazioni e richiami. La volontà di
contribuire verbalmente alla caccia è individuata dai suddetti studiosi nelle parole
accondiscendenti alle richieste di aiuto dei figli corrispondenti al v. 175 ἐγὼ δ' ἐν
[ἔ]ρ̣γ̣οις παρμένων σ' ἀπευθυνῶ e poco prima al v. 172 con ἀλλ' εἷ' [ἐ]φίστω
τριζύγης οἵμου βάσιν·, nel tempestivo ordine di disposizione spaziale, probabile
anticipazione di molti altri.
La seconda prova a favore di un Sileno loquens viene localizzata al v. 203, alla
fine del passo lirico, proprio quando i satiri chiedono: “πά̣τερ, τί σι̣γᾷς;”. La loro
sorpresa nel vedere il padre improvvisamente ammutolito trova una spiegazione
nella seconda manifestazione del κιθαρισμός che in precedenza era stata la causa del
loro disorientamento e aveva generato in Sileno, ignaro del suono, un sentimento di
disprezzo nei confronti della codardia mostrata dai figli. Con πά̣τερ, τί σι̣γᾷς; i satiri
esprimono, dunque, il loro turbamento e allo stesso tempo il loro spirito di rivalsa
nel notare il differente atteggiamento del padre, prima attivamente coinvolto e
adesso silenzioso. Sebbene questo passo sia stato considerato un elemento a favore
della teoria che vuole un Sileno interagente verbalmente con il coro, esso non può
essere considerato tale, poiché la richiesta di silenzio risulta ambigua: può infatti
fare riferimento sia alle esortazioni che al fischio. È stato altresì sostenuto che la
compartecipazione orale alla ricerca avrebbe parzialmente riflesso l'importante ruolo
di guida promesso ai satiri e che, da un punto di vista drammatico, il solo ausilio del
fischio avrebbe attutito eccessivamente il contrasto con la successiva scena di
vigliaccheria che vedeva il vecchio Sileno scappare via per paura.
371Se questa
considerazione è vera, d'altra parte la scelta di accantonare quasi totalmente il padre
dei satiri dall'animata scena della caccia, facendogli guidare il coro solamente con
dei fischi, poteva sottolineare la sua caratteristica pigrizia che lo esclude
genericamente dall'impegno attivo della ricerca.
Un indizio a favore dell'esclusiva partecipazione scenica e verbale dei satiri, su
cui Maltese fa affidamento assoluto, è quella della mancanza di paragraphoi nel
papiro. Il nostro scriba dimostra, infatti, di essere poco attento e per nulla scrupoloso
nella divisione delle varie battute. Può essere citato il caso del v. 75 in cui l'aggiunta
di una paragraphos dopo il v. 74 è immotivata, così come ha sollevato dubbi la
371 Cfr. Antonopoulos 2010, 286.spartizione dei versi relativi alla prima fase della caccia (vv. 100-23).
372Anche la
sequenza lirica in questione che, in base alla natura delle esortazioni, doveva essere
divisa tra più personaggi, non presenta alcun accenno alla differenziazione di
interlocutori, motivo per cui la completa autorità del copista viene meno. Prendere
una posizione netta a riguardo risulta, dunque, estremamente difficile. Tuttavia, la
totale assenza di paragraphoi potrebbe consentirci un'ulteriore riflessione. Ammesso
che la mano P
1non sia così precisa, è più probabile che sbagli nella specifica
collocazione di una o due paragraphoi all'interno di una sequenza dialogata piuttosto
che ometta in un intero passo tutte le paragraphoi. Quello che viene considerato un
errore, potrebbe essere un atto volontario e consapevole della divisione dei versi tra i
membri del coro, visto come un unico corpo scenico. In ogni caso, non ci sono indizi
validi e in grado di determinare con certezza la situazione scenica attuale. La
completa attribuzione al coro che fornisce il papiro risulterebbe semplice da
rappresentare con un Sileno appartato in un angolo dell'orchestra mentre direziona,
fischiando, i movimenti dei satiri danzanti, i quali, a loro volta, si spronano a
vicenda. Si può anche facilmente immaginare un esilarante dialogo tra il vecchio
satiro e i suoi figli che eleverebbe il personaggio di Sileno al ruolo di leader
indiscusso della caccia, accentuando, di conseguenza, il divario con la sua futura
ritirata.
Al di là dei problemi di attribuzione di versi difficilmente risolvibili, va messo in
evidenza come siamo in presenza di una delle scene più caratteristiche del dramma
in grado di rappresentare in maniera ineguagliabile l'atmosfera venatoria.
Trepidazione, velocità e frenesia contraddistinguono questa seconda battuta di caccia
condotta con grande impegno dal coro che, esortato dai fischi del padre, si
abbandona ad una danza spettacolare. Questi suggestivi spunti mimetici,
accompagnati da strani versi inaugurati da ὗ ὗ ὗ, ψ ψ, ἆ ἆ (v. 176), si traducono a
livello scenico in una confusa ed esilarante ricerca delle orme che vede i satiri
lanciarsi nelle più disparate direzioni (cfr. παρέβης v. 185, δεῦρ᾽ ἕπου v. 190, κατὰ
νόμον ἕπετα[ι v. 195, ἐφέπου, ἐφέπου v. 196, ἀλλὰ μὴ παραπλακ[ v. 200, ἔπ[ι]θ᾽
[ἔ]πεχ᾽ εἴσιθ᾽ ἴθι[ v. 201) ed essere spronati da un corifeo (che sia Sileno o qualche
membro del coro stesso) che emana imperiose direttive (cfr. e.g. vv. 190, 196, 200),
372 Cfr. app. ad loc.elogia un coreuta per la sua diligenza (vv. 194- 95: ὅδε γ᾽ ἀγαθὸς ὁ τρε[/ κατὰ νόμον
ἕπετα[ι), ne esorta un altro a perseverare nell'opera intrapresa (μὴ μεθῇ v. 192) e ne
frena alcuni per la foga eccessiva (vv. 185, 197, 200). Per rendere ancora più
efficace il comando, la nostra guida apostrofa i satiri per nome (vv. 183, 184, 185,
189, 192, 194), soluzione che fa pensare ad uno smistamento completo del coro che,
dopo la tripartizione suggerita dal v. 174, si divide in singole unità individuali,
alludendo, in questo modo, al comportamento degli animali imitati.
Anche la metrica risente di questa nuova situazione scenica. Il canto è astrofico,
caratterizzato da numerose sequenze di sillabe brevi che vedono la prevalenza di
cretici e anapesti, questi ultimi spesso risolti in proceleusmatici. Sono presenti anche
docmi e giambi. Tali metri corrispondono in maniera brillante al ritmo frenetico di
questa seconda fase della caccia, calzando a pennello con i κελεύσματα esortativi
rivolti ai satiri.
373In particolare, i proceleusmatici, con le loro intere successioni di
sillabe brevi, rispecchiano l'andamento concitato della ricerca, scandendo
ritmicamente la σίκιννις. Risulta inevitabile il confronto con la parodo dei vv. 64-78,
anch'essa senza responsione, con la quale il nostro canto lirico condivide il
contenuto e la metrica.
374I suddetti elementi convergono tutti verso un'unica direzione che vede in questa
scena la riproduzione, forse parodica, di una reale battuta di caccia dell'antichità.
L'immedesimazione è così forte che i satiri si trasformano davanti allo spettatore in
segugi, determinando un forte accrescimento della tensione mimetica. Se questa
conversione animalesca sia stata letterale e si fosse tradotta visivamente in un vero e
proprio abbigliamento canino è stato a lungo dibattuto. La teoria secondo cui i
coreuti degli Ichneutai fossero travestiti da cani da caccia, è stata sostenuta da
Walton,
375influenzato dall'autorevole Wilamowitz.
376Uno sguardo più attento agli
elementi significativi del dramma suggerisce, però, che non si hanno i presupposti
per arrivare ad una conclusione simile. Mi limito a discutere alcuni punti trattati da
Maltese
377che dimostrano come tale proposta non abbia reali fondamenta.
In primo luogo, la trama del dramma ci suggerisce che la funzione di segugi
373 Cfr. Voelke 2001, 170-71.374 V. infra.
375 Walton 1935, 167 e ss.
376 Wilamowitz 1912, 453 n. 1, 454-55, 457. 377 Maltese 1979, 122-23.
assunta dai satiri è solamente occasionale e legata al compito specifico dato loro da
Apollo; è improbabile che la loro natura canina prescinda da ciò. In secondo luogo, i
termini cinegetici che si riscontrano durante le due fasi della caccia, così come in
tutta l'opera, non vanno intesi, come vuole Walton, nel loro significato letterale,
quanto in senso metaforico e descrittivo.
378Non dimentichiamo che i satiri sono stati
chiamati da Apollo a ricercare le tracce dei buoi, motivo per cui essi assumono
atteggiamenti animaleschi. Di grande aiuto, in questa direzione, è un passo della
rassegna terminologica venatoria di Polluce (V.10) in cui ἰχνευτὴς ἀνὴρ καὶ κύων
sottolinea l'ambivalenza del termine ἰχνευτὴς, riferito sia ad esseri umani che ad
animali. Anche l'appellativo θῆρες o θηρία con cui i satiri vengono spesso designati
in senso negativo sia da Sileno (cfr. vv. 147, 153) che da Cillene (vv. 221, 252) non
indica necessariamente che il coro abbia un travestimento canino. Queste
espressioni, al contrario, sono frequenti nel genere satiresco, attribuite ai satiri
probabilmente per accentuarne in maniera comica il carattere istintivo e la mancanza
di raziocinio.
379In più, non ci sono rappresentazioni vascolari che raffigurino dei
satiri assimilabili in qualche modo a cani.
380Dunque, non possiamo affermare che i
satiri degli Ichneutai fossero abbigliati come segugi, ma è più probabile che avessero
il classico travestimento dei cori satireschi del V secolo a.C. e fossero cioè giovani,
barbuti e forniti di un fallo vistoso.
381Sofocle decide di ripiegare su una soluzione
più complessa rispetto alla totale identificazione del coro con un branco di cani da
caccia: l'identità dei satiri viene mantenuta, ma è il loro atteggiamento a mutare che,
già di per sé stravagante, viene arricchito da un ulteriore tocco mimetico che sfocia
in atteggiamenti canini.
Numerose sono le analogie con le descrizioni tecniche degli inseguimenti di
378 Cfr. e.g. ῥινηλατῶν ὀσμ[ v. 94, διπλοῦς ὀκλάζω[ν v. 96 (emendato da Wilamowitz in δίπουςingiustificatamente), ὕποσμος ἐν χρῷ v. 97, κυνορτικὸν σύριγμα v. 173, κυνηγετέω vv. 21, 50. 379 Cfr. e.g. Eur. Cycl. 624 (θῆρες).
380 Cfr. la vaga affermazione di Wilamowitz (1912, 454 e ss.) “Ich glaube mich an Vasenbilder zu erinnern, in denen solche Hundenatur sich zeigt; aber ich habe keine Zitate”, smentita totalmente da Maltese, il quale ammette di non aver trovato nessuna connessione figurativa satiri-cani eccetto una in cui un satiro si avvicina di soppiatto ad un cane intrappolato (su un ἀσκός di Oxford n. 539= Brommer, 1959, 76, n. 71) e un'altra in cui lo trattiene per la coda (su una coppa del Louvre n. G 636= Brommer 1959, 81, n. 166). Temi analoghi sono stati individuati anche in due terrecotte minori di München (n. 6589) ed Erlangen (n. 318)
381 Cfr. le parole di Cillene dette al coro: ἀ[λλ'] αἰὲν εἶ σὺ παῖς· νέος γὰρ ὢν ἀνὴρ/ π[ώγ]ωνι θάλλων ὡς τράγος κνήκῳ χλιδᾷς· (vv. 366-67) e anche il v. 151 in cui Sileno rimprovera ai figli di essere solamente κα̣[ὶ γ]λ̣ῶ̣σσα κα[ὶ] φ̣άλητες. Illustrazioni in Brommer 1959, 72, n. 9, 13, Pickard- Cambridge 1962, 312-14.
selvaggina tramandate dalla trattatistica cinegetica greca. In particolare, il
Cinegetico di Senofonte e l'omonima opera di Arriano,
382ci aiutano a chiarire il
contenuto di questa sezione lirica caratterizzata da un lessico tecnico ed evocativo di
molteplici immagini venatorie. Al v. 177, ad esempio, ὑπέκλαγες può essere messo
in relazione con gli affini κλάζω, κλαγγάνω e κλαγγή, che, ricorrendo il primo in
Xen. Cyn. 3.9 e in Arr. Cyn. 3.2., 3.5, 16.8, il secondo in Xen. 4.5, 6.23 e il terzo in
Xen. 4.5, 5.19, 6.17 e in Arr. 3.2, 3.3., 21.2, indicano propriamente il mugolio del
cane, il quale, nel corso della caccia, evita di abbaiare per non farsi notare dalla
preda.
383Le interiezioni del verso precedente ὗ ὗ ὗ, [...] ἆ ἆ, vanno interpretate, di
conseguenza, come versi di un ὑλαγμός canino e non come grida di allarme o di
paura, diversamente, quindi, dall' ὕ̣ [ὗ] ὕ̣ ὗ̣ del v. 131, proferito dai satiri dopo
l'avvertimento del primo κιθαρισμός.
384La richiesta “λέγ' ὅ τι πονεῖς” (v. 176) e le domande incalzanti “τί μάτην
ὑπέκλαγες, ὑπέκριγες,/ ὑπό μ' ἴδες;” (vv. 177-78) possono essere attribuite ad un
altro interlocutore che chiede spiegazioni riguardo le esclamazioni precedenti. È
probabile che in questo momento i satiri avessero fiutato le tracce del ladro e
mugolando, avessero rivolto lo sguardo verso un altro membro del coro o verso
Sileno, proprio come fanno i cani con il cacciatore dopo aver trovato la preda (cfr.
Xen. Cyn. 6.23: ἐπειδὰν δὲ περὶ τὸν λαγῶ ὦσι καὶ τοῦτο ἐπιδεικνύωνται σαφῶς τῷ
κυνηγέτῃ […] ἐπανακλαγγάνουσαι, ἐπαναίρουσαι τὰς κεφαλάς, εἰσβλέπουσαι εἰς
τὸν κυνηγέτην, ἐπιγνωρίζουσαι ἀληθῆ ἤδη εἶναι ταῦτα).
Notevoli effetti retorici sono combinati all'interno di queste espressioni
incalzanti che, formando un tricolon, sono legati per asindeto, come ad evidenziare
l'intontimento dell'interlocutore di fronte allo strano comportamento dei satiri. Nella
successione di ὑπέκλαγες, ὑπέκριγες,/ ὑπό μ' ἴδες; sono anche individuabili forti
assonanze, maggiormente evidenti nei primi due verbi di significato affine e dalla
derivazione onomatopeica, riferiti senza dubbio alle interiezioni ὗ ὗ ὗ [...] ἆ ἆ del
382 La seguente analisi è stata trattata in maniera approfondita da Maltese 1982, 82 e ss.383 È bene porre in evidenza due passi specifici del Cinegetico di Senofonte che riflettono il tipico comportamento dei cani in prossimità della selvaggina durante una concitata battuta di caccia: πολλαὶ δὲ τούτων (scil. κύνες) μανικῶς δὲ περιφερόμεναι ὑλακτοῦσι περὶ τὰ ἴχνη (3.5.), πολεμικῶς ἐπιφερόμεναι, φιλονίκως παραθέουσαι, συντρέχουσαι φιλοπόνως, συνιστάμεναι ταχύ, διιστάμεναι, πάλιν ἐπιφερόμεναι (6.16).
384 Non c'è nessuna ragione per ritenere, come Wilamowiz (1912, 459 n.2) e Pearson (1917, 249), che prima del v. 175 i satiri siano stati turbati da un altro ψόφος, che si avvertirà solo più avanti, al v. 203.
verso precedente. Ὑπέκλαγες è un hapax legomenon, ὑπέκριγες occorre invece in
Ael. NA. VI. 19 per designare il verso di una locusta, ὑπό μ' ἴδες, infine, racchiude
un composto in tmesi, in cui la preposizione ὑπό, qui iterata per la terza volta,
puntualizza il significato del verbo principale, specificando la tipologia di uno
sguardo torvo.
385L' ἔχε̣ται del v. 178, ripetuto anche al v. 180 (ἔχει), per alcuni di significato
oscuro,
386sembra essere un termine tecnico indicativo della presenza della preda,
387in questo caso proferito dai satiri che, fiutando, avrebbero riconosciuto nuove tracce,
pensando di essere vicini nella scoperta dell'identità del ladro.
I vv. 178-79 risultano problematici a causa della lacuna finale del v. 179 che, pur
non essendo cospicua, è fondamentale per una corretta interpretazione del passo.
Hunt
388integra ἐν πρώτῳ τίς ὅδε τρόπ[ῳ· considerando l'ἔχεται del verso precedente
il verbo principale dell'interrogativa, ma fornendo una traduzione piuttosto
approssimativa e non specificando a dovere il senso di τρόπ[ῳ.
389Terzaghi,
390accettando la suddetta proposta, intende quest'ultimo sostantivo nel significato di
“turno” e traduce “chi è catturato nel primo turno?”, fondando la sua scelta su un
passo di Hdt. I.189 “ὀγδώκοντα καὶ ἑκατὸν […] τετραμμένας πάντα τρόπον” in cui
τρόπος, in realtà, vuol dire “direzione”. Tuttavia, la domanda così intesa non si
applica bene al nostro contesto a causa dell'erronea traduzione di τρόπ[ῳ che
renderebbe necessaria un'ulteriore informazione di cui non c'è traccia, ossia la
notizia della cattura di qualcuno.
La maggior parte dei critici dà per scontata l'appartenenza di ἔχεται alla
proposizione del verso successivo (178-79) poiché nel papiro non è presente nessun
segno di punteggiatura. Avendo anticipato che si tratta di un verbo tecnico utilizzato
nella sfera cinegetica, potremmo provare ad isolarlo con un punto e ad intenderlo
come un'esclamazione proferita dai satiri-segugi in risposta alla domanda precedente
(τί μάτην ὑπέκλαγες, ὑπέκριγες,/ ὑπό μ' ἴδες;, vv. 177-78).
391Di conseguenza, nel v.
385 Ἴδες è una forma epica per εἷδες. 386 Cfr. Maltese 1982, 85.
387 Cfr. Xen. Cyn. 10. 9: τὸ χωρίον κατωφερὲς ἐν ᾧ ἂν ἔχῃ αὐτὸν (scil. τὸν λαγῶ) ἡ ἄρκυς. 388 Hunt 1912, 47.
389 L'integrazione di Hunt è accolta anche da Page 1942, 40-1, Ferrante 1958, 54-5 e Lloyd-Jones 2003, 158-59.
390 Terzaghi 1913, 124.
391 Simile la soluzione di Diggle (1998, 52) che sceglie sempre di dissociare ἔχεται dal verso successivo, ma tramite un punto in alto. In questo modo, la domanda non andrebbe attribuita ai
179 non andrebbe accolto il sopracitato supplemento di Hunt, ma quello di Robert
τρόπ[ος·,
392che si presenta come risolutivo a livello sintattico e contestuale.
Dobbiamo immaginare un Sileno, o chi per lui, che, stupito dai mugolii dei satiri,
domanda: “τίς ὅδε τρόπ[ος·”, cioè “che modo è questo?”. Espressioni del genere,
come abbiamo visto, non sono estranei al linguaggio degli Ichneutai. In particolare,
per altre due volte, al v. 126 con τίς ὑμῶν ὁ τρόπος; e poi al v. 130 con ο̣ὐ γ̣ὰρ ἴδρις
εἰμὶ τοῦ τρόπου, Sileno ha manifestato la sua meraviglia riguardo il comportamento
bizzarro dei figli con il termine τρόπος. Quest'ultimo, dunque, va inteso
semplicemente come “modo/maniera”.
Il conseguente isolamento di ἐν πρώτῳ ha destato, tuttavia, numerose perplessità
poiché non è chiaro a cosa si riferisca. Simili difficoltà pare che fossero state
riscontrate anche dagli antichi. La prima mano, infatti, scrive erroneamente un
ΕΠΡΩΤΟ, che successivamente è corretto in ΕΝ ΠΡΩΤΩΙ dal revisore,
393forse
perché messo in relazione con il δεύτερῳ di poco successivo (v. 182).
394L'interpretazione più immediata, proposta da Voelke,
395vedrebbe i due elementi
contrapposti su un piano temporale, che potrebbero essere tradotti, ad esempio, con
“inizialmente...in un secondo momento”. La forma in cui sono stati tramandati, però,
non risulta convincente. Di solito, in contrapposizioni di questo tipo, la lingua greca
preferisce πρῶτον μέν...δεύτερον αὖ (cfr. Il. VI. 179), πρῶτον μέν...ἔπειτα δεύτερον
(cfr. Aeschn. 1.7), oppure πρώτως...δευτέρως (Arist. EN. 1158b 31). In assenza di
altri testimoni e in vista del testo lacunoso, la stranezza delle due espressioni ἐν
πρώτῳ e δευτέρῳ, poste sicuramente in relazione, esclude il valore temporale dal
ventaglio di soluzioni disponibili.
Dal momento che i satiri anche in questa seconda battuta di caccia sono divisi in
tre gruppi posizionati verosimilmente in tre sentieri diversi, si potrebbe scorgere in
questa fase un riferimento ai vari cori. Più semplicemente, Sileno o un altro coreuta
avrebbe esclamato: “voi del primo gruppo, che modo è questo?” e poi “voi del
satiri, ma all'interlocutore che si mostra curioso di sapere se mai questi avessero già catturato il ladro.
392 Robert 1912, 548.
393 Hunt (1912, 75) sostiene che la seconda Ω dell'originario ΕΠΡΩΤΩ fosse stata riscritta, ma la lettera sembra essere piuttosto una correzione postuma a fronte dell'O precedente.
394 A δευτέρῳ è riferita l'annotazione marginale δευτεώτις che Hunt (1912, 47) mette a testo come δεῦτ’, ὤ, τις. Una sequenza del genere costruita con un'espressione di incitamento e una di sorpresa seguita poi da una domanda è piuttosto inusuale. Cfr. Antonopoulos 2010, 301-02. 395 Voelke 2001, 171.
secondo gruppo, che modo è questo?”. La ripetizione del τίς ὅδε accanto a ἐν πρώτῳ
e a δευτέρῳ è indicativa in tal senso, poiché, all'interno di uno schema stilistico
contrastivo, potrebbe suggerire lo stesso soggetto.
Essendo solamente lettori e non spettatori degli Ichneutai è arduo capire a cosa
il τίς ὅδε faccia riferimento. Se davvero qui si nasconde un indizio sulla triplice
spartizione del coro non ci è dato saperlo, anche se una soluzione del genere è molto
suggestiva. Può anche darsi, come ipotizza Antonopoulos,
396che il πρώτος e il
δεύτερος citati siano invece il primo e il secondo dei tre sentieri in cui doveva essere
divisa la scenografia.
Le frasi brevi e concitate dei vv. 180-81 “ἔχει. ἐλήλυθεν, ἐλήλ[υθεν/ ἐμὸς εἶ,
ἀνάγου” che dovevano essere pronunciate dai satiri in fermento, rendono l'atmosfera
ancora più frenetica e smaniosa, tanto che, in una tale confusione, il misterioso
interlocutore del coro tenta di ripristinare l'ordine, dando indicazioni precise ai
singoli satiri.
La possibilità di chiamare i cani da caccia per nome, durante le fasi più delicate
della caccia, è contemplata sia da Senofonte (in Cyn. 6.20: [scil. δεῖ τὸν κυνηγέτην]
προσστάντα ἐγκελεύειν, τοὔνομα μεταβάλλοντα ἑκάστης τῆς κυνός, 6.14: ὀνομαστὶ
ἑκάστην προσαγορεύοντα) che da Arriano (in Cyn. 17.1: καὶ τὴν κύνα δὲ ἀνακαλεῖν
ἀγαθόν· χαίρουσιν γὰρ τὴν φωνὴν τοῦ δεσπότου γνωρίζουσαι, καὶ παραμυθίαν
ἴσχουσιν τῶν πόνων τὸ γινώσκειν ὅτι θεατὴς αὐταῖς πάρεστιν καὶ ὅτι οὐ
λανθάνουσιν ἀγωνιζόμεναι καλῶς, 18.1: [χρή] καὶ ὀνομαστὶ ἐπιλέγειν “εὖγε ὦ
Κιρρά, εὖγε ὦ Βόννα, καλῶς γε ὦ Ὁρμή”), così come è raccomandata la brevità
come caratteristica imprescindibile nell'attribuzione onomastica, in grado di rendere
il richiamo più immediato e veloce (cfr. Xen. Cyn. 7.5: τὰ δ' ὀνόματα αὐταῖς
τίθεσθαι βραχέα, ἵνα εὐανάκλητα ᾖ, Arr. Cyn. 31.2: τὰ ὀνόματα δὲ ὅτι βραχέα καὶ
εὐανάκλητα θετέον ταῖς κυσίν).
397La somma di tutte queste analogie contribuisce a creare la realistica atmosfera
venatoria richiesta dalla situazione, ma ad essa collabora anche un espediente più
ingegnoso, degno della maestria di Sofocle nello sfruttare la tecnica dell'ambiguità
espressiva. I nomi propri con cui i satiri vengono richiamati in questa sezione (vv.
396 Antonopoulos 2010, 299-300.397 Cfr. anche Opp. Cyn. 1.444-45: ἐπ' οὐνόματα σκυλάκεσσι βαιὰ τίθει, θοὰ πάντα, θοὴν ἵνα βάξιν ἀκούῃ.